Non so cosa abbiate fatto voi il 10 novembre ma, in caso siate stati sul divano a vegetare broccolo-style, non preoccupatevi, noi ne abbiamo fatta più che a sufficienza per tutti.
Procedo con la narrazione del nostro D-day.
***
E' da più di un mese che ci lavoriamo ed è finalmente arrivato il momento della verità: oggi pomeriggio alle 16 parte Baràtt, lo spazio di libero scambio fumettoso organizzato dall'associazione MicaPoco di cui faccio parte.
Trattasi di un evento collegato a Cesena Comics, il festival dei fumetti che si tiene a Cesena nella settimana dal 12 al 18 novembre; abbiamo pensato di organizzare un pomeriggio in cui chiunque può presentarsi con fumetti già letti da scambiare gratuitamente con quelli di altri partecipanti, un modo per avere fumetti "nuovi" a costo zero, alla faccia della crisi.
Sono le 9.30 ed è appena suonata la sveglia; sono ancora un po' rintronata ma urge scuotersi, tra un po' passa l'Albertini a prendermi col furgone per andare alla scuola media Anna Frank a ritirare le sagome giganti dei Peanuts che ci prestano per l'evento. Accendo il cell e mi arriva un sms della Ste con un contrordine, passa lei a prendere tutto, appuntamento al bar Roma alle 11.
Mentre scendo a fare colazione squilla il telefono e la conversazione segue all'incirca questo canovaccio:
1 - Ste:"Ciao, qua abbiamo già fatto tutto, è passato a prendermi il babbo di Mirco perché oggi pomeriggio gli serviva il furgone, tu dopo vieni al bar Roma?"
2 - Io:"Sì, vengo alle 11"
3 - Ste:"Ok perché io non ho la macchina quindi se mi puoi dare un passaggio quando abbiamo finito..."
4 - Io:"Nessun problema, ci vediamo dopo"
5 - Ste:"Ok"
Alle 10.30, colazionata e ripulita, mi blindo con il giubbotto pesante e inforco lo scooter (sabato è giorno di mercato quindi parcheggio impossibile); fa un po' freddino ma tanto il viaggio dura solo un quarto d'ora, posso farcela. Arrivo al bar Roma e trovo la Clodia che mi squadra con due occhi così, visto che da programma a quell'ora dovevo essere con l'Albertini a recuperar sagome.
Le spiego brevemente l'accaduto ma, quando arrivo al momento della telefonata, il cielo improvvisamente si oscura e cala su di me il gelo della morte certa: la memoria è tornata alla frase n.3 della conversazione (vedi sopra). Cazzarola, come faccio a dare un passaggio alla Ste in scooter? Non ho mica un altro casco! E adesso chi glielo dice? La sudorazione aumenta esponenzialmente.
Per mia fortuna, una volta illustrato il marone (stupidaggine di proporzioni comunali) che ho combinato, la Rinaldi corre in mio soccorso offrendo i servigi della Tommasoni-mobile come taxi e io ricomincio timidamente a respirare.
Quando poi arriva l'Albertini come prima cosa la informo del servizio taxi Tommasoni, per poi infilare rapidissimamente nel discorso tutto il resto. Alla fine me la cavo con un paio di occhiatacce di quelle che tagliano l'acciaio come fosse burro ma conservo il cuoio capelluto, tutto considerato poteva andare peggio.
Il resto della mattinata scorre via rapidamente mentre l'Ale sistema nelle vetrine le varie tavole di fumetti forniteci dall'associazione Barbablù e noi mettiamo a punto gli ultimi dettagli, tra cui come diavolo vestirci a pomeriggio perché dovremo stare dalle due alle otto all'aperto e la questione è delicata; io propendo per un look ormai consolidato, quello da benzinaio/posteggiatore, per cui sarò il più coperta possibile, magari non proprio un gran bel vedere ma...
L'appuntamento è in galleria Oir per le 14.30 quindi praticamente parto dal bar Roma, arrivo a casa, tocco il muro e riparto, accompagnata da Rico e da una valanghina di fumetti.
L'allestimento dell'area dove si tiene l'evento ci porta via parecchio tempo: ci sono gli scatoloni di fumetti donati da amici e parenti da disporre sul tavolo del baratto, i poster da attaccare ai muri, le sagome dei Peanuts da collocare in giro, insomma, si fan le quattro e non ce ne siamo neanche accorti.
