giovedì 3 maggio 2012

Mi appello al 5° emendamento: James Taylor in concerto a Bologna

Come sempre, quello che inizia come un tranquillo momento musicale, poi finisce che finisce in traggedia.
Tutto è iniziato così:

C'è James Taylor a Bologna! Ci andiamo?
Mi sa che i biglietti son già finiti, però se li trovi io ci sono!

Il giorno dopo avevamo i biglietti. Non so se mia sorella li abbia strappati dalle mani di un cadavere ancora caldo o se abbia freddato qualcuno, son cose che è meglio non sapere. Fatto sta che i biglietti c’erano e quindi la sera in questione siamo arrivate belle pimpanti e in perfetto orario davanti al teatro Manzoni (anche grazie a una notevole botta di fortuna, parcheggio aggratis in una traversa di via Indipendenza); una volta ritirati i biglietti siamo andate di corsa a mangiarci due pizzette al taglio da Altero e all’ora X abbiamo varcato la soglia del teatro e guadagnato i nostri posti.
Dimenticavo di precisare che, prima di prendere posizione, abbiamo fatto un salto alla toilette e, dato che c’era un po’ di fila, nonostante dentro il mio cubicolo ci fosse un lavandino sono uscita per lasciare libero il posto, andando a lavarmi le mani nel lavandino comune; dopo averle accuratamente insaponate ho aperto il rubinetto per sciacquarle ma quello ha mandato due gocce e poi sciopero! Sono rimasta lì come una pipiloca con le mani gocciolanti e insaponate in attesa che si aprisse uno degli altri bagni. Decisamente un inizio col botto.

Come si può notare dalla foto, siamo arrivate in leggerissimo anticipo ma è andata meglio così, almeno siamo riuscite a fare quattro chiacchiere in tranquillità; quella che vedete qui è una foto del palco pre-concerto ed è anche l’unica che sono riuscita a scattare perché pare non si potessero fare fotografie, almeno a quanto ci ha detto l’omone-maschera del teatro che ci è piombato addosso alla prima foto scattata; a dir la verità non avevo visto cartelli con divieti ma l’uomo era parecchio grosso, non mi è parso il caso di mettermi a discutere.
Per tutta la prima parte del concerto il nostro eroe (la maschera, non James Taylor) si è spostato da una parte all’altra della platea, ammantato dell’oscurità della notte, ammonendo gente a destra e a manca, arrivando ad agitare le braccia tipo mulino a vento nel (vano) tentativo di dissuadere uno spettatore al piano di sotto dal fare altre foto. Un po’ come avere Batman come amministratore di condominio.

Devo dire che questa cosa ci ha assai rotto gli zebedei, provate voi a lasciarvi trasportare da Carolina in my mind mentre un energumeno lì davanti si lancia in segnalazioni che neanche un vigile urbano a Roma all’uscita del derby! Fossimo state a uno di quei concerti da pogo, nessuno si sarebbe accorto di nulla ma lì, al teatro Manzoni, al concerto di James Taylor che è uno dei concerti più tranquilli e posati che si siano mai visti! Fortunatamente a un certo punto il nostro uomo è uscito di scena, probabilmente per andare a frantumare le falangi del fu spettatore che fotografava imperterrito al piano di sotto e la pace è tornata a regnare.
Devo ammettere che io James Taylor di faccia non me lo ricordavo proprio quindi, quando all’inizio del concerto l’ho visto salire sul palco, questo spilungone che andava a sedersi sullo sgabello mi ha un po’ spiazzato, poi si è messo a cantare e lì andavi sul sicuro poteva essere solo lui.
E’ stato un concerto molto intimo, niente glamour, niente effetti speciali, solo lui, la band e noi; ho scoperto un uomo ironico, garbato e molto simpatico. E cosa dire della band? Anche se in un paio di occasioni si è temuto per le coronarie del batterista il quale, pur non essendo più un giovincello, suonava con una forza e un’energia che molti tinegers ci farebbero la firma, in generale i musicisti che lo accompagnavano filavano via senza una grinza, senza un inciampo e l’atmosfera sul palco sembrava quella di un gruppo di  amici di vecchia data (forse lo sono, non ne ho idea).
Spendo rapidamente due parole per quegli eroi dei tecnici del suono che si sono immolati per la causa, ho visto un poveretto che sarà rimasto dieci minuti acquattato di fianco alla batteria a fare dio solo sa cosa e immagino con che male alle ginocchia. Quando il gioco si fa duro, arriva il tecnico del suono.
A metà concerto c’è stato l’intervallo, anche se buona parte del pubblico sembrava non volerne sapere o forse temeva che l’uomo non sarebbe ricomparso, almeno a giudicare dagli applausi e i fischi con cui tentavano di trattenerlo sul palco; vista la situazione, JT ha mostrato il foglio con la scaletta della serata e poi ha mostrato il retro, indicando tutte le canzoni ancora da cantare; a  quel punto dopo una fragorosa risata dei presenti è riuscito a tornare in camerino a riprendere fiato.

