Ed eccoci arrivati all’ultimo giorno, il primo novembre. L’inizio non è particolarmente scoppiettante: la colazione in questo albergo non è che la lontana e poverissima parente di quella rumorosa e frequentatissima del Bulldog.
Claudio ci fa vedere le foto che ha scattato quella mattina in giro per Brugge e che sono belle assai; praticamente ha girato tutta la città mentre noi agonizzavamo nei nostri letti in preda ai succhi gastrici impazziti. L’Uomo Bionico prenderebbe appunti.
Quando finalmente riusciamo a uscire dall’albergo e c’incamminiamo verso il centro città, il tempo è decisamente minaccioso ma noi continuiamo imperterriti, avendo una destinazione irrinunciabile: il giorno prima ho trovato un volantino in cui si pubblicizzava niente di meno che “il museo della patatina fritta” di Brugge e ovviamente devo assolutamente vederlo.
Non è molto difficile da trovare ma, una volta arrivati là, essendo io l’unica interessata, ci limitiamo a qualche foto ricordo davanti all’ingresso del museo. Mi rimane il rimpianto di non avere seguito il mio cuore e di aver forse mancato l’esperienza più bella e assurda dell’intera vacanza.
Ci fermiamo davanti a una cioccolateria belga e Farnedi decide di comprare delle fette di arancia caramellate ricoperte di cioccolato fondente. Le compra per tutti ma sopravvaluta la nostra capacità di gestire gli zuccheri e infatti il sacchetto delle arance ci farà compagnia fino a casa in Italia, diventando il decimo membro del gruppo, (l’undicesimo, il decimo è ovviamente I pilastri della terra).
Dopo aver passeggiato per il centro in mezzo a orde di turisti e alle solite carrozze kitschissime, decidiamo di fare il giro dei canali in barca e ci mettiamo pazientemente in fila. Non dobbiamo aspettare molto e, se si eccettuano un paio di momenti difficili, la mezzora di attesa trascorre piacevolmente. I momenti difficili si presentano quando una delle barche attracca al molo e scarica i turisti per poi accogliere il nuovo gruppo; detti turisti dovrebbero uscire da dove sono entrati, il problema è che lungo quel percorso ci siamo noi in fila, quindi ci tocca appiattirci contro i muri e sperare in dio. Proprio mentre il serpente umano in uscita le si avvicina, la Cecca si posiziona frontalmente, per poi cambiare idea e mettersi di fianco nel tentativo di occupare meno spazio; mentre la folla le sfila di fianco, si riposiziona frontalmente e conclude: “Sono tonda”
La fortuna ci bacia, assegnandoci una guida che diventa immediatamente il moroso della Rinaldi: un omone grande e grosso che intrattiene il suo pubblico in inglese e francese. Ogni tanto dimentica di ripetere in una delle due lingue quindi c’è sempre qualcuno che chiede “cos’è che ha detto?”
Mentre la barca scivola sull’acqua noi, cullati dalla voce del pifferaio poliglotta, ammiriamo il panorama autunnale e fotografiamo fino a slogarci il collo, distraendoci solo raramente e per comprensibili motivi (la Cecca si è messa di nuovo gli occhiali finti senza preavviso).
Al momento del pranzo la compagnia si riunisce e troviamo un bistrot che offre omelette, insalate, tramezzini, insomma dovrebbe andare bene a tutti. Entriamo e si scopre immediatamente che non hanno tavoli per nove quindi dobbiamo dividerci tra due tavoli tondi con sedile circolare. Segue un sacco di “passami quello” “Dai qua” ecc.
Non avendo ancora preso un’omelette, mi lascio tentare da una con prosciutto e formaggio che, nonostante ne mangi solo metà, mi farà compagnia per molte ore a venire. In una sola parola: burro.
Si fa l’ora di partire per l’aeroporto di Bruxelles; riprendiamo le macchine e arriviamo senza grossi problemi al noleggio auto. Peccato che siamo a secco e non volendo pagare un milione di euro per la benzina siamo costretti a tornare indietro al distributore.
Una volta restituita l’auto, ci avviamo verso il terminal carichi di bagagli (e omelette). All’entrata c’è un bel cartello che avverte che tutto l’aeroporto è SMOKE FREE. La Berti, in evidente delirio tossico, cerca di convincerci che “smoke free” vuol dire che sei libero di fumare. Pur apprezzando la creatività, la copriamo di brutture e le facciamo spegnere la sigaretta. All’ingresso del terminal ci dà il benvenuto un tappeto di M&Ms che inizialmente ipotizziamo siano cadute a qualche bambino ma, essendocene una vagonata, è più probabile che fosse una squadra di calcio. Resistendo a fatica all’impulso di raccoglierle, dargli una spolveratina e via, procediamo verso il macchinotto del check-in. E a questo punto si presenta il problema dell’interfaccia tecnologica; in realtà non ci sarebbe nessunissimo problema (non è la prima volta che lo facciamo), senonché arriva una pazza furibonda travestita da simpatica assistente di volo la quale, con la scusa di prenotarci i posti vicini, combina dei casini mai visti, spargendoci alla boia del cane per l’aereo.