E a questo punto si aprono le danze, o meglio, si aprirebbero se ci fosse qualcuno ma non c'è anima viva! Sento riaffiorare l'ansia degli ultimi giorni, mi torna il mente il sogno fatto un paio di notti fa in cui noi preparavamo tutto ma poi non veniva nessuno. Che fosse profetico? L'Albertini mi ucciderà.
E invece, poco a poco, qualcosa inizia a muoversi; la prima ora in realtà la passiamo chiacchierando, è arrivata anche la Zoffoli col suo carico di Lupo Alberto da donare alla causa e compaiono i primi bambini per partecipare al laboratorio per creare oggetti col sapone, organizzato parallelamente a Baràtt.
Solo verso le 17.30 avvistiamo tra i passanti i primi fumettari, facilmente riconoscibili dagli zainetti o dalle buste di plastica chiaramente carichi di materiale da scambio.
Fortunatamente Rico è dei nostri quindi, oltre a essere ferratissimo sui fumetti che ha donato lui, può anche offrire recensioni su gran parte del materiale disponibile. Io mi pavoneggio lanciando in giro occhiate soddisfatte, come a dire: quello lì, l'esperto, l'ho portato io!
Mi trovo anche spiazzata dalle richieste di alcuni genitori di acquistare i fumetti in mostra; spiego che possiamo solo barattarli perché a fine giornata i fumetti rimasti saranno donati al reparto di pediatria dell'ospedale e vedo qualche faccia di bambino parecchio delusa. Son momenti difficili.
Sono molte le persone che si fermano incuriosite ma, non avendo con sé fumetti da barattare, non è che si possa combinare molto... In diversi chiedono se saremo lì anche il giorno dopo ma mi tocca rispondere picche; provo comunque a suggerire a chi abita nei dintorni di fare un salto a casa a prendere qualche giornaletto ma in realtà non sono molto fiduciosa (andare avanti e indietro con i bambini al seguito è una faticaccia), immaginate quindi la mia faccia quando tre delle famiglie in questione tornano con il loro bel carico di fumetti e ne lasciano addirittura qualcuno in più "per quei bambini in ospedale". Ogni tanto è bello anche sbagliarsi (ogni tanto).
Arrivano le sette di sera e siamo effettivamente distrutti (oltre che quasi ibernati), però tutto sommato contenti (e tonicissimi, o forse è rigor mortis, chissà). Con l'aiuto degli amici sbaracchiamo tutto, sfruttando i nostri baldi uomini (Rico, Tommasoni e Gasperoni) per caricare in macchina gli scatoloni di fumetti che pesano come il piombo ma di cui non possono lamentarsi se non vogliono incrinare irrimediabilmente la loro immagine virile.
Una volta staccati anche i poster e i disegni dalle pareti, restano solo le sagome cartonate dei Peanuts che devono essere collocate in luogo sicuro e asciutto in attesa della restituzione; ci distribuiamo il sagomato carico e si parte.
Immaginatevi un gruppo di loschi figuri, ammantati dell'oscurità della notte e intabarrati fino al naso, che si aggirano per il centro di Cesena portando sotto braccio queste sagomone alte fino a un metro e mezzo.
Lungo la strada abbiamo incrociato molta gente già tirata a balestra e calatissima nel ruolo da sabato sera: donne taccate e paillettate, uomini sempre un po' sottotono (diciamocelo, la moda uomo fa una gran tristezza); i soggetti e le soggette di cui sopra ci squadravano con delle facce che erano uno spettacolo, neanche trasportassimo armi di distruzione di massa
Le persone non sanno come reagire di fronte all'inaspettato.
P.S. Valutazione sintetica post-Baràtt: tutto considerato direi che sono soddisfatta, non è venuta tantissima gente ma chi è venuto credo tornerà anche l'anno prossimo e alla fine siamo riusciti a raccogliere 220 fumetti e 10 libri per bambini.
P.P.S. I fumetti spaventosi che ha portato Lelli abbiamo pensato di rifilarli a Rico perché in pediatria han già i loro problemi senza che arriviamo noi a terrorizzargli i bambini.
giovedì 29 novembre 2012
martedì 20 novembre 2012
Tirar tardi e la nobile arte del fissar scarpe
E' domenica mattina e ho dormito fino a un orario che è meglio non precisare in caso mia mamma legga questo post e svenga; negli anni dell'adolescenza, a casa nostra chi voleva dormire oltre le 10 la domenica mattina si trovava immancabilmente ad affrontare tutto il casino immaginabile: scale spostate, porte sbattute, nonché la lucidatrice (oggetto ormai vintage) che misteriosamente finiva sempre con lo sbattere contro la porta della camera da letto, quasi si trattasse di una potentissima calamita attira-lucidatrici.
