giovedì 27 gennaio 2011

Sabato sera - pensavo acqua ma non tempesta

La serata si preannuncia movimentata ma potenzialmente interessante: si è deciso di andare a Ravenna per assistere a una trasmissione radiofonica durante la quale Farnedi farà un piccolo concerto. A seguire, ritorno a Cesena per fare un salto al SinCafè a festeggiare il compleanno dell’Ivelise. Sulla carta è fattibile, si tratta di organizzarsi.
Ci troviamo alle 19 a casa della Rini, o meglio, alle 19 ci troviamo io e Paolo, cinque minuti dopo arriva la Ste ma della Rini non c’è traccia. Compare alle 19.10 insieme alla Cecca la quale, dopo una breve opera di persuasione, decide di unirsi a noi, nonostante sia decisamente provata dall’aver passato varie ore shoppingando alle Befane (di sabato è follia pura).
Nonostante mi abbiano eletto navigatore, arriviamo a Ravenna senza problemi e in leggero anticipo, il che ci permette di passare da un bar dei dintorni per un aperitivo.
questo poteva tornare utile alla barista
Essendo che il bar in questione è anche pizzeria, gli stuzzichini che accompagnano l’aperitivo sono tranci di pizza e noi non ci facciamo certo pregare. C’è da dire che la barista ha avuto la mano un po’ pesante con gli Spritz, quindi usciamo dal bar leggermente ‘mbriaghi e torniamo al locale sperando che non si noti.
Individuati Farnedi e Mohuro, chiediamo delucidazioni circa la trasmissione ma anche loro non ne sanno molto, salvo che suoneranno un paio di pezzi durante le due interviste agli ospiti e poi ci sarà un mini concerto di venti minuti alla fine. E’ tutto un po’ misterioso.
Gli intervistatori prendono posto e noi ci sediamo pieni di curiosità tra il pubblico. Chissà cosa ci aspetta?!
Parte la sigla d’inizio del programma e il primo pensiero che mi viene è: “Ma non è un po’ Fascio sta sigla?” Mi chino verso la Cecca per condividere il mio pensiero e lei mi fa notare che il simbolo sul grande schermo di fronte a noi è una fiamma. Cominciamo bene.
Sullo schermo c’è un enorme conto alla rovescia che, anche se lì per lì non ci facciamo caso, si trasformerà presto nel nostro migliore amico.
Parte la prima intervista: l’ospite è una semiologa appassionata di crittologia. Ora, nulla contro la materia, indubbiamente affascinante, il problema è riuscire a seguire l’intervista, più simile a una relazione accademica che a un incontro a scopo divulgativo. Ci ritroviamo inchiodati alle nostre poltroncine, proprio di fronte agli intervistati, circondati da ferocissimi precipui e sanguinarie ontologie, senza alcuna possibilità di scampo. Intanto sul grande schermo il conto alla rovescia prosegue, sempre troppo lentamente. Proprio mentre sto lottando per mantenere un’espressione perlomeno accettabile, la Rini mi passa il suo cellulare su cui leggo quanto segue: NON ABBIAMO BEVUTO ABBASTANZA.
Al termine della prima intervista si accende un barlume di speranza; mi giro verso la Cecca e sibilo: “Dai che da adesso in poi è tutta discesa” Non mi sembra di averla convinta.
La seconda intervista inizia quando mancano ancora 30 minuti; deglutiamo un paio di volte, stringiamo i denti e siamo pronti.
Da quel momento in poi nessuno ricorda più niente, ci avvolge una specie di nebbia che s’infittisce ad ogni frase; di tanto in tanto si riesce a emergere per qualche secondo e ti vengono in mente Amici miei e la supercazzola.
In uno di questi rari squarci di consapevolezza sento parlare di un progetto: un’iconoteca a cui vari artisti sono stati chiamati a contribuire con immagini corredate di testo. Penso: potrei contribuire anch’io? Con cosa? Risposta: la foto di quel famoso ristorante messicano di Amsterdam, con sotto scritto Ci fotterono.
Sprofondo nuovamente nella nebbia, sentendomi però anch’io un po’ artistica.
Accorgendosi che (grazie a dio) manca poco più di un minuto, l’intervistatore fa la nostra gioia con l’ultima domanda e chiede dove si possono trovare copie della rivista (sì, pare si parlasse di una rivista). Risposta: “A questa domanda risponderà qualcun altro, io invece vorrei parlare di….” E così si esauriscono gli ultimi secondi dell’intervista, lasciandoci con l’incognita di dove si possano trovare ste benedette copie, anche perché non è che si possa scoprire, chessò, con una ricerca su internet dato che, a quanto abbiamo capito, la rivista in questione sembrerebbe chiamarsi La rivista.
Segue mini concerto che ci risistema un po’, proprio come l’acqua calda col limone quando hai mal di pancia. Ovviamente resta il dubbio che Farnedi sapesse a cosa andavamo incontro ma abbia taciuto per i suoi loschi fini. Lui nega con forza ma chissà.
Fuggiamo verso la macchina e in men che non si dica siamo a Cesena e più precisamente al SinCafè, dove i festeggiamenti impazzano già da ore e la musica pompa con entusiasmo. Salutiamo e auguriamo l’Ive, per poi infamarla dopo aver visto il suo portacellulare incrostato di Swarowski sul rosa con motivo a corona centrale. Son brutte cose.
Nonostante si stiano festeggiando tre compleanni e ci siano quindi tre festeggiati, l’indiscusso protagonista della serata è tale Pedro (così ce lo battezzano), un uomo una spugna. Il Pedro in questione pare abbia tracannato di ogni e, in effetti, oltre a un colorito che i truccatori di Twilight se lo sognano, ha l’espressione di chi vede cose precluse ai più.
A un certo punto tira fuori dalla tasca il cellulare e rimane a fissarlo per almeno un minuto; niente di strano, se non fosse che lo tiene di profilo.
Ogni tanto scompare (Dov’è Pedro? Sarà vivo?) per poi tornare al banco per un refill. E incredibilmente, nonostante l’ora tarda, si regge ancora in piedi.
Quando a fine serata togliamo le tende, di Pedro non c’è più traccia. Ci dicono che l’hanno portato a casa e non possiamo fare a meno di provare un po’ di compassione per l’altro Pedro, quello che si sveglierà domattina e vorrà morire.

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