Mi convinco ogni giorno di più che a me mancano quei cromosomi che ti permettono di capire le foto di moda, ogni volta che sfoglio una rivista mi capita almeno un'immagine a cui non riesco a trovare un senso, per quanto mi sforzi.
La pagina qui a fianco ha come titolo watch the trends e, in effetti, la signorina in questione pare presissima dal suo compito di osservatrice delle nuove tendenze, anche se queste nuove tendenze, che a voler fare i moderni del ventunesimo secolo potremmo anche definire nuovi trend, non devono essere poi tutto sto gran che, almeno a giudicare dall'espressione della nostra protagonista, che per comodità d'ora in avanti chiameremo la Gigina.
Dunque, la Gigina ha un'espressione in cui si mescolano incredulità e disapprovazione, uno sguardo che io avrei se vedessi uno chef che esce dal bagno e torna in cucina senza essersi lavato le mani, quindi forse non è proprio l'immagine che ti fa guardare con speranza e curiosità in direzione di ste benedette nuove tendenze, dico io.
Tornando alla mise della nostra Gigina, resta da capire se il suo makeup alla Spazio 1999 sia voluto o più semplicemente frutto di una distrazione (es. è suonato il cellulare mentre si dava l'ombretto e lei si è girata di corsa per andare a rispondere).
Questa volta decido di andare a fondo, voglio delle risposte.
Esaminando minuziosamente la pagina apprendo che questo è "l'inverno couture glam visto da Richard Burbridge";
una rapida ricerca per immagini mi rivela quale sia la vera foto e tutto d'un tratto il suo significato mi appare chiaro, cristalino.
Quelle scarpe col tacco altissimo e le protesi dietro la caviglia legate alla buona con lo spago, quella cuffia da piscina in testa possono avere una sola spiegazione: la nostra Gigina deve essersi appena laureata all'università Ca Foscari di Venezia e, come ogni nuovo laureato, va in giro per la città con gli amici e viene sottoposta a prove di ogni genere. Nel nostro caso il fotografo è riuscito a cogliere l'esatto momento in cui la dottoressa scopre la sua ultima prova: dovrà lanciarsi in una corsa a perdifiato, superando almeno un paio di ponti gremiti di giapponesi in gita, onde arrivare sul molo prima che l'ultimo vaporetto salpi.
Quello della laurea non è sport per principianti, quello della fotografia di moda nemmeno.
venerdì 19 dicembre 2014
Nuove mirabolanti tendenze e vecchie immutabili tradizioni
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lunedì 8 dicembre 2014
Surfando come una californiana con le mèches
Per fortuna ormai abbiamo messo ufficialmente un piede nel futuro e siamo circondati da invenzioni
tecnologiche rivoluzionarie che ci aiutano a essere più efficienti, ottimizzare le risorse, trovare nuove e grandi opportunità sul lavoro!
Essendo io una che vuole sempre essere la prima a testare le novità, che non si accontenta della seconda fila e accetta baldanzosa la sfida del cambiamento, pronta ad imboccare nuove strade...alla fine ho ceduto e mi sono iscritta a Linkedin, questo straordinario ricettacolo di opportunità lavorative.
Ovviamente, dato il mio approccio paleolitico, ci ho messo un po' per rendermi conto di come andavano le cose ma adesso mi sono calata appieno nel mondo linkedinoso e ci surfo come una californiana con le meches.
Oggi ricevo una mail con le nuove opportunità di lavoro che Linkedin ha accuratamente selezionato per la sottoscritta e, onde battere sul tempo lo stramilione di altri utenti con un profilo simile al mio, mi sono immediatamente collegata per conoscere le mie nuove e straordinarie opportunità lavorative che, in un impeto di generosità, desidero condividere con voi:
a) Collaboratore società di mediazione creditizia
b) Responsabile ingegneria di manutenzione
c) Responsabile di produzione e acquisti
d) Responsabile di produzione per una cartiera
e) Responsabile di stabilimento in Romania
f) Direttore di produzione per agenzia di lavoro interinale
g) Agente di commercio/Area Manager nel settore trattamento acque
Ora, considerando che io di lavoro faccio traduzione simultanea/consecutiva e ho una formazione (interpretazione di conferenza) che più specifica di così non si può, resta da capire quale sia il processo di selezione degli illuminati che hanno messo insieme questa lista PER ME.
Immagino si tratti di un programma tipo lotto: mette tutte le offerte di lavoro in un enorme boccia, le fa rotolare per un po' e poi le pesca a caso, però allora perché non ricevo mai offerte come trapezista di circo, estetista, chiromante o personal shopper?
Che magari un domani ci potrei fare un pensierino...
tecnologiche rivoluzionarie che ci aiutano a essere più efficienti, ottimizzare le risorse, trovare nuove e grandi opportunità sul lavoro!
Essendo io una che vuole sempre essere la prima a testare le novità, che non si accontenta della seconda fila e accetta baldanzosa la sfida del cambiamento, pronta ad imboccare nuove strade...alla fine ho ceduto e mi sono iscritta a Linkedin, questo straordinario ricettacolo di opportunità lavorative.
Ovviamente, dato il mio approccio paleolitico, ci ho messo un po' per rendermi conto di come andavano le cose ma adesso mi sono calata appieno nel mondo linkedinoso e ci surfo come una californiana con le meches.
Oggi ricevo una mail con le nuove opportunità di lavoro che Linkedin ha accuratamente selezionato per la sottoscritta e, onde battere sul tempo lo stramilione di altri utenti con un profilo simile al mio, mi sono immediatamente collegata per conoscere le mie nuove e straordinarie opportunità lavorative che, in un impeto di generosità, desidero condividere con voi:
a) Collaboratore società di mediazione creditizia
b) Responsabile ingegneria di manutenzione
c) Responsabile di produzione e acquisti
d) Responsabile di produzione per una cartiera
e) Responsabile di stabilimento in Romania
f) Direttore di produzione per agenzia di lavoro interinale
g) Agente di commercio/Area Manager nel settore trattamento acque
Ora, considerando che io di lavoro faccio traduzione simultanea/consecutiva e ho una formazione (interpretazione di conferenza) che più specifica di così non si può, resta da capire quale sia il processo di selezione degli illuminati che hanno messo insieme questa lista PER ME.
Immagino si tratti di un programma tipo lotto: mette tutte le offerte di lavoro in un enorme boccia, le fa rotolare per un po' e poi le pesca a caso, però allora perché non ricevo mai offerte come trapezista di circo, estetista, chiromante o personal shopper?
Che magari un domani ci potrei fare un pensierino...
mercoledì 3 dicembre 2014
Abbiamo tutti il collo un po' rosso, in fondo
Qualche giorno fa facevamo colazione a casa ascoltando un album di Randy Newman del 1974, Good old boys; il CD è molto bello e merita più di un ascolto, con particolare attenzione ai testi.
Le sue canzoni ti rilassano, ti fanno pensare che sai dove sei e come stanno le cose ma poi, immancabilmente, ti tolgono il tappeto da sotto i piedi; Newman ti colpisce, come diceva David Niven in Tutte le ragazze lo sanno, al di sotto delle tue percezioni.
Un esempio perfetto di questo meccanismo è Redneck.
Siamo nel 1974 e la voce narrante è quella di un abitante del Sud degli Stati Uniti, un Redneck, da cui il titolo; a un certo punto l'uomo parla di come gli Stati del Nord abbiano liberato gli schiavi (li chiama negri, confermando ai nostri occhi il cliché del redneck razzista) e li abbiano resi liberi. Poi però le carte in tavola si capovolgono: gli schiavi sono liberi, sì, ma liberi di farsi rinchiudere nei getti di New York, Chicago, Boston, Saint Luis, San Francisco, insomma liberi di essere di nuovo schiavi.
Inevitabile il parallelo tra questa canzone e la nostra situazione attuale a quarant'anni di distanza: un mare di nuovi lavori precari, di breve durata e senza tutele che ti rendono di fatto uno schiavo nelle mani del tuo datore di lavoro, con il beneplacito delle istituzioni.
Poco a poco ci hanno resi di nuovo schiavi, con la piena approvazione della democrazia e nella più assoluta legalità, siamo liberi di essere schiavi.
Le sue canzoni ti rilassano, ti fanno pensare che sai dove sei e come stanno le cose ma poi, immancabilmente, ti tolgono il tappeto da sotto i piedi; Newman ti colpisce, come diceva David Niven in Tutte le ragazze lo sanno, al di sotto delle tue percezioni.
Un esempio perfetto di questo meccanismo è Redneck.
Siamo nel 1974 e la voce narrante è quella di un abitante del Sud degli Stati Uniti, un Redneck, da cui il titolo; a un certo punto l'uomo parla di come gli Stati del Nord abbiano liberato gli schiavi (li chiama negri, confermando ai nostri occhi il cliché del redneck razzista) e li abbiano resi liberi. Poi però le carte in tavola si capovolgono: gli schiavi sono liberi, sì, ma liberi di farsi rinchiudere nei getti di New York, Chicago, Boston, Saint Luis, San Francisco, insomma liberi di essere di nuovo schiavi.
