E finalmente si è concluso il periodo di lavoro matto e disperatissimo che, associato al dover seguire i lavori di ristrutturazione, comprare i mobili e traslocare nel nuovo appartamento, mi ha portato a tanto così dall'emulare Michael Douglas in Un giorno di ordinaria follia.
Adesso, pur correndo comunque tutto il giorno alla ricerca delle mille cose ancora da fare o da comprare (es. stai per entrare nella doccia e ti rendi conto di non avere lo shampoo), mi sento moralmente autorizzata a prendermela un po' più comoda.
Naturale quindi che, quando la Rini mi ha proposto di andare a fare un giro a Milano sabato 10 giugno, non l'abbia neanche lasciata continuare, non mi interessava sapere cosa avremmo fatto, una gita era proprio ciò che aveva ordinato il dottore.
Questa volta avrei guidato io (mica puoi sempre farti scarrozzare), quindi ho deciso di fare un colpo di mano e dichiarato che, essendo la Kia Rio il mio regno (sorvolo sulla concatenazione di eventi che hanno portato all'acquisto di questa macchina da tamarri, ormai c'è e me la tengo), all'interno vigono le mie leggi e quindi le tre ore di viaggio sarebbero state interrotte da una sosta in autogrill.
La dichiarazione era temeraria ma quanto mai necessaria poiché la Rinaldi, se al posto di guida, rifiuta ostinatamente di concedere qualsiasi sosta, implacabile anche di fronte alle più elementari necessità (es. la pausa sigaretta per la Piraccini), quindi era necessario preparare il terreno a questo radicale cambio di paradigma.
Il viaggio di per sè è filato liscio, se escludiamo la faida interna tra due opposte fazioni: da una parte la Rinaldi e la Piraccini che, causa probabili antenati islandesi, non concepiscono una temperatura dell'abitacolo superiore ai 12 gradi, dall'altra la sottoscritta e Monogawa che non inseguono il sogno dell'eterna giovinezza a mezzo congelamento.
Sapendo di aver già traumatizzato la Rinaldi con la pausa in autogrill, ho deciso di cedere almeno sulla temperatura e quindi, novella Capitan Findus, ho condotto a destinazione il mezzo (però con il senno di poi avrei dovuto portare almeno un plaid) e parcheggiato in prossimità della Fondazione Prada e della sua torre dorata, dettaglio che ricorda molto certi tempi thailandesi.
Dopo una breve sosta al bar Luce, perfetto in ogni dettaglio ma fin troppo finto per i miei gusti, abbiamo passato un paio d'ore visitando ogni angolo della Fondazione, esclusa l'installazione di Alejandro Iñarritu, che era uno dei motivi del nostro viaggio ma che, incautamente, avevamo trascurato di prenotare.
Nel pomeriggio siamo andati a vedere la mostra di Keith Haring e devo ammettere che anche questa mostra mi ha menato, magari non forte come quelle di Basquiat o Francis Bacon, però alla fine le ho prese anche stavolta. Forse il problema sono io.
All'uscita dalla mostra il calo di zuccheri era evidente, quindi ci siamo fermati a farci derubare di 7 euri per una cocacola e poi, dopo una breve sosta per vedere le foto vincitrici del Wordpress Photo 2017 (ci sono appassionati di fotografia tra noi, io ho semplicemente preso altre botte), siamo tornati verso la macchina. Prima di ripartire però abbiamo deciso di fermarci per un aperitivo e un po' di sano relax in un ostello molto carino in cui ci eravamo imbattuti proprio quella mattina; usciti dalla metro ci siamo avviati con passo stanco verso il locale e io già pregustavo un'oretta di chiacchiere seduta comodamente all'ombra degli alberi, sorseggiando qualcosa di fresco e mangiando patatine (in fondo non serve molto per la felicità) ma evidentemente l'universo aveva altri piani, sintetizzabili con una sola parola: karaoke.
Intorno ai tavoli dell'ostello si agitava un'orda di barbari mentre, al centro della scena alcuni individui, sicuramente posseduti dal Demogno, emettevano rumori che si potrebbero definire note musicali solo in senso molto lato.
Messi di fronte alla tragedia, abbiamo scelto la fuga e ci siamo rifugiati all'interno del locale al riparo da quelle urla belluine ma, purtroppo, la sofferenza non era finita. Dopo aver pagato altri 7 euri per usufruire dell'aperitivo, siamo stati aggrediti da pasta scotta, frittatine insipide e crocchette di pollo ultra-unte, l'unica cosa mangiabile erano le patatine pai, la cui fornitura ovviamente scarseggiava.
Abbiamo resistito tenacemente per una mezz'ora, poi abbiamo tagliato la corda mentre quelli del karaoke attaccavano con Miserere di Zucchero, il colpo di grazia.
Durante la fuga, mentre ancora ci perseguitavano brandelli di suono, siamo passati davanti a una gelateria e la Piraccini, che dalla mattina ci ripeteva di volere un gelato, ha deciso di fermarsi.
La gelateria in questione era parte di uno di quei locali che nelle intenzioni vorrebbero essere ultra-ricercati ma finiscono con risultare un chiaro esempio del famoso monito: se la maionese è buona e le fragole sono buone, non è detto che le fragole con la maionese siano buone.
Chiudendo gli occhi ci siamo avvicinato al banco gelati, scoprendo solo allora che i gelatai avevano schifato i nomi tradizionali dei gusti, optando per la creatività: c'erano gusti come Marco Carta, Al Jarreau, Lady Gaga ecc. Per fortuna in basso in piccolo c'era anche il nome plebeo, almeno capivi cosa stavi per ordinare, anche se purtroppo lo capivi solo tu: quando la Piraccini avvicinandosi al bancone ha elencato al gelataio i gusti che voleva, l'uomo le ha chiesto a quali gusti corrispondessero perché lui quei nomi lì non se li ricordava mica!
Dulcis in fundo.
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