Il venerdì sera potrebbe essere una sera come tutte le altre ma non sarebbe il venerdì sera, non saprebbe di libertà e sciocchezze e soprattutto non ci sarebbero la Clodia e la Cecca che mi aspettano per andare a vedere un concerto a Marina Romea.
Fedele al mio personaggio, mi riduco a fare tutto all’ultimo momento e, inevitabilmente, arrivo a casa della Clodia trafelatissima. Ci infiliamo nella macchina della Cecca e solo a quel punto le due gigine m’informano, tranquillissime, che nessuno sa esattamente dove sia il locale in cui fanno il concerto quindi si profila all’orizzonte una di quelle cacce al tesoro che ti ritrovi alle tre di mattina a entrare nel laboratorio del fornaio chiedendo informazioni.
Per sicurezza do un’occhiata alla lancetta del carburante e vedo che c’è più di metà serbatoio, almeno non rimarremo a piedi. Ovviamente il navigatore è rimasto a casa e al momento naviga nel cassetto del salotto. Vabbè, partiamo.
Sorprendentemente, nonostante tutto sia contro di noi, comprese noi stesse, il cartello Marina Romea ci accoglie festoso dopo una quarantina di minuti; adesso si tratta solo di trovare il posto. Essendo Marina Romea, non è che brulichi di eventi quindi ci lasciamo guidare dalle luminarie visibili in lontananza.
A una certa distanza dal presunto locale (tipo 400 m), prendo il coraggio a due mani e avanzo la mia timida proposta: “E se parcheggiassimo?” Reazione del popolo: Orrore! Parcheggiare a queste distanze siderali? Ci stiamo forse allenando per la 100 km del Passatore? Chino la testa sconfitta mentre la macchina avanza risolutamente verso il locale e da lì a un minuto ci ritroviamo imbottigliate in un budello che sembra quello in cui era Austin Powers quando cercava di fare manovra col carrello del golf.
Dopo un paio di manovre sempre alla Austin Powers, con rovi che attentano selvaggiamente alla carrozzeria, i santi numi ci vengono incontro e si libera un parcheggio.
Una volta parcheggiata la macchina facciamo il nostro trionfale ingresso nel locale e puntiamo immediatamente il bar ma, alla mia richiesta di una cocacola, la barista mi informa che loro hanno solo la pepsi. Questa persecuzione della pepsi l'ha da finì, per due importanti ragioni:
1) la pepsi è una caramella liquida che solo a sentirne il nome i dentisti di tutta Italia si sfregano le mani, pensando alla macchina nuova che compreranno con le tue cure odontoiatriche.
2) non so perché ma te la servono sempre sgasata, mi aspetto che prima o poi qualcuno mi dica che se voglio più bolle sono 50 centesimi in più.
Afferro rassegnata il bicchiere di petrolio e torniamo verso il palco (le altre due che non sono nate ieri hanno chiesto una birra che lì vai sempre sul sicuro), guardandoci intorno e studiando la fauna accorsa per l’evento. La fauna intanto studia noi.
La Clodia mi indica un tizio in mezzo alla folla e onestamente mi chiedo come ho potuto non notarlo prima. Il soggetto in questione, piazzatosi esattamente davanti al palco, è un marcantonio alto almeno un metro e novanta con la testa completamente rasata e piccoli orecchini d’oro ad anello su entrambe le orecchie: praticamente Mastrolindo. A questo punto mi trovo obbligata a una confessione un tantino imbarazzante: io del concerto non mi ricordo praticamente niente perché da quel momento in poi la mia mente è stata invasa da mille domande, tra cui la più scontata e inevitabile: perché? E cioè: capisco che non è colpa tua se sei alto come un bonsai di grattacielo e che non ci puoi fare niente, capisco anche che magari i capelli si stanno diradando e quindi fai piazza pulita (o forse ti piaci così e allora lì è in agguato un’altra valanga di perché), ma proprio l'anello d’oro all'orecchio? Quello è il suo marchio di fabbrica, lo sanno tutti!
A meno che il nostro amico non sia troppo giovane per ricordarselo. E qui mi trovo preda del dubbio perché io non è che passi la vita a segnarmi quando danno gli spot di Mastrolindo quindi non mi ricordo quando (e se) hanno smesso di darli.
Mentre me ne sto lì in silenzio, dilaniata da mille incertezze, assisto a una scena che mi resterà impressa per molto tempo: la Cecca mossa da non so quale impulso parte e si avvicina allo stangone fermandosi a meno di mezzo metro di distanza. C’è da dire che a suo tempo la Cecca l’hanno fatta un po’ in economia quindi gli arriva appena sopra i gomiti e quando gli si mette di fianco l’effetto è decisamente comico. Dopo un po’ anche lui si gira e la vede che ci guarda ridendo con le mani sui fianchi. E a questo punto entra in scena l’ormai famosissimo effetto Cecca. Trattasi di un inspiegabile fenomeno grazie al quale la signorina in questione può fare praticamente di tutto, senza che nessuno trovi alcunché da ridire.
Per chi fosse interessato c’è l’esempio eclatante del buttafuori di un pub di Amsterdam il quale, in piedi davanti all'ingresso, controllava i documenti a tutti e quando si è visto presentare con grande nonchalance dalla Ceccarelli la tessera magnetica con cui entravamo in camera. L’ha guardata, si è fatto una risata e l’ha fatta entrare senza dire bao, un altro sarebbe finito dritto nel canale (vedi Cinque giorni tra Amsterdam e Brugge - parte terza)
Finito il concerto il nostro deejay si scatena e noi si balla ininterrottamente per un’ora, o almeno si ballerebbe ininterrottamente per un’ora se non fosse che la Clodia e la Cecca ogni tre per due si fermano per:
a) chiedere a un vicino chi è che canta quella canzone bellissima che hanno messo su,
b) andare a prendere una birrina (Cecca),
c) chiedere allo stesso vicino di prima se la canzone che c’è in quel momento è dei Joy Division,
d) andare a prendere una birrina (Cecca),
e) correre dal deejay per chiedere a lui se quella canzone è dei Joy Division,
f) andare in bagno e tornarne con una birrina (Cecca), sostenendo che lei non la voleva ma il barista ha insistito,
g) varie ed eventuali.
Quando ormai il grosso della folla se n’è andato, decidiamo che forse è ora ditogliere le tende; salutiamo i pochi rimasti e ci incamminiamo verso la macchina dove la Clodia prenderà il volante, essendo che con tutte quelle birrine la Cecca farebbe probabilmente svenire l’etilometro.
Guardando l’orologio mi accorgo che si son fatte le ore bonsai e tremo al pensiero della sveglia che suonerà domattina. Intanto però ci sono la sabbia, il mare con le onde che s’infrangono e il profumo della pineta. E per un po’ è ancora venerdì sera.
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