Inevitabile il parallelo tra questa canzone e la nostra situazione attuale a quarant'anni di distanza: un mare di nuovi lavori precari, di breve durata e senza tutele che ti rendono di fatto uno schiavo nelle mani del tuo datore di lavoro, con il beneplacito delle istituzioni.
Poco a poco ci hanno resi di nuovo schiavi, con la piena approvazione della democrazia e nella più assoluta legalità, siamo liberi di essere schiavi.
Last night I saw Lester Maddox on a TV show
With some smart-ass New York Jew
And the Jew laughed at Lester Maddox
And the audience laughed at Lester Maddox too
Well, he may be a fool but he's our fool
If they think they're better than him they're wrong
So I went to the park and I took some paper along
And that's where I made this song
We talk real funny down here
We drink too much and we laugh too loud
We're too dumb to make it in no Northern town
And we're keepin' the niggers down
We got no-necked oilmen from Texas
And good ol' boys from Tennessee
And college men from LSU
Went in dumb - come out dumb too
Hustlin' 'round Atlanta in their alligator shoes
Gettin' drunk every weekend at the barbecues
And they're keepin' the niggers down
We're rednecks, rednecks
And we don't know our ass from a hole in the ground
We're rednecks, we're rednecks
And we're keeping the niggers down
Now your northern nigger's a Negro
You see he's got his dignity
Down here we're too ignorant to realize
That the North has set the nigger free
Yes he's free to be put in a cage
In Harlem in New York City
And he's free to be put in a cage in the South-Side of Chicago
And the West-Side
And he's free to be put in a cage in Hough in Cleveland
And he's free to be put in a cage in East St. Louis
And he's free to be put in a cage in Fillmore in San Francisco
And he's free to be put in a cage in Roxbury in Boston
They're gatherin' 'em up from miles around
Keepin' the niggers down
We're rednecks, we're rednecks
We don't know our ass from a hole in the ground
We're rednecks, we're rednecks
And we're keeping the niggers down
We are keeping the niggers down
With some smart-ass New York Jew
And the Jew laughed at Lester Maddox
And the audience laughed at Lester Maddox too
Well, he may be a fool but he's our fool
If they think they're better than him they're wrong
So I went to the park and I took some paper along
And that's where I made this song
We talk real funny down here
We drink too much and we laugh too loud
We're too dumb to make it in no Northern town
And we're keepin' the niggers down
We got no-necked oilmen from Texas
And good ol' boys from Tennessee
And college men from LSU
Went in dumb - come out dumb too
Hustlin' 'round Atlanta in their alligator shoes
Gettin' drunk every weekend at the barbecues
And they're keepin' the niggers down
We're rednecks, rednecks
And we don't know our ass from a hole in the ground
We're rednecks, we're rednecks
And we're keeping the niggers down
Now your northern nigger's a Negro
You see he's got his dignity
Down here we're too ignorant to realize
That the North has set the nigger free
Yes he's free to be put in a cage
In Harlem in New York City
And he's free to be put in a cage in the South-Side of Chicago
And the West-Side
And he's free to be put in a cage in Hough in Cleveland
And he's free to be put in a cage in East St. Louis
And he's free to be put in a cage in Fillmore in San Francisco
And he's free to be put in a cage in Roxbury in Boston
They're gatherin' 'em up from miles around
Keepin' the niggers down
We're rednecks, we're rednecks
We don't know our ass from a hole in the ground
We're rednecks, we're rednecks
And we're keeping the niggers down
We are keeping the niggers down
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venerdì 21 novembre 2014
Noio volevan savuar
Allora, è vero che c'è la crisi, ci sono le bollette da pagare, quindi si tende a essere un po' più flessibili, però a volte mi viene da pensare che sia ora di tirare una riga.
Stavolta mi hanno chiamato per un lavoro di traduzione simultanea di cinque giorni e ovviamente di questi tempi un lavoro così lungo è un'ottima notizia, poi però scopro che per risparmiare:
Vabbè, mi dico, sarà molto faticoso ma l'abbiamo già fatto e sopravviveremo, poi però scopro che l'orario di lavoro è di 9 ore (8.30-18.30 più due ore di viaggio) e vorrei tanto essere una dipendente e poter chiamare un qualche sindacato perché, per il cervello, 9 ore di traduzione simultanea in quelle condizioni sono come 9 ore in miniera.
A quel punto mi appare l'immagine della prossima bolletta di Hera che chiude la discussione spazzando via qualsiasi mi, mo, ma. Mi sfugge solo un lugubre lamento quando realizzo che è il giorno prima dell'evento e l'unico materiale che si sono degnati di mandare è il programma.
Cinque giorni di lavoro con oltre trenta interventi programmati e non abbiamo neanche un testo, o almeno due slide. Che li possino....
Una volta arrivate in ditta scopriamo di non avere ancora toccato il fondo: quelle simpatiche trenta presentazioni non saranno semplici relazioni bensì momenti interattivi in cui i relatori si confronteranno costantemente con i partecipanti, peccato che ci sia un solo microfono collegato al nostro peraltro stitico auricolare e quindi, quando parlano tutti gli altri, noi dovremo ascoltare l'audio che si sente in sala, come se fossimo sedute tra il pubblico. Verrà benissimo!
Non abbiamo neanche iniziato e li odio già tutti; le cose non migliorano con il passare dei giorni, principalmente perché il meeting è in inglese e le poche persone che non lo parlano sono le uniche che si ricordano di noi (perché gli serviamo, mica per altro), tutti gli altri spesso e volentieri dimenticano la nostra presenza e si lanciano in commenti/accuse/domande senza microfono, quando non cambiano lingua a metà della frase (es. we have to react perché il mercato ce lo chiede). Il tutto con un inglese che nella maggior parte dei casi somiglia a quello di Totò.
Ci tengo a precisare che, nonostante le difficoltà tecniche del lavoro, abbiamo però goduto di alcuni momenti di altissimo livello e francamente indimenticabili, per esempio quando il supercapo ha tenuto a precisare che quando sentite queste cose vi deve venire duro, ovviamente rivolgendosi a una platea mista; in quella frazione di secondo che avevo a disposizione per pensare avrei voluto fare un paio di domandine al nostro eroe:
poi mi sono messa l'animo in pace, ho asfaltato l'espressione sotto una tonnellata di meritato oblio e via verso la successiva assurdità.
Generalmente, quando riesamino una situazione a freddo, a distanza di tempo, le cose si ridimensionano (il fatto di scriverci sopra mi aiuta a elaborare il trauma) e riesco a riderci sopra,
E stavolta?
P.S. Avrei di gran lunga preferito vestirmi da pollo.
Stavolta mi hanno chiamato per un lavoro di traduzione simultanea di cinque giorni e ovviamente di questi tempi un lavoro così lungo è un'ottima notizia, poi però scopro che per risparmiare:
- non ci sarà la cabina insonorizzata,
- non ci sarà neppure il sistema audio per la simultanea,
- la nostra postazione sarà un tavolo in sala in mezzo al casino del pubblico,
- dovremo indossare un vestito da pollo,
- ascolteremo tutto tramite un misero auricolare (almeno di quello ce ne sarà uno a testa, il microfono invece lo divideremo, che altrimenti ci montiamo la testa).
- una delle precedenti voci è falsa, scegliete voi.
Vabbè, mi dico, sarà molto faticoso ma l'abbiamo già fatto e sopravviveremo, poi però scopro che l'orario di lavoro è di 9 ore (8.30-18.30 più due ore di viaggio) e vorrei tanto essere una dipendente e poter chiamare un qualche sindacato perché, per il cervello, 9 ore di traduzione simultanea in quelle condizioni sono come 9 ore in miniera.
A quel punto mi appare l'immagine della prossima bolletta di Hera che chiude la discussione spazzando via qualsiasi mi, mo, ma. Mi sfugge solo un lugubre lamento quando realizzo che è il giorno prima dell'evento e l'unico materiale che si sono degnati di mandare è il programma.
Cinque giorni di lavoro con oltre trenta interventi programmati e non abbiamo neanche un testo, o almeno due slide. Che li possino....
Una volta arrivate in ditta scopriamo di non avere ancora toccato il fondo: quelle simpatiche trenta presentazioni non saranno semplici relazioni bensì momenti interattivi in cui i relatori si confronteranno costantemente con i partecipanti, peccato che ci sia un solo microfono collegato al nostro peraltro stitico auricolare e quindi, quando parlano tutti gli altri, noi dovremo ascoltare l'audio che si sente in sala, come se fossimo sedute tra il pubblico. Verrà benissimo!
Non abbiamo neanche iniziato e li odio già tutti; le cose non migliorano con il passare dei giorni, principalmente perché il meeting è in inglese e le poche persone che non lo parlano sono le uniche che si ricordano di noi (perché gli serviamo, mica per altro), tutti gli altri spesso e volentieri dimenticano la nostra presenza e si lanciano in commenti/accuse/domande senza microfono, quando non cambiano lingua a metà della frase (es. we have to react perché il mercato ce lo chiede). Il tutto con un inglese che nella maggior parte dei casi somiglia a quello di Totò.