La genitrice in questione potrebbe obbiettare che i lavori son da fare e se uno ha solo la domenica non è che possa aspettare i comodi della bella addormentata di turno; tutto vero e tuttavia la disapprovazione per quelle debosciate che osavano poltrire fino a tardi era a dir poco palpabile.
Ma passiamo sopra questi traumi giovanili e arriviamo al punto. Oggi sono a casa da sola e ho deciso di approfittarne per farmi i pancake, ovviamente non per colazione ma al posto del pranzo; potrei tirarmela e dire che è per il brunch ma è inutile ammantare di forestiero la cruda realtà, oggi si stravizia, punto.
La scelta dei pancake è in effetti un po' obbligata, essendo che ho finito il pane da toast e non l'ho ancora rifatto, lo stesso dicasi del pane normale (è un periodo in cui la voglia di fare non mi appartiene).
Dopo aver divorato i primi quattro pancake, debitamente ammantati di nutella o miele e cannella, mi rendo conto che c'è ancora parecchia pastella nella ciotola, peccato che io non abbia la benché minima intenzione di star lì a cuocere altre frittelle quindi butto tutto sulla piastra, originando un simpatico frisbee pastelloso. Certo che una volta fatto non posso mica buttarlo via (a casa Riluttanza non si butta via niente) quindi mi faccio coraggio e lo attacco con la teoria dei piccoli passi, tagliandone delle fette e, poco a poco, il mostro è sconfitto (in compenso io sono tonfa, digerirò forse dopodomani).
Una volta estratta la prima fetta, guardando il piatto mi son trovata davanti un enorme Pac-Man e il pensiero è inevitabilmente corso allo stimatissimo Signor Croci che nella giornata di ieri ha inaugurato a Bologna lo Spazio Tilt, l'avanguardia di quello che sarà il futuro Museo del Flipper a Bologna.
Le mie performance/aberrazioni culinarie erano accompagnate da una colonna sonora radiofonica, inizialmente Per favore parlate al conducente, seguito da Yes weekend, mentre la parte degustativa era corredata dalla lettura dell'immancabile rivista in cui stamattina si sottolineava l'assoluta imprescindibilità del golfino di cachemire e del tubino nero nel guardaroba di qualsiasi donna. Ops!
Mentre lottavo col Godzilla-pancake in radio si parlava di questo fenomeno musicale degli shoe gazers; la mia prima reazione è stata: chi xxx sono sti shoe gazer? Seguita immediatamente da: certo che non so proprio una mazza! Per fortuna altri ascoltatori condividevano le mie difficoltà quindi i conduttori sono corsi in nostro aiuto, rivelandoci che questi fissatori di scarpe venivano così definiti perché durante il concerto, invece di guardare il pubblico, passavano tutto il tempo a fissarsi i piedi. Forse sarà stata l'influenza della rivista che avevo davanti ma è sorto spontaneo il parallelo con quelle fighine che vanno in giro con l'aria annoiata e il broncio, fingendo di non interessarsi a nulla e a nessuno, convinte sostenitrici del Teorema di Ferradini nel quale un tizio sostiene che più te la tiri e prendi a pesci in faccia il prossimo, più questo prossimo ti desidererà. Cosa non troverebbe in lui un buono psichiatra (cit.).
In realtà basta una rapida occhiata a wikipedia per far luce sul mistero: i signori in questione facevano smodato uso di pedalini (effetti per chitarra) per cui gli toccava guardar sempre per terra onde evitare di pestare il pulsante sbagliato e combinare un casino. In effetti mi è capitato in più di un'occasione di osservare il palco intorno ai musicisti e notare quell'ammasso di cavi e accrocchi vari chiedendomi quanto fosse alto il rischio di rimanere fulminati, soprattutto con tutti quei bicchieri pieni nei paraggi.
Adesso mi viene il dubbio che l'espressione assorta e pensierosa che si nota a volte sul volto del musico di turno non sia da attribuire a chissà quali tormenti esistenziali che gli dilaniano l'essere, bensì al più prosaico sforzo di concentrazione richiesto per ricordare quale maledetto pedalino deve pigiare tra i trenta che ha davanti.
