Il problema quando vai a lavorare lontano e stai fuori anche a dormire è duplice: da una parte hai
meno possibilità di trovare scuse per evitare le cene di rappresentanza (c’è sempre un ospite straniero che magari potendo eviterebbe dette cene come la peste ma, trovandosi costretto ad andare, necessita di traduzione), dall’altra le persone con cui ti trovi a lavorare, sapendo che tu e il citato ospite straniero cenerete da soli, si sentono in colpa al pensiero di abbandonarvi al vostro destino e vi invitano a cena, senza minimamente sospettare che in realtà, dopo aver passato tutto il giorno a contatto con emeriti sconosciuti, l’unica cosa che realmente desideri è startene un po’ tranquilla, mangiare quello che ti pare e soprattutto NON DOVER PARLARE/TRADURRE. Non ci arrivano proprio.
meno possibilità di trovare scuse per evitare le cene di rappresentanza (c’è sempre un ospite straniero che magari potendo eviterebbe dette cene come la peste ma, trovandosi costretto ad andare, necessita di traduzione), dall’altra le persone con cui ti trovi a lavorare, sapendo che tu e il citato ospite straniero cenerete da soli, si sentono in colpa al pensiero di abbandonarvi al vostro destino e vi invitano a cena, senza minimamente sospettare che in realtà, dopo aver passato tutto il giorno a contatto con emeriti sconosciuti, l’unica cosa che realmente desideri è startene un po’ tranquilla, mangiare quello che ti pare e soprattutto NON DOVER PARLARE/TRADURRE. Non ci arrivano proprio.
La patologia in questione, il non-ci-arrivoma, colpisce indiscriminatamente uomini e donne ed è indipendente dal grado di istruzione, dal tipo di occupazione, dal luogo/anno d’origine ecc. A volte però, anche all’interno dei casi clinici di non-ci-arrivoma, alcuni soggetti si spingono là dove nessuno ha mai osato avventurarsi, guidando la categoria verso nuove vette di assurdità.
Vediamo un esempio tratto dalla mia esperienza personale (purtroppo).
Abbiamo appena terminato un mattinata di lavoro parecchio pesante e stiamo tirando il fiato al tavolo dei relatori quando una signora mi si avvicina per chiedere se quella sera il relatore è già impegnato o gli va di andare a cena con loro (loro chi? La Compagnia dell’Anello? I Barbapapà? Non ci è dato di sapere). Io traduco fiduciosissima perché l’omone mi ha detto la sera prima (altra cena di rappresentanza) che avrebbe bisogno di un po’ di tempo per stare da solo e riposarsi; gli do pure l’imbeccata chiedendo:”Sei libero per cena stasera o devi rivedere il materiale per domani?” (gigio, io più di così non posso fare). E questo, con una faccia di bronzo che neanche a Riace (vedi commento della sera prima), risponde sorridendo che accetta con piacere l’invito. Lo prenderei volentieri a scapaccioni ma, da una parte è un omone grosso assai, dall’altra le dannatissime buone maniere m’ingabbiano (tutta colpa della mamma e dell’imprinting in tenera età) e mi ritrovo a dover affrontare il pomeriggio senza aver davanti la promessa di una seratina tranquilla
senza rotture di zebedei. Per fortuna a noi interpreti (quelli che sopravvivono) ci tirano su pronti a tutto, come Rambo o MacGyver.
senza rotture di zebedei. Per fortuna a noi interpreti (quelli che sopravvivono) ci tirano su pronti a tutto, come Rambo o MacGyver.
L’appuntamento è per le 20 ma verso le 19.30 mi arriva un sms in cui l’autista che passerà a prenderci chiede di posticipare alle 20.30 perché deve prima portare il figlio non so dove. Digrigno un po’ i denti ma poi penso alla villa della dentista e mi sforzo di rilassarmi.
Alle 20.25 scendo nella hall con una fame che rosicchierei le gambe del tizio della reception; fortunatamente la nostra autista/invitatrice è già in macchina davanti all’albergo quindi saliamo e si parte. Per non far sentire escluso il baldo relatore, l’ho invitato a sedere sul sedile davanti e mi sono sistemata dietro. E i successivi minuti mi dimostrano tutta la saggezza del suggerimento che ha portato l’omone straniero (e non la sottoscritta) a sedere nel posto del morto: la signora al volante guida come se avessimo appena derubato una diligenza e avessimo alle calcagna la cavalleria; taglia le curve, inchioda, non finiamo su due ruote solo grazie al baricentro rasoterra della vettura.
Alle 20.25 scendo nella hall con una fame che rosicchierei le gambe del tizio della reception; fortunatamente la nostra autista/invitatrice è già in macchina davanti all’albergo quindi saliamo e si parte. Per non far sentire escluso il baldo relatore, l’ho invitato a sedere sul sedile davanti e mi sono sistemata dietro. E i successivi minuti mi dimostrano tutta la saggezza del suggerimento che ha portato l’omone straniero (e non la sottoscritta) a sedere nel posto del morto: la signora al volante guida come se avessimo appena derubato una diligenza e avessimo alle calcagna la cavalleria; taglia le curve, inchioda, non finiamo su due ruote solo grazie al baricentro rasoterra della vettura.