Ci tengo a precisare che, nonostante le difficoltà tecniche del lavoro, abbiamo però goduto di alcuni momenti di altissimo livello e francamente indimenticabili, per esempio quando il supercapo ha tenuto a precisare che quando sentite queste cose vi deve venire duro, ovviamente rivolgendosi a una platea mista; in quella frazione di secondo che avevo a disposizione per pensare avrei voluto fare un paio di domandine al nostro eroe:
- Ma non le vedi quelle donne tra il pubblico? Perché io le vedo.
- E fare un corso di aggiornamento sulla gestione delle risorse umane e le tecniche di comunicazione nel nuovo millennio?
poi mi sono messa l'animo in pace, ho asfaltato l'espressione sotto una tonnellata di meritato oblio e via verso la successiva assurdità.
Generalmente, quando riesamino una situazione a freddo, a distanza di tempo, le cose si ridimensionano (il fatto di scriverci sopra mi aiuta a elaborare il trauma) e riesco a riderci sopra,
E stavolta?
P.S. Avrei di gran lunga preferito vestirmi da pollo.
mercoledì 12 novembre 2014
Si sta bene all'ombra delle nuvole
Sabato pomeriggio alla Biblioteca Malatestiana di Cesena Farnedi partecipava alla presentazione del progetto All'ombra delle nuvole organizzato dall'Associazione Barbablu in collaborazione con ANPI: attraverso la creazione di un e-book (opera di Elisa Rocchi) e di una serie di tavole a fumetti dei ragazzi del gruppo F+, si rievocava l'assalto alla Rocca Malatestiana da parte di un gruppo di partigiani cesenati nel 1944, in occasione del 70° anniversario della Liberazione di Cesena. A Vendemmia era affidata la conclusione musicale dell'evento.
L'inaugurazione della mostra era prevista per le 17 e alle 16.45 si poteva notare una figura camminare frettolosamente su per via Cesare Battisti in direzione della Biblioteca; come sempre non avevo calcolato bene i tempi e sono quindi arrivata a destinazione trafelatissima e alquanto accaldata, tra e altre cose perché continuo a dimenticarmi che pur essendo novembre fa ancora un gran caldo e quindi la maglia di lana è meglio tenerla nell'armadio.
Sono arrivata in aula magna alle 17.05 ma per fortuna era ancora tutto tranquillo; ho salutato Enrico che chiacchierava lungo il corridoio ma poi, preferendo garantirmi un posto a sedere, sono andata ad accasciarmi su una sedia e ho iniziato un complicato processo di svestizione che neanche con un kimono tradizionale sarebbe stato tanto complicato. Per fortuna essere impediti è ancora legale.
L'inaugurazione ha seguito il suo iter e, quando è arrivato il suo turno, Enrico ha introdotto la canzone riferendosi al progetto dell'ANPI per la celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia (il triplo CD Addosso!), progetto a cui era stato invitato a partecipare con una canzone che sarebbe poi diventata Vendemmia. Ha narrato le vicissitudini che hanno portato alla nascita della canzone, senza peraltro risparmiare dettagli sulle litigate che abbiamo fatto in quei giorni, lavorando sul testo con una scadenza ravvicinatissima.
Non nascondo che è stata un'emozione quando alla fine della canzone ho sentito l'applauso fragoroso della sala, sembrava non voler finire mai.
Una volta concluso l'evento mi sono avvicinata alla mostra per poter guardare con calma le varie tavole esposte, peccato che un minuto dopo ci sia piombato addosso il solerte custode della Malatestiana il quale, borbottando che dovevamo andarcene perché erano le 19 e lui doveva chiudere, ci ha praticamente spalati via, chiudendoci il portone alle spalle come faceva sempre il prete con gli sposi, onde evitare che la grandinata di riso di ordinanza finisse dentro la chiesa.
Noi però riso non ne abbiamo tirato.
P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica "L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express
L'inaugurazione della mostra era prevista per le 17 e alle 16.45 si poteva notare una figura camminare frettolosamente su per via Cesare Battisti in direzione della Biblioteca; come sempre non avevo calcolato bene i tempi e sono quindi arrivata a destinazione trafelatissima e alquanto accaldata, tra e altre cose perché continuo a dimenticarmi che pur essendo novembre fa ancora un gran caldo e quindi la maglia di lana è meglio tenerla nell'armadio.
Sono arrivata in aula magna alle 17.05 ma per fortuna era ancora tutto tranquillo; ho salutato Enrico che chiacchierava lungo il corridoio ma poi, preferendo garantirmi un posto a sedere, sono andata ad accasciarmi su una sedia e ho iniziato un complicato processo di svestizione che neanche con un kimono tradizionale sarebbe stato tanto complicato. Per fortuna essere impediti è ancora legale.
L'inaugurazione ha seguito il suo iter e, quando è arrivato il suo turno, Enrico ha introdotto la canzone riferendosi al progetto dell'ANPI per la celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia (il triplo CD Addosso!), progetto a cui era stato invitato a partecipare con una canzone che sarebbe poi diventata Vendemmia. Ha narrato le vicissitudini che hanno portato alla nascita della canzone, senza peraltro risparmiare dettagli sulle litigate che abbiamo fatto in quei giorni, lavorando sul testo con una scadenza ravvicinatissima.
Non nascondo che è stata un'emozione quando alla fine della canzone ho sentito l'applauso fragoroso della sala, sembrava non voler finire mai.
Una volta concluso l'evento mi sono avvicinata alla mostra per poter guardare con calma le varie tavole esposte, peccato che un minuto dopo ci sia piombato addosso il solerte custode della Malatestiana il quale, borbottando che dovevamo andarcene perché erano le 19 e lui doveva chiudere, ci ha praticamente spalati via, chiudendoci il portone alle spalle come faceva sempre il prete con gli sposi, onde evitare che la grandinata di riso di ordinanza finisse dentro la chiesa.
Noi però riso non ne abbiamo tirato.
P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica "L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express
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venerdì 24 ottobre 2014
Faenza Faenza, stazione di Faenza!
E finalmente eccomi di ritorno dopo un mese di lavoro, matto e disperatissimo, che mi ha costretto a
infiniti spostamenti in treno, autobus, macchina. Per fortuna, nel corso di questi lunghi viaggi ho spesso goduto della preziosa compagnia dell'umanità di turno e devo dire che, nonostante mi abbia indubbiamente intrattenuto, sono sempre più evidenti i segni di un inarrestabile declino della specie.
Posso citare ad esempio la famigliola in gita domenicale sulla linea Faenza-Firenze:
- figli non pervenuti in quanto attaccati a giochini vari (unica eccezione l'inevitabile litigio per l'Ipad), oppure al cellulare nella vana speranza che ci sia campo,
- padre sofferente perché gli è toccato andare in gita proprio la domenica in cui ci sono il calcio e il moto GP; è in astinenza da schermo/divano e non è ancora riuscito a sapere i risultati perché non c'è campo, prova continuamente ma il telefono risponde picche,
- madre ossessionata dalla cena serale inizia a rompere le balle al marito (e a tutti noi intorno) non appena il treno parte e continua per due ore due, ignorando completamente la proposta cotolette avanzata dal resto della famiglia, solo perché lei vuole ordinare la pizza, peccato che non sappia né il numero della pizzeria né l'indirizzo del luogo ove passar a ritirare l'ordine e, soprattutto, non possa comunque telefonare perché NON C'E' CAMPO.
Confesso che l'annuncio siamo in arrivo alla stazione di Faenza è stato salutato con grande entusiasmo/sollievo dalla sottoscritta (e sospetto anche da altri).
In un'altra occasione sempre sulla stessa tratta mi sono imbattuta in un gruppo di signore di una certa età che erano di ritorno da una gita a Faenza; il solo fatto di dover decidere dove sedersi le ha gettate nel panico più assoluto, sono andate avanti e indietro per il treno almeno tre volte alla ricerca del posto più adatto e alla fine, dio solo sa perché, si sono sedute nei miei paraggi.
Nelle due ore seguenti la conversazione ha seguito un percorso tutto sommato piuttosto lineare: sono partite ciascuna raccontando le proprie precedenti esperienze di viaggio, poi però la gita ancora in corso ha preso il sopravvento e si sono lanciate in una recensione della trattoria dove avevano consumato il pranzo, ripercorrendo fedelmente ogni opzione del menu. Unanime la condanna della panna come condimento per la pasta in quanto attentato alla linea, alla salute (il colesterolo!) e alla società nel suo complesso; da lì sono passate a una dettagliata descrizione degli acciacchi di ognuna e poi, come se fosse la cosa più normale del mondo, è iniziato un elenco infinito di conoscenti con malattie gravissime, elenco che non poteva che confluire in una panoramica dei decessi più recenti, inclusi diagnosi, cure seguite e pareri circa la competenza dei medici.