Poi qualcuno dovrà anche spiegarmi come mai, nonostante le infinite possibilità che l'italiano ci offre, non abbiamo trovato di meglio che chiamare sti aggeggi pedalini (non è che pretenda proprio una parola nuova di zecca ma fate almeno uno sforzo, anche solo un passettino: magari pedaletti o pedalozzi); la prima volta che ho sentito Rico parlare di un video tutorial per imparare a usare i pedalini confesso che mi ero un po' preoccupata...
La genitrice in questione potrebbe obbiettare che i lavori son da fare e se uno ha solo la domenica non è che possa aspettare i comodi della bella addormentata di turno; tutto vero e tuttavia la disapprovazione per quelle debosciate che osavano poltrire fino a tardi era a dir poco palpabile.
Ma passiamo sopra questi traumi giovanili e arriviamo al punto. Oggi sono a casa da sola e ho deciso di approfittarne per farmi i pancake, ovviamente non per colazione ma al posto del pranzo; potrei tirarmela e dire che è per il brunch ma è inutile ammantare di forestiero la cruda realtà, oggi si stravizia, punto.
La scelta dei pancake è in effetti un po' obbligata, essendo che ho finito il pane da toast e non l'ho ancora rifatto, lo stesso dicasi del pane normale (è un periodo in cui la voglia di fare non mi appartiene).
Dopo aver divorato i primi quattro pancake, debitamente ammantati di nutella o miele e cannella, mi rendo conto che c'è ancora parecchia pastella nella ciotola, peccato che io non abbia la benché minima intenzione di star lì a cuocere altre frittelle quindi butto tutto sulla piastra, originando un simpatico frisbee pastelloso. Certo che una volta fatto non posso mica buttarlo via (a casa Riluttanza non si butta via niente) quindi mi faccio coraggio e lo attacco con la teoria dei piccoli passi, tagliandone delle fette e, poco a poco, il mostro è sconfitto (in compenso io sono tonfa, digerirò forse dopodomani).
Una volta estratta la prima fetta, guardando il piatto mi son trovata davanti un enorme Pac-Man e il pensiero è inevitabilmente corso allo stimatissimo Signor Croci che nella giornata di ieri ha inaugurato a Bologna lo Spazio Tilt, l'avanguardia di quello che sarà il futuro Museo del Flipper a Bologna.
Le mie performance/aberrazioni culinarie erano accompagnate da una colonna sonora radiofonica, inizialmente Per favore parlate al conducente, seguito da Yes weekend, mentre la parte degustativa era corredata dalla lettura dell'immancabile rivista in cui stamattina si sottolineava l'assoluta imprescindibilità del golfino di cachemire e del tubino nero nel guardaroba di qualsiasi donna. Ops!
Mentre lottavo col Godzilla-pancake in radio si parlava di questo fenomeno musicale degli shoe gazers; la mia prima reazione è stata: chi xxx sono sti shoe gazer? Seguita immediatamente da: certo che non so proprio una mazza! Per fortuna altri ascoltatori condividevano le mie difficoltà quindi i conduttori sono corsi in nostro aiuto, rivelandoci che questi fissatori di scarpe venivano così definiti perché durante il concerto, invece di guardare il pubblico, passavano tutto il tempo a fissarsi i piedi. Forse sarà stata l'influenza della rivista che avevo davanti ma è sorto spontaneo il parallelo con quelle fighine che vanno in giro con l'aria annoiata e il broncio, fingendo di non interessarsi a nulla e a nessuno, convinte sostenitrici del Teorema di Ferradini nel quale un tizio sostiene che più te la tiri e prendi a pesci in faccia il prossimo, più questo prossimo ti desidererà. Cosa non troverebbe in lui un buono psichiatra (cit.).
In realtà basta una rapida occhiata a wikipedia per far luce sul mistero: i signori in questione facevano smodato uso di pedalini (effetti per chitarra) per cui gli toccava guardar sempre per terra onde evitare di pestare il pulsante sbagliato e combinare un casino. In effetti mi è capitato in più di un'occasione di osservare il palco intorno ai musicisti e notare quell'ammasso di cavi e accrocchi vari chiedendomi quanto fosse alto il rischio di rimanere fulminati, soprattutto con tutti quei bicchieri pieni nei paraggi.
Adesso mi viene il dubbio che l'espressione assorta e pensierosa che si nota a volte sul volto del musico di turno non sia da attribuire a chissà quali tormenti esistenziali che gli dilaniano l'essere, bensì al più prosaico sforzo di concentrazione richiesto per ricordare quale maledetto pedalino deve pigiare tra i trenta che ha davanti.
