Non c'è Natale senza tombola. Per rispettare questa antica tradizione, la sera della vigilia di Natale sono andata con Piraccini e la Rinaldi al Magazzino Parallelo dove ogni anno si tiene la Tombola del Baffo.
Siamo arrivate ingenuamente alle 21.30, pensando di poter bere qualcosa prima dell'inizio della tombola ma il locale era già affollatissimo, non c'era un tavolo libero.
Forti nelle nostre conoscenze nell'ambiente, non ci siamo lasciate scoraggiare e abbiamo trovato posto dietro al bancone con le spine della birra, quello che si usa d'estate ma non d'inverno, abbiamo rimediato due sgabelli e approntato una sistemazione per la Rini, impilando le sedute di vari sgabelli sopra un fusto di birra.
Volendo accentuare l'atmosfera della tombola natalizia, nel corso della serata ho bevuto due tazze di vin brulè, caldo e profumatissimo; quanto vado a raccontare però non è frutto dei fumi dell'alcol ma della vita che, come sempre, ci supera.
Quando la tombola in questione ha finalmente avuto inizio, il centro dell'attenzione di tutto il circolo si è spostato sul banditore, che si sarebbe rivelato l'incontrastata star della serata.
Abbiamo capito subito che non sarebbe stata una tombola come le altre; l'uomo ci ha tenuto a precisare che i premi erano esclusivamente per ambo, cinquina e tombola, aggiungendo Per la decina andate al Lugaresi (un altro circolo dove evidentemente hanno un approccio più tradizionale).
La nostra star era già parecchio avanti con i lavori: estraeva una pallina, la guardava per un tempo infinito, come se non riuscisse a riconoscere quegli strani simboli e poi, finalmente, gridava il numero, seguito dalla sua personale versione della Smorfia, di cui trovate alcuni esempi qui sotto:
- Il numero uno - il Cesena
- 11 - i fratelli della morte
- 29 - il piscirillo (il pene)
- 19 - i carabinieri o, in alternativa, la comunista incarcerata
- 66 - e jeval (il diavolo)
- 78 la putena
- 45 il proletario.
Tra un numero e l'altro l'uomo ripeteva il valore dei premi in palio ma, causa l'avanzamento lavori etilici di cui sopra, non c'era una chiara distinzione tra i due momenti per cui, in più di un'occasione, mi sono ritrovata a chiudere la finestrella di uno dei numeri della mia cartella, solo per riaprirla dieci secondi dopo, quando capivo che non si trattava di un numero ma del valore del cesto.
Sono volate parole poco gentili.
Finita la prima tombola c'è stato un momento di pausa e, in quel momento, Paolo ci ha raggiunto; ci avrebbe rivelato solo in seguito che aveva deciso di venire pensando di passare una serata tranquilla senza fare troppo tardi. L'abbiamo già iscritto a un corso di recupero in chiaroveggenza.
Il momento più critico della serata è arrivato verso l'una, quando ancora dovevamo fare un ultimo giro di tombola: eravamo finalmente riusciti a cominciare e il popolo, avendo ormai capito che la star aveva i suoi tempi (direi biblici), aveva deciso di eliminare la cinquina per velocizzare le cose.
Quand'ecco che, dal pubblico, si leva un grido: Barzelletta!
Siamo impalliditi tutti, memori delle due precedenti barzellette (una per ogni tombola), ci siamo forse ingobbiti un po' ma senza fare tragedie, pensando che in fondo era come un cerotto, lo tiri via e lì per lì fa un gran male ma poi è tutto finito.
Grosso errore, enorme.
La differenza sta in poche semplici parole: questa è una barzelletta che NON HA UNA FINE. Dopodiché è iniziata una storia in cui il protagonista copulava con chiunque gli capitasse a tiro, incluso un cane, e la cosa sembrava non voler proprio finire.
Io ogni tanto urlavo Numeri! oppure Mescola! sperando di riportarlo sulla retta via ma c'è voluto l'intervento del dj (Marco Turci, santo subito) che, alzando il volume di una canzone, l'ha distratto quanto bastava per fargli dimenticare la barzelletta.
Quindi per riassumere: siamo stati al Magazzino dalle 21.30 alle 2 di notte, non abbiamo vinto niente, però io mi sono divertita un sacco (io e la tombola abbiamo sempre avuto un rapporto privilegiato), il vin brulè era buono e la compagnia altrettanto. Resta solo il rammarico di non aver trascritto le varie voci della Smorfia cesenate, la cultura merita sempre di essere condivisa.
mercoledì 26 dicembre 2018
venerdì 7 dicembre 2018
Mai chiedere cose strane, o forse sì?
Torno a scrivere per raccontarvi di una trasferta di lavoro che ha fatto di tutto per diventare
indimenticabile; questa volta mi trovavo in un piccolo paesino delle Marche per tre giorni di simultanea in una ditta e, avendo bisogno di un posto dove dormire, avevo prenotato un appartamento vicinissimo al posto di lavoro che, oltretutto, aveva un prezzo molto conveniente.
A una prima occhiata dal vivo, l'appartamento in oggetto si sarebbe potuto definire vintage, volendo essere molto, molto positivi: arredamento da casa dei nonni, mobili massicci e ninnoli ovunque, il tipico set da film dell'orrore. Mi aspettavo in ogni momento che da qualche angolo buio saltasse fuori una vecchia con un coltellaccio; per fortuna, non c'erano bambole vestite di pizzo sul comò, altrimenti non sarei riuscita a chiudere occhio per tutta la notte.
L'impressione era che in quelle stanze da parecchi decenni nessuno avesse fatto migliorie, tutto era rimasto come allora e vi lascio immaginare come chiudono bene gli infissi agé. Per lo stesso motivo ho evitato di usare la cucina a gas, non volendo rischiare di saltare per aria proprio prima di Natale, perderei i cappelletti in brodo di mia mamma e sarebbe un peccato.
Un altro problema è emerso al momento di caricare il telefono: immaginate la sottoscritta che gira per l'appartamento come un cane da tartufo alla ricerca di una presa di corrente post Concordato e alla fine si trova costretta a staccare la televisione dall'unica spina a disposizione in camera da letto, rinunciando a vedere la tv dopo cena.
Avrei scoperto solo dopo che l'apparecchio comunque non funzionava.
Appena entrati nell'appartamento, io e il proprietario avevamo constatato che sua moglie era passata a pulire ma si era dimenticata di accendere il riscaldamento.
Volendo vederla positivamente, potevo stare tranquilla in merito a topi e compagnia bella, solo La Cosa sarebbe sopravvissuta a quelle temperature.
Il tipo aveva immediatamente acceso il riscaldamento ma, essendo io impegnata con la valigia e la borsa del pc, non avevo prestato sufficiente attenzione alla manovra e quindi alle 2 di notte, quando il clima era ormai diventato tropicale, non sapevo come spegnere il riscaldamento.
