E finalmente anche quest’estate siamo riusciti a ritagliarci sei giorni di meritata vacanza. Ok, a questo punto dove si va? Mandiamo una mail al campeggio “da Quinto” di Pennabilli, dove abbiamo passato una splendida settimana un paio di anni fa e, lode lode, ci arriva la conferma il giorno successivo. Tutto sistemato.
E invece il solito contrattempo dell’ultimo minuto (ho mandato accidenti su accidenti, mi aspetto di vedere quanto prima obesità e calvizie nei destinatari) ci obbliga a una riorganizzazione totale: cancelliamo tra le lacrime la prenotazione e ci mettiamo a cercare un altro campeggio in Umbria. Non è così facile, primo perché questa è la settimana di ferragosto, secondo perché noi siamo di gusti un po’ difficili. Mi spiego: il campeggio non deve essere al mare perché noi di spiaggia, in agosto, preferiamo vederne il meno possibile, non deve avere l’animazione per i bambini perché questo significa che se ne prevede una densità/mq troppo alta e deve assolutamente avere la piscina.
Tra i pochi campeggi che rispondono a questi requisiti (e soprattutto che rispondono in giornata) ne scegliamo uno nella zona di Gubbio. Purtroppo la riorganizzazione ci ha portato via quasi tutta la giornata, quindi raduniamo in tutta fretta i bagagli, li sistemiamo alla meglio nella mia attempata macchina e la mattina dopo si parte.
Se posso fare un appunto alle strade/autostrade italiane è che i cartelli dei limiti di velocità ti fanno venir voglia ti prendere a schiaffi qualcuno. Facciamo un esempio, siamo sulla A14 diretti verso Ancona e, dati gli immancabili lavori, c’è un cartello che dice 110. Ok. Peccato che dopo cento metri ce ne sia un altro che dice 90 e dopo altri cento metri si torna a 110. Ogni tanto appare anche un 60 e vi sfido ad andare in autostrada ai sessanta all’ora, con i tir che vi alitano sul collo! Ma non c’è di che preoccuparsi, tanto dopo cento metri si torna a 90 e dopo altri cento a 110. Per fortuna non sono da sola e Rico mi rassicura, non ho assunto nessuna droga pesante, sta tutto succedendo davvero.
Arriviamo al campeggio senza troppi problemi (grazie navigatore, grazie!) e dopo un rapido giro di perlustrazione scegliamo di posizionarci vicino alla piscina in una zona piena di meli selvatici che ci fanno da tetto, un gran bel posto. Montiamo la tenda e iniziamo a sistemarci. Intorno ci sono varie famiglie, alcune con bambini ma sono molto tranquilli. Scopriremo dopo che il campeggio è frequentato in gran parte da turisti stranieri (ecco spiegata la tranquillità).
Il clima è più fresco di quanto ci aspettassimo ma non ci diamo troppo pensiero, in fondo siamo in vacanza. Peccato che già verso le 20 calino l’oscurità e un freddo boia che ci costringe a indossare jeans, scarpe, felpa e giubbotto per poter cenare all’aperto. Stasera in programma per cena c’è la pasta; cominciamo a preparare la tavola e mettiamo su l’acqua ma dopo qualche minuto il fornellino si spegne, è finito il gas. Per fortuna abbiamo la bombola di ricambio quindi anche se con un po’ di ritardo ci rimettiamo in carreggiata, salvo poi scoprire che nella fretta di partire ci siamo dimenticati il coperchio della pentola, che non è solo un semplice coperchio ma funge anche da scolapasta (nel senso che io lo uso per tappare la pentola e scolare la pasta). Tentiamo una prima soluzione con il sottopentola (sì, non abbiamo coperchi ma abbiamo un sottopentola, misteri della psiche umana), peccato che questo sia di sughero (o di turacciolo, come dico io) e quindi dopo qualche minuto ci ritroviamo con un coperchio preoccupantemente gonfio. Immediata la rimozione e sostituzione con un piatto di plastica rigida che compirà il suo dovere senza tante ripercussioni. Solo una volta buttata la pasta ci accorgiamo di un altro problema: cerchiamo un cucchiaio per mescolare ma ci sono solo quattro cucchiaini da tè, nessun cucchiaio grande. Vista la piega della serata ovviamo al problema con una forchetta e io inizio a buttare giù una lista di cose da comprare l’indomani in paese.
Alla fine però riusciamo a cuocere la pasta e il sugo zucchine e gamberetti portato da casa è una bomba. Ci sediamo attorno al tavolo con i nostri piatti di pasta e Rico accende le lucine bianche (quelle del nostro albero di Natale) che ha avvolto intorno al ramo del melo che ci fa da tetto. Sembra di essere in una favola.
Una volta lavati i piatti torniamo alla tenda e constatato che, incredibilmente, si è fatto ancora più freddo, ci rifugiamo nel bar del campeggio per evitare l’assideramento. Tiriamo fuori il mazzo di carte da vacanza e ordiniamo un caffè e un tè. Chiedo alla barista se può darmi la teiera perché nella micro-tazzina che usano la bustina ci sta a fatica. Nessun problema, torno al tavolo con la mia teiera, la micro-tazza e lo zucchero. La pazienza non è tra le mie principali virtù quindi non è neanche immaginabile che io aspetti cinque lunghissimi minuti prima di bere il tè, di solito lo bevo bollente e mi ustiono; in questo caso dopo appena un paio di minuti alzo il coperchio per vedere se è pronto e noto con piacere che hanno riempito la teiera fino all’orlo, peccato che manchi la bustina. Torno al bar e ottengo finalmente la mia dose di droga; l’acqua non sarà più bollente ma ormai sono esaurita, voglio solo un po’ di broda calda nella pancia. Ne bevo tre tazze e mi sento subito meglio.
Una volta riacquistata una temperatura che ci garantisca la sopravvivenza, torniamo in tenda e ci prepariamo per la notte. In vacanza c’è chi porta il babydoll, chi il completo pizzoso supersexy, questa sera invece io alla partenza indosso il pigiama con calzoni lunghi ma nel corso della notte aggiungerò tutta una serie di indumenti fino ad arrivare a quanto segue: calzetti, mutande, canottiera, pigiama, felpa, felpa termica con cappuccio. Sono ovviamente rannicchiata nel sacco a pelo e mi sono avvolta intorno una coperta di pile. La notte più fredda del mondo. E non è ancora finita: alle tre e mezza di notte mi sveglio, semi congelata e con un gran bisogno di andare in bagno, le maledette tre tazze di tè non perdonano. Combatto per parecchi minuti, l’ultima cosa che vuoi quando sei rannicchiata nel sacco a pelo semi congelata è uscirne per affrontare il gelo della notte; aggiungo che il bagno non è vicinissimo ed essendo un po’ rimbambita dal sonno, il rischio di andare a sbattere in un albero non è remoto. Alla fine cedo, mi alzo e noto con sorpresa che sembra quasi meno freddo quando cammini. Fuori c’è una stellata spettacolare e mentre torno alla tenda per un attimo penso che questi sono proprio i giorni delle stelle cadenti, magari se aspetto un po’ ne cade qualcuna. O magari mi cadono le dita dei piedi. Sospiro e torno in tenda.
Ottimo!!!
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