Per tutta la durata dell’intervallo una mini folla si è accalcata intorno al palco (vedi foto) e ha fotografato tutto il fotografabile (gli strumenti? La scaletta? Lo sgabello? Boh), probabilmente una reazione al proibizionismo fotografico imperante quella sera. Lo spettacolo è stato molto gradevole, a tratti emozionante ma sempre pacato, le rare volte che noi tra il pubblico abbiamo avuto un esplosione di entusiasmo (escludiamo Batman l’agitatore di braccia), questa è presto tornata nei ranghi, come se non fosse quella la veste adatta per la serata.
Per gli ultimi pezzi, JT è stato raggiunto sul palco dalla moglie che ha cantato un paio di pezzi insieme a lui; su You got a friend devo dire che noi ci siamo guardate in faccia e abbiamo pensato entrambe era meglio prima, che è poi quello che ti viene da pensare quasi sempre quando senti la cover di una canzone che conosci bene (l’unica eccezione che mi viene in mente è One degli U2 nella versione di Johnny Cash).
Quindi tutto considerato una gran bella serata, di quelle che ti lasciano con una gioia sommessa, una felicità di cui parlare sottovoce per non farla scappare via.
A questo punto vi chiederete, giustamente, ma tutta sta traggedia di cui si parlava all’inizio dov’é? Era solo per far scena?
Magari.
Il giorno dopo a colazione sono  stata sottoposta all’interrogatorio di rito dal Farnedi. E’ andata più o meno così: Con chi suonava?
Qui mi ero preparata, non ho battuto ciglio. Batteria, tastiera e basso.
Ma chi erano? I nomi te li ricordi?
Cavolo, dovevo segnarmeli! Chino il capo sconfitta.  No, boh, il tastierista però suonava anche la clavietta.
L’uomo sospira. Le facce te le ricordi? Prova a descrivimeli.
Lo sapevo che finiva così. Boh, eravamo lontane! Il batterista aveva i capelli corti bianchi, il bassista credo lunghi con la coda.
Aveva gli occhiali?
Buio totale. Boh, credo avesse la barba.
Sembrava una partita a Indovina chi? Ma meno divertente.
….

Due giorni dopo mi è arrivato uno scappellotto, accompagnato da:
“C’era Steve Gadd, sant’Iddio! Steve Gadd!!!”

La vita non è tutta rose e fiori.




P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271







2 commenti:

  1. beh porca troia ...Steve Gadd, mica uno qualsiasi.

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  2. Come dice spesso la mia amica Chiara quando passiamo in macchina in posti ivi limitrofi ma al contempo sconosciuti
    "lasciarmi qui o in centro a Treviso, sarebbe la stessa cosa",
    Steve Gadd o Satomi dei Beehive...dico...cosa cambiaaaaaaa???!!!!!
    Un nome non fa primavera!

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