Non so se sia per la pioggia battente che qualche giorno fa sembrava volermi entrare in casa ma mi rendo improvvisamente conto che siamo arrivati a fine estate, quello che molti considerano il vero inizio dell'anno, il momento giusto per lanciarsi in riflessioni e fare un quadro dei mesi appena trascorsi; prima però di dare un'occhiata alle mie imprese estive, facciamo un po' di storia e torniamo al momento in cui dette imprese hanno visto la luce.
L'anno scorso la mia vicina di casa che fa la maestra mi ha comunicato che a scuola stavano portando avanti un progetto di autofinanziamento per pagare l'adozione a distanza di un bambino; il progetto consisteva nel piantare dei semi di piante da orto e poi vendere le piantine ottenute ad amici e conoscenti.
Trattandosi di nobile intento e verde progetto, ho voluto dare un segnale d'incoraggiamento offrendomi di acquistare qualche piantina; fino a quel giorno non avevo mai seriamente pensato di coltivare pomodori o cetrioli in terrazzo (ho parecchie aromatiche ma niente di più), però più ci pensavo più l'idea mi divertiva. Avevo un paio di vasi capienti e ne ho acquistato un terzo con il relativo terriccio; so che ci vorrebbe un mix di terreno ultraspecifico ma quella era la prima volta, non volevo scoraggiarmi ancora prima di partire quindi ho usato del terriccio classico e sul fondo invece delle palline di argilla ho sparso uno strato di tappi di sughero che conservavo in uno scatolone e che a mio avviso avrebbero fatto lo stesso servizio (riciclo, riciclo e ancora riciclo).
Quando finalmente mi sono arrivate le creature (avevo ordinato pomodori, cetrioli e zucchine) le ho divise nei vasi (andando un po' a naso, le foglie uguali insieme) e per un po' è andato tutto bene, le piantine crescevano rigogliose e io ero una fierissima coltivatrice ma, ovviamente, non poteva durare.
La mia pianta di cetrioli mi ha dato la prima soddisfazione con un'abbondante fioritura e dopo un po' sono comparsi qua e là parecchi robi bislunghi e verdi. I cetrioli! - ho pensato e li ho fatti vedere a Rico dispensando vagoni di orgoglio verde; poi, una mattina, osservando le piante mi sono accorta che uno dei cetrioli era inspiegabilmente diventato...rosso! Dopo un primo momento di sgomento mi sono ripresa e ho affrontato la crudele realtà: la mia vicina mi aveva rifilato dei peperoncini cornetti al posto dei cetrioli! L'ho detto a Rico e il maledetto è ancora là che se la ride. Sul fatto che non distinguo una pianta di cetrioli da una di peperoni preferisco sorvolare.
Comunque, tutto considerato a noi il piccante piace e il peperone pure quindi le cose non sono andate poi male, soprattutto considerando che la pianta è sopravvissuta all'inverno (ovviamente in casa), tornando a fiorire e a produrre anche quest'anno.
Per quanto riguarda le altre piante, anche loro hanno avuto una vita difficile: i pomodori sono stati scelti come luogo preferito dal gatto dei vicini per stendersi e fare i comodi suoi per cui, anche una volta recintato il vaso, erano talmente provati che hanno prodotto giusto un paio di pomodori (vedi foto), buoni finché vuoi ma...
E arriviamo all'esperienza più dolorosa, quella con le zucchine: avendo specificato che le avrei coltivate in terrazzo, immaginavo che la vicina mi avrebbe dato una di quelle piante di zucchine che son fatte tipo un caspo, invece mi ha rifilato una pianta che si è poi rivelata strisciante, per cui mi sono trovata con chilometri di pianta di zucchina che non sapevo più dove mettere (il balcone prima o poi finisce) e che s'invrucchiava su se stessa, diventando sempre più una selva impenetrabile.
I miei sforzi però sono stati ripagati dalla comparsa un bel giorno di una zucchina; la guardavo crescere con meraviglia e devozione, l'avrei anche accarezzata ma temevo di essere vista dai vicini e internata seduta stante. Sfortunatamente, qualche giorno dopo sono comparse strane macchie bianche sulle foglie e girando su internet alla ricerca di spiegazioni mi è sembrato di capire che trattavasi di roba incurabile per cui l'unica soluzione era tagliare le foglie incriminate sperando di evitare la diffusione del morbo.
