Mi è sempre piaciuto quando fuori diluvia e tu sei in casa al calduccio e, con una tazza di tè in mano e una coperta sulle ginocchia, osservi la pioggia che cade e magari il pensiero corre sadicamente a quei diversamente fortunati i quali, per millemila motivi, devono uscire e affrontare il traffico con quel tempo da lupi.
Ovvio che le cose cambiano quando l'H2O che era fuori ti entra improvvisamente in casa.
Enrico è in cantina e sta osservando i rivoletti d'acqua che scendono lungo il muro; lo guardo e immagino che, al pari mio, stia maledicendo i costruttori di questa casa che, non sappiamo se per incompetenza o tirchieria, ci hanno lasciato in eredità una parete che in caso di piogge abbondanti e prolungate, come quelle di questi giorni, tende a familiarizzare un po troppo con l'elemento e invita in casa acqua mai vista prima. Screanzata.
Fortunatamente la diga di stracci che abbiamo approntato si è rivelata efficace e convoglia allegramente i torrentelli verso il tombino dove un'apposita pompa ributterà l'ospite indesiderato fuori di casa.
Dato che star qui a fissare la diga non è di grande aiuto, me ne torno di sopra e, dopo aver lanciato una rapida occhiata fuori dalla finestra (niente di nuovo, sempre e solo acqua a catinelle), decido di rendermi utile e fare il pane: peso la farina, scaldo l'acqua, aggiungo lo zucchero e prendo il lievito madre dal frigo.
Vorrei che qualcuno mi avesse avvertito dell'odore pestilenziale che sprigiona questo lievito del demonio; dicono che col passare del tempo ci si abitua a tutto, però quel pugno nel naso ogni volta che apro la busta non sembra perdere vigore. Lo si potrebbe paragonare a un tecnico del pronto intervento che mangia solo gorgonzola e cipolla cruda ma è molto bravo a far tutti quei piccini intorno a casa che saltano sempre fuori nel momento meno opportuno e rompono parecchio le balle: il rubinetto che perde, la serratura che non chiude bene ecc. Ecco, di fronte a questo lato enormemente positivo, il fatto che non sia proprio l'uomo Menthos passa in secondo piano e lo stesso accade con quel lievito: dopo aver assaggiato il pane prodotto da tale madre, ti tappi il naso e fai quello che devi fare, richiudendo la bustina il più presto possibile.
Una volta introdotti tutti gli ingredienti nella macchina secondo ricetta, spingo start e quella, con gemiti che sarebbero da registrare per la colonna sonora di un film horror, si mette al lavoro. Ottimo, non mi resta che dare una pulita e sistemare la cucina; afferro il sacchetto della farina integrale e, mentre lo sto chiudendo per riporlo, noto sulla parte posteriore dei forellini sospetti...no! No! Ti prego no! Svuoto con mani tremanti il contenuto del sacchetto in una ciotola e la verità è lì che se la ride sotto i baffi, tra la farina ci sono degli
insetti.
Nel frattempo la macchina del pane sta impastando con entusiasmo e fortunatamente i cigolii aiutano a coprire i lamenti e le madonne che produco io.
Setaccio attentamente la farina contaminata (ovviamente il problema non è con la farina bianca che si controllerebbe in due secondi ma con quella integrale che è piena di residui e pezzetti di cereali) e alla fine la sentenza è incontestabile, ho trovato tre farfalline.
E' a questo punto che gli anni della mia formazione scout fanno capolino, soprattutto le settimane di campeggio coi boccia, settimane in cui quei terroristi in erba cercavano di togliermi di mezzo propinandomi pasta caduta per terra, sciacquata sotto l'acqua per togliere la terra e poi condita, soffritto carbonizzato e quindi cancerogeno, nonché fricò avec sputazzi. Essendo sopravvissuta agli orrori culinari più impensabili (ci farò un post prima o poi), non posso fare a meno di pensare che in fondo sono solo tre farfalline, tutte proteine, e poi in forno cuoceranno a 220 gradi per 35 minuti, cosa vuoi che sia! Però mi viene in mente che quel pane dovrebbe mangiarlo anche Rico e lui magari il crostino gusto farfalline non lo apprezzerebbe; poco a poco ritorno in seno alla civiltà e, pur tra sospiri e maledizioni, fermo la macchina del pane e getto il dannato impasto e la farina integrale avanzata nel bidone dell'umido. Fosse per me gli darei fuoco ma l'impasto è bagnato...
Vabbè, niente pane fresco per per cena ma il pane comunque ci vuole, mi rimbocco le maniche e ricomincio tutto da capo (stavolta tutta farina bianca, l'integrale è finita); questa volta le cose procedono senza intoppi; quando la macchina finisce di impastare accendo il forno per la seconda lievitazione ed estraggo il cestello, rovesciando l'impasto sul piano di marmo, peccato che si stacchi anche il perno impastatore. Resto lì per un po' a fissare questo ammasso bianco con un perno metallico che spunta proprio in mezzo; non sono in grado di affrontare subito anche questa tragedia tecnologica, meglio mettere da parte il fatto e concentrarsi sull'impasto. Elimino il corpo estraneo, lavoro l'ammasso per un po' e poi lo metto nel forno tiepido per la seconda lievitazione. Solo a quel punto raccolgo le poche forze rimaste e guardo in faccia la realtà: la macchina del pane si è rotta. Non è che la cosa sia poi così sorprendente, in fondo quando era arrivata a noi l'impastatrice aveva già un bel po' di chilometri, sapevamo che prima o poi sarebbe successo ma, mi chiedo: proprio oggi, proprio adesso, proprio dopo tutto il resto?
Guardo fuori dalla finestra la pioggia che cade senza sosta e vedo sfilare un corteo di macchine, sono quelli che oggi uscivano sotto la pioggia e adesso tornano alle loro casette asciutte e si mangiano il loro pane fresco per cena. Che altro dire: karma.
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