venerdì 21 novembre 2014

Noio volevan savuar

Allora, è vero che c'è la crisi, ci sono le bollette da pagare, quindi si tende a essere un po' più flessibili, però a volte mi viene da pensare che sia ora di tirare una riga.

Stavolta mi hanno chiamato per un lavoro di traduzione simultanea di cinque giorni e ovviamente di questi tempi un lavoro così lungo è un'ottima notizia, poi però scopro che per risparmiare:

  1. non ci sarà la cabina insonorizzata,
  2. non ci sarà neppure il sistema audio per la simultanea, 
  3. la nostra postazione sarà un tavolo in sala in mezzo al casino del pubblico,
  4. dovremo indossare un vestito da pollo,
  5. ascolteremo tutto tramite un misero auricolare (almeno di quello ce ne sarà uno a testa, il microfono invece lo divideremo, che altrimenti ci montiamo la testa).
  6. una delle precedenti voci è falsa, scegliete voi.

Vabbè, mi dico, sarà molto faticoso ma l'abbiamo già fatto e sopravviveremo, poi però scopro che l'orario di lavoro è di 9 ore (8.30-18.30 più due ore di viaggio) e vorrei tanto essere una dipendente e poter chiamare un qualche sindacato perché, per il cervello, 9 ore di traduzione simultanea in quelle condizioni sono come 9 ore in miniera.
A quel punto mi appare l'immagine della prossima bolletta di Hera che chiude la discussione spazzando via qualsiasi mi, mo, ma. Mi sfugge solo un lugubre lamento quando realizzo che è il giorno prima dell'evento e l'unico materiale che si sono degnati di mandare è il programma.
Cinque giorni di lavoro con oltre trenta interventi programmati e non abbiamo neanche un testo, o almeno due slide. Che li possino....
Una volta arrivate in ditta scopriamo di non avere ancora toccato il fondo: quelle simpatiche trenta presentazioni non saranno semplici relazioni bensì momenti interattivi in cui i relatori si confronteranno costantemente con i partecipanti, peccato che ci sia un solo microfono collegato al nostro peraltro stitico auricolare e quindi, quando parlano tutti gli altri, noi dovremo ascoltare l'audio che si sente in sala, come se fossimo sedute tra il pubblico. Verrà benissimo!
Non abbiamo neanche iniziato e li odio già tutti; le cose non migliorano con il passare dei giorni, principalmente perché il meeting è in inglese e le poche persone che non lo parlano sono le uniche che si ricordano di noi (perché gli serviamo, mica per altro), tutti gli altri spesso e volentieri dimenticano la nostra presenza e si lanciano in commenti/accuse/domande senza microfono, quando non cambiano lingua a metà della frase (es. we have to react perché il mercato ce lo chiede).  Il tutto con un inglese che nella maggior parte dei casi somiglia a quello di Totò.
Ci tengo a precisare che, nonostante le difficoltà tecniche del lavoro, abbiamo però goduto di alcuni momenti di altissimo livello e francamente indimenticabili, per esempio quando il supercapo ha tenuto a precisare che quando sentite queste cose vi deve venire duro, ovviamente rivolgendosi a una platea mista; in quella frazione di secondo che avevo a disposizione per pensare avrei voluto fare un paio di domandine al nostro eroe:

  1. Ma non le vedi quelle donne tra il pubblico? Perché io le vedo.
  2. E fare un corso di aggiornamento sulla gestione delle risorse umane e le tecniche di comunicazione nel nuovo millennio?

poi mi sono messa l'animo in pace, ho asfaltato l'espressione sotto una tonnellata di meritato oblio e via verso la successiva assurdità.

Generalmente, quando riesamino una situazione a freddo, a distanza di tempo, le cose si ridimensionano (il fatto di scriverci sopra mi aiuta a elaborare il trauma) e riesco a riderci sopra,
E stavolta?




P.S. Avrei di gran lunga preferito vestirmi da pollo.





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