Ho tentato di chiudere la manopola del singolo termosifone ma, per quanto la girassi, il termosifone in questione non si è fatto influenzare e ha continuato a lavorare alacremente, neanche dovesse scaldare l'Inferno.
La cena è stata un altro momento memorabile; su consiglio del proprietario sono scesa alla trattoria a conduzione familiare lì vicino e mi sono trovata in quello che sembrava un salotto di casa: a parte un paio di clienti seduti a un tavolo, c'era solo una tavolata di persone che guardavano Striscia la Notizia e sembravano gente di casa. Mi sono sentita in colpa per essere arrivata così, senza una bottiglia di vino o un mazzo di fiori.
Per quanto riguardava il menu, mi era stato dato un consiglio un po' preoccupante: non chieda cose strane, quindi per stare dalla parte del sicuro ho optato per un primo del luogo e mi sono ritrovata a mangiare pasta tipo capelli d'angelo con un ragù di non so quale bestia, magari era fatto bene ma a me non piaceva; per alleggerire un po' il pasto, di secondo ho chiesto solo un'insalata verde, insalata che è arrivata, già condita e annegata in un Missisipi di aceto.
A volte la vita è matrigna.
Dopo cena ho chiesto il conto e la signora mi ha risposto che per pagare sarei dovuta salire al bar per una scala interna; una volta al bar ho spiegato che volevo pagare la cena e la barista mi ha fatto aspettare mentre telefonava al ristorante di sotto per chiedere quanto dovevo pagare.
Il bagno merita un discorso a parte:
1) gli asciugamani erano di quegli anni là, quindi ti asciugavi e ti esfoliavi allo stesso tempo,
2) c'erano due asciugamani da bidet e uno da viso, telo da bagno non pervenuto,
3) le due estremità del porta-asciugamani erano ricoperte di carta stagnola (vedi foto), non ho avuto il coraggio di sollevarla per scoprirne la ragione,
4) c'erano i tappetini intorno a water e bidè (sentitevi liberi di rabbrividire),
5) niente doccia, solo una vasca da bagno con telefono della doccia vintage e quindi intasato di calcare giurassico, acqua spruzzata dai pochi fori non ostruiti, con una violenza di getto inaudita.
6) in bagno c'era la seconda e ultima presa di corrente utilizzabile, sarebbe stata utilissima per asciugarsi i capelli, se solo non mi fossi dimenticata il phon. Per un attimo ho considerato la possibilità di asciugarmeli davanti al calorifero scalda- Inferno.
Rileggendomi, non credo che sarei riuscita a inventare una storia con una trama così assurda neanche se mi ci fossi messa d'impegno, mi inchino alla realtà.
indimenticabile; questa volta mi trovavo in un piccolo paesino delle Marche per tre giorni di simultanea in una ditta e, avendo bisogno di un posto dove dormire, avevo prenotato un appartamento vicinissimo al posto di lavoro che, oltretutto, aveva un prezzo molto conveniente.
A una prima occhiata dal vivo, l'appartamento in oggetto si sarebbe potuto definire vintage, volendo essere molto, molto positivi: arredamento da casa dei nonni, mobili massicci e ninnoli ovunque, il tipico set da film dell'orrore. Mi aspettavo in ogni momento che da qualche angolo buio saltasse fuori una vecchia con un coltellaccio; per fortuna, non c'erano bambole vestite di pizzo sul comò, altrimenti non sarei riuscita a chiudere occhio per tutta la notte.
L'impressione era che in quelle stanze da parecchi decenni nessuno avesse fatto migliorie, tutto era rimasto come allora e vi lascio immaginare come chiudono bene gli infissi agé. Per lo stesso motivo ho evitato di usare la cucina a gas, non volendo rischiare di saltare per aria proprio prima di Natale, perderei i cappelletti in brodo di mia mamma e sarebbe un peccato.
Un altro problema è emerso al momento di caricare il telefono: immaginate la sottoscritta che gira per l'appartamento come un cane da tartufo alla ricerca di una presa di corrente post Concordato e alla fine si trova costretta a staccare la televisione dall'unica spina a disposizione in camera da letto, rinunciando a vedere la tv dopo cena.
Avrei scoperto solo dopo che l'apparecchio comunque non funzionava.
Appena entrati nell'appartamento, io e il proprietario avevamo constatato che sua moglie era passata a pulire ma si era dimenticata di accendere il riscaldamento.
Volendo vederla positivamente, potevo stare tranquilla in merito a topi e compagnia bella, solo La Cosa sarebbe sopravvissuta a quelle temperature.
Il tipo aveva immediatamente acceso il riscaldamento ma, essendo io impegnata con la valigia e la borsa del pc, non avevo prestato sufficiente attenzione alla manovra e quindi alle 2 di notte, quando il clima era ormai diventato tropicale, non sapevo come spegnere il riscaldamento.
Ho tentato di chiudere la manopola del singolo termosifone ma, per quanto la girassi, il termosifone in questione non si è fatto influenzare e ha continuato a lavorare alacremente, neanche dovesse scaldare l'Inferno.
La cena è stata un altro momento memorabile; su consiglio del proprietario sono scesa alla trattoria a conduzione familiare lì vicino e mi sono trovata in quello che sembrava un salotto di casa: a parte un paio di clienti seduti a un tavolo, c'era solo una tavolata di persone che guardavano Striscia la Notizia e sembravano gente di casa. Mi sono sentita in colpa per essere arrivata così, senza una bottiglia di vino o un mazzo di fiori.
Per quanto riguardava il menu, mi era stato dato un consiglio un po' preoccupante: non chieda cose strane, quindi per stare dalla parte del sicuro ho optato per un primo del luogo e mi sono ritrovata a mangiare pasta tipo capelli d'angelo con un ragù di non so quale bestia, magari era fatto bene ma a me non piaceva; per alleggerire un po' il pasto, di secondo ho chiesto solo un'insalata verde, insalata che è arrivata, già condita e annegata in un Missisipi di aceto.
A volte la vita è matrigna.
Dopo cena ho chiesto il conto e la signora mi ha risposto che per pagare sarei dovuta salire al bar per una scala interna; una volta al bar ho spiegato che volevo pagare la cena e la barista mi ha fatto aspettare mentre telefonava al ristorante di sotto per chiedere quanto dovevo pagare.
Il bagno merita un discorso a parte:
1) gli asciugamani erano di quegli anni là, quindi ti asciugavi e ti esfoliavi allo stesso tempo,
2) c'erano due asciugamani da bidet e uno da viso, telo da bagno non pervenuto,
3) le due estremità del porta-asciugamani erano ricoperte di carta stagnola (vedi foto), non ho avuto il coraggio di sollevarla per scoprirne la ragione,
4) c'erano i tappetini intorno a water e bidè (sentitevi liberi di rabbrividire),
5) niente doccia, solo una vasca da bagno con telefono della doccia vintage e quindi intasato di calcare giurassico, acqua spruzzata dai pochi fori non ostruiti, con una violenza di getto inaudita.
