Oggi ho l'unico lavoro non annullato in tutto il mese quindi, nonostante il diluvio e le previsioni di Armageddon per chiunque metta il naso fuori di casa, esco e vado in stazione a prendere il treno. Sul binario siamo pochi e ci sistemiamo strategicamente a debita distanza gli uni dagli altri, avrei dovuto portare il metro di carta dell'ikea, che pesa poco e oggi mi tornerebbe utile.
Stessa cosa in treno, ognuno in un sedile, quella dietro di me ha la mascherina, per non parlare di quelli con la sciarpa avviluppata intorno alla testa come un cobra, novelli Ataru Moroboshi in giro a combinare casini.
Scendo nel girone dell'alta velocità e prima di prendere il treno faccio una capatina alla toilette. Avevo già avuto modo di notare la mestizia di questi bagni, a vederli sembrano rassegnati, come a dirti che meglio di così proprio non si poteva fare.
A pensarci bene, ha dell'incredibile: hanno scavato le profondità della terra per farsi il privé ferroviario lontano dalla plebe e poi nel bagno se vuoi toglierti il cappotto o appoggiare una borsa c'è solo un gancetto striminzito che sembra stia per svenire, al massimo ci appendi una camicetta. Se poi vai a lavarti le mani, nel distributore trovi ancora il sapone liquido, niente fighissima mousse di sapone. Tutto questo in sé mi scivolerebbe addosso senza scalfirmi, il dramma è quando ti giri per asciugarti le mani e c'è questo robo bianco da cui esce un soffio cosi tenue da farti sospettare che dietro al robo ci sia un paziente asmatico che arrotonda la pensione facendo il soffione umano. Oltretutto l'aria è alla temperatura ambiente e, di questi tempi l'ambiente è freddo assai, quindi ti chiedi se le mani si asciugheranno prima di andare in ipotermia.
Mentre smadonni contro quei rabighini che hanno comprato un asciugatore che non scalda perché di sicuro costava meno, avverti un impercettibile cambiamento nella temperatura; all'inizio non sei sicura ma poi col tempo la certezza arriva, il robo manda aria meno fredda.
Quindi l'attrezzo scalda ma solo la terza generazione di avventori, per cui l'unica soluzione è aspettare altre due persone e lavarsi le mani dopo di loro, cosa che in questi tempi di coronavirus si rivela davvero difficile.
Arrivo finalmente alla sede del convegno e insieme a Cristina, la mia collega di oggi, raggiungiamo la sala regia tallonando l'organizzatore, perché ci troviamo in un labirinto così intricato che Dedalo prenderebbe appunti.
La sala regia non offre tante opzioni quindi per oggi invece della cabina abbiamo un ripostiglio e, dato il ristrettissimo spazio vitale, il mio computer è appoggiato sulla valigiona che usano per trasportare le cuffie per i partecipanti; fin qui la cosa non mi preoccupa, non è la prima volta che traduco da un ripostiglio e ce ne sono stati di peggiori, ne ricordo uno a cui si accedeva solo abbassandosi ad altezza da gara di limbo.
Quello che invece mi dà da pensare è il buco nel soffitto da cui pende un preoccupante groviglio di cavi, sarà meglio andare subito in bagno perché se mi alzo durante il lavoro rischio di finire impiccata o folgorata, a scelta.
Nonostante le premesse, la giornata di lavoro filò liscia, senza impiccagioni o folgorazioni e, pur con un viaggio di ritorno un po' affollato, a distanza di due mesi sono ancora qui, quindi nessuno mi contagiò.
Ho usato di proposito il passato remoto perché, rileggendo adesso gli appunti, mi sembra si riferiscano a un periodo molto lontano, è difficile credere che sono passati solo un paio di mesi.
Mi manca il mio lavoro, mi mancano i colleghi con cui fare due chiacchiere, mi manca persino Trenitaglia con i suoi tradizionali ritardi.
In sostanza mi manca la mia vita di prima, come immagino a tutti noi.
Concludo augurando un buon primo maggio a tutti i lavoratori, spero di poter ritornare presto anch'io nel gruppo.
A pensarci bene, ha dell'incredibile: hanno scavato le profondità della terra per farsi il privé ferroviario lontano dalla plebe e poi nel bagno se vuoi toglierti il cappotto o appoggiare una borsa c'è solo un gancetto striminzito che sembra stia per svenire, al massimo ci appendi una camicetta. Se poi vai a lavarti le mani, nel distributore trovi ancora il sapone liquido, niente fighissima mousse di sapone. Tutto questo in sé mi scivolerebbe addosso senza scalfirmi, il dramma è quando ti giri per asciugarti le mani e c'è questo robo bianco da cui esce un soffio cosi tenue da farti sospettare che dietro al robo ci sia un paziente asmatico che arrotonda la pensione facendo il soffione umano. Oltretutto l'aria è alla temperatura ambiente e, di questi tempi l'ambiente è freddo assai, quindi ti chiedi se le mani si asciugheranno prima di andare in ipotermia.
Mentre smadonni contro quei rabighini che hanno comprato un asciugatore che non scalda perché di sicuro costava meno, avverti un impercettibile cambiamento nella temperatura; all'inizio non sei sicura ma poi col tempo la certezza arriva, il robo manda aria meno fredda.
Quindi l'attrezzo scalda ma solo la terza generazione di avventori, per cui l'unica soluzione è aspettare altre due persone e lavarsi le mani dopo di loro, cosa che in questi tempi di coronavirus si rivela davvero difficile.
Arrivo finalmente alla sede del convegno e insieme a Cristina, la mia collega di oggi, raggiungiamo la sala regia tallonando l'organizzatore, perché ci troviamo in un labirinto così intricato che Dedalo prenderebbe appunti.
La sala regia non offre tante opzioni quindi per oggi invece della cabina abbiamo un ripostiglio e, dato il ristrettissimo spazio vitale, il mio computer è appoggiato sulla valigiona che usano per trasportare le cuffie per i partecipanti; fin qui la cosa non mi preoccupa, non è la prima volta che traduco da un ripostiglio e ce ne sono stati di peggiori, ne ricordo uno a cui si accedeva solo abbassandosi ad altezza da gara di limbo.
Quello che invece mi dà da pensare è il buco nel soffitto da cui pende un preoccupante groviglio di cavi, sarà meglio andare subito in bagno perché se mi alzo durante il lavoro rischio di finire impiccata o folgorata, a scelta.
Nonostante le premesse, la giornata di lavoro filò liscia, senza impiccagioni o folgorazioni e, pur con un viaggio di ritorno un po' affollato, a distanza di due mesi sono ancora qui, quindi nessuno mi contagiò.
Ho usato di proposito il passato remoto perché, rileggendo adesso gli appunti, mi sembra si riferiscano a un periodo molto lontano, è difficile credere che sono passati solo un paio di mesi.
Mi manca il mio lavoro, mi mancano i colleghi con cui fare due chiacchiere, mi manca persino Trenitaglia con i suoi tradizionali ritardi.
In sostanza mi manca la mia vita di prima, come immagino a tutti noi.
Concludo augurando un buon primo maggio a tutti i lavoratori, spero di poter ritornare presto anch'io nel gruppo.
"robo" ? "rabighini" ? adorabile lessico dadaista ...
RispondiEliminaCosa dire? Sono una ribelle 😄
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