Io all'inizio tentavo disperatamente di distrarmi leggendo un libro ma alla fine ho capitolato, ho chiuso il volume e mi sono goduta lo spettacolo (la parte malattie e decessi un po' meno).
Sono queste le cose che mi tornano in mente quando, raggiunta finalmente la sede del convegno in
cui lavoro, entro in cabina di traduzione, chiudo la porta e mi siedo con un sospiro di sollievo: ce l'ho fatta anche questa volta (senza picchiare nessuno) e adesso, almeno per qualche ora, l'umanità se ne resti di là dal vetro.
infiniti spostamenti in treno, autobus, macchina. Per fortuna, nel corso di questi lunghi viaggi ho spesso goduto della preziosa compagnia dell'umanità di turno e devo dire che, nonostante mi abbia indubbiamente intrattenuto, sono sempre più evidenti i segni di un inarrestabile declino della specie.
Posso citare ad esempio la famigliola in gita domenicale sulla linea Faenza-Firenze:
- figli non pervenuti in quanto attaccati a giochini vari (unica eccezione l'inevitabile litigio per l'Ipad), oppure al cellulare nella vana speranza che ci sia campo,
- padre sofferente perché gli è toccato andare in gita proprio la domenica in cui ci sono il calcio e il moto GP; è in astinenza da schermo/divano e non è ancora riuscito a sapere i risultati perché non c'è campo, prova continuamente ma il telefono risponde picche,
- madre ossessionata dalla cena serale inizia a rompere le balle al marito (e a tutti noi intorno) non appena il treno parte e continua per due ore due, ignorando completamente la proposta cotolette avanzata dal resto della famiglia, solo perché lei vuole ordinare la pizza, peccato che non sappia né il numero della pizzeria né l'indirizzo del luogo ove passar a ritirare l'ordine e, soprattutto, non possa comunque telefonare perché NON C'E' CAMPO.
Confesso che l'annuncio siamo in arrivo alla stazione di Faenza è stato salutato con grande entusiasmo/sollievo dalla sottoscritta (e sospetto anche da altri).
In un'altra occasione sempre sulla stessa tratta mi sono imbattuta in un gruppo di signore di una certa età che erano di ritorno da una gita a Faenza; il solo fatto di dover decidere dove sedersi le ha gettate nel panico più assoluto, sono andate avanti e indietro per il treno almeno tre volte alla ricerca del posto più adatto e alla fine, dio solo sa perché, si sono sedute nei miei paraggi.
Nelle due ore seguenti la conversazione ha seguito un percorso tutto sommato piuttosto lineare: sono partite ciascuna raccontando le proprie precedenti esperienze di viaggio, poi però la gita ancora in corso ha preso il sopravvento e si sono lanciate in una recensione della trattoria dove avevano consumato il pranzo, ripercorrendo fedelmente ogni opzione del menu. Unanime la condanna della panna come condimento per la pasta in quanto attentato alla linea, alla salute (il colesterolo!) e alla società nel suo complesso; da lì sono passate a una dettagliata descrizione degli acciacchi di ognuna e poi, come se fosse la cosa più normale del mondo, è iniziato un elenco infinito di conoscenti con malattie gravissime, elenco che non poteva che confluire in una panoramica dei decessi più recenti, inclusi diagnosi, cure seguite e pareri circa la competenza dei medici.
Io all'inizio tentavo disperatamente di distrarmi leggendo un libro ma alla fine ho capitolato, ho chiuso il volume e mi sono goduta lo spettacolo (la parte malattie e decessi un po' meno).
Sono queste le cose che mi tornano in mente quando, raggiunta finalmente la sede del convegno in
cui lavoro, entro in cabina di traduzione, chiudo la porta e mi siedo con un sospiro di sollievo: ce l'ho fatta anche questa volta (senza picchiare nessuno) e adesso, almeno per qualche ora, l'umanità se ne resti di là dal vetro.
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mercoledì 1 ottobre 2014
L'urlo di Remail terrorizza l'Occidente
Essendo questo un blog dinamico e di mezza età, mi pare venuto il momento di analizzare un fenomeno contemporaneo che sta lasciando senza parole più di un intellettuale: l'onnipresente pubblicità delle docce REMAIL, le cui televendite dilagano su ogni canale possibile e immaginabile.
Lo spot a cui alludo sta allegramente sgardellandoci gli zebedei da diversi mesi: tu te ne stai seduta sul divano a goderti le sane idiozie di quelli di Biutiful e all'improvviso il programma s'interrompe e ti trovi faccia a faccia con Giorgio Mastrota e una tipa bionda non meglio identificata.
I due soggetti, urlando alla stregua di un pescivendolo che deve dare via l'ultima cassetta di sardoncini, cercano in ogni modo di convincerti a sbarazzarti della tua vecchia, obsoleta vasca da bagno e sostituirla con una nuova trendissima doccia con pareti in cristallo.
Dopo le prime venti-trenta volte, qualcuno comincia ad averne piene le tasche e, come spesso accade in questi casi, di fronte a una palese violazione dei suoi fondamentali diritti di spettatore, reagisce con l'unica arma a sua disposizione: la presa in giro.
Ecco quindi spuntare su Facebook vere e proprie pagine di protesta che propongono di murare Mastrota nella doccia Remail.
In questo caso però mi pare corretto sottolineare che, nonostante a rompere le balle siano in due, misteriosamente la tipa bionda evita la furia del pubblico, furia che invece si abbatte senza pietà sul povero Giorgio. La vita è matrigna.
E comunque, per tornare a Remail e alle sue benedette docce, suggerisco caldamente di riflettere sul fatto che quelle pareti di cristallo senza fine saranno presto coperte di calcare e quindi assai poco fighe.
In alternativa potete passare gli anni che vi restano con un panno in mano. A voi la scelta.
P.S. ...REMAIL!!!!!!
I due soggetti, urlando alla stregua di un pescivendolo che deve dare via l'ultima cassetta di sardoncini, cercano in ogni modo di convincerti a sbarazzarti della tua vecchia, obsoleta vasca da bagno e sostituirla con una nuova trendissima doccia con pareti in cristallo.
Dopo le prime venti-trenta volte, qualcuno comincia ad averne piene le tasche e, come spesso accade in questi casi, di fronte a una palese violazione dei suoi fondamentali diritti di spettatore, reagisce con l'unica arma a sua disposizione: la presa in giro.
Ecco quindi spuntare su Facebook vere e proprie pagine di protesta che propongono di murare Mastrota nella doccia Remail.
In questo caso però mi pare corretto sottolineare che, nonostante a rompere le balle siano in due, misteriosamente la tipa bionda evita la furia del pubblico, furia che invece si abbatte senza pietà sul povero Giorgio. La vita è matrigna.
E comunque, per tornare a Remail e alle sue benedette docce, suggerisco caldamente di riflettere sul fatto che quelle pareti di cristallo senza fine saranno presto coperte di calcare e quindi assai poco fighe.
In alternativa potete passare gli anni che vi restano con un panno in mano. A voi la scelta.
P.S. ...REMAIL!!!!!!
giovedì 18 settembre 2014
Torbide passioni in ufficio
La perla di oggi proviene dal numero di settembre di Glamour, trattasi di un servizio fotografico intitolato In ufficio con fantasia
Dopo un paio di foto con chignon e pose improbabili ma tutto sommato innocue, ti trovi di fronte a questo bel lavorino qui: il tuo primo pensiero è questa è truccata da comparsa di Star Trek ma i trucchi insensati sono troppo frequenti per meritare più di un'alzata di spalle e un sospiro, quello che in realtà ti inchioda all'immagine è l'espressione di assoluta estasi della tizia in questione perché, non so voi ma io quando lecco un francobollo di solito ho un'espressione inequivocabilmente schifata, la colla ha un sapore tremendo, di quelli che solo si giustificano nelle medicine di assoluta necessità.
Dovendo fare un'ipotesi, la più accreditata è che si sia preso un po' troppo sul serio il concetto di fantasia del titolo e quel francobollo celi probabilmente una generosa dose di LSD o affini.
Questo almeno era ciò che avevo pensato dopo aver dato una fugace occhiata alla foto in questione ma un'analisi più attenta mi ha portato in tutt'altra direzione. Per chiarirvi la situazione, qui sotto trovate uno zoom su un dettaglio che a mio avviso cambia completamente l'interpretazione della scena: sul francobollo in questione c'è disegnato un, come potremmo definirlo, culo maschile con sotto una faccia.
Ora, non so come vadano le cose al'estero ma qui da noi non è che i francobolli con le chiappe al vento siano così frequenti quindi devono proprio averlo scelto apposta. Bene ma, apposta per cosa? Perché se questo è andare in ufficio con fantasia....