Il clou però arriva al momento di pesare le valige: ricorderete che la maggior parte di noi è partita con il solo bagaglio a mano (il principe no, la corona d’oro massiccio pesava troppo). Al ritorno imbarchiamo tutti, quindi ci pesano il bagaglio e si scoprono aumenti assolutamente inspiegabili, ipotizzo che ci abbiano usato per trafugare lingotti di piombo per una qualche strana ragione.
Sul volo da Bruxelles a Monaco tutto fila liscio, eccetto quando Claudio decide che vuole accendere il navigatore dell’iphone per vedere dove siamo; gli faccio presente che il navigatore si è perso più di una volta andando agli 80 sugli svincoli di Bruxelles quindi è improbabile che possa essere utile alla nostra attuale velocità di crociera (quelle stracentinaia di km/ora) ma lui decide di provare comunque. Mentre io mi copro gli occhi, prevedendo da un momento all’altro l’arrivo della hostess e il conseguente cazziatone per aver acceso apparecchiature elettriche in volo, Claudio accende il telefono ma scopre che il navigatore non è utilizzabile in modalità aeroplano. Resta la curiosità di sapere per quanto avrebbe scampanato a morto detto navigatore, impostato con un limite di velocità massimo di 130 km/ora.
Essendo che tra un volo e l’altro c’è giusto il tempo di un respiro, appena toccato terra ci lanciamo fuori dall’aereo e arriviamo correndo all’altro gate, per poi scoprire che il volo è stato ritardato per “motivi tecnici”. Dopo mezzora di attesa, sentendo per l’ennesima volta la scusa dei motivi tecnici, iniziano a fiorire ipotesi sulle reali motivazioni del ritardo, tra cui:
1) “Il pilota è ancora ubriaco dalla festa di Halloween, in questo momento le hostess lo stanno prendendo a schiaffoni, tentando di farlo tornare in sé”;
2) “La festa di Halloween era proprio sul nostro aereo e stanno passando l’aspirapolvere per nascondere le tracce dei bagordi”;
Quando finalmente ci comunicano che possiamo partire siamo decisamente provati (qualcuno di noi domattina lavora!) e strisciamo sull’aereo senza tante cerimonie.
Sembra impossibile ma atterriamo a Bologna; ovviamente a questo punto ci aspettiamo che ai nostri bagagli sia successo di tutto, che siano alle Fiji o sul K2 invece, dopo un’attesa piuttosto lunga, arrivano tutti sani e salvi. Ci attardiamo giusto il tempo di fare una foto al nostro “I pilastri della terra” sul nastro trasportatore e poi usciamo diretti alla navetta che ci porterà alle macchine. Peccato che non sia un’idea originale; al punto shuttle troviamo altre venti persone più o meno nelle nostre pietose condizioni. Siamo a un passo dalla rissa per un posto sul pulmino. Durante i venti minuti di attesa ci ripetiamo come un mantra che la prossima volta che si decide di andare in vacanza si guarda quali voli partono da Forlì (massimo Rimini) e si decide sulla base del volo più comodo, la destinazione ci rimbalza.
Arrivati finalmente alle macchine ci salutiamo rapidamente e dopo poco più di un’ora siamo, incredibilmente, A CASA.
A questo punto il resoconto dovrebbe terminare ma lungo il percorso sono andati smarriti alcuni dettagli che meritano menzione:
1) L’idea del cerino acceso in bagno a cui dobbiamo la vita è arrivata dalla Clodia e non da Rico;
2) In uno dei mille bar di Amsterdam dove ci siamo fermati per un tè c’era un barista matto da legare che ha tirato i piattini di ceramica a Rico e aperto la porta del bagno dando una manigliata in testa alla Toda;
3) Nel bagno dell’appartamento di là, qualcuno faceva delle puzze così puzze che la gente scappava e ficcava la testa nelle scarpe alla ricerca di un po’ d’aria buona;
4) Mi attardo a controllare internet dopo colazione e quando arrivo all’appartamento mi rendo conto che non ho le chiavi dell’ingresso e fuori piove; provo il cellulare ma nessuno di quelli di sopra risponde, mi salva il buttafuori del pub lì accanto, consigliandomi di fregarmene e suonare un campanello a caso fino a che non mi aprono;
5) Durante la nostra visita di Brugge la Berti e la Cecca, incappottate e sciallose, si fermano ad ammirare la statua di Papageno. Rico le guarda, scatta una foto e urla “la Compagnia dell’Anello!”;
6) L’autista della nostra macchina è sempre stata la Rini, quindi immaginate un po’ chi era quell’altra che voleva fermarsi a fare pipì al semaforo….
7) La seconda sera Mauro arriva e chiede a Rico: “Avete dello shampoo da prestarmi? Il mio me l’hanno sequestrato all’aeroporto” Rico: “C’è un campioncino nel beauty” Risposta “Sì, nel beauty ci ho già guardato, ma avete portato solo quello?” Due pensieri: 1) Ha frugato nel beauty di un altro senza chiedere il permesso, appendetelo per i piedi e frustatelo, 2) Lui si è fatto sequestrare lo shampoo e si lamenta perché noi non ne abbiamo portato abbastanza anche per lui? Vedi frustate precedenti;
8) Come una iattura, la cartolina della bambina brutta ci si è rivoltata contro; è arrivata per posta dopo qualche giorno. Il postino ha sofferto. Maledetta Rini, sempre un passo avanti!
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