Intorno a questa serata c’è stato lo stesso livello di dubbio e incertezza che c’è riguardo al mostro di Lochness o al triangolo delle Bermuda; per giorni, quando incontravi qualcuno, dopo le solite due chiacchiere arrivava puntuale la domanda: ma poi domenica sera siamo a cena da Fabio? E la risposta: boh?
Tutto è iniziato di domenica a casa della Cecca e di U; Fabio ha proposto di fare una cena a casa sua la domenica successiva per salutare la Grazia che tornava in Messico.
La proposta è piaciuta al popolo, una serata in compagnia è sempre accolta con favore; e tuttavia, nel giro di qualche minuto ognuno ha iniziato a scervellarsi sul metodo migliore per compiere l’impresa: passare una serata a casa di Fabio evitando però di essere costretti a mangiare le 40 tonnellate di cibo che puntualmente prepara per le sue cene e che, se non trovi il modo di difenderti, possono ridurti in stato vegetativo per parecchie ore.
Il problema origina fondamentalmente dal suo metabolismo alieno che ne farebbe un perfetto supereroe Slimfast o Figurella: quest’uomo mangia quantitativi di cibo che ucciderebbero lo yeti, eppure è secco come un chiodo. L’invidia è d’obbligo, in fondo siamo umani anche noi (Fabio non si sa).
La settimana trascorre così tra un non so e un chissà; arrivati al venerdì sera, l’amletico dubbio è sempre lì che rode: cena o non cena? Giro l’interrogativo alla Clodia che decide di prendere il toro per le corna e telefonare al gigino: estrae il cellulare e vi trova un sms che dice Sto preparando la lista della spesa per domenica, quanti siamo? Indovinate di chi è.
Alla fine, dopo una breve conversazione Clodia-Fabio, parte un vagone di sms d’invito e la situazione si sblocca.
Torniamo quindi a domenica sera: docciati e sistemati (io ho un look un po’ ghiacciolo: maglia giallo limone e bermuda verde bottiglia, farà parlare di sé), carichiamo in macchina sei sedie (dietro richiesta della Berti che ha ricevuto un SOS da Fabio) e una torta pere e cioccolato acquistata all’Ipercoop (con questo caldo in casa nostra chi tocca il forno muore, nel senso che lo uccido).
Prima di partire mi viene in mente che non so la strada per Branzolino, quindi chiedo a Rico se devo prendere su il navigatore. Risposta: no, tanto la strada me la ricordo (segnatevi queste parole).
Partiamo già un po’ in ritardo ed essendo domenica, decidiamo che non è prudente prendere l’autostrada, c’è il rischio di finire imbottigliati nel rientro dei turisti e passare la notte al Bevano mangiando rustichelle. Ci buttiamo sulle stradine alternative e tutto sembra filare liscio, almeno fino a quando l’autista, con la massima naturalezza, si gira e mi fa: Mi sa che di qui in avanti non la so più la strada. Peccato che siamo nel mezzo del nulla e non ci sia anima viva in giro, un cartello “Fine del mondo km 2” non mi stupirebbe.
A peggiorare la situazione c’è il fatto che non ho con me l’indirizzo, PERCHÉ LUI LA STRADA SE LA RICORDAVA!!!!!
Prendo il cellulare e comincio a chiamare ma, ovviamente, nel mezzo del nulla non c’è campo, solo il nulla. Quando finalmente riesco a parlare con Fabio, tra la linea che cade ogni tre per due e la mia totale incapacità di spiegare dove ci troviamo, l’impresa pare disperata e continuerà a sembrarlo fino a quando, quasi per caso, ci troveremo a destinazione. Resta il sospetto che una certa persona di mia conoscenza abbia finto di non sapere la strada per arrivare più tardi e ridurre il rischio indigestione.
Facciamo il nostro ingresso in giardino carichi come muli (sedie, torta, borse, felpe), solo per scoprire che ci sono altre sei sedie (nel marasma dell’invito last minute Fabio ha inviato SOS impazziti un po’ a tutti). Vorrei incazzarmi ma non ne ho il tempo: mentre avanzo verso il tavolo il piede incontra una buca abilmente mimetizzata dall’erba con conseguente inciampo e rischio di morire travolta dalle sedie. Le maledizioni volano come rondini a primavera.
