In realtà, più che un lottatore di catch, avevo lo stato d’animo di un tecnico del team Ferrari all’approssimarsi del pit-stop: avevo un’ora per pranzare (o fare merenda, dato l’orario), farmi una doccia, darmi una sistemata e farmi trovare pronta per le 16.15, quando un manipolo di coraggiosi si sarebbe presentato dinnanzi alla mia porta in tenuta da gita della domenica pomeriggio. Respirare era opzionale.
Quando il campanello è suonato stavo ancora mettendo le ultime cose in borsa (il tempo incerto mi obbligava all’equipaggiamento misto inclusi mantella di lana e ombrello), mi sono infilata le scarpe e sono uscita di corsa.
In effetti sapevo che era arrivato qualcuno ben prima di sentire il campanello, il cane dei miei vicini aveva dato fiato alle trombe con un entusiasmo tale che una persona con meno esperienza avrebbe temuto di trovarsi Nosferatu davanti alla porta. Io invece ho imparato col tempo che Ugo (il cane in questione) abbaia come un forsennato contro qualunque cosa si muova, non so se per compensare il fatto che starebbe comodamente in un moon-boot, o semplicemente perché gli scoccia di essere l’unico segregato in giardino mentre tutta sta gente se la spassa in giro per il mondo.
Fuori dalla porta mi aspettavano l’Ale e l’Albertini con cui mi sono lanciata in un resoconto delle mie ultime disavventure lavorative in attesa dell’arrivo di Mr & Mrs Gasperoni-Piraccini, i quali però sono arrivati parecchio più tardi, beccandosi l’inevitabile cazziatone e tentando di imputare il ritardo a vecchietti con cappello che guidavano senza mai mettere la terza.
Una volta riunito il team al completo, ci siamo organizzati: Lorenzo ha offerto la sua macchina che essendo gigante ci teneva tutti comodamente, con l’aggiunto vantaggio di avere nel portabagagli un utile indumento parapioggia per quelli sprovvisti di ombrello: le mantelline di plastica superleggere che avevano utilizzato in viaggio di nozze per la visita alle cascate del Niagara.
Tutta questa fase di preparazione potrebbe far pensare a un trekking sul Cervino o un’esplorazione della giungla del Borneo; invece si trattava semplicemente di arrivare in quel di Montegiardino, comune sito nella Repubblica di San Marino (sempre estero ma senza anaconde o crepacci) dove era in programma il festival Artisti in casa: alcuni artisti, ciascuno all’interno di una piccola casa lungo le mura del centro storico, si esibivano per brevi concerti e ogni trenta minuti il pubblico si spostava da una casa all’altra, passando magari dal country blues alle canzoni degli anni 30.
Trovare il posto è stato facile, soprattutto grazie a Lorenzo e l’Ale che sono pratici della zona, il difficile è stato trovar da parcheggiare, non solo perché il luogo è piccolo e c’era già tanta gente (leggi auto) ma anche perché la Gasperoni-mobile non è fatta in economia e ci costringeva a una difficile scelta:
a) rassegnarci a vedere la macchina protrudere eccessivamente verso l’esterno, con il conseguente rischio sfracellamento specchietto,
b) tentare di accostarla il più possibile a bordo strada, rischiando però di vederla precipitare insieme all’autista giù per la scarpata.
Il temerario autista ha optato per la busta b e gli è andata bene.
Una volta arrivati al chiosco-cassa (nel frattempo ci avevano raggiunto anche la Clodia e Tommasoni), abbiamo appreso che l’organizzazione permetteva ai partecipanti di scegliere fra tre biglietti d’ingresso:
Biglietto asceta: pagando 8 euri potevi entrare nel borghetto e assistere a tutti gli spettacoli che volevi,
Biglietto essere umano medio: pagandone 10, oltre a tutti gli spettacoli, aggiungevi tre degustazioni di vino con il calice in omaggio,
Biglietto Bidone Aspiratutto: scucendo 15 euri ti promettevano una porzione di polenta con la salsiccia, un misto di salumi e formaggi tipici della zona e, per dessert, una fetta di pane con miele o la torta di San Marino.
