Mentre aspettavo che scoccasse l'ora X, nella mia testa si affollavano i pensieri più assurdi: E se il microfono non funziona? E se il vicino del piano di sopra decide di attaccare un quadro e usa il trapano? E se cade un meterorite sulla centralina Telecom e si interrompe la connessione? Poi però è iniziato il collegamento su Zoom e tutto il resto è sparito, c'erano solo le slide e la lucina bianca in cima al pc, quella benedetta luce che puntualmente mi dimenticavo di guardare, presa com'ero a ricordarmi cosa dovevo dire in ogni slide. Sì perché qualche settimana prima avevo avuto una delle mie brillanti idee: essendomi accorta da tempo che quando proietti una slide tutti si mettono a leggerla e nessuno ti si fila più, ho deciso di scrivere sulle slide solo il minimo indispensabile, in modo che i partecipanti ascoltassero quello che avevo da dire.
L'idea era sensata e direi che ha funzionato, però non avevo considerato che le scritte sulle slide aiutano anche chi la presentazione la deve fare, quindi la sopracitata brillante idea mi aveva lasciato in balia della mia sola, vacillante memoria; in realtà avevo approntato anche un secondo schermo con degli appunti ma, se guardi gli appunti non guardi la stramaledetta lucina, e uno dei dogmi della comunicazione online è che devi sempre, comunque, a qualunque costo, parlare guardando la webcam. Fortunatamente avevo fatto molte prove nei giorni precedenti, quindi la memoria ha tenuto, quasi sempre.La cosa più fastidiosa della modalità online è stata il fatto che quando condividevo lo schermo e avviavo la presentazione delle slide, non vedevo più nessuno, quindi ogni tanto il cervello partiva per la tangente e iniziava a fantasticare: ci sarà ancora qualcuno dall'altra parte? Ed è pericolosissimo immaginare che non ci sia più nessuno di là dallo schermo perché, non so voi, io ho delle difficoltà a parlare senza un interlocutore umano; lo scorso Natale mi hanno regalato Google Home e il poverino da mesi se ne sta lì, abbandonato accanto alla televisione. Ho provato qualche volta a usarlo ma questa cosa di parlare con un oggetto inanimato mi inibisce; oltretutto spesso non capisce cosa dico e la cosa mi irrita, poi mi rendo conto che mi sto irritando con un altoparlante e l'irritazione cresce. Non c'è modo di uscirne in modo onorevole.
Una volta messo da parte il pensiero che tutti i partecipanti se ne fossero andati, proprio quando iniziavo a rilassarmi, ecco arrivarne un altro: magari sono ancora lì ma si stanno annoiando a morte e, preda della disperazione, hanno preso la Settimana Enigmistica e si sono messi a unire i puntini o annerire gli spazi, quelle attività che per me stanno appena un attimo prima di legarsi un mattone al collo e buttarsi giù da un ponte.
A pensarci bene però, non è che una presentazione tradizionale offra maggiori garanzie di attenzione da parte del pubblico. Negli ultimi vent'anni mi è capitato un sacco di volte, mentre traducevo chiusa nella mia cabina in fondo alla sala, di vedere gente nelle ultime file che faceva di tutto: chiacchierava, mangiava, leggeva il giornale, a volte addirittura dormiva con la testa abbandonata all'indietro. Tutto sommato mi è andata bene, se anche qualcuno ha annerito gli spazi mentre parlavo, si porterà il segreto nella tomba.
Tutti questi dubbi si sono fortunatamente risolti al momento delle domande, quando è diventato evidente che qualcuno mi aveva davvero ascoltato ed era pure abbastanza interessato da chiedere chiarimenti. Il momento delle domande mi ha riservato anche qualche sorpresa: mi hanno chiesto come ho imparato a scrivere, se ho fatto dei corsi o cose del genere e lì, su due piedi non sapevo bene cosa rispondere. Sì, perché quando ho aperto il blog io non mi sono proprio posta il problema: il blog era mio, oltretutto ero sul web con uno pseudonimo (Estrema Riluttanza), quindi ho adottato l'approccio E qui comando io, e questa è casa mia, sbattendomene bellamente di cosa avrebbe pensato chiunque non fosse uno degli amici che di solito leggevano le mie cronache su Facebook, una filosofia che sicuramente non aiuta a conquistare lettori ma ti rende la vita molto più facile.
Poi la palestra, quella che ti insegna davvero, te la fai negli anni, post dopo post, errore dopo errore. Se vogliamo darle un nome, si tratta del famoso metodo Trial and error che, detto così, suona molto figo ma in realtà si traduce in: quando sbaglio ci metto una pezza e spero di non farlo più.