Appena ritirata la macchina siamo partiti verso le grotte laviche meta della gita e abbiamo scoperto quasi subito che a Lanzarote quando sei già all'interno di una rotonda devi dare tu la precedenza a quelli che entrano (il motivo mi sfugge); ci eravamo appena ripresi da questo shock culturale quando siamo entrati in un'altra rotonda che aveva ben tre semafori, uno per ciascuna uscita.
In sostanza le cose da loro vanno così (almeno in quella rotonda): tu entri nella rotonda e magari vorresti uscire alla seconda uscita ma non puoi perché il semaforo rosso proprio prima dell'uscita t'inchioda lì, insieme a tutti gli altri pellegrini che sono dietro di te e ne dicono di ogni. E qui francamente ci siamo scervellati ma una spiegazione non l'abbiamo trovata, se voi ci riuscite pregovi condividere in un commento.
In un precedente post vi avevo già descritto dettagliatamente le performance da gara degli autisti/piloti di bus, mi limito a segnalare che lungo la strada verso il nord (velocità max consentita 80km/h) conducevo la vettura appena sotto il limite quando sono stata superata in tromba da un bus che nel giro di un paio di minuti è sparito all'orizzonte; che fosse l'ennesimo sequel di Speed?
Appena passato l'omino che strappa il biglietto mi sono accorta di avere lasciato gli occhiali da vista in macchina e mi è toccato quindi tenere quelli da sole per tutta la visita (così, al naturale, non vedo una cippa). Per fortuna le grotte sono bolle di lava aperte in alto quindi il problema c'è stato solo per la discesa nella grotta-auditorium che è una grotta vera. Vedendomi laggiù al buio con gli occhiali da sole i colleghi turisti avran pensato che ero deficiente ma ho preferito la parvenza di deficienza all'ammazzarmi mettendo un piede in fallo mentre andavo su e giù per ste grotte.
Misteriosamente, tra gli altri visitatori c'erano un paio di donne (una delle due è nella foto qui a lato) che calzavano zeppe trampolate tacco 12 e che sono uscite indenni da salite e discese nonostante i gradini decisamente sconnessi. Che altro dire, chapeau.
Mentre ce ne stavamo seduti in una angolo ad ammirare il lavoro del famoso Manrique, uno stile un po' james bond anni sessanta, ci è passata di fianco una turista spagnola con il figlio al seguito che faceva una curiosa maletta (la lagna è internazionale, tipo esperanto); dopo l'ennesima geremiade, lei si è girata e ha sbottato "Déjame en paz, no me cuentes tu vida!" (lasciami in pace, non raccontarmi la storia della tua vita!) e noi avremmo tanto voluto farle un applauso ma avrebbero capito che stavamo origliando quindi ci è toccato tacere. Mannaggia.
Sulla strada del ritorno abbiamo fatto una piacevolissima sosta al giardino botanico di piante grasse, realizzato all'interno di una ex cava sempre dalla felice mano di Manrique; piante di ogni genere (alcune sembravano cervelli) e di dimensioni a volte impressionanti, soprattutto per noi tipi umidi e nebbiosi abituati al cactus soprammobile. Anche in questo caso, come nei precedenti, l'intervento umano era in totale armonia con l'ambiente naturale, in alcuni casi praticamente invisibile.
L'ultima gità è stata al parco nazionale del Vulcano Timanfaya, paesaggio lunarissimo e inquietante, meraviglioso nonostante la marea di turisti presenti nell'unica zona aperta al pubblico; il resto è visitabile solo facendo un tour sull'autobus blindato, tour che abbiamo ovviamente fatto scattando molte foto, tutte col riflesso del vetro, sigh. Abbiamo percorso questa strada stretta e tortuosa, passando attraverso dune sabbiose grigio scuro, rocce rosso ruggine, colline con striature verdi, fino al gran finale, proprio davanti alla bocca del vulcano. Siamo rimasti a bocca aperta spesso.
Essendo partiti per una vacanza di tre settimane con il solo bagaglio a mano (rigorosamente 10 kg tutto compreso, la Ryanair non fa sconti) abbiamo fatto un paio di lavatrici nella locale lavanderia a gettoni (usando lo shampoo come detersivo) e, dovendo aspettare i 40 minuti d'ordinanza, siamo andati a mangiare qualcosa al vicino pub inglese, dove la barista britannica doc ci ha portato due ottimi hamburger e spiegato le regole del campionato di freccette che stavano trasmettendo sul megaschermo davanti a noi (c'era uno stadio pieno di gente urlante che brandiva manone di gommapiuma, e cantava slogan, è stata un'esperienza).
Avviandomi alla conclusione, non posso esimermi dall'esprimere un sentito ringraziamento a mia sorella la quale, avendomi ceduto il suo smartphone (lei ha fatto l'upgrade) mi ha tolto dagli stracci, permettendomi di utilizzare la connessione wifi dell'appartamento di Lanzarote, senza la quale avrei scritto la metà dei post. Sia lodata ora e sempre.
Un altro pensiero va a quegli amici che l'anno scorso mi hanno regalato la maglietta che vedete nella foto, permettendomi di pubblicizzare il mio blog anche all'estero. Denghiù.