Dato l'invrucchiamento della pianta, ormai convertitasi in un ammasso inestricabile, la diffusione del contagio era quasi inevitabile ma ho voluto almeno tentare: ho preso le forbici per eliminare le foglie infette e mi sono data da fare, sfoltendo a destra e a manca; le foglie ammorbate cadevano a un ritmo impressionante e, finito il primo trattamento, ogni giorno controllavo attentamente nell'eventualità di nuovi casi; proprio in uno di questi interventi, confusa dall'invrucchiamento della pianta e preda del sacro fuoco della potatura, ho inavvertitamente tagliato il ramo che nutriva proprio la mia zucchina, non ancora del tutto cresciuta. Non vi dico il dispiacere. Adesso, ripensandoci, la comicità della cosa salta prepotentemente agli occhi ma in quel momento...
Mi accorgo che rivivere il trauma mi ha causato una grande spossatezza, quindi per ora mi congedo (devo anche andare a lavorare, tra l'altro). Di tutto il resto (ce n'è ancora, c'è tutta l'estate 2012) parleremo nel prossimo post...
Però non è giusto, uffa!
martedì 25 settembre 2012
martedì 18 settembre 2012
Lacrime contemporanee in una residenza d'epoca
Sono appena tornata in camera dopo uno di quei pranzi di rappresentanza che sembrano non finire mai, pare che avrò un paio d'ore d'inattesa pausa e ho intenzione di godermele tutte. Sono in uno di quei posti con arredamento d'epoca e come sempre mi diverte notare le assurdità della decorazione d'interni. Facciamo un esempio: in bagno c'è un cartellino in quattro lingue che ti suggerisce utili accorgimenti x risparmiare acqua (chiudere l'acqua mentre ti lavi i denti, t'insaponi ecc) e il cartello si trova proprio accanto ai rubinetti old style (rigorosamente dorati e separati, senza miscelatore) che ti costringono a sprecare ettolitri d'acqua per trovare una temperatura che ti permetta di farti un bidè senza bollirti le pudenda.
Le cose non si mettono meglio nella doccia che ha un pomello degno del Nautilus (vedi foto) col quale ovviamente l'ustione è inevitabile (non riuscendo a capire quale delle leve aprisse l'acqua e quale fosse quella del caldo/freddo ho girato la prima a caso e mi son beccata una doccia gelata).
Nel caso poi, da vera debosciata, volessi stenderti sul letto e guardare la televisione, questo orrore moderno è astutamente nascosto in una credenza lignea per non inquinare l'atmosfera old style di cui sopra; peccato che, date le limitazioni spaziali imposte dal mobile, sia una tv bonsai (anche un po' old style, per la verità) che dal tuo letto, laggiù lontano, riesci a vedere soltanto strizzando gli occhi e accelerando quindi la formazione delle zampe di gallina intorno agli occhi, diventando anche tu, a tua volta, un po' più old style.
Ammetto però che, nonostante queste piccole pecche, la camera è bella e spaziosa, il letto comodo ecc ecc. per cui ringrazi il cielo (si son viste cose molto brutte negli anni) e sei felice.
Poi però ti telefona l'Elena che è appena entrata nella sua camera e ti dice che l'hanno messa all'ultimo piano in una camera meravigliosa col soffito con le travi a vista (scopriremo in seguito che trattasi della junior suite); all'inizio la descrizione non ti colpisce più di tanto, sì ha la cabina armadio ma tanto in valigia hai tre vestiti in croce, non è fondamentale, sì c'è la doccia separata dalla vasca e quindi non rischia di scivolare sul pavimento inclinato della vasca mentre fa la doccia ma tanto farai solo un paio di docce, puoi sopravvivere. E' solo quando ti rivela che in camera ha il bollitore, con tazze e selezione di tè diversi, che proprio non riesci a trattenere un singhiozzo e la immagini con invidia mentre sorbisce un tè seduta in poltrona. La cosa diventa ancora più drammatica quando la raggiungi in camera sua e scopri che ha due finestre che danno sul giardino e la puoi quasi vedere, seduta davanti alla finestra con la tazzina in mano e un raggio di sole che la illumina.
Fortunatamente, proprio quando sei sul punto di scopppiare in singhiozzi di fronte alla matrignità della Vita, ti torna in mente quell'albergo di Como in cui sei finita in una sera d'autunno, quello col lettino di metallo da vacanza in colonia e la sopracoperta arancione col buco, quello in cui la porta d'ingresso della stanza era a tutti gli effetti una porta antipanico.
Con quella stanza ancora viva in mente ti guardi intorno e lo devi ammettere: qua è tutto grasso che cola, in fondo anche la Vita potrà avere le sue favorite, no?
Le cose non si mettono meglio nella doccia che ha un pomello degno del Nautilus (vedi foto) col quale ovviamente l'ustione è inevitabile (non riuscendo a capire quale delle leve aprisse l'acqua e quale fosse quella del caldo/freddo ho girato la prima a caso e mi son beccata una doccia gelata).