Dopo un paio di foto con chignon e pose improbabili ma tutto sommato innocue, ti trovi di fronte a questo bel lavorino qui: il tuo primo pensiero è questa è truccata da comparsa di Star Trek ma i trucchi insensati sono troppo frequenti per meritare più di un'alzata di spalle e un sospiro, quello che in realtà ti inchioda all'immagine è l'espressione di assoluta estasi della tizia in questione perché, non so voi ma io quando lecco un francobollo di solito ho un'espressione inequivocabilmente schifata, la colla ha un sapore tremendo, di quelli che solo si giustificano nelle medicine di assoluta necessità.
Dovendo fare un'ipotesi, la più accreditata è che si sia preso un po' troppo sul serio il concetto di fantasia del titolo e quel francobollo celi probabilmente una generosa dose di LSD o affini.
Questo almeno era ciò che avevo pensato dopo aver dato una fugace occhiata alla foto in questione ma un'analisi più attenta mi ha portato in tutt'altra direzione. Per chiarirvi la situazione, qui sotto trovate uno zoom su un dettaglio che a mio avviso cambia completamente l'interpretazione della scena: sul francobollo in questione c'è disegnato un, come potremmo definirlo, culo maschile con sotto una faccia.
Ora, non so come vadano le cose al'estero ma qui da noi non è che i francobolli con le chiappe al vento siano così frequenti quindi devono proprio averlo scelto apposta. Bene ma, apposta per cosa? Perché se questo è andare in ufficio con fantasia....
venerdì 5 settembre 2014
Le vacanze, la fine del mondo e l'Ortrugo
Vediamo un po', come sono andate le vacanze quest'anno?
Se dovessi dare un voto direi malino più.
Da una parte il fatto che non ci fosse quel caldo torrido che ti fa precipitare la pressione riducendo la tua vitalità a quella di uno straccio bagnato è stato molto apprezzato, dall'altra parte però questo tempo britannico (che ogni dieci minuti cambia e spesso e volentieri piove), ha fatto saltare parecchi eventi e provocato nella sottoscritta uno stato quasi costante di raffreddore.
In realtà il voto sarebbe molto più basso se non fosse per una breve parentesi dal 12 al 16 agosto che mi ha rimesso in pace col mondo; non potendo riassumere in poche righe sei giorni di felicità, mi limito a qualche significativo dettaglio.
In data dodici agosto io e Rico abbiamo infilato due trolley nella fedele Fiesta, acceso il navigatore e puntato la prua verso Artò (lago d'Orta) che abbiamo raggiunto sotto l'immancabile pioggerella rompiballe.
Ad accoglierci la Paola, Mauro, l'Eleonora e Giuseppe che hanno visto arrivare contemporaneamente noi e il maltempo ma, da ospiti impeccabili quali sono, hanno fatto finta di niente.
Dalla Magna Romagna noi giungevamo carichi di salumi e formaggi tipici ma soprattutto di un dono
che non vedevamo l'ora di scartare: il gioco da tavolo di Beautiful, versione degli anni 90, ritrovato per caso (e in perfette condizioni) in un mercatino dell'usato.
che non vedevamo l'ora di scartare: il gioco da tavolo di Beautiful, versione degli anni 90, ritrovato per caso (e in perfette condizioni) in un mercatino dell'usato.
Detto gioco ci ha fornito parecchi momenti indimenticabili e insegnato molto, ad esempio l'altezza massima per un centrotavola e il fatto che Brooke, dopo il divorzio da Ridge (non sappiamo quale dei tanti), era andata a consolarsi a Parigi dalla madre. Mi tocca anche ammettere che alla fine ha vinto Farnedi, mannaggia.
Ovviamente io ho battezzato subito la casa ospitante andando a sfracellarmi giù per la scala di legno (scala di legno e calzini: la ricetta perfetta per il disastro) ma per il resto la magione non ha subito grandi danni.
Durante il nostro soggiorno, oltre agli ospiti umani abbiamo fatto la conoscenza di Stella, una veneranda barboncina color latte il cui sguardo mi ricordava parecchio quello della Duquesa de Alba.
Non riesco immaginare un risveglio migliore di quello del primo giorno, provocato dall'odore dei pancake con cui la Paola, cuoca sopraffina e instancabile, ci ha viziato in più di un'occasione.
Al gruppo si sono presto aggiunte la Camilla e la Serena e anche loro erano della partita quando siamo saliti fino al bar di Artò per provare l'Ortrugo, un vino bianco locale che va giù che è una bellezza e si è presto trasformato nel tormentone della vacanza, anche grazie a personaggi come il Mez, così ribattezzato per la sua propensione ai mezzi litri di, appunto, Ortrugo. La festa che ne è nata quella sera rimarrà per parecchio nei miei ricordi, non ultimo la macchina del caffè il cui getto di vapore è stato trasformato, con l'aiuto di un piattino, in una vera e propria macchina del fumo.
Approfittando di una mia momentanea distrazione Farnedi mi ha suggerito di accendere il fon mentre ero scalza sul pavimento bagnato del bagno, un chiaro tentativo di farmi fuori con la scusa dell'incidente domestico ma la Paola l'ha sentito e gli è andata male. Per ore la canzone del Quartetto Cetra mi è risuonata nelle orecchie.
Vedo che la cosa si allunga quindi mi avvio a concludere, senza però dimenticare la band Lino e i nevrotici, il palo da pole dance, la Festa dello Scalpellino di Artò, i 13° del 16 agosto, il gelato gusto Viagra, il tiro con l'arco, le amiche svizzere, la stinca nel budino, Giuseppe e le sue tasse, Remail e Giorgio Mastrota, il panno puliocchiali dei cinesi e l'Ortrugo, sempre e comunque l'Ortrugo. Viva l'estate.
Una delle ultime sere, mentre Rico suonava l'ukulele, ho riconosciuto Noches de Boda di Joaquín Sabina, una delle mie canzoni preferite; nel testo della canzone a un certo punto si legge: que el fin del mundo te pille bailando. Ecco, non ho potuto fare a meno di pensare che se in quel momento fosse arrivata davvero la fine del mondo, è così che ci avrebbe sorpresi, ballando.
P.S. Indimenticabile la gelateria sul lago d'Orta che aveva il gusto Annibale, così battezzato in onore a un ortopedico milanese.
P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express
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giovedì 21 agosto 2014
Dior mio Dior mio, perché mi hai abbandonato?
Questa volta vado subito al punto senza perdere tempo in preamboli: perché diavolo 'sta donna è in piedi sulla mensola del camino e mezza nuda?
A me la prima cosa che viene in mente è che ci deve essere stata un'alluvione, si è inondata la villa e lei, che in quel momento si stava preparando per il Ballo della Rosa, è riuscita a sfuggire alla violenza delle acque balzando lì sopra con quello che aveva addosso (leggi solo la sottana). Il profumo, al contrario del compianto top, non è stato abbandonato in balia degli elementi perché topless passi, scalza pure, ma puzzare di pelle umana proprio non si fa!
A un'occhiata distratta questa spiegazione potrebbe sembrare soddisfacente ma, se l'occhio si sofferma sull'immagine anche solo per un secondo, un dettaglio balza alla vista, evidente quanto un dito in un occhio: l'immagine della giovinetta non si riflette nello specchio sopra il camino, ella è evidentemente un vampiro.
Alla luce di questa scoperta assume un senso lo sguardo di totale noncuranza che esibisce la donzella e che mal si adatta a chi si trova in piedi su una mensola mezza nuda; al contrario la vampira sfida le sciocche convenzioni del nostro tempo e oltretutto, in quanto demone, non deve preoccuparsi dell'eventuale polmonite, colpo della strega o semplicemente diarrea a cui sono soggetti i mortali che vanno in giro con tutta quella roba di fuori.
Ne consegue il sospetto che la boccetta che la pulzella stringe al petto contenga in realtà sangue umano da cui il vampiro è notoriamente addicted (dipendente), ipotesi confermata dal nome stesso del profumo Dior Addict, ottima scelta dell'ufficio marketing che forse avrebbe preferito un nume italiano ma ha dovuto convenire che quello inglese suona decisamente meglio del suo equivalente italiano Dior Drogato.
A me la prima cosa che viene in mente è che ci deve essere stata un'alluvione, si è inondata la villa e lei, che in quel momento si stava preparando per il Ballo della Rosa, è riuscita a sfuggire alla violenza delle acque balzando lì sopra con quello che aveva addosso (leggi solo la sottana). Il profumo, al contrario del compianto top, non è stato abbandonato in balia degli elementi perché topless passi, scalza pure, ma puzzare di pelle umana proprio non si fa!
A un'occhiata distratta questa spiegazione potrebbe sembrare soddisfacente ma, se l'occhio si sofferma sull'immagine anche solo per un secondo, un dettaglio balza alla vista, evidente quanto un dito in un occhio: l'immagine della giovinetta non si riflette nello specchio sopra il camino, ella è evidentemente un vampiro.
Alla luce di questa scoperta assume un senso lo sguardo di totale noncuranza che esibisce la donzella e che mal si adatta a chi si trova in piedi su una mensola mezza nuda; al contrario la vampira sfida le sciocche convenzioni del nostro tempo e oltretutto, in quanto demone, non deve preoccuparsi dell'eventuale polmonite, colpo della strega o semplicemente diarrea a cui sono soggetti i mortali che vanno in giro con tutta quella roba di fuori.
