Eccoci a un’altra surreale avventura lavorativa; sembra che forze occulte cospirino per farmi finire con una certa regolarità tra i pazzi furibondi e nelle situazioni più surreali. O forse sono io che attiro sta gente, boh.
Esaminiamo brevemente il convegno a cui ho appena lavorato, è una vera miniera in questo senso.
Mi prenotano una stanza nello stesso hotel (4 stelle) dei congressisti. Ovviamente a me riservano la stanza dei servi della gleba (piccolina e con bagno degli anni 70) ma ci sono abituata e poi è pulita e tanto basta. Appoggio le valigie e vado in bagno a darmi una rinfrescata; apro il rubinetto e il bidet inizia a gorgogliare come se ci fosse qualcuno che soffia in un bicchiere con una cannuccia. Vabbè pazienza, facciamo una doccia. Apro le porte a vetri della doccia e dentro ci trovo uno sgabello con sopra il tappeto antiscivolo per la doccia e il tappeto di spugna da mettere fuori. Vabbè pazienza. Tolgo tutto, apro la doccia e sto benedetto bidet ricomincia a gorgogliare. Mi lavo accompagnata da “Le mille bolle blu” e mentre mi sciacquo i capelli noto uno strano tubo che scende lungo la parete della doccia fin quasi a terra. Un microfono nascosto? Una doccia a gas? Una volta uscita lo esamino meglio e l’unica spiegazione che mi viene in mente è che sia il tubo della condensa del condizionatore (proprio lì sopra) che scola direttamente nella doccia. Ricordo che tratterebbesi di hotel 4 stelle (forse sono le stelline del brodo).
La mattina seguente esco dall’albergo e chiedo all’autista a che ora è prevista la partenza della navetta per i congressisti. Risposta: ore otto circa, appena sono saliti tutti. Peccato che lui non li abbia mai visti prima, né sappia quanti debbano essere, quindi si aspetta a oltranza seduti nel bus. Finalmente alle 8.15 qualche neurone si mette in moto e l’autista si decide a chiedere al moderatore del convegno di controllare che ci siano tutti e, sorpresa! Ci siamo già tutti. Per motivi francamente inspiegabili il bus non ci scarica a destinazione ma prosegue allegramente fino a un parcheggio non meglio identificato; percorriamo la distanza che ci separa dalla sede del convegno accompagnati dalle invettive di alcune ospiti, decisamente attempate, che sparano a zero sull’organizzazione.
Non c’è molto da dire sul convegno che era, come spesso accade, interessantissimo. Persino l’esiguo pubblico a un certo punto ha dato il collo, un tipo in ultima fila dormiva con la testa all’indietro sullo schienale della sedia. Per fortuna a metà mattina e a metà pomeriggio c’erano le pause caffè, le quali meritano un paragrafo tutto per loro.
In un chiaro tentativo di ridurre i costi, l’organizzatore aveva stretto un accordo con (si suppone) il locale istituto alberghiero, o perlomeno così speriamo, altrimenti la denuncia per sfruttamento del lavoro minorile non gliela leva nessuno, i camerieri avranno avuto al massimo quindici anni! L’artista che aveva ideato i menu ce lo ricorderemo per un pezzo: in una delle pause caffè (accento su caffè) servivano fette di pane col lardo e frittatine di spinaci, oltre ai panini al prosciutto cotto con pane secco e a qualche mini croissant non del tutto scongelato. Ma la vera chicca è arrivata al momento del pranzo: dopo aver preso qualcosa da mangiare siamo passate davanti al tavolo del vino e Maura, fermandosi, ha chiesto al cameriere:“Scusa, che vino è quello?” Il ragazzotto l’ha guardata e ha risposto serafico “Bianco”.
Dopo pranzo ci aspettava un eccitante fuori programma, in occasione di questo straordinario evento era stata infatti preparata una performance live: due brevi farse (una in italiano e una in inglese in omaggio al pubblico straniero) intervallate da una canzone, composta in onore della sua città, dall’autrice delle due farse e cantata dal vivo dalla figlia adolescente di quest’ultima. Evito commenti sulla performance, mi limito a osservare che uno degli attori che recitava in inglese aveva un difetto di pronuncia per cui diceva cose del tipo yez, zir. no, zir. Il resto lo potete immaginare.
Finito il convegno con due ore di ritardo, siamo tornati in hotel per la cena. Abbiamo chiesto di poter cenare per conto nostro ma essendoci un menu specifico per i congressisti ci hanno risposto picche; almeno però ci hanno dato un tavolino da due. Arrivati alla fine della cena, una delle cameriere si è avvicinata e ci ha sussurrato “Ma voi ci dovete passare tutto il giorno insieme a questi?” E, al nostro “purtroppo”, ci ha lanciato uno sguardo pieno di comprensione e se n’è andata con un “Poverette!”
Il giorno dopo abbiamo pranzato nel ristorante dell’albergo (sempre quello a quattro stelle) e la cameriera, alla mia richiesta di aggiungere il tonno all’insalata mista del menu, ha risposto che il tonno non l’avevano. Mi chiedo cosa ci fosse di così ingombrante in quell’enorme cucina da non lasciare il posto per qualche scatoletta di tonno. O forse se tieni il tonno in cucina ti tolgono una stella. Però se scarichi la condensa nella doccia non c’è problema. La vita è un mistero.
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