6) in bagno c'era la seconda e ultima presa di corrente utilizzabile, sarebbe stata utilissima per asciugarsi i capelli, se solo non mi fossi dimenticata il phon. Per un attimo ho considerato la possibilità di asciugarmeli davanti al calorifero scalda- Inferno.
Rileggendomi, non credo che sarei riuscita a inventare una storia con una trama così assurda neanche se mi ci fossi messa d'impegno, mi inchino alla realtà.
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mercoledì 19 settembre 2018
Disegno Brutto, perché no?
L'esperienza del TEDxCesena è stata molto positiva e quello che ho sentito mi ha dato parecchio da riflettere, però non è di rifugiati che vorrei parlarvi oggi.
L'incontro è iniziato con un piccolo workshop di Disegno Brutto di Alessandro Bonaccorsi, che purtroppo non ho potuto seguire perché la nostra cabina era in una stanza separata; ricordo però di aver sentito l'inizio, quando Alessandro raccontava che quando un bambino si accorge di disegnare male rispetto agli altri, semplicemente smette di farlo e quindi si nega la possibilità di migliorare in futuro.
Una volta finito il lavoro di traduzione, mentre si svolgeva la seconda parte del workshop di disegno brutto, commentavo con Omar e Silvia quanto fosse vero quanto detto da Alessandro: io che da piccola con una matita in mano non sapevo fare altro che teste grosse e dita tozze, non ho più disegnato da allora. E anche adesso non mi verrebbe mai in mente di iscrivermi a un workshop di disegno ma, quando ho letto il titolo: Disegno Brutto, ho pensato che quello era un corso che avrei potuto fare anch'io.
Però, pensandoci bene, anche quando ho iniziato a giocare a pallavolo non ero capace ma in quel caso tutti mi dicevano che con l'allenamento si migliora e così è stato.
Perché nessuno l'ha pensato per il disegno?
Eppure mia mamma mi ha raccontato che da piccola, quando nel coro si sono accorti che non cantava bene, le hanno detto di smettere di cantare ed è finita lì.
Chissà perché pensiamo che in certe aree possiamo migliorare, evolvere; quando però si tratta di attività "artistiche" allora no, non puoi andare oltre quello con cui nasci. Un po' una condanna al silenzio artistico per tanti.
Mi viene in mente il verso di una canzone di Eloisa Atti:
ma avevo solo il nero
avevo solo il nero
Che fare? Non so voi, io mi sa che andrò a vedere quando c'è il prossimo corso di Disegno Brutto dalle mie parti; se si tratta di disegno brutto, al momento posso battermi con i migliori e in futuro poi chissà, il mio arcobaleno potrebbe recuperare i suoi colori.
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venerdì 7 settembre 2018
Corri Cesena, corri
Alle ore 20.15 di mercoledì scorso mi trovavo insieme a mia mamma in Piazza del Popolo a Cesena, per partecipare a una camminata alla scoperta delle mura della città.
In piazza si era già radunata una discreta folla e quindi, dopo un breve discorso di presentazione, che non sono riuscita a sentire causa lontananza e vicini casinisti, gli organizzatori sono partiti, seguiti a ruota da un'orda di camminatori.
Non ci è voluto molto per capire che la velocità di crociera impostata dai capofila era eccessiva. A pochi minuti dalla partenza, un bambino è inciampato rovinando al suolo e solo il fatto di trovarsi a lato del gruppo l'ha salvato dall'essere calpestato dalla folla marciante.
Per tutta la prima parte del percorso, nella mia testa è frullata sempre la stessa domanda: che senso ha fare un giro delle mura se non riesci neanche a guardarti intorno, costretta a tenere sempre gli occhi fissi a terra, onde evitare di inciampare e sfracellarti al suolo?
Dopo qualche minuto di maratona mi sono ricordata di quella volta che partecipai a una delle camminate di Cesena cammina (lodevole iniziativa, beninteso) qualche anno fa; la situazione era identica, non facevo che pensare: Ma che fretta c'è? In fondo è Cesena Cammina, mica Cesena Corre!
Per fortuna, quando si trova in situazioni difficili, l'essere umano sa reagire con ironia: di lì a poco tra le persone intorno a noi si sprecavano le battute sul tema:
- Ma perché corrono così? Che fretta hanno?
- Per me gli hanno detto che all'arrivo c'è il buffet gratis.
- Probabile, porchetta e Franciacorta.
-Per favore non illudete il Popolo, se quando arriviamo non trovano niente, rischiamo la
sommossa.
- Che abbiano il parchimetro che scade?
La mia preferita l'ho sentita una volta arrivati a Porta Santi, di fronte a una brevissima ma ripida salita:
- ma non avevano parlato di percorso pianeggiante?
Questo cos'è, il Pordoi?
Tutto sommato, è stata un'oretta divertente, mi sono fatta parecchie risate e anche due passi, che non fanno mai male. La salute innanzitutto.
Veni, vidi e siamo a posto così.
In piazza si era già radunata una discreta folla e quindi, dopo un breve discorso di presentazione, che non sono riuscita a sentire causa lontananza e vicini casinisti, gli organizzatori sono partiti, seguiti a ruota da un'orda di camminatori.
Non ci è voluto molto per capire che la velocità di crociera impostata dai capofila era eccessiva. A pochi minuti dalla partenza, un bambino è inciampato rovinando al suolo e solo il fatto di trovarsi a lato del gruppo l'ha salvato dall'essere calpestato dalla folla marciante.
Per tutta la prima parte del percorso, nella mia testa è frullata sempre la stessa domanda: che senso ha fare un giro delle mura se non riesci neanche a guardarti intorno, costretta a tenere sempre gli occhi fissi a terra, onde evitare di inciampare e sfracellarti al suolo?
Dopo qualche minuto di maratona mi sono ricordata di quella volta che partecipai a una delle camminate di Cesena cammina (lodevole iniziativa, beninteso) qualche anno fa; la situazione era identica, non facevo che pensare: Ma che fretta c'è? In fondo è Cesena Cammina, mica Cesena Corre!
Per fortuna, quando si trova in situazioni difficili, l'essere umano sa reagire con ironia: di lì a poco tra le persone intorno a noi si sprecavano le battute sul tema:
- Ma perché corrono così? Che fretta hanno?
- Per me gli hanno detto che all'arrivo c'è il buffet gratis.
- Probabile, porchetta e Franciacorta.
-Per favore non illudete il Popolo, se quando arriviamo non trovano niente, rischiamo la
sommossa.
- Che abbiano il parchimetro che scade?
La mia preferita l'ho sentita una volta arrivati a Porta Santi, di fronte a una brevissima ma ripida salita:
- ma non avevano parlato di percorso pianeggiante?
Questo cos'è, il Pordoi?
Tutto sommato, è stata un'oretta divertente, mi sono fatta parecchie risate e anche due passi, che non fanno mai male. La salute innanzitutto.
