mercoledì 4 gennaio 2012

Affrontando gli sgherri del Nero Signore, la nebbia e pure un caldo boia.

E’ un po’ che non scrivo un post di lavoro e questo potrebbe sembrare evidenza di un miglioramento delle condizioni professionali/umane; in realtà è solo che la pigrizia ha avuto il sopravvento e, in alcuni casi, la rimozione è stata l’inevitabile reazione al trauma.
Il lavoro di cui vi parlo oggi iniziava il pomeriggio di un venerdì e terminava il sabato all’ora di pranzo. Una cosa tranquilla, almeno sulla carta. Purtroppo sul programma l’orario d’inizio era le 14.30 quindi mi è toccato uscire di casa all’una, dovendo essere a destinazione per le due. Il viaggio non ha dato problemi, arrivata, parcheggiato e via verso il centro congressi.
Quando sono entrata in sala i tecnici, poveri, stavano ancora montando le cabine per la traduzione, mi sono avvicinata e mi hanno comunicato che non c’era posto sufficiente per inserire una porta normale, quindi avevano optato per una porta scorrevole sul retro della cabina. Purtroppo però la porta scorrevole in questione non scorreva neanche morta, trattandosi di una volgare asse di compensato rimediata lì per lì, per cui l’abbiamo lasciata aperta tutto il tempo e addio isolamento acustico. Il problema era però un altro, questa penuria di spazio li aveva obbligati a una sistemazione di fortuna, quindi per entrare in cabina mi è toccato appiattirmi contro il muro come una blatta e strisciare fino al pertugio, ringraziando il cielo che la corsa mi mantiene entro certi limiti di spessore oltre i quali non sarei mai riuscita a entrare, rimanendo probabilmente bloccata a mezza via in modo ben poco dignitoso. 
A rendere le cose ancor più gioiose ci aveva pensato l’addetto al sistema di condizionamento aria, impostando la temperatura della sala su quei 28-30 gradi. Ho iniziato a rimuovere il vestiario strato dopo strato (l’esperienza insegna che se c’è un caldo così in sala, dentro la cabina è come essere sul Sole) e, una volta rimasta in maniche corte, ho preso posizione. A quel punto abbiamo iniziato il controllo microfoni, un’operazione che se fila liscia ti occupa esattamente due minuti, se invece s’intoppa, son tragedie greche. Nel nostro caso ovviamente s’è intoppata, soprattutto perché quelli in regia con cui si doveva interfacciare il sistema per la traduzione simultanea, erano chiaramente posseduti dal Nero Signore.
Quando ho messo le cuffie per controllare che funzionasse l’audio, ho sentito una voce maschile che cantava una non meglio identificata ballata in cui l’autore magnificava le doti della sua bicicletta. E, prima che qualcuno possa chiedermelo, no, non ci avevo dato dentro con l’ammazzacaffè. Per i successivi venti minuti la situazione non si è modificata, nel senso che grazie a dio non si sentiva più il cantore di velocipedi, però non si sentiva nient’altro, se non qualche fischio fortissimo di tanto in tanto (evidente attentato ai miei timpani da parte degli indemoniati in regia). Aggiungo che grazie all’illuminato progetto di un geniale architetto, per avere accesso alla regia, i tecnici erano costretti a uscire dal centro congressi per poi entrare nella banca vicina e da lì percorrere un corridoio che portava all’antro della bestia. Mancava solo di dover far la riverenza e far la penitenza.
Tra un fischio e una maledizione mi sono improvvisamente resa conto che in sala c’eravamo solo io, i tecnici e le hostess; strano che non fosse arrivata neppure la mia collega, il convegno si supponeva iniziasse a minuti! Ho dato un’occhiata al pieghevole col programma e la rivelazione è arrivata con la dolcezza di un dito in un occhio: alle 14.30 era prevista solo la registrazione dei partecipanti ma il convegno vero e proprio iniziava alle 15. Avevo mangiato con l’imbuto per passare mezzora in più tra ronzii, biciclette e indemoniati. Son cose brutte che non dovrebbero capitare. Troppo poco pesce nella dieta.

Una volta arrivata anche la mia collega, siamo andate a parlare con il relatore ospite vip della giornata, un simpatico ottuagenario che ha esordito scusandosi per come parlava e aggiungendo allegramente che tutti gli dicevano sempre che era incomprensibile. Pur apprezzando il gesto, devo dire che aveva assolutamente ragione: intere frasi che volavano fuori dalla finestra in un susseguirsi di suoni assolutamente alieni. E con lui si è conclusa in gloria la prima giornata.
Il sabato mattina ho spalancato gli scuri abbastanza di buonumore, probabilmente al pensiero che tutto si sarebbe concluso entro pranzo; in realtà avrei potuto tranquillamente fare a meno di aprire le finestre al nuovo sole, c’era una nebbia da film horror di quelli di una volta. Dopo cinque minuti di guida in superstrada ero già stressatissima e ho iniziato ad aver delle visioni finché, all'udir la voce di Marco Masini che cantava perché ti fai del male, perché ce l'hai con te, ho scelto la Vita e mi sono messa dietro a un camion che mi ha amorevolmente accompagnato fin quasi a destinazione.
Chi tra voi ha sospirato di sollievo leggendo la frase qui sopra non deve aver letto molti dei miei post: non si pubblica niente che non superi una certa soglia di assurdità, abbiamo degli standard da rispettare. Ovviamente l'incubo era appena cominciato; in quell'edificio all'apparenza così innocuo mi aspettava una seconda erculea fatica a cui però non ero del tutto impreparata. Qualche giorno prima avevo ricevuto un file con il discorso di uno dei relatori del sabato, accompagnato da un commento della responsabile dell’agenzia di traduzione Buon divertimento! e devo dire che non aveva tutti i torti: a una prima (e seconda lettura) il testo risultava pressoché incomprensibile e il pensiero più agghiacciante era se scrive così male, chissà come parla!
Fortunatamente, il relatore in questione era indiano (dell’India, niente piume) e dunque facilmente individuabile, quindi siamo andate a chiedergli info sul suo discorso (ci avevano detto che non avrebbe avuto il tempo per leggere la relazione, grazie al cielo). E invece questo, tranquillo come pochi, ha detto che avrebbe letto il testo per intero (andando quindi alla velocità della luce, senza dar senso a niente), fregandosene altamente dei limiti di tempo imposti.
Se non altro eravamo riuscite a capire cosa aveva detto.
Alla fine di una mattinata sempre in bilico tra la candid camera e le comiche, abbiamo portato a casa la pelle, in un modo o nell'altro, nonostante alcuni momenti burrascosi in cui l’audio improvvisamente sveniva e la tentazione di raccontare una barzelletta si faceva forte; mi dà una certa soddisfazione poter affermare che siamo comunque riuscite, in barba a tutto e tutti, a fare un buon lavoro e il convegno si è concluso senza spargimento di sangue (qualcuno in regia però i capelli li perderà, temo, sempre che non li abbia già sacrificati al Nero Signore).


 Mentre navigavo alla ricerca della canzone sulla bicicletta, ho trovato questa che, pur non essendo quella giusta, penso possa rendere l'idea :)

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