Ne consegue il sospetto che la boccetta che la pulzella stringe al petto contenga in realtà sangue umano da cui il vampiro è notoriamente addicted (dipendente), ipotesi confermata dal nome stesso del profumo Dior Addict, ottima scelta dell'ufficio marketing che forse avrebbe preferito un nume italiano ma ha dovuto convenire che quello inglese suona decisamente meglio del suo equivalente italiano Dior Drogato.
martedì 12 agosto 2014
Non si può guardare opera sotto di piova
È martedì 8 luglio, sono seduta su uno dei sedili metallici dell'Arena di Verona e fino a cinque minuti fa pioveva.
Non che la cosa mi sorprenda, non sembra aver fatto altro nelle ultime settimane, però non era esattamente quello che mi aspettavo quando, mesi fa, ho comprato i biglietti per vedere l'Aida.
Come ogni anno di questi tempi, stavo scegliendo il regalo di compleanno per mia sorella e mi sono ricordata di averle sentito dire che le sarebbe piaciuto vedere un'opera all'Arena, quindi ho colto la palla al balzo e avanzato la mia proposta.
Dopo un breve consulto si è optato per l'Aida perché, pur non essendo questo il nostro primo incontro con l'Operosa Arte (vedi Mozart in Babydoll), non siamo proprio ferratissime in materia (leggi non ne abbiamo un'idea) quindi si è preferito cominciare con un classico. Certo che anche il classico più classico può riservare delle sorprese, specie se, come ho scoperto successivamente all'acquisto, l'allestimento è a cura de La Fura Dels Baus, collettivo catalano che non definirei proprio tradizionalissimo.
Dalla mia metallica sistemazione osservo il pubblico: quasi tutti indossano degli impermeabili usa e getta, il tipico indumento che ti tocca comprare
quando il maltempo ti coglie impreparato; resta da chiarire come abbia fatto a coglierli impreparati quando da settimane viviamo sott'acqua come gli Snorky...
Il colore favorito sembra essere l'azzurro-chiaro-sacco-dell'immondizia e, in effetti, visti da lontano potremmo fare l'effetto di una discarica a cielo aperto.
Inizia finalmente lo spettacolo ed è subito evidente che non sarà una passeggiata, sì perché questi plasticosi poncho quando ti muovi anche solo di un millimetro fanno swoosh swoosh e, se lo fa una persona è un conto, quando lo fanno in centinaia la musica cambia (figurativamente parlando ma anche no). Provate voi a capire cosa cantano i cantanti d'opera (che già normalmente cantano un po' nei pallotti), quando intorno a voi c'è un tale sciabordio che sembra di essere su una nave in tempesta.
Un improvviso movimento attira la mia attenzione, qualcuno si è sentito male, i suoi vicini tentano di attirare l'attenzione di quelli del soccorso ma essendo la performance in pieno svolgimento non è facile, solo dopo qualche minuto si riesce a fare arrivare il messaggio e i soccorritori finalmente si attivano. Morale della favola: stasera conviene stare bene.
Poco a poco il cielo sopra l'arena viene illuminato dal sorgere della luna e devo ammettere che è un momento molto coinvolgente, almeno fino a quando non si sente venire dall'esterno dell'Arena uno scroscio di vetri rotti, stanno svuotando una campana del vetro e con i cocci si portano via anche quel poco di atmosfera che si era creata.
Arriva finalmente il primo intervallo e molti si alzano per andare a prendere qualche rinfresco; noi che siamo nel girone dei poveri possiamo solo osservare da lontano l'angolo bar allestito nell'area vips dove ci sono due camerieri in giacca e papillon che servono prosecco in bicchieri lunghi da proposta di matrimonio con anello in fondo al bicchiere (Beautiful insegna) mentre intorno a noi si aggira il classico venditore da spiaggia al suono di "PESSIFANTABIRA!"
Vorrei ora dedicare qualche riga alla signora che durante le pause usciva a intervalli regolari, dava il suo colpo al gong e si ritirava tra gli applausi del pubblico; sicuramente più chic di un campanello per scandire il tempo ma, se mi metto per un attimo nei panni dei cantanti, viene spontaneo meditare sulle ingiustizie della vita: tu ti giochi le tonsille e mezzo polmone per strappare un applauso al pubblico mentre questa dà una botta a un piatto e gli applausi le piovono in grembo. Che vita matrigna!
L'allestimento dei Fura non ha deluso: bighe a motore, cammelli ed elefanti meccanici, c'erano pure due gru che issavano enormi cuboni a incastro, l'effetto era vagamente Tetris.
Durante il secondo intervallo i venditori avevano sostituito gli impermeabili, prodotto ormai obsoleto, con dei simpatici pile che, vista la temperatura, sospetto siano andati via come il pane. W l'estate.
Proprio alla fine del secondo intervallo si è messo improvvisamente a piovere; mentre una voce comunicava che la performance era sospesa fino all'interruzione della pioggia, i contrabbassisti se la solo data a gambe (non senza qualche difficoltà data la stazza dello strumento) seguiti rapidamente da tutti gli altri mentre il pubblico si rifugiava sotto le arcate dell'arena.
Mentre osservavo il fuggi fuggi generale al riparo del mio ombrello mi è caduto l'occhio sull'orologio: erano le 23.20 e ho realizzato che dovevamo vedere ancora due atti con in mezzo un intervallo, per non parlare delle quasi tre ore di macchina per tornare a casa.
A quel punto un'idea si è fatta strada prepotentemente nella mia mente: si potrebbe anche andare via, in fondo due ore di opera ce le siamo viste e non è che si debba restare per scoprire come va a finire, no?
Mentre concludevo che la qualità della vita vale ben più di un gorgheggio, il nostro DNA comune si è fatto sentire e la Checca ha proposto di togliere le tende, subito approvata da me e da Luca.
E così ce ne siamo andati felici, dopo una serata quasi perfetta: cena al giapponese, due ore di opera e ritorno a casa non troppo tardi, cosa volere di più?
Oltre alle motivazioni addotte qui sopra, la decisione ha avuto anche un risvolto comico non indifferente: la faccia di Farnedi la mattina dopo quando gli ho detto che avevamo piantato lì l'opera prima della fine.
È proprio vero che certe cose non hanno prezzo.
P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express
Non che la cosa mi sorprenda, non sembra aver fatto altro nelle ultime settimane, però non era esattamente quello che mi aspettavo quando, mesi fa, ho comprato i biglietti per vedere l'Aida.
Come ogni anno di questi tempi, stavo scegliendo il regalo di compleanno per mia sorella e mi sono ricordata di averle sentito dire che le sarebbe piaciuto vedere un'opera all'Arena, quindi ho colto la palla al balzo e avanzato la mia proposta.
Dopo un breve consulto si è optato per l'Aida perché, pur non essendo questo il nostro primo incontro con l'Operosa Arte (vedi Mozart in Babydoll), non siamo proprio ferratissime in materia (leggi non ne abbiamo un'idea) quindi si è preferito cominciare con un classico. Certo che anche il classico più classico può riservare delle sorprese, specie se, come ho scoperto successivamente all'acquisto, l'allestimento è a cura de La Fura Dels Baus, collettivo catalano che non definirei proprio tradizionalissimo.
Dalla mia metallica sistemazione osservo il pubblico: quasi tutti indossano degli impermeabili usa e getta, il tipico indumento che ti tocca comprare
quando il maltempo ti coglie impreparato; resta da chiarire come abbia fatto a coglierli impreparati quando da settimane viviamo sott'acqua come gli Snorky...
Il colore favorito sembra essere l'azzurro-chiaro-sacco-dell'immondizia e, in effetti, visti da lontano potremmo fare l'effetto di una discarica a cielo aperto.
Inizia finalmente lo spettacolo ed è subito evidente che non sarà una passeggiata, sì perché questi plasticosi poncho quando ti muovi anche solo di un millimetro fanno swoosh swoosh e, se lo fa una persona è un conto, quando lo fanno in centinaia la musica cambia (figurativamente parlando ma anche no). Provate voi a capire cosa cantano i cantanti d'opera (che già normalmente cantano un po' nei pallotti), quando intorno a voi c'è un tale sciabordio che sembra di essere su una nave in tempesta.
Un improvviso movimento attira la mia attenzione, qualcuno si è sentito male, i suoi vicini tentano di attirare l'attenzione di quelli del soccorso ma essendo la performance in pieno svolgimento non è facile, solo dopo qualche minuto si riesce a fare arrivare il messaggio e i soccorritori finalmente si attivano. Morale della favola: stasera conviene stare bene.
Poco a poco il cielo sopra l'arena viene illuminato dal sorgere della luna e devo ammettere che è un momento molto coinvolgente, almeno fino a quando non si sente venire dall'esterno dell'Arena uno scroscio di vetri rotti, stanno svuotando una campana del vetro e con i cocci si portano via anche quel poco di atmosfera che si era creata.
