Nel caso specifico delle costolette, che a casa mia si fanno impanate e fritte, la cosa è più subdola perché all'inizio il croccante t'inganna (sospetto che impanato sia buono anche un copertone) ma neanche il fritto può fare miracoli quindi a metà del primo boccone, ecco che ti assale ferocemente l'ovino e tu rimani lì e subisci tutto senza poter reagire.
Secondo me l'agnello dovrebbe essere cibo non da pasqua ma da quaresima, quando tutto è pianto e stridore di denti, pero' mi rendo conto che è un problema mio e che c'è gente che (inspiegabilmente) l'agnello l'adora, quindi basta lamentele e andiamo avanti.
Stamattina abbiamo deciso di andare a vedere il parco naturale di dune di Corralejos, paradiso indiscusso dei surfisti. Pur essendoci un comodissimo autobus che passa dietro il nostro appartamento e arriva direttamente la', Rico insiste per andare a piedi, indicando il tragitto sulla cartina e sostenendo che non e' poi cosi' lontano, a nulla vale sottolineare che secondo alcuni la cartina non riproduce fedelmente la distanze quindi mi rassegno, ci armiamo di cappello e occhiali da sole e, dopo esserci abbondantemente cosparsi di lozione spf 30, partiamo.
Quando, dopo i famosi venti minuti di cammino, alzo i miei stanchi occhi e vedo il complesso laggiu' in fondo, piccolo piccolo (la nostra posizione era ancora molto molto fuori dall'immagine qui sopra), lo sconforto mi attanaglia: ho il vento nelle orecchie, caldo, e camminare nella sabbia e' una gran fatica. Rico mi guarda e visto il muso lungo accetta di tornare alla prima fermata del bus e aspettare la prima corsa. Peccato che, trattandosi del giorno di pasqua, detta corsa potrebbe tardare un'ora o tutta la giornata; una volta analizzata con calma la faccenda, temporaneamente al riparo della tettoia, decidiamo di proseguire.
Il tragitto non e' breve ma ne vale la pena, quando ti addentri tra le dune sembra di essere veramente in mezzo al nulla, se invece ti avvicini al mare la spiaggia e' piena di quelle tendine fatte apposta per ripararsi dal vento e in cielo è pieno di kite coloratissimi.
Dopo lungo camminare e molto fotografare, ecco finalmente il primo chiosco; con un sospirone di sollievo ci fermiamo e, dopo aver acquistato alcuni generi di conforto imprescindibili (leggi patatine e cocacola) li consumiamo seduti su un vecchio tronco (ovviamente al sole, l'ombra qui è merce rara) per poi ripartire rinvigoriti verso la meta finale, il cementoso orrore del Riu.
Una volta arrivati al traguardo ci guardiamo in faccia e tocca ammetterlo, siamo parecchio provati, soprattutto Rico che, avendo distrutto le scarpe in una precedente escursione (vedi Staccare la spina tra Lanzarote e Fuerteventura - secondo capitolo), ha percorso tutto il tragitto calzando All Star, scarpe che notoriamente sono la vergine di Norimberga dei piedi; avvistato un barettino in spiaggia, ci impossessiamo di un tavolino rigorosamente all'ombra e pranziamo molto pasqualmente con un panino tonno e pomodoro servitoci da un signore spagnolo di una certa eta' che si occupa di noi con una gentilezza che ci sorprende; davanti a noi c'e' il mare col suo spettacolo naturale e umano, sulla nostra destra l'inevitabile viavai di bagnanti in costume (noi ovviamente abbiamo pantaloni lunghi e felpa).
Dopo un'oretta di riposo decidiamo di tornare sui nostri passi ma questa volta non ci sono dubbi, nessuna discussione sulla modalita di rientro: facciamo trecento metri e ci buttiamo tra le braccia di un provvidenziale taxi. Facciamo muovere l'economia che noi per oggi ci siamo mossi abbastanza.
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