Provvisto di grembiule da pizzaiolo, il nostro ospite presiede l’angolo forno, dove ciascuno deve recarsi a scegliere la guarnizione per la sua pizza; trattasi di un vero e proprio campo di battaglia perché lui non concepisce una pizza con meno di cinque ingredienti (pomodoro e mozzarella sono a parte) e fargli accettare una prosciutto e funghi richiede non poco impegno. Il popolo seduto in giardino si prepara al suo turno, come un esercito alla guerra, facendo gesti scaramantici e ripetendo dei mantra del tipo: solo rucola e crudo, solo rucola e crudo. Salvo poi tornare puntualmente sconfitto, con almeno due ingredienti in più.
Vista la situazione, Enrico decide di andare per ultimo nella speranza che finiscano le provviste. Io combatto la tensione ingurgitando smodate quantità di patatine fritte che qualche anima buona ha pensato di farci trovare belle croccanti sul tavolo.
Di lì a poco, però, la fortuna corre in nostro soccorso per la seconda volta: dato che le pizze vengono cotte nel fornetto elettrico, secondo le leggi della fisica non possono superare certe dimensioni, né essere troppo cariche quindi, dopo un paio di disastri con collasso della struttura portante, Fabio è costretto a cedere, piegato dall’universo e dalle sue strane regole.
Quando arriva il mio turno, affronto la tenzone con un piano ben preciso, sapendo che già il fatto di non volere la mozzarella mi mette in cattiva luce. Parto astutamente chiedendo zucchine e olive nere e, dopo un breve negoziato, torno al mio posto soddisfatta, avendo ottenuto la sola aggiunta del salame piccante (che si rivelerà poi essere la morte sua, fortuna che Fabio ha insistito).
La pizza, quando non è affogata di roba, è veramente da leccarsi i baffi; però una è più che sufficiente, soprattutto dopo il metro cubo di patatine ingerite e in previsione dei dolci (tutti dell’Ipercoop, evidentemente il caldo non spaventa solo me). Ragion per cui quando il pizzaiolo passa per il secondo giro di pizze, il popolo rifiuta compatto, con solo qualche eccezione nelle persone di Filo e della Cecca che chiedono di fare a metà di una pizza e, ovviamente, gliene arrivano due.
Finiamo le nostre pizze (c’è il dubbio che non siano le nostre, visto il semi-buio dato dai due timidissimi lampioni e da un cero che dovrebbe illuminare ma in realtà fa solo atmosfera, molto vecchio maniero), per poi buttarci allegramente sui dolci, mentre poco più in là, Fabio mangia soddisfatto la sua seconda pizza ultrafarcita.
La serata prosegue piacevolmente nel fresco del giardino; c’è chi si fotografa indossando maschere e alette d’angelo di provenienza sconosciuta, chi cade nella maledetta buca traditrice e ne dice di ogni, chi cerca di farmi tradurre all’esotico Paul delle robacce (che, se proprio le vuole dire, va là che se le traduce da solo) e, soprattutto, chi sta sempre in guardia, pronto a infrattarsi dietro a un cespuglio, nel caso lo chef opti per un ultimo attacco a sorpresa sotto forma di pizze alla nutella.
Fabio: Albérto vieni a farti la tua pizza
RispondiEliminaAlby: no no, fatti prima la tua
Fabio: noooooooooooooooo io la mia la faccio per ultimo perché voglio mangiare subito dopo la seconda....
TAN VI LA'
concordo sul fatto che sia stato poco elegante e deplorevole, da parte di Filo, chiederti di tradurre il termine aulico PISCIOTTA in inglese per Paul e che poi abbia chiesto a tutti di dare una descrizione minuziosa di tale termine per cercare di convincere l'inglese a trovare l'equivalente nella sua lingua madre; Her Majesty non approverebbe affatto.
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