sabato 9 giugno 2012

SI7: se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide

In questi giorni mi stavo interrogando su cosa scrivere nel prossimo articolo su Stonehand Ex Press e Farnedi ha buttato lì un “perché non racconti come va con l’ukulele?”
Allora, vediamo un po’, come va con l’ukulele?
Diciamo che, come in ogni coppia, abbiamo in nostri alti e bassi, però è in gran parte colpa mia perché non investo abbastanza nella relazione.
C’è da dire però che la mia vita di studentessa di ukulele mi sorriderebbe di più se non fosse che mi trovo a dipendere dal mio pusher di accordi (Farnedi) e sospetto fortemente che il marrano a volte m’infili a tradimento un accordo bastardo giusto per vedere di nascosto l’effetto che fa.
Già sul tema degli accordi avevamo avuto un franco scambio di vedute all’inizio di quest’esperimento qualche mese fa: lui voleva darmi uno spartito, sostenendo che tanto prima o poi dovevo imparare a leggere bene la musica, io gli ho risposto che se lo poteva sognare che con tutto quello a cui dovevo già pensare (dove mettere le dita, che tempo tenere, quali parole dire, non mordermi la lingua per lo stress) mi preoccupassi pure di riconoscere le note di quei pallosissimi pallini neri.
Altro motivo di attrito in famiglia è l’illustrazione dei ritmi da tenere; da una parte, ammetto che non reagisco bene di fronte alla mia incapacità, però mettetevi per un attimo nei miei panni:
“Rico, qui che ritmo devo fare?”
“E’ facile, basta fare così” e prende in mano lo strumento.
Non so esattamente cosa succeda dopo, l’impressione è che le sue mani spariscano e poi ricompaiano un po’ più in là, potresti pensare che non si sono mosse ma lo spostamento d’aria e il suono ti smentiscono. A quel punto si gira e ti guarda.
“Capito?”
Il primo impulso è dargli una badilata ma mi controllo.
“Non ho mica visto niente!!! Vai più piano!”
La cosa si ripeterà n-volte.
Il musicista in questione vive in un universo parallelo e non ha la minima idea delle difficoltà che un essere umano deve affrontare quando si avvicina a uno strumento; essendo che il maledetto sarebbe capace di suonare una pietra, è dura fargli capire le problematiche di noi del volgo, perlomeno senza ricorrere alla badilata di cui sopra.
Tornando al presente, in questo preciso momento sto lottando col maledetto SI7, accordo di chiara concezione demoniaca, progettato per torturare intere generazioni di individui caduti nelle mani sbagliate.
Nel mio caso specifico, avevo pensato di provare a suonare “Hard times” di Stephen Foster e Farnedi, dopo qualche giorno, mi ha presentato il testo della canzone con sopra gli accordi; all’inizio tutto andava bene, un LA già noto, un RE che devi ammucchiare le dita ma pazienza, sembrava tutto tranquillo. Poi all’improvviso mi trovo lì un MI7 e per un attimo vacillo, poi però guardo sotto dove il sant’uomo (a tratti marrano a tratti sant’uomo, secondo come mi gira) ha fatto il disegnino della tastiera dell’ukulele con sopra le posizioni delle dita per le varie note. Sulla carta sembra facile ma quando ti trovi a dover passare dal LA al MI7 e le dita si attorcigliano come nidi di tagliatelle son brutti momenti; però, dopo un po’ di tentativi si comincia a vedere la luce in fondo al tunnel e, quando finalmente arrivi alla fine della strofa, ti senti Superman che vola sopra il mondo. E’ a quel punto che la vita matrigna ti ricorda che la vita non è tutta gioia e gaudio; hai appena iniziato il ritornello, decisamente baldanzosa perché almeno di quello le parole te le ricordi, e ti arriva la pugnalata del SI7.


Farnedi ci aveva già provato a spiegarmi sta roba del barrè ma l’avevo stoppato subito con la scusa che in quel momento non mi serviva (il rumore delle unghie sui vetri l’avevan sentito da in fondo alla strada). Stavolta però mi tocca.
Ora, senza entrare nei dettagli dei miei primi approcci con detto accordo (dolorosi ricordi che spero di rimuovere presto) mi chiedo: ma sto SI7 è proprio così necessario? Non se ne potrebbe fare a meno? Dico, abbiamo mandato l’uomo sulla luna, mappato il DNA, sarà pur possibile trovare una maniera di suonare Hard times senza usare sto stracciazebedei del SI7. Pensiamola come un’intolleranza alimentare, come essere vegetariani, una scelta difficile ma che si fa in nome di una vita migliore.
Mi dicono che un giorno, probabilmente molto lontano, riderò di queste mie difficoltà, però io onestamente preferirei ridere adesso; disabili musicali di tutto il mondo uniamoci, insieme per un mondo più giusto, un mondo più libero, un mondo con meno male alle dita.
Meno SI7 per tutti.


P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

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