Veni, vidi e siamo a posto così.
venerdì 31 agosto 2018
Diffondete il messaggio! Tutti devono sapere!
Stavo riguardando le foto sulla mia pagina Instagram e mi sono resa conto di un dettaglio importante: c'è un tema che si ripete a distanza di tempo e, riflettendoci meglio, sono giunta a conclusioni inquietanti che non posso continuare a nascondervi. Tutti devono sapere.
Gli alieni sono tra noi.
La prima evidenza oggettiva di quanto dico è la foto qui a lato, scattata sul mio balcone una mattina, subito dopo aver fatto colazione. Qui evidentemente la tecnologia aliena, sempre celata ai nostri occhi umani, ha avuto un guasto, palesandosi in tutta la sua spaventosa potenza.
Mi pare evidente però che gli studi non si limitano alla semplice osservazione di noi umani, come nel caso qui sopra; gli alieni sembrano prediligere infatti un esame più particolareggiato del soggetto, come dimostrano i tanti rapimenti nei quali mi sono imbattuta per puro caso nel corso del tempo.
Il primo rapimento di cui ho avuto notizia si è verificato nei dintorni di casa mia ma in quel momento non ho dato importanza alla cosa, attribuendo la presenza di quelle scarpe abbandonate fuori dal cassonetto alla pigrizia di qualche vicino buzzurro.
Poi le cose si sono complicate quando, durante la mia abituale corsa vicino allo stadio, ne ho scoperto un altro in una zona non molto trafficata, se non dai tifosi nei giorni delle partite.
Che volessero studiare un Ultrà?
In questo caso, quello che ha attirato la mia attenzione sono quelle scarpe disposte in modo così preciso, come se il proprietario se le fosse tolte con cura prima di andarsene.
A una rapida occhiata, i soggetti esaminati dagli alieni sembrano essere estremamente diversi tra loro, perlomeno a giudicare dalle scarpe rinvenute sui luoghi dei rapimenti, si passa dalle Clark ai mocassini, fino ad arrivare alle scarpe portate senza lacci dal dandy di turno; il poveretto probabilmente non immaginava che la sua scelta di stile avrebbe avuto implicazioni così drammatiche.
La foto che osservate qui a lato rappresenta una importante evoluzione nel percorso dei rapimenti; fino a questo momento infatti erano stati rapiti solo singoli individui, probabilmente sorpresi in un momento di solitudine, invece qui gli alieni tentano di fare le cose in grande con il rapimento simultaneo di una coppia di persone, probabilmente appena uscite dal supermercato, a giudicare dalla busta di carta rinvenuta a lato delle loro scarpe.
Data la situazione, la tentazione di considerare Cesena come una potenziale nuova Roswell è forte ma le evidenze che ho raccolto sembrerebbero portare in tutt'altra direzione.
La foto che vedete qui a fianco è stata scattata dalla sottoscritta a Venezia, a riprova del fatto che i rapimenti di cui ci stiamo occupando non conoscono limiti geografici, il problema è nazionale.
Resta l'interrogativo di quella piuma abbandonata vicino alle scarpe, quasi a voler suggerire che nel corso del rapimento i Visitatori abbiano pensato di prelevare anche lo sfortunato piccione che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Si saranno certamente pentiti nei giorni successivi; me li immagino che vagano per l'astronave, pulendo cacche di piccione un po' ovunque e smadonnando in alieno.
Ovviamente uno studio degno di questo nome deve analizzare l'umanità considerando entrambi i generi e, infatti, qui vediamo un altro caso di rapimento di un soggetto chiaramente femminile. Tuttavia in questo caso sembra che la loro tecnologia abbia fatto fiasco, destrutturando le scarpe e lasciandone a terra solo la parte interna.
L'impressione è che in quel periodo i Visitatori si siano accorti per la prima volta di quegli oggetti che restavano abbandonati a terra e abbiano deciso di studiare meglio il fenomeno scarpe.
Anche quest'ultima foto sembra sostenere l'ipotesi di un tentativo alieno di estendere lo studio degli umani anche alle loro calzature, studio sempre un po' ostacolato dagli evidenti problemi tecnici che ha ancora la tecnologia aliena e che hanno probabilmente causato la perdita dei calzini.
Questa foto in particolare ci fornisce nuovi indizi, non meno preoccupanti: l'ho scattata lo scorso anno a Londra e dimostra quello che già da un po' venivo sospettando: gli alieni sono ormai in tutto il mondo, l'invasione è già cominciata.
Beware! They are coming!
Gli alieni sono tra noi.
La prima evidenza oggettiva di quanto dico è la foto qui a lato, scattata sul mio balcone una mattina, subito dopo aver fatto colazione. Qui evidentemente la tecnologia aliena, sempre celata ai nostri occhi umani, ha avuto un guasto, palesandosi in tutta la sua spaventosa potenza.
Mi pare evidente però che gli studi non si limitano alla semplice osservazione di noi umani, come nel caso qui sopra; gli alieni sembrano prediligere infatti un esame più particolareggiato del soggetto, come dimostrano i tanti rapimenti nei quali mi sono imbattuta per puro caso nel corso del tempo.
Il primo rapimento di cui ho avuto notizia si è verificato nei dintorni di casa mia ma in quel momento non ho dato importanza alla cosa, attribuendo la presenza di quelle scarpe abbandonate fuori dal cassonetto alla pigrizia di qualche vicino buzzurro.
Poi le cose si sono complicate quando, durante la mia abituale corsa vicino allo stadio, ne ho scoperto un altro in una zona non molto trafficata, se non dai tifosi nei giorni delle partite.
Che volessero studiare un Ultrà?
In questo caso, quello che ha attirato la mia attenzione sono quelle scarpe disposte in modo così preciso, come se il proprietario se le fosse tolte con cura prima di andarsene.
A una rapida occhiata, i soggetti esaminati dagli alieni sembrano essere estremamente diversi tra loro, perlomeno a giudicare dalle scarpe rinvenute sui luoghi dei rapimenti, si passa dalle Clark ai mocassini, fino ad arrivare alle scarpe portate senza lacci dal dandy di turno; il poveretto probabilmente non immaginava che la sua scelta di stile avrebbe avuto implicazioni così drammatiche.
La foto che osservate qui a lato rappresenta una importante evoluzione nel percorso dei rapimenti; fino a questo momento infatti erano stati rapiti solo singoli individui, probabilmente sorpresi in un momento di solitudine, invece qui gli alieni tentano di fare le cose in grande con il rapimento simultaneo di una coppia di persone, probabilmente appena uscite dal supermercato, a giudicare dalla busta di carta rinvenuta a lato delle loro scarpe.
Data la situazione, la tentazione di considerare Cesena come una potenziale nuova Roswell è forte ma le evidenze che ho raccolto sembrerebbero portare in tutt'altra direzione.
