lunedì 28 maggio 2012

Estreme interviste affatto riluttanti

Un paio di settimane apro facebook e ci trovo un messaggio in attesa; lo apro pensando che sarà una di quelle ragazze che vuole proporre qualcosa per il fine settimana, e invece mi trovo un messaggio assolutamente totalmente spaventosamente inaspettato:

"Ciao, mi chiamo Mauro e conosco Rico (e lui conosce me). Ma non ti scrivo per via di Rico, ma per via del tuo blog. (...). Volevo farti una piccola intervista per il mio sito di scrittura (www.maurocorso.it) e parlare del tuo blog. E' molto semplice, ti mando un po' di domande con l'introduzione che voglio mettere e tu devi solo scrivere le risposte. Che ne pensi, sepoffa'? A presto,
Mauro"

Nel dubbio lo rileggo, magari non ho afferrato bene. Oh, a me par di capire che mi vuol fare un'intervista.
A me. Un'intervista. Rileggo. Ah dì, parrebbe così. Non avrà sbagliato persona? Però il riferimento al blog è troppo preciso. Provo lo stesso livello d'incredulità di quella volta che mi arrivò per mail la lettera della signora Mary Joseph, benedetta nel Signore.
Chiamo Rico, gli leggo il messaggio e alla fine concordiamo che non v'è dubbio alcuno: mi vuol proprio fare un'intervista. 
Intendiamoci, non è che non mi sia mai capitato di fare interviste, però in quei casi a nessuno fregava una cippa di quello che pensavo io, erano più che altro interessati al pensiero del guru/esperto/cervellone straniero che stavo traducendo. 
Un colpo di scena che certi sceneggiatori si sfregherebbero le mani.
Ovviamente rispondo subito subissandolo di ringraziamenti anche solo per il fatto che sia stato sfiorato dal pensiero di farmi un'intervista. Il giorno dopo mi arrivano le domande ma purtroppo quel fine settimana mi tocca un lavoro last minute a Firenze e tra l'incubo logistico e la fretta, non avrei il tempo di pensare. Decido di posticipare la cosa al lunedì (torno sabato notte e la domenica chissà in che stato sarò).

Quando finalmente mi ci metto, mi trovo un po' spiazzata, ci son delle domande a cui non sono proprio preparata, però mi piace questa cosa di andare a scavare per capire com'è che gira la mia testa. E parlarne con qualcuno che trova assolutamente naturale che tu scriva (ci ho messo parecchi anni prima di poter scrivere qualcosa senza sentirmi in colpa perché "perdevo tempo").

Ovviamente non sono mancati i momenti difficili (uno su tutti il trauma delle medie che riaffiora con prepotenza a distanza di decenni, cavolo se  ero fiera di quella favola) ma ripensandoci adesso è stata davvero una gran soddisfazione; secondo me dovrebbero lanciare sul mercato un servizio di sostegno all'autostima che nei momenti di sconforto ti contatta per chiederti un'intervista, così risollevi l'umore senza affossare le finanze in ore di shopping, che poi torni distrutto e col portafogli esaurito.
Tomò, Mastercard.


Per chi fosse curioso, ecco l'intervista


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