E finalmente è arrivato il momento che tutti noi attendevamo da tempo: stasera si cena da Mohuro. Erano mesi e mesi che ogni tanto il Gaz buttava là un “la prossima settimana potremmo anche organizzare quella cena a casa mia” per poi tirare successivamente i remi in barca e non farne più parola con nessuno; alla fine l’abbiamo messo di fronte alle sue responsabilità di ospite e gli abbiamo strappato una data: sabato sera.
Come sanno quelli diligenti che hanno letto il prequel, proprio la sera prima il popolo (leggi io e Rico) aveva convinto il padrone di casa a modificare l’orario della cena anticipandolo di un’ora; poi però quando è arrivato il momento di prepararci, per una qualche inspiegabile ragione il popolo (leggi sempre io e Rico) è stato colpito da un attacco di flemma e tra una cosa e l’altra (non ultimo il fatto di dover trovare un parcheggio il sabato sera in centro - Mohuro ci vogliamo trasferire in periferia sì o no?!) è arrivato davanti al portone alle 20.50. Venti minuti di ritardo. Ops!
Proprio in quel momento è suonato il cellulare e sono stata apostrofata dalla voce della Rinaldi che tuonava “Dove siete?!!!!!!” In risposta ho suonato il campanello e siamo saliti di corsa. Ovviamente gli altri (la Clodia, Paul, Paolo e l’Ale) erano già tutti lì e Mohuro scalpitava, essendo che evidentemente aveva preparato il risotto per le 20.30, cosa da non fare quando si hanno ospiti un po’ indisciplinati come noi, in questi casi è sempre meglio garantirsi una mezzora di cuscinetto da trascorrere con un aperitivo, come fanno quelli di Cortesie per gli ospiti che, mentre il padrone di casa è in cucina, curiosano in giro per casa in attesa che arrivino tutti.
Una volta guadagnato il salotto ci siamo prostrati in scuse e abbiamo raggiunto gli altri che erano già tutti a tavola; Mohuro ci ha servito il risotto lamentando a gran voce il fatto che fosse scotto. A me è sembrato buonissimo e credo anche agli altri, almeno a giudicare da come volavano i piatti al momento del bis; sfortunatamente, anche con tutta la nostra buona volontà, non era umanamente possibile finire tutto il riso, essendo che lo chef aveva calcolato per la cena una dose più adatta a un reggimento di artiglieria da montagna che alla nostra timida tavola di sei persone. Per dare un’idea della situazione posso dire che dopo aver preso tutti il bis (io a onor del vero il tris) nella pentola ce n’era rimasto quasi un quarto. Per amor di precisione (e per evitare un cazziatone dall’interessata che non è una che le manda a dire) ci tengo a specificare che a tavola eravamo sette ma la Rinaldi, causa vegetarianismo, snobbava il risotto salsiccioso per la pasta di mais con sugo di verdure (vedi sempre il prequel, a chi non l’avesse letto consiglio di dargli un’occhiata prima di leggere questo, altrimenti perde le note fruttate del bouquet).
L’Albertini purtroppo non è potuta venire e ci è mancata assai.
Mentre noi a tavola si chiacchierava ingozzandoci di bis/tris di risotto, Mohuro in cucina ultimava i preparativi per secondo e contorno come farebbe un vero chef: facendo cadere da un mezzo metro di altezza l’olio per condire l’insalata, rovesciando patate al forno per ogni dove, insomma un gran buttasù. Tutto molto scenografico ma trattasi di un procedimento che richiede la massiccia presenza di personale di cucina che a fine battaglia rimuova i cadaveri; devo dire però che alla fine ha pulito tutto lui quindi con quello ci ha chiuso la bocca (quasi).
Di lì a poco ci sono stati serviti straccetti di vitello con rucola e aceto balsamico con contorno di patate al forno, il tutto ovviamente accompagnato dalle critiche dello chef che le patate non erano cotte, che gli straccetti erano duri ecc; l’unica cosa su cui non ha potuto infierire era l’insalata della Clodia che non offriva spunti sufficienti.
Come prevedibile abbiamo spazzato via ‘gniccosa mentre Mohuro ci intratteneva raccontandoci episodi della sua infanzia quando lui, fanciullo, gridava bestemmie da carrettiere per far incazzare la sua vicina di casa che gliene diceva di tutti i colori, mentre il di lei marito si divertiva un mondo. A questo argomento ha fatto seguito il delicato tema di come far desistere quelli che si fermano a fare pipì contro i cassonetti di fronte a casa sua e le possibili soluzioni attualmente allo studio, dal puntargli un fascio di luce contro infamandoli a gran voce, fino alla secchiata d’acqua fredda (di difficile realizzazione, date le distanze).
A coronamento del menù sono arrivati uno strudel fatto dall’Ale con le sue manine e delle tortine di pasta frolla con frutta opera della Rinaldi (che Mohuro, non so bene perché, aveva sistemato in terrazzo) e anche di questi è rimasto ben poco. Noi, i soliti buzzurri, oltre ad arrivare tardi abbiamo portato solo una misera bottiglia di vino.
Nel corso della serata, in un paio di occasioni ci siamo trovati a riflettere sul tenore della nostra conversazione che non era, diciamo, elevatissimo; ciò a causa del fatto che sfortunatamente gli invitati di un certo spessore culturale avevano già altri impegni e quindi si faceva il possibile con quello che c’era (cioè noi). In uno di questi momenti frivoli siamo rimasti attoniti nell'apprendere che il padrone di casa ignorava chi fosse Nicoletta Paciaroni (la famosa potente veggente, mica una di quei cartomantini) e quindi con la piena approvazione del Branzaglia che è uomo di mondo e queste cose le sa, abbiamo sequestrato il computer e ci siamo buttati su youtube alla ricerca di video tratti dalle sue trasmissioni (chi non la conosce può cliccare qui per farsi un'idea, per chi invece è già fan, qui c’è il video dell’altalena che è una vera gemma), il tutto per colmare le lacune della mohuronica istruzione. La conoscenza innanzitutto.
La serata è proseguita così, liscia e senza sforzo, fino a ora tarda. Congedatici dal padrone di casa siamo scesi fino al piano terra e qui dopo un’ultima goliardica scampanellata a Mohuro che ci ha risposto emettendo tutta una serie di suoni non ben identificati (direi un incrocio tra il barrito di un elefante e i versi di Jabba the Hutt), le nostre strade si sono divise, ciascuno diretto a casa propria, chi in macchina e chi, eroicamente, in bicicletta ma tutti attanagliati dallo stesso dubbio: quanti giorni gli ci vorranno per finire quel risotto?
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