La foto che vedete qui a fianco è stata scattata dalla sottoscritta a Venezia, a riprova del fatto che i rapimenti di cui ci stiamo occupando non conoscono limiti geografici, il problema è nazionale.
Resta l'interrogativo di quella piuma abbandonata vicino alle scarpe, quasi a voler suggerire che nel corso del rapimento i Visitatori abbiano pensato di prelevare anche lo sfortunato piccione che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Si saranno certamente pentiti nei giorni successivi; me li immagino che vagano per l'astronave, pulendo cacche di piccione un po' ovunque e smadonnando in alieno.
Ovviamente uno studio degno di questo nome deve analizzare l'umanità considerando entrambi i generi e, infatti, qui vediamo un altro caso di rapimento di un soggetto chiaramente femminile. Tuttavia in questo caso sembra che la loro tecnologia abbia fatto fiasco, destrutturando le scarpe e lasciandone a terra solo la parte interna.
L'impressione è che in quel periodo i Visitatori si siano accorti per la prima volta di quegli oggetti che restavano abbandonati a terra e abbiano deciso di studiare meglio il fenomeno scarpe.
Anche quest'ultima foto sembra sostenere l'ipotesi di un tentativo alieno di estendere lo studio degli umani anche alle loro calzature, studio sempre un po' ostacolato dagli evidenti problemi tecnici che ha ancora la tecnologia aliena e che hanno probabilmente causato la perdita dei calzini.
Questa foto in particolare ci fornisce nuovi indizi, non meno preoccupanti: l'ho scattata lo scorso anno a Londra e dimostra quello che già da un po' venivo sospettando: gli alieni sono ormai in tutto il mondo, l'invasione è già cominciata.
Beware! They are coming!
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sabato 25 agosto 2018
Dai che la salita è finita!
Alzo lo sguardo verso la cima della collina e vedo mia mamma e mia nipote che stanno risalendo faticosamente il sentiero. Mia nipote protesta e non posso darle torto: mio babbo, in testa al gruppo, ha dichiarato per l'ennesima volta che la salita è finita, incontrando ovviamente lo scetticismo della famiglia.
Mi cade l'occhio sull'ometto di pietra che segnala il percorso: anche per lui è stato impossibile mantenersi in piedi con questa pendenza, si vede chiaramente che ha tentato il suicidio.
Come diavolo siamo finiti in questa situazione?
Tutto è cominciato lo scorso Natale, quando i nipoti hanno regalato al nonno (appassionato di montagna, ex presidente CAI, ecc, ecc) un buono per un'escursione in Appennino:
A pensarci bene la colpa è tutta loro, appena li raggiungo, li butto giù dal dirupo.
Questa mattina era iniziata all'insegna della tranquillità, mi avevano anche dato un paio di bastoncini che si suppone ti aiutino nella camminata, chiaro che lo fanno se sai come usarli, nel mio caso era maggiore il rischio di inciamparci o infilarli in un occhio a qualcuno. L'alternativa era fare come mio babbo che li tiene entrambi in una mano come se fossero una rivista e si dimentica della loro esistenza, tanto lui va su comunque.
La prima parte della camminata è stata piacevole, faceva fresco e quindi anche i tratti al sole si affrontavano senza problemi; il primo nodo è venuto al pettine quando ci siamo trovati di fronte a una salita impegnativa. Mio babbo, che conduceva il gruppo, si è avviato su per il sentiero e, una volta arrivato in cima, ha proferito le seguenti parole: dai che la salita è finita!
Ora, alle orecchie dell'ingenuo giovine che si affaccia alla vita (leggi i nipoti), queste parole suonano come musica celestiale; quando invece le ascolta qualcuno che conosce i suoi polli, l'effetto è molto diverso, l'esperienza (potremmo anche chiamarla trauma), insegna.
I miei genitori hanno iniziato a portare me e mia sorella in montagna quando io facevo la prima elementare e non c'è voluto molto per capire che quando si è tra i monti mio babbo con la verità adotta un approccio...diciamo laterale.
Da una parte non vuole darti un dolore, dicendoti che quella che hai davanti è solo la prima di una serie di salite che ti faranno avere visioni mistiche di tutti i santi del calendario, dall'altra non può rischiare un ammutinamento, con gente che si lascia cadere a terra e rifiuta di andare avanti, quindi opta per un temporaneo insabbiamento della realtà: nel caso specifico di questa camminata, se analizzate la frase pronunciata dal nostro, vedrete che lui non vi dice che le salite sono finite ma che la salita è finita, SOLO QUELLA.
Ovvio che questo tipo di approccio è molto a breve termine, può funzionare solo una volta, poi tu mangi la foglia e da quel momento qualsiasi dichiarazione dell'uomo viene accolta con pesante sarcasmo, come nel caso odierno; però anche quello fa parte della tradizione familiare: fatica sì, ma con diritto di protesta.
Quattro ore dopo siamo tornati alla partenza, stanchi e accaldati ma contenti e, proprio lì vicino, ci aspettava un meritato premio: in un attimo ci siamo liberati degli scarponi e abbiamo tuffato i piedi nell'acqua freschissima del fiume.
Il paradiso non è poi così lontano.
Mi cade l'occhio sull'ometto di pietra che segnala il percorso: anche per lui è stato impossibile mantenersi in piedi con questa pendenza, si vede chiaramente che ha tentato il suicidio.
Come diavolo siamo finiti in questa situazione?
Tutto è cominciato lo scorso Natale, quando i nipoti hanno regalato al nonno (appassionato di montagna, ex presidente CAI, ecc, ecc) un buono per un'escursione in Appennino:
A pensarci bene la colpa è tutta loro, appena li raggiungo, li butto giù dal dirupo.
Questa mattina era iniziata all'insegna della tranquillità, mi avevano anche dato un paio di bastoncini che si suppone ti aiutino nella camminata, chiaro che lo fanno se sai come usarli, nel mio caso era maggiore il rischio di inciamparci o infilarli in un occhio a qualcuno. L'alternativa era fare come mio babbo che li tiene entrambi in una mano come se fossero una rivista e si dimentica della loro esistenza, tanto lui va su comunque.
La prima parte della camminata è stata piacevole, faceva fresco e quindi anche i tratti al sole si affrontavano senza problemi; il primo nodo è venuto al pettine quando ci siamo trovati di fronte a una salita impegnativa. Mio babbo, che conduceva il gruppo, si è avviato su per il sentiero e, una volta arrivato in cima, ha proferito le seguenti parole: dai che la salita è finita!
Ora, alle orecchie dell'ingenuo giovine che si affaccia alla vita (leggi i nipoti), queste parole suonano come musica celestiale; quando invece le ascolta qualcuno che conosce i suoi polli, l'effetto è molto diverso, l'esperienza (potremmo anche chiamarla trauma), insegna.
I miei genitori hanno iniziato a portare me e mia sorella in montagna quando io facevo la prima elementare e non c'è voluto molto per capire che quando si è tra i monti mio babbo con la verità adotta un approccio...diciamo laterale.