Poi qualcuno dovrà anche spiegarmi come mai, nonostante le infinite possibilità che l'italiano ci offre, non abbiamo trovato di meglio che chiamare sti aggeggi pedalini (non è che pretenda proprio una parola nuova di zecca ma fate almeno uno sforzo, anche solo un passettino: magari pedaletti o pedalozzi); la prima volta che ho sentito Rico parlare di un video tutorial per imparare a usare i pedalini confesso che mi ero un po' preoccupata...
P.S. Consiglio vivamente di dare un’occhiata al video di Teorema per l’accurata e azzeccatissima scelta delle immagini. Come sempre le perle le scopri per caso.
P.P.S. Chissà quali pedalini avranno usato…
P.ecc ecc S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press
Etichette:
bologna,
brunch,
chitarra,
flipper,
godzilla,
musicista,
pancake,
pane,
performance,
ridere,
stonehand
lunedì 12 novembre 2012
Un toro nel baule dei ricordi
Qualche giorno fa stavo esaminando alcuni appunti presi durante i cinque giorni di campeggio fatti in agosto; rileggendoli con calma mi sono resa conto che non c'è molto da aggiungere, parlano da soli, almeno a giudicare dalle risate che ho sentito mentre li leggevo a voce alta.
Ho deciso quindi di pubblicare gli appunti come mamma li ha fatti, limitandomi a qualche commento, rigorosamente in corsivo, onde preservare l'integrità del testo.
Mi limito a precisare che siamo intorno a Ferragosto e ci troviamo in un campeggio nell'Appennino marchigiano e, proprio sopra di noi, hanno piantato le tende alcuni padri con giovanissima prole al seguito. Le mogli, astutamente, sono rimaste a casa.
Stamattina celestiale rumore di spicchettamento tende. Vasco Rossi a palla poi qualcuno gli avrà detto di abbassare. Finalmente spengono Vasco e dopo un po' uno dice "che pace!"
Mamma che aiuta il figlio a fare i compiti: "se ti sbagli ti do un cazzotto".
Rico beve il caffè nel barattolo dei peperoni ripieni di tonno che conteneva il pesto (fatto in casa) consumato la prima sera. Se vi gira la testa, è comprensibile.
C'è un gruppo di anziani che soggiorna qua tutta l'estate; oggi tagliano un albero secco e gli uomini si sentono molto virili e dicono donne state indietro che sono emozioni troppo forti per voi. Avrebbe senso se segassero con la sega a mano ma la sega elettrica non è molto virile. Il lavoro palloso, scortecciare il tronco per farci una staccionata, l'han fatto tutto le donne. Campeggio specchio del mondo. Vanno a lavare insieme ma lui se ne sta in piedi e rompe le palle con domande idiote a lei che lava.
A un certo punto tale Corrado si allontana mentre proseguono i lavori e uno gli urla "Corrado! Non siam mica in comune qua, quando si lavora, si lavora!"
Mamma: "Luca smettila! Come ti ho fatto ti distruggo!"
Rico spalma una mosca su pane e nutella .
Andando in macchina a Pennabilli mi trovo dietro una 500 di un indigeno che mi sta attaccata al culo probabilmente xk sa la strada. Ansia. Dietro una curva a gomito trovo un toro e tre mucche in mezzo alla strada.
Mi è venuto un colpo, ho inchiodato e quello della 500 per fortuna ha fatto lo stesso.
Dopo qualche secondo Rico mi dice: "prova a farli spostare, vai avanti con la macchina!"
L'ho guardato malissimo, e le corna del toro dove le mettiamo? Va là che, se proprio vuole, il toro se lo sposta lui, io sto in macchina e non fiato.
E così ho fatto, io fissavo il toro e lui fissava me, i due minuti più lunghi del mondo poi, finalmente, una delle mucche è partita e gli altri le sono andati dietro, toro compreso.
E' stato solo per qualche secondo, però il dubbio della candid camera l'ho avuto.
Ho deciso quindi di pubblicare gli appunti come mamma li ha fatti, limitandomi a qualche commento, rigorosamente in corsivo, onde preservare l'integrità del testo.
Mi limito a precisare che siamo intorno a Ferragosto e ci troviamo in un campeggio nell'Appennino marchigiano e, proprio sopra di noi, hanno piantato le tende alcuni padri con giovanissima prole al seguito. Le mogli, astutamente, sono rimaste a casa.