Arriva finalmente il primo intervallo e molti si alzano per andare a prendere qualche rinfresco; noi che siamo nel girone dei poveri possiamo solo osservare da lontano l'angolo bar allestito nell'area vips dove ci sono due camerieri in giacca e papillon che servono prosecco in bicchieri lunghi da proposta di matrimonio con anello in fondo al bicchiere (Beautiful insegna) mentre intorno a noi si aggira il classico venditore da spiaggia al suono di "PESSIFANTABIRA!"
Vorrei ora dedicare qualche riga alla signora che durante le pause usciva a intervalli regolari, dava il suo colpo al gong e si ritirava tra gli applausi del pubblico; sicuramente più chic di un campanello per scandire il tempo ma, se mi metto per un attimo nei panni dei cantanti, viene spontaneo meditare sulle ingiustizie della vita: tu ti giochi le tonsille e mezzo polmone per strappare un applauso al pubblico mentre questa dà una botta a un piatto e gli applausi le piovono in grembo. Che vita matrigna!
L'allestimento dei Fura non ha deluso: bighe a motore, cammelli ed elefanti meccanici, c'erano pure due gru che issavano enormi cuboni a incastro, l'effetto era vagamente Tetris.
Durante il secondo intervallo i venditori avevano sostituito gli impermeabili, prodotto ormai obsoleto, con dei simpatici pile che, vista la temperatura, sospetto siano andati via come il pane. W l'estate.
Proprio alla fine del secondo intervallo si è messo improvvisamente a piovere; mentre una voce comunicava che la performance era sospesa fino all'interruzione della pioggia, i contrabbassisti se la solo data a gambe (non senza qualche difficoltà data la stazza dello strumento) seguiti rapidamente da tutti gli altri mentre il pubblico si rifugiava sotto le arcate dell'arena.
Mentre osservavo il fuggi fuggi generale al riparo del mio ombrello mi è caduto l'occhio sull'orologio: erano le 23.20 e ho realizzato che dovevamo vedere ancora due atti con in mezzo un intervallo, per non parlare delle quasi tre ore di macchina per tornare a casa.
A quel punto un'idea si è fatta strada prepotentemente nella mia mente: si potrebbe anche andare via, in fondo due ore di opera ce le siamo viste e non è che si debba restare per scoprire come va a finire, no?
Mentre concludevo che la qualità della vita vale ben più di un gorgheggio, il nostro DNA comune si è fatto sentire e la Checca ha proposto di togliere le tende, subito approvata da me e da Luca.
E così ce ne siamo andati felici, dopo una serata quasi perfetta: cena al giapponese, due ore di opera e ritorno a casa non troppo tardi, cosa volere di più?
Oltre alle motivazioni addotte qui sopra, la decisione ha avuto anche un risvolto comico non indifferente: la faccia di Farnedi la mattina dopo quando gli ho detto che avevamo piantato lì l'opera prima della fine.
È proprio vero che certe cose non hanno prezzo.
P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express
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giovedì 31 luglio 2014
Le lotte femminili non finiscono mai
Mi limito quindi a pochi e brevi commenti:
1) La locandina annuncia a gran voce incontri di lotta femminile nel fango (allestito apposito ring), poi però arriva la delusione: l'immagine a corredo è chiaramente quella di un foam party, forse si teme che il fango sporchi gli schizzinosi seduti nei tavoli a bordo ring?
2) Consiglio di spostare il CAR WASH delle badanti all'interno del salone, così si potrà lavare via tutto il fango dei precedenti incontri di lotta femminile, ottimizziamo le risorse, no?
3) A cosa diavolo è appeso il dj Andrea Capello al quale è affidata la conclusione in grande stile dell'evento? Ho paura a dirlo ma temo sia un capello.
3-bis) però apprezziamo che l'artista si lasci andare a qualche confidenza sulla sua vita avec badante e dispensi consigli preoccupandosi per il nostro futuro.
4) Le ragazze del SEXI BAR (SEXY evidentemente è da vekki) faranno la pole dance intorno a un palo dell'INPS? Se sì, propongo che invece dei biglietti da cinque euro negli slip, i partecipanti versino alle showgirl i contributi.
Una rapida ricerca mi ha permesso di scoprire che questo ineguagliabile evento si ripete già da qualche anno in quel di Prato Barbieri e con pochissime variazioni, segno inequivocabile di un solido successo di pubblico. Già nel 2010 il nostro baldo dj chiudeva in grande stile l'evento ma evidentemente non era ancora ritenuto meritevole di comparire di persona sulla locandina.
La locandina 2011 purtroppo non è pervenuta.
Nel 2012 ecco comparire Andrea Capello virilmente appeso al capello.
Nel 2013 la conclusione era sempre saldamente nelle sue mani ma in partnership con Fabietto & Lyons, che avranno forse tentato di spodestarlo dal trono ma evidentemente con scarsi risultati.
Attendiamo con trepidazione la locandina dell'edizione 2015.
P.S. Un sentito ringraziamento a Roberto Orsini per aver portato alla mia attenzione questa piccola gemma.
P.P.S.Vi ricordo che è possibile prenotare tavoli a bordo ring.
Ora che si è finalmente svolto, ecco un video che documenta l'evento, da non perdere il discorso del commentatore :)
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mercoledì 23 luglio 2014
Quando un Bretone lo paghi come l'oro
Non so se vi è mai capitato di imbattervi al supermercato in un espositore come quello nella foto; a me è successo qualche giorno fa mentre facevo la spesa con Enrico e, ignara della monumentale scoperta che stavo per fare, spingevo spensieratamente il mio carrello su per la corsia.
All'inizio ho pensato che si trattasse di qualche spezia strana e invece avvicinandomi ho scoperto l'esistenza, mai sospettata prima, del sale blu di Persia, del sale nero di Cipro e del sale grigio bretone.
La scoperta in sé non sarebbe niente di epocale se non fosse che, mentre esaminavo le confezioni, mi è caduto l'occhio sul cartellino del prezzo:
Ammetto che in questo caso la situazione è diversa, di sale da 44 centesimi al chilo ce ne sono quintali e quindi il parente carissimo in Technicolor non è obbligatorio, semmai una scelta dovuta a motivi a mio avviso inspiegabili, nel senso che posso capire l'attrazione irresistibile del colore strano (in fondo io mangio il gelato al gusto Puffo), ma da lì a pagarlo cento volte di più ce ne corre!
Poi magari se li assaggi sono sali stratosferici che ti fanno rivalutare il concetto di paradiso e pur di averli li pagheresti più del Pata Negra, cosa ne so io che non li ho mai provati?
Tutto considerato, meglio optare per un sano vivi e lascia vivere, in fondo qualcuno l'economia deve pur farla girare, o no?
All'inizio ho pensato che si trattasse di qualche spezia strana e invece avvicinandomi ho scoperto l'esistenza, mai sospettata prima, del sale blu di Persia, del sale nero di Cipro e del sale grigio bretone.
La scoperta in sé non sarebbe niente di epocale se non fosse che, mentre esaminavo le confezioni, mi è caduto l'occhio sul cartellino del prezzo:
Sale Blu di Persia (confezione da 90 grammi) prezzo 2,21 euri
Sale Nero di Cipro (confezione da 50 grammi) prezzo 2,21 euri
Sale Grigio Bretone (confezione da 70 grammi) prezzo 3,19 euri
A prima vista magari non sembra neanche tanto ma, se uno ci pensa bene, corrisponde a quanto segue:
Sale Blu 24,5 euri/chilo
Sale Nero 44,2 euri/chilo
Sale Grigio 45,5 euri/chilo
Aggiungo solo, come termine di paragone, il prezzo del sale marca supermercato: 0,44 euri/chilo
Facendo una botta di conti, i sali colorati costano 100 volte di più.
Aggiungo solo, come termine di paragone, il prezzo del sale marca supermercato: 0,44 euri/chilo
Facendo una botta di conti, i sali colorati costano 100 volte di più.
Impossibile non riandare col pensiero a un'altra scoperta di qualche anno fa: il complotto del pane (vedi Non di solo pane vive l'uomo) e farsi delle domande.
Ammetto che in questo caso la situazione è diversa, di sale da 44 centesimi al chilo ce ne sono quintali e quindi il parente carissimo in Technicolor non è obbligatorio, semmai una scelta dovuta a motivi a mio avviso inspiegabili, nel senso che posso capire l'attrazione irresistibile del colore strano (in fondo io mangio il gelato al gusto Puffo), ma da lì a pagarlo cento volte di più ce ne corre!
Poi magari se li assaggi sono sali stratosferici che ti fanno rivalutare il concetto di paradiso e pur di averli li pagheresti più del Pata Negra, cosa ne so io che non li ho mai provati?