Da una parte non vuole darti un dolore, dicendoti che quella che hai davanti è solo la prima di una serie di salite che ti faranno avere visioni mistiche di tutti i santi del calendario, dall'altra non può rischiare un ammutinamento, con gente che si lascia cadere a terra e rifiuta di andare avanti, quindi opta per un temporaneo insabbiamento della realtà: nel caso specifico di questa camminata, se analizzate la frase pronunciata dal nostro, vedrete che lui non vi dice che le salite sono finite ma che la salita è finita, SOLO QUELLA.
Ovvio che questo tipo di approccio è molto a breve termine, può funzionare solo una volta, poi tu mangi la foglia e da quel momento qualsiasi dichiarazione dell'uomo viene accolta con pesante sarcasmo, come nel caso odierno; però anche quello fa parte della tradizione familiare: fatica sì, ma con diritto di protesta.
Quattro ore dopo siamo tornati alla partenza, stanchi e accaldati ma contenti e, proprio lì vicino, ci aspettava un meritato premio: in un attimo ci siamo liberati degli scarponi e abbiamo tuffato i piedi nell'acqua freschissima del fiume.
Il paradiso non è poi così lontano.
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lunedì 16 luglio 2018
A Londra le macchine hanno le briglie
Il primo fine settimana di luglio sono andata a Londra con la Rinaldi e la Piraccini che andavano a vedere il concerto per i 40 anni dei Cure.
Andando in aeroporto siamo state investite da un vero e proprio nubifragio ma ho mantenuto il sangue freddo e, tergicristallando furiosamente, ho condotto il team al parcheggio dell'aeroporto, dove abbiamo trovato a darci il benvenuto due macchine incendiate, tutto molto 1997 fuga da New York.
Quando si dice iniziare col botto.
Quando si dice iniziare col botto.
Il volo Ryanair poteva andare meglio ma poteva anche andare peggio: a) poteva andare meglio perché l’aereo è partito con un’ora e mezza di ritardo e io mi sono dovuta sorbire un infante che piangeva disperato, avendo dimenticato i tappi nel bagaglio imbarcato,
b) poteva andare peggio perché l'aereo non è precipitato.
Sorvolo sull'attesa al recupero bagagli per non infierire.
L’hotel Belvedere è il tipico hotel inglese e la nostra stanza è lassù dove osano le aquile ma almeno è spaziosa, pulita e ha il bagno in camera con una bella doccia grande e nuova; purtroppo anche la doccia nuova rispetta la tradizione britannica dei rubinetti separati per acqua calda e fredda, un po' come avere la macchina ma con le briglie invece del volante.
Vediamo adesso i fatti salienti della vacanza:
1) vado a pagare e scopro di avere i soldi scaduti, le banconote da 5 e 10 sterline sono state sostituite e la cassiera mi guarda come se stessi cercando di rifilarle i soldi Monopoli.
2) Questi giorni sono i giorni neri del trasporto, almeno per noi: prima l’aereo ritarda, poi c'è un ingorgo sulla linea rossa, la sera prendiamo un autobus che si rompe, saliamo su un altro ma dopo un po’ ci fanno scendere in fretta e furia, senza neanche spiegarci perché. Alla fine prendiamo la metro e speriamo in dio, c'è rimasto solo lui.
3) Vado a teatro a vedere The woman in black e nella fila davanti a me vedo due ragazzi americani che entrano con un bicchierone di popcorn che rasenta la tinozza. Mi aspetto che una delle maschere li attacchi con un Taser e li trascini fuori dalla sala; invece, da veri inglesi, fanno finta di niente e distruggono così una delle mie ultime certezze.
4) Le due fan dei Cure tornano in hotel provate dal caldo infernale ma vive e soddisfatte, mi addormento cullata dai racconti di epiche lotte per la conquista del posto all'ombra.
5) Al ritorno il volo atterra con DUE ore di ritardo; è l’una e mezza di notte e l'aeroporto è quasi deserto. Uscendo dall'aeroporto, i tizi di fianco a noi notano due Lamborghini in mostra e, dopo varie esclamazioni di meraviglia, SI FERMANO A GUARDARLE.
All'una e mezzo di notte.
All'una e mezzo di notte.
Noi usciamo e dal vetro li vediamo ancora là dentro, in rapita contemplazione.
Il mondo è davvero vario.
Il mondo è davvero vario.
mercoledì 20 giugno 2018
Il diritto al numero 100
Sono in cabina e sto traducendo da una ventina di minuti un tizio che parla di barattoli, argomento sicuramente affascinante ma non abbastanza da rendermi insensibile ad altre necessità più mondane: devo fare pipì.
Passo la palla alla mia collega e me la filo dalla porta dietro la cabina.
Scendo una rampa di scale e apro la porta del numero 100 (per chiarimenti, vedi l'ultima parte di Post speciale a colori!), contrassegnata dal classico disegnino con uomo, donna e figura in sedia a rotelle; mi trovo di fronte a ben due bagni contraddistinti dal disegno dell'omino, mentre c'è un solo bagno con la figura della donnina.
Sono dentro da dieci secondi e già mi girano le balle; fatemi capire, siamo più della metà del mondo e abbiamo la metà dei bagni?
O forse in questa amena cittadina la maggioranza delle donne ha deciso di emigrare e quindi ci sono rimasti quasi solo uomini?
Vorrei analizzare meglio il problema ma la necessità si fa prepotentemente sentire quindi, senza perdere altro tempo, entro nel bagno delle donne e chiudo la porta scorrevole.
Ormai a un passo dall'agognata meta, cerco il lucchetto per bloccare la porta ma del suddetto non c'è traccia. Smadonno e mi guardo intorno alla ricerca di un qualche tipo di fermo, qualcosa che blocchi la dannatissima porta. Niente, non c’è niente; non è che il lucchetto sia rotto, come a volte succede, la chiusura non è proprio contemplata!
Ma dove sono capitata, in un hotel di naturisti dove tutti vanno in giro come mamma li ha fatti?
Che facciano come gli pare, io alla mia privacy in certi casi ci tengo, quindi esco dal bagno delle donne e tento con uno dei due bagni per gli uomini e, guarda caso, lì la chiusura c'è.
Mi viene un terribile sospetto, vado subito a controllare il secondo bagno degli uomini e anche lì c'è una robusta chiusura, proprio sotto la maniglia. Bastardi.
Che il cielo li strafulmini.
Aggiungo un po' di alopecia, che non guasta.
Non ho tempo da perdere maledicendo l'intera Direzione dell'albergo, mi chiudo nel bagno degli uomini, faccio quello che devo fare e torno di sopra.
Solo una volta seduta in cabina realizzerò che del bagno dei disabili, chiaramente indicato dal relativo disegnino sulla porta esterna della toilette, non c'era alcuna traccia.
Non c'è fine al peggio, Murphy docet.