****
Sono le 23.30, i cinni e soprattutto quei dementi dei loro babbi, dopo aver fatto tutto il casino possibile adesso si raccontano barzellette. Uno dei babbi dementi minaccia di fare una scoreggia. E' una cosa avvilente vedere degli adulti con la maturità psico-intellettuale di una vongola. Pavaiotte (farfalle) ovunque. Alla fine pure l'Angelo di Dio in coro.Stamattina celestiale rumore di spicchettamento tende. Vasco Rossi a palla poi qualcuno gli avrà detto di abbassare. Finalmente spengono Vasco e dopo un po' uno dice "che pace!"
Mamma che aiuta il figlio a fare i compiti: "se ti sbagli ti do un cazzotto".
Rico beve il caffè nel barattolo dei peperoni ripieni di tonno che conteneva il pesto (fatto in casa) consumato la prima sera. Se vi gira la testa, è comprensibile.
C'è un gruppo di anziani che soggiorna qua tutta l'estate; oggi tagliano un albero secco e gli uomini si sentono molto virili e dicono donne state indietro che sono emozioni troppo forti per voi. Avrebbe senso se segassero con la sega a mano ma la sega elettrica non è molto virile. Il lavoro palloso, scortecciare il tronco per farci una staccionata, l'han fatto tutto le donne. Campeggio specchio del mondo. Vanno a lavare insieme ma lui se ne sta in piedi e rompe le palle con domande idiote a lei che lava.
A un certo punto tale Corrado si allontana mentre proseguono i lavori e uno gli urla "Corrado! Non siam mica in comune qua, quando si lavora, si lavora!"
Mamma: "Luca smettila! Come ti ho fatto ti distruggo!"
Rico spalma una mosca su pane e nutella .
Andando in macchina a Pennabilli mi trovo dietro una 500 di un indigeno che mi sta attaccata al culo probabilmente xk sa la strada. Ansia. Dietro una curva a gomito trovo un toro e tre mucche in mezzo alla strada.
Mi è venuto un colpo, ho inchiodato e quello della 500 per fortuna ha fatto lo stesso.
Dopo qualche secondo Rico mi dice: "prova a farli spostare, vai avanti con la macchina!"
L'ho guardato malissimo, e le corna del toro dove le mettiamo? Va là che, se proprio vuole, il toro se lo sposta lui, io sto in macchina e non fiato.
E così ho fatto, io fissavo il toro e lui fissava me, i due minuti più lunghi del mondo poi, finalmente, una delle mucche è partita e gli altri le sono andati dietro, toro compreso.
E' stato solo per qualche secondo, però il dubbio della candid camera l'ho avuto.
Etichette:
ansia,
campeggio,
famiglia,
ferragosto,
montagna,
pennabilli,
ridere,
toro,
vacanza,
vasco rossi,
viaggio
domenica 4 novembre 2012
Il titolo trovatelo voi, io vado a letto
Questo post è diverso da quelli che ho scritto finora, lo sto scrivendo di getto dalla camera di albergo in cui mi trovo stasera (domani lavoro, ogni tanto tocca).
Devo scrivere, mi serve, ne ho bisogno, è un modo per elaborare magari non i traumi perché non son cose così drammatiche, ma tutto quell'insieme di cose che ti capitano e ti fanno arrivare a fine giornata che ti sembra di aver tutte le ossa rotte, le spalle che scrocchiano indurite dalla tensione, la mandibola rigida, insomma, sono uno straccio.
Ieri pomeriggio ho deciso di partire in treno invece che in auto, principalmente perché mi hanno informato che l'albergo in cui dormirò martedì sera è di fianco alla stazione di Milano Centrale e, non so voi, ma quando io immagino un girone infernale coi suoi bei dannati sparsi tutt'intorno intenti a dannarsi, non è un quadro tanto diverso da quello dellle strade intorno a Milano alle sette di sera.
Il pensiero di dover guidare da Novara fin nel centro di Milano mi faceva coagulare il sangue quindi...a me treno!
Ovviamente quando decidi all'ultimo momento non hai molto da scegliere quindi oggi ho cambiato tre treni, uno più bello dell'altro. Anch'io però ci ho messo del mio: arrivata in stazione a Bologna ho visto che il mio treno per Milano partiva dal binario 3ovest quindi, dopo aver comprato qualche panino, ho seguito le indicazioni lungo il sottopassaggio e dopo aver fatto un giro dell'oca sono approdata davanti a un binario con scritto 3. Tutto regolare, sono salita e mi sono seduta su una panchina per consumare il mio frugale pasto; dopo un po' mi sono resa conto che il panorama di cui godevo mi era molto familiare (strano, ai binari ovest non vado mai...). C'è voluto poco per capire che ero al binario 3 normale, a forza di giri assurdi mi ero persa.