Neanche a dirlo, nessuno di noi ha avuto la minima esitazione, abbiamo pagato i nostri 15 euri ricevendone in cambio un vagone di tagliandini, un bicchiere e una borsina porta bicchiere da appendere al collo (faceva un po’ mucca al pascolo ma pazienza). Una volta dentro, ci siamo buttati sul primo banchetto degustazione per rimetterci in forze e, con rinnovato vigore, siamo partiti alla ricerca di Casa Farnedi. Sì, perché uno dei dieci artisti ospiti nelle casine era proprio Farnedi; quando l’abbiamo raggiunto aveva già provveduto a decorare il cartello d’ingresso con disegni di animali vari e aveva sparso per la stanza al pianterreno biscotti secchi e caramelle gommose (oltre a un numero n di ukuleli) da offrire ai suoi ospiti. Non l’avremmo più rivisto fino alle 23 (termine delle performance accasate), da una parte perché la sua casina strabordava sempre di gente, dall’altra perché avendolo noi visto una marea di volte, volevamo sentire qualcosa di nuovo.
Volevamo e ci siamo riusciti: nella casina numero 7, su consiglio di Ale Monogawa, abbiamo assistito a una performance di musica pop da cucina in cui gli unici strumenti erano appunto pentole, piattini, carta stagnola, imbuti e così via; un’atmosfera magica, anche un po’ giapponese. Presentazione di una delle canzoni eseguite: tanti piccoli chicchi di riso che sorridono felici. Magico, appunto, con un tocco giapponese.
La casa numero 5 ospitava invece The Sgirlies, un duo femminile che proponeva teatro/canzoni degli anni 30-40.
Entrare è stata una vera impresa, un po’ come quando a Bologna tenti di salire sul regionale per Rimini il venerdì pomeriggio: non c’è posto per gli scrupoli, si calpestano bambini e si gambizzano nonne senza alcuna pietà. La pietà è per quelli che restano sul binario.
In questo caso la nostra spietatezza ha dato i suoi frutti e sono riuscita a sedermi su una poltrona, ero un po’ laterale ma almeno i miei piedi, reduci da mezz’ora in piedi in un’altra casa, potevano finalmente tirare il fiato.
Lo spettacolo comico delle Sgirlies mi è piaciuto assai: teatro e canzoni (tutte a cappella) da Baciami piccina a Però mi vuole bene , per citare alcune di quelle che ho riconosciuto (molte non le avevo mai sentite), il tutto con una recitazione dal ritmo perfetto e molto divertente. Saremmo rimasti lì ancora molto ma era l’ultimo concerto della serata quindi le due artiste, dopo l’ennesimo bis, ci hanno cortesemente ma implacabilmente buttato fuori.
A quel punto, in attesa del concerto dei Bevitori Longevi, siamo passati a trovare Farnedi che stava raccogliendo baracca e ukuleli e ci siamo fermati a fare due chiacchiere; prendendo in mano uno dei sette ukuleli presenti mi è venuta voglia di suonare qualcosa, mi sono fatta coraggio e ho chiesto al popolo (eravamo praticamente solo noi) se volevano sentire una canzone, ovviamente coi miei modesti mezzi. Il popolo mi ha incoraggiato ed ero proprio sul punto di lanciarmi quando sono entrati in casa due sconosciuti, oltretutto musicisti, a salutare il collega. Ma porcaccia miseria! Già per me era una roba enorme suonare qualcosa in pubblico (anche se pubblico di amici), figuriamoci se potevo suonare davanti a estranei, per giunta musici. Per un po’ ho sperato che levassero le tende ma, sentendo che parlavano di strumenti, mi sono rassegnata all’evidenza: non li avremmo schiodati di lì neanche coi panzer.
Ormai la serata volgeva al termine ed eravamo tutti parecchio stanchi: dopo un ultimo sguardo alla piazza dove i Bevitori Longevi erano in pieno concerto, abbiamo salutato gli irriducibili e siamo tornati alla macchina, con la testa piena di stoviglie, chicchi di riso e, sì, anche qualche rimpianto.
P.S. Qui sotto trovate un video delle Sgirlies, per chi volesse farsi un’idea più precisa…
P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press
Nessun commento:
Posta un commento