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giovedì 24 maggio 2018
Ma le taglie, chi le sceglie?
Arrivo in ditta e la prima cosa che mi dicono è che per girare devi indossare i DPI, anche noti come quelle robe scomode che però, se le metti, almeno non perdi un arto.
Vado dal responsabile che mi chiede il nome e poi mi allunga un casco con occhiale di protezione incorporato; tempo dieci secondi e due tentativi e l’amico casco viene restituito al mittente, perché non c’è modo di abbassare gli occhiali di protezione sopra i miei occhiali, almeno senza causarmi danni permanenti.
Passiamo al camice: chiedo una S ma mi dicono che ci sono solo la S/M o la L/XL. Vabbè, vada per la S/M.
Me la metto ed è enorme, se allungo le braccia vedo solo l’ultima falange, la manica ha inghiottito tutta la mano. E ci tengo a precisare che io non sono fatta in economia, evidentemente qui assumono solo energumeni.
Per le scarpe chiedo una misura 40, confidando di starci comodamente ma, una volta indossata, mi accorgo che il piede ci naviga dentro, questa cosa nei numeri unisex non è una gran bazza.
In fondo però la cosa non mi dispiace, mi basta stringere i lacci fino a interrompere la circolazione e il piede, seppur fermo ha le dita libere. Finché non cadono.
In fondo però la cosa non mi dispiace, mi basta stringere i lacci fino a interrompere la circolazione e il piede, seppur fermo ha le dita libere. Finché non cadono.
I tappi per le orecchie invece non mi hanno ancora dato problemi, ma solo perché lavoro in zone dove non è obbligatorio metterli.
A conti fatti, la mattina e la sera il processo di vestizione in azienda richiede almeno una ventina di minuti, mi sento un po' la Regina Elisabetta: cambio le scarpe, il vestito, metto i guanti e indosso pure un cappello giallo, proprio come piace a lei.
A conti fatti, faccio un lavoro molto regale, no?
A conti fatti, faccio un lavoro molto regale, no?
domenica 13 maggio 2018
Hulk Hogan aiutami tu!
Ho ritrovato degli appunti, presi qualche tempo fa dopo una giornata di interpretazione tutto sommato normale ma, comunque, costellata di memorabili dettagli.
Quindi, questo è quanto vi offro: pochi, memorabili dettagli.
Enjoy.
Mi sono appena seduta di fianco al relatore per cui dovrò tradurre in inglese per le prossime due ore; purtroppo, gli schienali delle sedie sono uniti in un unico blocco quindi, come su un tappeto elastico, ogni volta che quel marcantonio si lascia cadere contro lo schienale, è come se mi dessero un calcio volante nella schiena. Hulk Hogan, aiutami tu.
Quindi, questo è quanto vi offro: pochi, memorabili dettagli.
Enjoy.
Mi sono appena seduta di fianco al relatore per cui dovrò tradurre in inglese per le prossime due ore; purtroppo, gli schienali delle sedie sono uniti in un unico blocco quindi, come su un tappeto elastico, ogni volta che quel marcantonio si lascia cadere contro lo schienale, è come se mi dessero un calcio volante nella schiena. Hulk Hogan, aiutami tu.
Onde non lavorare digiuna, prima di arrivare alla sede del convegno mi sono fermata in un bar e ho ordinato un panino che si è rivelato fecciosissimo: per fare un panino salame e formaggio hanno usato un panino dolce. Perché? Cosa gli ho fatto?
Oltretutto, al mio ingresso in sala, ho scoperto che c'era un pranzo a buffet gratuito.
Vista la situazione, le opzioni sono due, puoi scegliere se:
a) inciampare e romperti una caviglia o
b) morire fulminato (Viva la 626).
Eventualmente, entrambe le cose.
Uscita incolume dal bagno, raggiungo il relatore sul palco dove i tecnici hanno deciso di impegnarsi a fondo e ci hanno puntato in faccia un migliaio di fari, neanche dovessimo fare un intervento a cuore aperto.
Alla mia destra trovasi il relatore, alla mia sinistra c'è un tizio pelato, il quale, per vedere meglio l'oratore di turno, decide di darmi le spalle e sposta la testa, arrivando con la suddetta a 20 cm dal mio naso, per poi iniziare a grattarsi ferocemente la pelata.
Distolgo subito lo sguardo ma è troppo tardi, l'immagine della pioggia di forfora che cade sul quella giacca scura resta stampata a fuoco sulla mia retina, nevica in aprile.
Dato il freddo improvviso dei giorni scorsi, stamattina ho deciso di indossare una maglia di lana ma ovviamente in questa sala fa un caldo torrido, qualcuno deve aver acceso il riscaldamento a pieno regime.
Decido di togliere il cardigan ma sfortuna vuole che questa mattina abbia scelto di mettermi una camicia sinteticissima, quindi ogni volta che tento di sfilare la maglia si sente un crepitio preoccupante (Sempre Viva la 626).
MacGyver fatti da parte, è arrivata la professionista.
venerdì 13 aprile 2018
Signori della Televisione, siete lì?
- Entrate in un hotel che sulla carta sarebbe un quattro stelle ma si trova proprio in bocca alla superstrada; le cose peggiorano ulteriormente quando scoprite che le vostre camere sono lato strada e gli infissi sono quelli della casa di marzapane di Hansel e Gretel.
Per fortuna, precedenti esperienze (vedi Hotel delle Bolle ) vi hanno preparato a ogni evenienza, in valigia mettete sempre un paio di tappi per le orecchie.
- Prima di andare in camera chiedete informazioni per la cena e il ragazzo della reception pronuncia questa frase: se volete cenare, vi consiglio di prenotare.
Seguendo il suo consiglio, prenotate per le 21 e all'orario stabilito scendete al ristorante.
Quando finalmente il cameriere esce dalla cucina, lo informate della prenotazione; lui vi fissa per un momento e poi vi fa segno di sedere dove volete, tanto di tavoli apparecchiati per voi non c'è traccia. In Umbria prenotare avrà un altro significato?
Di lì a poco il cameriere torna e cala sul vostro tavolo un fagotto che, una volta aperto, conterrà un origami-tovagliolo, le posate e un bicchiere.
Per l'altro coperto devono essersi stancati di fare origami, perché il giovine butta lì una tovaglietta americana, due posate e un tovagliolo piegato alla buona.
- Finita la cena tornate in camera per fare una doccia ma il 4 stelle non prevede la cuffia per la doccia in bagno; oltretutto, il portasapone del bidet è posizionato in modo da ledervi il menisco se solo tentate di sedervi.
- Quando poi aprite il frigo bar, lo trovate vuoto, ci sono solo due tristissime bottigliette d'acqua; ciononostante, al checkout il conciergie vi chiederà se avete consumato qualcosa dal bar.
- Avete chiesto alla reception la sveglia per le 7.15 mentre la collega, che preferisce riposare un po' di più, ha optato per le 7.30; non che importi, vi sveglieranno entrambi alle 7.15.