A questo punto è inutile trovare delle attenuanti, non si può dire che ho delle difficoltà di orientamento, che in termini di localizzazione sono diversamente abile, la verità è che sono invornita e quando vado in giro mi dovrebbero dare l'accompagno.
Comunque per fortuna c'era ancora tempo e il treno alla fine l'ho preso.
Seduta dall'altra parte del corridoio c'era una ragazza piena di valigie, incluso un boh, violoncello? nella sua bella custodia che ovviamente teneva il posto di una persona. A tutti quelli che arrivavano lei spiegava, scusandosi, che con il controllore aveva provato a metterlo sul porta pacchi ma non ci stava e quindi... A un certo punto è arrivata una signora, o meglio, una viaggiarice, che ha fatto il diavolo a quattro perche questa ragazza occupava troppo posto e ha rotto fino a che è riuscita a sedersi,obbligando la ragazza a tenere lo strumento in piedi nel corridoio dove dava danno a chiunque passasse. A quel punto delle quattro persone sedute nessuna riusciva a muoversi, erano assolutamente incastrate. Tempo un quarto d'ora e l'ineffabile viaggiatrice si alza e chiede di farla passare perché....deve scendere. Giuro, è scesa dopo un quarto d'ora. Gli sguardi increduli si sprecavano, lei però non ha fatto una piega (ma forse quello era il botulino).
L'ultimo treno ha dato il massimo: ero appena salita quando è saltata la corrente, poi è partito, ha fatto dieci metri è si è fermato; dopo un po' è ripartito e poco dopo si è fermato in un luogo isolato, era buio e pioveva, per fortuna non è saltata la corrente altrimenti era da panico.
Insomma alla fine scendo dal treno con trenta minuti di ritardo, fuori diluvia e mi tocca prendere un taxi perché questo benedetto albergo è a casa di dio ma evidentemente nella casa di campagna di dio, quella persa nel nulla. Il tassista mi toglie anche il sangue ma almeno sono finalmente arrivata.
Prendo la chiave della camera e vado verso l'ascensore, che è uno di quei cosi tutti in metallo con le porte in metallo degli anni sessanta che si vede che in quegli anni non c'era la claustrofobia perché è piccolissimo, ci sto io con la valigia e basta. Arrivo in camera e la camera è come l'ascensore ma non importa mi dico, ci devo solo dormire un paio di notti.
Però
Però
Disfo la valigia e apro l'armadio per sistemare i vestiti: non c'è un appendino per i pantaloni, ci sono sei grucce ma nessuna ha la barra orizzontale per i pantaloni, per cui i pantaloni finiscono sulla sedia, se domani qualcuno nota le pieghe, diro che è il nuovo effetto crease.
Il cellulare è scarico quindi tiro fuori il caricatore e cerco una presa; non ci vuole molto a scoprire che l'unica presa in tutta la camera è in bagno quindi mi rassegno e telefono a Rico seduta sul water. Per fortuna il cavo di alimentazione del pc mi pernmette di arrivare almeno al letto, altrimenti anche questo post l'avrei scritto sul water.
Al telefono mi sono beccata un cazziatone da Rico perché per cena questa sera ho comprato solo cracker, fonzies e m&ms in stazione; in effetti non è una gran cena quindi guardo tra le informazioni dell'albergo per vedere gli orari del ristorante, potrei mangiare un'insalata...peccato che per misteriose ragioni il ristorante sia aperto solo dal lunedì al giovedì e oggi sia domenica. Vabbè, vediamo cosa c'è nel minibar. Apro lo sportellino e, a questo punto, mi aspetto perlomeno che il frigo sia vuoto ma invece non c'è neanche il frigo, c'è il vuoto e poi il muro, come se qualcuno si fosse fregato il frigobar.
Credo di non aver dimenticato niente, adesso scusate ma vado a letto, è stata una giornata intensa.
Devo scrivere, mi serve, ne ho bisogno, è un modo per elaborare magari non i traumi perché non son cose così drammatiche, ma tutto quell'insieme di cose che ti capitano e ti fanno arrivare a fine giornata che ti sembra di aver tutte le ossa rotte, le spalle che scrocchiano indurite dalla tensione, la mandibola rigida, insomma, sono uno straccio.