Arriviamo inaspettatamente incolumi al parcheggio di un club privato di cui i nostri ospiti sono soci. Macchinoni come se piovesse. Dopo aver dato una fugace occhiata alla mise del nordico, prego in cuor mio che non ci sia un dress code, altrimenti la coppia relatore/interprete rischia di essere sbattuta fuori. E d’altra parte io mica posso portarmi dietro l’armadio! Mi avevano parlato di una cena di rappresentanza e io mi ero regolata di conseguenza; stasera il look è un mix bambinaia al parco e passeggiata in collina, una vera sciccheria.
Arriviamo al ristorante in giardino dopo aver superato i campi da tennis e la piscina, accompagnati dai commenti della nostra ospite la quale, una volta individuato il tavolo, si siede e ordina un aperitivo per tutti in attesa dell’arrivo del marito; è a questo punto che scopriamo che sarà una cena a quattro, solo noi e loro. Mi sento uno di quegli animali in trappola che si guardano intorno con gli occhi sbarrati cercando una via d’uscita. Considero seriamente la possibilità di fingere un malore ma il superclub è a casa di dio, quindi insisterebbero sicuramente per riportarmi in albergo e non ho il coraggio di affrontare subito altri quindici minuti di roulette russa su quella macchina, quindi ciccia.
La cameriera ci versa del prosecco e torna portando IL SECCHIELLO DEL GHIACCIO. E’ in occasioni come questa che mi dolgo di quel famoso imprinting che m’impedisce di sentirmi a mio agio nell’usare espressioni tipiche da Bar Sport ma che fotograferebbero perfettamente il mio stato d’animo. In questo caso l'unica espressione che mi permetto è te la puoi tirare anche meno.
Dopo una decina di minuti arriva il quarto commensale e ci portano i menu. Segue un animato dibattito tra moglie e marito su quale piatto tipico debbano consigliare al nordico ospite (io ovviamente non esisto). Alla fine se dio vuole ordiniamo (volano i carpacci di pesce spada e gli spiedini di gamberi su letto di non-so-che, io prendo solo un piatto di tagliatelle, tanto so benissimo che dovrò parlare per metà della cena e quindi di tempo per mangiare me ne resterà poco) e partiamo con la cena.
Seguono le solite due ore di conversazione con sconosciuti, che per quanto mi vengano bene sono comunque una faticaccia e, solo alla fine, quando siamo sul punto di alzarci, la signora sfodera una faccia di bronzo che fa luce e mi chiede:”Ascolta, di solito come vi regolate per pagare la cena?”
A quel punto a me francamente cadono le braccia: se m’inviti tu, mi porti al tuo club privato, insisti per ordinare praticamente per me e la fai cadere talmente dall’alto che quando arriva giù è un meteorite, poi non mi puoi accorciare i braccini all’ultimo chilometro! Che figura! E il club privato dov’è finito? E il tennis? E il secchiello del ghiaccio? Per non parlare del fatto che ho tradotto per te durante tutta la cena.
Comunque non faccio una piega e le dico che possono far fare due fatture (una per me e una per Thor) per la nostra parte, dopodiché ci alziamo diretti alla cassa. Arrivati là ci aspetta la vera chicca: il marito senza chiedere niente a nessuno fa dividere il conto per quattro come se fossimo vecchi amici che si vedono in continuazione. Non so se è chiaro: per QUATTRO!!!! Ma fammi capire, Gioia, perché te lo devo pagare io il carpaccio di pesce spada? Non hai lo studio privato oltre il tuo lavoro nel pubblico? E allora!
Non faccio in tempo a riprendermi dallo shock e siamo già al parcheggio. Risaliamo in macchina e sgommiamo verso l’albergo. E’ quasi mezzanotte e non vedo l’ora di arrivare in camera e buttarmi quest’incubo di serata dietro le spalle ma purtroppo non deve andare così. La nostra guidatrice decide che l'illustre ospite deve assolutamente vedere non so quale monumento (io non vengo contemplata) e a un certo punto, notando la macchina della polizia davanti a noi, mi fa: “Ascolta, questa è una zona a traffico limitato dove non potrei stare quindi, se per caso ci fermano, tu fai finta di essere inglese così io dico che siete turisti e che vi sto portando in albergo”
Mi frugo in tasca ma non mi è rimasto neanche un po’ d’incredulità, stasera l’ho usata veramente tutta; secondo la logica contorta di questa pirata della strada, dato che LEI è entrata in zona vietata (senza peraltro avvisarci) IO dovrei dare false generalità a un agente di polizia?!!!!!! E se poi mi chiede i documenti?!!! MA SIAMO IMPAZZITI!!!!!!!! OOOOOOOOOO!!!!!!!!!!
A quel punto chiudo ogni canale di comunicazione e passo gli ultimi cinque minuti a riflettere sui miei errori, in particolare sul passo falso commesso quella mattina: la prossima volta che me lo chiedono, la cena di rappresentanza se la possono mettere dove sanno, insieme al secchiello del ghiaccio e allo spiedino di gamberi su letto di ma-andate-ben-tutti-a-cagare.
Nessun commento:
Posta un commento