Nel caso poi, da vera debosciata, volessi stenderti sul letto e guardare la televisione, questo orrore moderno è astutamente nascosto in una credenza lignea per non inquinare l'atmosfera old style di cui sopra; peccato che, date le limitazioni spaziali imposte dal mobile, sia una tv bonsai (anche un po' old style, per la verità) che dal tuo letto, laggiù lontano, riesci a vedere soltanto strizzando gli occhi e accelerando quindi la formazione delle zampe di gallina intorno agli occhi, diventando anche tu, a tua volta, un po' più old style.
Ammetto però che, nonostante queste piccole pecche, la camera è bella e spaziosa, il letto comodo ecc ecc. per cui ringrazi il cielo (si son viste cose molto brutte negli anni) e sei felice.
Poi però ti telefona l'Elena che è appena entrata nella sua camera e ti dice che l'hanno messa all'ultimo piano in una camera meravigliosa col soffito con le travi a vista (scopriremo in seguito che trattasi della junior suite); all'inizio la descrizione non ti colpisce più di tanto, sì ha la cabina armadio ma tanto in valigia hai tre vestiti in croce, non è fondamentale, sì c'è la doccia separata dalla vasca e quindi non rischia di scivolare sul pavimento inclinato della vasca mentre fa la doccia ma tanto farai solo un paio di docce, puoi sopravvivere. E' solo quando ti rivela che in camera ha il bollitore, con tazze e selezione di tè diversi, che proprio non riesci a trattenere un singhiozzo e la immagini con invidia mentre sorbisce un tè seduta in poltrona. La cosa diventa ancora più drammatica quando la raggiungi in camera sua e scopri che ha due finestre che danno sul giardino e la puoi quasi vedere, seduta davanti alla finestra con la tazzina in mano e un raggio di sole che la illumina.
Fortunatamente, proprio quando sei sul punto di scopppiare in singhiozzi di fronte alla matrignità della Vita, ti torna in mente quell'albergo di Como in cui sei finita in una sera d'autunno, quello col lettino di metallo da vacanza in colonia e la sopracoperta arancione col buco, quello in cui la porta d'ingresso della stanza era a tutti gli effetti una porta antipanico.
Con quella stanza ancora viva in mente ti guardi intorno e lo devi ammettere: qua è tutto grasso che cola, in fondo anche la Vita potrà avere le sue favorite, no?
venerdì 7 settembre 2012
Zeppa, zeppa delle mie brame
Tutto è nato da una battuta di Rico sul fatto che ho la scarpiera piena di zeppe altissime che non metto praticamente mai da cui si evince che a me le zeppe piace solo guardarle; devo ammettere che la scarpa in sè mi attrae per cui la compro (solo e rigorosamente zeppa, il tacco a spillo non lo prendo neanche in considerazione), poi però misteriosamente non trovo mai occasione per metterla e la poverina si ritrova sola e abbandonata nella scarpiera, dove l'unica consolazione le deriva dalla compagnia di altre zeppe nella stessa, tristissima situazione.
Il fatto è che, per dire pane al pane e vino al vino, i tacchi sono maledettamente scomodi (quelle che sostengono il contrario sono le stesse secondo cui il perizoma - notoriamente un filo in mezzo alle chiappe - è molto comodo), per cui trovo sempre un paio di sandali alternativi che, guarda caso, vanno a pennello con quello che indosso.
Quella sera avevamo in programma una mangiata di pizza in collina e, potendo prevedere che un 80% del tempo l'avrei passato seduta, ho chiuso gli occhi e mi sono buttata.
La mia cautela nell'utilizzo di queste protesi è dovuta a un trauma giovanile, un matrimonio di tanti anni fa per il quale commisi l'errore madornale di indossare delle scarpe con un tacco stellare, nonostante dovessi stare fuori tutto il giorno. Era ormai sera inoltrata, c'era musica molto bella e tutti ballavano divertendosi da matti, tutti tranne la sottoscritta i cui piedi, dopo ore e ore sulle punte, versavano in condizioni disperate. Ricordo perfettamente la frustrazione (e il male ai piedi); da quel momento ho deciso che non mi sarei più auto-sabotata, riservando gli infernali trampoli alle uscite superbrevi.