Ieri pomeriggio ho deciso di partire in treno invece che in auto, principalmente perché mi hanno informato che l'albergo in cui dormirò martedì sera è di fianco alla stazione di Milano Centrale e, non so voi, ma quando io immagino un girone infernale coi suoi bei dannati sparsi tutt'intorno intenti a dannarsi, non è un quadro tanto diverso da quello dellle strade intorno a Milano alle sette di sera.
Il pensiero di dover guidare da Novara fin nel centro di Milano mi faceva coagulare il sangue quindi...a me treno!
A questo punto è inutile trovare delle attenuanti, non si può dire che ho delle difficoltà di orientamento, che in termini di localizzazione sono diversamente abile, la verità è che sono invornita e quando vado in giro mi dovrebbero dare l'accompagno.
Comunque per fortuna c'era ancora tempo e il treno alla fine l'ho preso.
Seduta dall'altra parte del corridoio c'era una ragazza piena di valigie, incluso un boh, violoncello? nella sua bella custodia che ovviamente teneva il posto di una persona. A tutti quelli che arrivavano lei spiegava, scusandosi, che con il controllore aveva provato a metterlo sul porta pacchi ma non ci stava e quindi... A un certo punto è arrivata una signora, o meglio, una viaggiarice, che ha fatto il diavolo a quattro perche questa ragazza occupava troppo posto e ha rotto fino a che è riuscita a sedersi,obbligando la ragazza a tenere lo strumento in piedi nel corridoio dove dava danno a chiunque passasse. A quel punto delle quattro persone sedute nessuna riusciva a muoversi, erano assolutamente incastrate. Tempo un quarto d'ora e l'ineffabile viaggiatrice si alza e chiede di farla passare perché....deve scendere. Giuro, è scesa dopo un quarto d'ora. Gli sguardi increduli si sprecavano, lei però non ha fatto una piega (ma forse quello era il botulino).
L'ultimo treno ha dato il massimo: ero appena salita quando è saltata la corrente, poi è partito, ha fatto dieci metri è si è fermato; dopo un po' è ripartito e poco dopo si è fermato in un luogo isolato, era buio e pioveva, per fortuna non è saltata la corrente altrimenti era da panico.
Insomma alla fine scendo dal treno con trenta minuti di ritardo, fuori diluvia e mi tocca prendere un taxi perché questo benedetto albergo è a casa di dio ma evidentemente nella casa di campagna di dio, quella persa nel nulla. Il tassista mi toglie anche il sangue ma almeno sono finalmente arrivata.
Prendo la chiave della camera e vado verso l'ascensore, che è uno di quei cosi tutti in metallo con le porte in metallo degli anni sessanta che si vede che in quegli anni non c'era la claustrofobia perché è piccolissimo, ci sto io con la valigia e basta. Arrivo in camera e la camera è come l'ascensore ma non importa mi dico, ci devo solo dormire un paio di notti.
Però
Però
Disfo la valigia e apro l'armadio per sistemare i vestiti: non c'è un appendino per i pantaloni, ci sono sei grucce ma nessuna ha la barra orizzontale per i pantaloni, per cui i pantaloni finiscono sulla sedia, se domani qualcuno nota le pieghe, diro che è il nuovo effetto crease.
Il cellulare è scarico quindi tiro fuori il caricatore e cerco una presa; non ci vuole molto a scoprire che l'unica presa in tutta la camera è in bagno quindi mi rassegno e telefono a Rico seduta sul water. Per fortuna il cavo di alimentazione del pc mi pernmette di arrivare almeno al letto, altrimenti anche questo post l'avrei scritto sul water.
Al telefono mi sono beccata un cazziatone da Rico perché per cena questa sera ho comprato solo cracker, fonzies e m&ms in stazione; in effetti non è una gran cena quindi guardo tra le informazioni dell'albergo per vedere gli orari del ristorante, potrei mangiare un'insalata...peccato che per misteriose ragioni il ristorante sia aperto solo dal lunedì al giovedì e oggi sia domenica. Vabbè, vediamo cosa c'è nel minibar. Apro lo sportellino e, a questo punto, mi aspetto perlomeno che il frigo sia vuoto ma invece non c'è neanche il frigo, c'è il vuoto e poi il muro, come se qualcuno si fosse fregato il frigobar.
Credo di non aver dimenticato niente, adesso scusate ma vado a letto, è stata una giornata intensa.
Etichette:
blackout,
claustrofobia,
inferno,
lavoro,
musicista,
ridere,
ritardo,
stanchezza,
treno
Iscriviti a:
Post (Atom)