- La colazione è un altro momento interessante; il cameriere esce dalla cucina con varie bevande sul vassoio ma non ricorda di chi siano, quindi vi tocca agire velocemente, altrimenti qualcuno si approprierà del vostro tè e a voi toccherà aspettare il prossimo giro, tra chissà quanto.
Ce ne sarebbero ancora ma per questa volta non voglio strafare, mi fermo qui e lancio la mia proposta ai Signori della Televisione: in caso vi servissero idee nuove per rendere più frizzanti e imprevedibili i prossimi episodi del programma, la sottoscritta è ben lieta di offrire i suoi servigi; questo sì, in cambio di una fornitura a vita di patatine di qualità.
Per contatti: estremariluttanza12@gmail.com
venerdì 30 marzo 2018
Chi ha paura di un po' di pelucchi?
Quando abbiamo deciso di andare in gita a Milano, sapevamo che avremmo trovato le orde della Stramilano ma non ci siamo lasciati scoraggiare; peccato che nessuno si sia ricordato del maledetto cambio dell'ora.
La sveglia suona alle 6.30 ma il mio corpo lo sa che sono le 5.30 e mi
Arrivo al punto di ritrovo in ritardo perché, complice gli occhi a fessura, stavo per imboccare per errore l'autostrada.
Oggi guiderà la Rinaldi, almeno all'andata, quindi siamo abbastanza rassegnate alla dittatura e ai suoi diktat: niente fermate in autogrill, neanche per una sigaretta o per fare pipì (De Gregori sapeva di cosa parlava).
Fortunatamente, dopo un paio d'ore di viaggio, complice un lavoro di squadra che logora la Rini ai fianchi (io e la Piraccini ci alterniamo, lei urla Caffè! io Pipì!), strappiamo all'autista la promessa di una breve sosta in autogrill. Ci tocca fare presto, la possibilità che la macchina riparta senza di noi non è da scartare; in bagno la Piraccini accende due asciugamani ad aria compressa per fare prima e riuscire almeno a fumarsi una sigaretta.
Fortunatamente, dopo un paio d'ore di viaggio, complice un lavoro di squadra che logora la Rini ai fianchi (io e la Piraccini ci alterniamo, lei urla Caffè! io Pipì!), strappiamo all'autista la promessa di una breve sosta in autogrill. Ci tocca fare presto, la possibilità che la macchina riparta senza di noi non è da scartare; in bagno la Piraccini accende due asciugamani ad aria compressa per fare prima e riuscire almeno a fumarsi una sigaretta.
La carenza di sonno e la dittatura hanno un loro peso e infatti, dopo quasi tre ore di macchina, i neuroni vanno in sciopero:
- siamo all’altezza di Piacenza e la Piraccini chiede se abbiamo segnato quanto abbiamo speso di autostrada; il fatto che non abbiamo ancora lasciato l'autostrada sembra non turbarla minimamente,
- l'autostrada ci porta in zona Milano e non resta che affidarsi al navigatore; in un momento di particolare concitazione, sento la Rini chiedere Dove devo girare, a destra o sinistra? nonostante ci troviamo in un normale tratto autostradale, dove la svolta a sinistra non è proprio contemplata,
3) anch'io darò il mio contributo all'affossamento delle funzioni cognitive, però sarà nel viaggio di ritorno, al momento del nostro ingresso in autostrada, quando raccomanderò alla Rini di usare il casello della Viacard.
La prima tappa della giornata è alla Fabbrica del Vapore, dove c'è una mostra su Che Guevara; entriamo e ci troviamo catapultati in un antro buio e straripante di persone, devi farti largo con il coltello tra i denti per riuscire a vedere i testi scritti sui poster, a volte i caratteri sono davvero lillipuziani.
La prima tappa della giornata è alla Fabbrica del Vapore, dove c'è una mostra su Che Guevara; entriamo e ci troviamo catapultati in un antro buio e straripante di persone, devi farti largo con il coltello tra i denti per riuscire a vedere i testi scritti sui poster, a volte i caratteri sono davvero lillipuziani.
Oltretutto il riscaldamento deve essere stato impostato da un sadico che vuole scoprire a quale temperatura il corpo umano passa allo stato liquido.
Dato che riuscire a leggere pare impresa sovrumana, mi concentro sull'ascolto: sparse in giro per la mostra ci sono le registrazioni di discorsi originali del Che, discorsi che più di una volta mi fanno pensare a quelli di Papa Francesco.
Alla fine della mostra trovo anche la registrazione di un discorso di Fidel Castro, che invece ha uno stile molto simile a quello di Peppone in Don Camillo.
Alla fine della mostra trovo anche la registrazione di un discorso di Fidel Castro, che invece ha uno stile molto simile a quello di Peppone in Don Camillo.
Dopo un rapido pranzo in una pizzeria al taglio, andiamo a vedere la mostra di Paolo Ventura all'Armani Silos.
All'Armani Silos sono tutti magri, alti e parlano sottovoce, più minimalisti e composti di così ci sono solo le mummie.
Ovviamente noi ci facciamo subito riconoscere, io indosso un maglione peloso, di quelli che perdono ciuffi di pelo ovunque e immagino lo sgomento delle maschere al pensiero che mi avvicini agli abiti che si trovano in mostra al piano superiore.
Sono la versione moderna dello sciame di locuste dell'Apocalisse.
Ovviamente noi ci facciamo subito riconoscere, io indosso un maglione peloso, di quelli che perdono ciuffi di pelo ovunque e immagino lo sgomento delle maschere al pensiero che mi avvicini agli abiti che si trovano in mostra al piano superiore.
Sono la versione moderna dello sciame di locuste dell'Apocalisse.
Prima di uscire facciamo una sosta in bagno (nero e oro ovunque) dove purtroppo, asciugandomi le mani, mi sfugge il coperchio del porta salviette, che cade a terra violando il religioso silenzio di questa cattedrale; mi affretto a risistemare tutto ma, una volta uscita dal bagno non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che ci stiano controllando.
In fondo però è comprensibile, questi snelli minimalisti si trovano di fronte un quartetto di tamarri romagnoli che rifiuta ostinatamente di sussurrare, mette in disordine il bagno e oltretutto semina pelucchi in giro, da lì al terrorismo, il passo è breve.
In fondo però è comprensibile, questi snelli minimalisti si trovano di fronte un quartetto di tamarri romagnoli che rifiuta ostinatamente di sussurrare, mette in disordine il bagno e oltretutto semina pelucchi in giro, da lì al terrorismo, il passo è breve.
Lasciamo il Silos e puntiamo sul Book Pride dove, dopo un primo giro esplorativo, concludiamo la giornata con una bella tazza di tè caldo e due chiacchiere, per poi puntare la prua verso i lidi romagnoli.
Ripensandoci adesso, è stata una gran bella giornata.
Ciao Milano, stammi bene.
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