venerdì 4 febbraio 2011

In gita a Madrid (tipo la gita delle medie) - la seconda di due parti

La mattina si usciva sempre con comodo, un po’ perché dormivamo parecchio (chi ci riusciva) e un po’ perché, tra piastra ai capelli, sigaretta e caffè per vincere la stitichezza ecc, il tempo volava via.
L’argomento stitichezza si è presto trasformato nel vero protagonista del viaggio (la famosa quinta unità); tutti i giorni c’era il bollettino di guerra e si tentavano vari rimedi, caserecci e non, senza purtroppo risultati esaltanti. Si è inevitabilmente scatenata una campagna denigratoria nei confronti di quelle non interessate dal e al problema, accusate di sbattere in faccia le loro prestazioni alle meno fortunate. La stitichezza è una dura minestra (il gioco di parole è venuto per caso).
Secondo il programma elaborato dalla Rini, il primo giorno avremmo dovuto far colazione in una famosa pasticceria e poi dedicare il resto della mattina al mercato del Rastro; purtroppo però, essendo che ci fermavamo ogni cinque minuti a fare foto ovunque e a guardare qualsiasi vetrina (inclusa quella degli iPhone, oggetti esotici tipicamente iberici), abbiamo raggiunto la pasticceria nel pomeriggio e il Rastro verso le 16.30, quando ormai stavano smontando.
Passerà alla storia la scena della sottoscritta che, in piedi davanti al semaforo pedonale, urla “E’ VERDE!!!!” per la quinta volta, mentre le tre dell’avemaria si fanno foto a vicenda, del tutto ignare del mondo che le circonda.
Altro dettaglio degno di menzione: la Berti (che qualcuno ricorderà come una delle protagoniste della memorabile foto della Compagnia dell’Anello[1]) nell’ambiente metropolitana non dava proprio il meglio di sé; tutte le sere al momento del rientro in hotel cominciava a lamentarsi che era stanca, che c’erano troppe scale da fare, arrivando in alcuni casi a rifiutarsi di salirle. In una di queste occasioni, di fronte alla donna che la faceva più lunga della Bologna-Taranto, la Rini ha colpito rapidissima e letale: “Dai Frodo, hai scalato un monte per prendere quel benedetto Anello, potrai fare tre gradini per tornare in hotel!” Ovviamente la Berti le ha tolto il saluto ma è una cosa che prima o poi è capitata a tutte; a me, nello specifico, quando le ho rivelato che, siccome nel sonno lei andava in apnea e mi faceva venire l’ansia, rendendomi impossibile addormentarmi, avevo deciso di mettermi i tappi. Apriti cielo! E se le fosse successo qualcosa? Se l’avesse aggredita un assassino nel sonno mentre io dormivo con le orecchie tappate? La mia risposta, mors tua vita mea, non ha migliorato le cose.
Sempre in metropolitana siamo stati testimoni di parecchi episodi incresciosi: gli sfortunati omarelli che salivano in certe carrozze si ritrovavano oggetto di commenti e occhiate lascive da parte di alcune scostumate; ne abbiamo addirittura visto uno scendere dal treno in fretta e furia, si sospetta una fuga per difendere l’onore.
Per quanto riguarda le nostre visite culturali (musei Thyssen e Reina Sofia), esse sono state all’insegna della sintesi ma, data la brevità del viaggio, era inevitabile. Non così lo sciopping che, su tre giornate (una se ne andava in viaggio) ne ha occupata una intera. C’erano da comprare souvenir per genitori, nonni, nipoti, zii, colleghi, portinaia, fruttivendolo e antennista. Abbiamo lasciato fuori solo il figlio del fontaniere e la seconda moglie del postino.
In questo turbinio di negozi la sottoscritta, non essendo molto abituata (mai stata neppure alle Befane) ha iniziato dopo qualche ora a mostrare i primi segni di cedimento: mal di schiena, stato confusionale e visioni preoccupanti (la mia maestra elementare mi guardava con compassione appoggiata al bancone da Desigual).
L’ultima sera, distrutta dallo sciopping e da un’affannosa quanto infruttuosa ricerca di un posto dove mangiare, ho salutato con entusiasmo l’insegna di un ristorante italiano. So che all’estero si mangia estero ecc ecc, ma in guerra non stai certo a guardà capello. Oltretutto la pizza era buona assai.
Ultimo giorno, tutto sciopping e check-in. Pranzo in un ristorante vegetariano strapieno di gente dove, causa un mio qui pro quo traduttivo, pensiamo di ordinare ceci ma ci servono piselli. Ops. Durante il pranzo la Rini conclude che i madrileni sono poco educati, aggiungendo sarà perché sono montanari. La Berti invece lamenta che il giubbotto le va stretto perché non ha fatto la cacca.
Dopo un rush finale dentro e fuori dai negozi, con tasso di adrenalina/ansia alle stelle, prendiamo finalmente il bus per l’aeroporto; dopo cinque minuti di viaggio la Berti si arrabbia (il motivo al momento mi sfugge) e, togliendo il saluto a tutte, si sposta sul fondo del bus dove rimane fino all’arrivo al terminal. Passiamo i controlli e, una volta arrivate alla zona duty-free, ha inizio uno di quei saccheggi che gli Unni prenderebbero appunti. Quando vanno a pagare, lo scontrino sembra la Treccia di Rapunzel. E’ proprio in quel momento, quando hai comprato tutto il comprabile e inizi a rilassarti, che il destino ci mette lo zampino e la Rini si rende conto di non avere la carta d’imbarco. Ma porc...
Torniamo al controllo bagagli ma non troviamo nulla; l’impiegato ci indirizza verso un banco Iberia dove, dopo una fila di un quarto d’ora, ci stampano un duplicato. Intanto, dietro nostro suggerimento, la Lucchi e la Berti (che pur non parlando lo spagnolo riesce a farsi capire anche dalle pietre) sono andate al gate per avvertire le hostess. Quando finalmente le raggiungiamo, chiediamo se hanno avvertito qualcuno, se dobbiamo informarli che abbiamo risolto il problema.
Risposta della Lucchi:”Boh, la Dani gli ha parlato ma non so se l’hanno capita; lei continuava a dire mia compagna, lei perso suo Anello!
A quel punto la Berti ce ne ha dette di ogni ma nessuno l'ha sentita, le risate coprivano qualsiasi altro suono.
Quando finalmente hanno chiamato il volo e ci siamo avvicinate per l’imbarco, la Berti ha sussultato nel vedere gli stessi rugbisti dell’andata, compreso Mr Collo Taurino. Ormoni ovunque. Sintetizzo l’atmosfera del viaggio di ritorno con un esempio di conversazione: siamo in pista, l’aereo sta decollando; la Berti si gira e mi chiede:”Ma anche a te ballano le tette?”
Ogni altro commento è superfluo.


[1] Vedi post di Amsterdam e Brugge – parte quinta.

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