Una volta calzati i grattacieli (fortunatamente tengo le scarpe in garage, stesso piano della macchina) ho controllato di non aver dimenticato nulla (chiavi, portafogli ecc, di sopra con quei cosi non si poteva tornare) e sono uscita. Inevitabilmente, una volta aperta la portiera e sbattuti sul sedile borsa e maglia, mi è tornato in mente il fumetto di Orgoglio e pregiudizio che la Clodia mi aveva prestato e che da DUE mesi mi ripromettevo di restituirle. Senso di colpa a valanghe, dovevo tornare a prenderlo. Mi sono girata per correre a recuperarlo, ricordandomi appena in tempo della zeppatura e optando quindi per una serie di passi timidi timidi fino al piano di sopra. L'andata si è conclusa senza incidenti, il vero scoglio è stato la discesa dal primo piano. Il ricordo/trauma della mia recente caduta dalle scale era ancora fresco (un roba brutta, livido lì di dietro per più di due settimane, per fortuna svanito prima della scadenza dell'IMU, altrimenti rischiavo di dover pagare qualcosa), per cui sono scesa tenendomi fermamente al corrimano; il look era un po' da ottuagenaria con protesi all'anca, però sono arrivata giù intera che è quello che conta.
Altro problema non da poco è stato guidare con un piede rialzato di dieci cm: non hai le misure quindi o dai di gas come quelli di Hazzard, oppure la macchina sobbalza un po' e rischia di spegnersi. Mi mancava solo la P sul lunotto posteriore, che due balle.
Ovviamente, il mio look ha destato un certo qual numero di commenti, commenti che si sono fermati a un passo dal popolare la s'è cavèda d'int i straz e solo perché ho degli amici compassionevoli.
Conclusa la cena, mentre la Clodia e Paul (d'ora in poi Tommasoni) tornavano a casa con la nipote cinquenne che aveva sonno, la macchina contenente Mohuro, l'Ale, l'Elisa e Lorenzo ha proposto di andare a bere qualcosa al chiosco; il primo pensiero è stato dovrò parcheggiare a casa di dio e poi farmela a piedi su sti cosi! Seguito a ruota da Vabbè, ho fatto trenta, facciamo trentuno.
In realtà è andata meglio del previsto e in cinque minuti di cammino ero già a destinazione; una volta al chiosco siamo riusciti ad accaparrarci un tavolo e sederci a riposare le stanche membra (podo-gioia); di lì in poi, adottando qualche semplice precauzione (niente cambi bruschi di direzione, mai stare in equilibrio su un piede solo, ecc.) sono riuscita a concludere la serata rimanendo verticale.
L'esperienza è stata un po' stressante ma anche divertente (l'altitudine fa strani scherzi) e mi ha fatto riflettere; mi sono tornate in mente quelle donne tailandesi che si adornano il collo di spirali di metallo per farlo diventare più lungo, le cosiddette donne-giraffa. Ovviamente i tour operator organizzano delle escursioni per visitare i villaggi e fotografare queste donne e ricordo di aver letto commenti feroci da parte di chi sosteneva che non si doveva incoraggiare con il turismo quest'usanza barbara che metteva a rischio la salute delle donne.
Inevitabile il paragone con il racconto di una signora di mia conoscenza che anni fa prese appuntamento con l'ortopedico il quale, dopo averla visitata (non ricordo se il problema era il menisco o l'alluce valgo) commentò: "Ne ha portati di tacchi, vero?"
Paese che vai, usanze che trovi.
Mi è anche venuto il dubbio che forse avevamo ragione io e mia sorella quando alle elementari giocando con Barbie ci rendemmo conto che i suoi piedi non entravano mai bene nelle scarpine che compravamo e, dopo vari tentativi infruttuosi, optammo per una soluzione definitiva tagliandole le dita dei piedi. Magari non erano un gran bel vedere ma le scarpe calzavano che era un piacere! A distanza di qualche decennio, plaudo alla nostra lungimiranza, ho sentito che ci sono donne che si fanno accorciare le dita dei piedi perché così stanno meglio in sandali.
Qualche settimana fa ho letto un'intervista a un noto stilista di scarpe il quale sosteneva che agli uomini piacciono le donne sui tacchi perché danno la sensazione di essere sempre sul punto di cadere, sembrano incerte, insicure e questo scatena nel maschio l'istinto di protezione. In effetti l'altra sera, mentre camminavo verso il chiosco, non ho potuto fare a meno di pensare che se in quella via poco illuminata qualcuno avesse deciso di rapinarmi/scipparmi ecc, con quei robi ai piedi non sarei mai riuscita a corrergli dietro, sarei rimasta lì come una pipiloca senza poter far nulla; la cosa mi ha fatto sentire indifesa e devo dire che non è stata una bella sensazione.
Mi rendo perfettamente conto del fatto che, con un po' di allenamento (come mi suggerì alle superiori una mia compagna di scuola drogata di tacchi) s'imparano a gestire anche i tacchi più assurdi; però, tutto considerato, dato che fortunatamente agli scaffali alti io ci arrivo, sapete cosa vi dico?
L'istinto di protezione ve lo potete tenere e tanti saluti.
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