Tutto considerato, meglio optare per un sano vivi e lascia vivere, in fondo qualcuno l'economia deve pur farla girare, o no?
martedì 8 luglio 2014
L'intimo romanticismo del pollo alla griglia
La protagonista indiscussa della nostra storia è Jessica, una donna moderna che sa cosa vuole ed è disposta a fare quanto necessario per ottenerlo. Qualche giorno fa ha accettato l'invito del lui di turno per un fine settimana romantico in campagna; sono mesi che pastura quest'uomo e, avendo finalmente ricevuto l'ambito invito, ha deciso di sparare in una sola volta tutte le sue cartucce, che tradotto significa chilometri di biancheria intima, pizzi e merletti.
All'ora X Jessica si fa trovare nel luogo concordato con un look che manda un messaggio inequivocabile: body di pizzo nero con una tornatura di schiena scoperta, pantaloni da sera e tacchi infiniti e spillosissimi.
Naturale che resti un po' spiazzata quando lui, Mirko, arriva alla guida di un enorme camper e, senza neppure scendere e salutarla, le fa segno di montare su. Presa in contropiede la nostra Jessica preferisce un prudente silenzio mentre i neuroni corrono nel disperato tentativo di adattarsi alla nuova situazione. In fondo il camper può essere romantico, magari si fermeranno in cima a un monte e berranno un aperitivo ghiacciato di fronte al tramonto, prima di ballare un lento mentre sorge la luna e poi fare l'amore sotto le stelle.
Una volta riacceso l'entusiasmo, la nostra eroina inizia a guardarsi intorno, proprio mentre arrivano a destinazione: una campagna sperduta e romanticissima.
Mirko la invita a mettersi comoda mentre lui prepara tutto il necessario per la serata. Che cavaliere! - pensa Jessica e si sposta sul retro del camper dove giace il baule con l'artiglieria. Non è il caso di essere subito troppo esplicita - riflette - meglio qualcosa di rilassato ma sexy. Quando scende dal camper un'ora dopo (le è toccato anche rifarsi la piastra, con tutta l'umidità che c'è...) la situazione le risulta totalmente incomprensibile: lui se ne sta vicino a un mucchio di legna e pare stia giocando a Shangai mentre, proprio davanti al camper, troneggia un asse da stiro con sopra un lenzuolo con gli angoli.
"Potresti dargli una stirata mentre io preparo la legna per accendere il fuoco?" le chiede distrattamente, senza dare neppure un'occhiata al vestitino, alle zip aperte, niente. Lei vorrebbe prendere il ferro da stiro e frantumargli quel cranio vuoto ma riesce a dominarsi e la sua unica reazione è sottolineare seccamente che i lenzuoli con gli angoli non si stirano e poi chiedere di bere qualcosa.
Lui la informa che in frigo c'è da bere e poi torna ai suoi legnetti mentre lei risale furibonda sul camper. In frigo c'è in effetti della birra, di marca sconosciuta ma almeno è fredda al punto giusto; afferra un bicchiere (ce ne sono solo due) e si versa da bere.
Sentendosi soffocare (la cintura troppo stretta non la fa respirare bene) decide di mettersi qualcosa di più comodo e, dopo aver preparato il letto, ci si stende languidamente e sorseggia la sua birra in attesa che il cerebroleso smetta di giocare col fuoco e decida di giocare con lei.
La porta socchiusa si apre leggermente e la speranza si accende, ma a saltare sul letto non è il nostro lui, bensì un cagnolino bianco, probabilmente proveniente da qualche casa nei dintorni; mentre gioca con l'inaspettato Trudino, facendo attenzione che non le rovini i pizzi o la rete delle calze, ecco entrare Mirko con un'espressione a dir poco abbattuta. Le confessa che non è riuscito ad accendere il fuoco quindi dovranno usare la carbonella; lo dice con un tono sconfitto, come se stesse ammettendo una vergognosa debolezza, non la guarda neppure negli occhi e quindi non può accorgersi del cambio di mise, delle calze a rete, del pizzo e del relativo messaggio.
Jessica dal canto suo, avendo visto la carbonella due volte nella sua vita, non mostra particolare interesse per la notizia, limitandosi a indagare su cosa c'è per cena. "Pollo alla griglia" le risponde l'aspirante Prometeo, poi si apre una birra e torna fuori, deciso a trionfare sul nemico barbecue.
La osserviamo mentre si lascia cadere sul letto e il tonfo rispecchia fedelmente la caduta in picchiata del suo umore, questo l'unica cosa che vuol fare è giocare a MacGyver!
Tira fuori dal baule uno specchio e si osserva, mentre la mente valuta la possibilità di piantare il mollusco e tornare a casa, arenandosi contro lo scoglio dell'assenza di trasporto alternativo. Ed eccolo lì, il pizzo strappato che lo specchio mostra impietoso, sarà stato quello stramaledetto botolo bianco, adesso le tocca cambiare il body e ovviamente anche tutto il resto...
Mentre la nostra eroina effettua un rapido cambio d'abito, accessori compresi, fuori l'impareggiabile Mirko, novello Mac, ha appena spruzzato dell'alcol sulla carbonella accesa, nel maldestro tentativo di avere fiamme più vivaci ma con l'unico risultato di darsi fuoco alla maglietta.
Quando lo vede aprire la porta del camper a torso nudo, Jessica per un momento s'illumina, magari è la volta buona! Invece lo sente chiederle di portare fuori il pollo; sospira rassegnata e apre il frigo. Dentro non si sono cosce, alette o roba simile, bensì un pollo intero che lo sa il cielo come si possa cuocere su un barbecue.
Questa volta la soddisfazione di far roteare il pollo e lanciarlo verso la schiena dell'invornito se la toglie, ovvio che dopo la situazione si fa un po' tesa ma riesce comunque a risolvere tutto fingendo che il volatile le sia sfuggito di mano. A quel punto lui, abbattuto, conclude che l'unica soluzione sarà andare a mangiare in paese e Jessica che non aspettava altro, corre in camper a cambiarsi, ha un vestitino strepitoso che lo farà capitolare!
Sta ancora sistemando i vari ganci dell'intimo quando lui socchiude la porta e le annuncia raggiante che non c'è bisogno di fare tutta la strada fino al ristorante perché in dispensa ha trovato delle provviste che non ricordava di avere, è tutto risolto!
Ovvio che a questo punto la fiducia nelle dichiarazioni del cefalopode è ormai precipitata a livelli da Fossa delle Marianne ma la povera figliola non sa resistere alla tentazione di uscire dal camper vestita della sola biancheria intima per scoprire cosa ha in mente questa volta il suo cavaliere.
E purtroppo lo scopre: würstel di maiale.
Non serve aggiungere molto altro, dopo averlo coperto di contumelie, risale sul camper e infila nel baule tutto l'intimo sparso per il mezzo, determinata ad andarsene quanto prima. L'assenza di un mezzo di trasporto a sua disposizione è un ostacolo non trascurabile ma la nostra Jessica è come tutte le eroine degne di questo nome: è proprio quando il gioco si fa duro che inizia a giocare.
Fruga in fondo al baule e ne estrae una mise che già da sola è una garanzia di successo, un passaggio da qualcuno non le mancherà di certo.
Ed è così che la la vediamo allontanarsi verso il destino, in una mano il mazzo di rose che LEI aveva portato quando ancora si illudeva di poter spargere petali di rosa sul loro letto come fanno sempre a Beautiful, nell'altra il sacchetto dei croissant che avrebbero consumato a colazione e sulle spalle il giubbotto di pelle per darsi un'aria da dura e prepararsi ad affrontare i mille pericoli della strada.
All'ora X Jessica si fa trovare nel luogo concordato con un look che manda un messaggio inequivocabile: body di pizzo nero con una tornatura di schiena scoperta, pantaloni da sera e tacchi infiniti e spillosissimi.
Naturale che resti un po' spiazzata quando lui, Mirko, arriva alla guida di un enorme camper e, senza neppure scendere e salutarla, le fa segno di montare su. Presa in contropiede la nostra Jessica preferisce un prudente silenzio mentre i neuroni corrono nel disperato tentativo di adattarsi alla nuova situazione. In fondo il camper può essere romantico, magari si fermeranno in cima a un monte e berranno un aperitivo ghiacciato di fronte al tramonto, prima di ballare un lento mentre sorge la luna e poi fare l'amore sotto le stelle.
Una volta riacceso l'entusiasmo, la nostra eroina inizia a guardarsi intorno, proprio mentre arrivano a destinazione: una campagna sperduta e romanticissima.
Mirko la invita a mettersi comoda mentre lui prepara tutto il necessario per la serata. Che cavaliere! - pensa Jessica e si sposta sul retro del camper dove giace il baule con l'artiglieria. Non è il caso di essere subito troppo esplicita - riflette - meglio qualcosa di rilassato ma sexy. Quando scende dal camper un'ora dopo (le è toccato anche rifarsi la piastra, con tutta l'umidità che c'è...) la situazione le risulta totalmente incomprensibile: lui se ne sta vicino a un mucchio di legna e pare stia giocando a Shangai mentre, proprio davanti al camper, troneggia un asse da stiro con sopra un lenzuolo con gli angoli.
"Potresti dargli una stirata mentre io preparo la legna per accendere il fuoco?" le chiede distrattamente, senza dare neppure un'occhiata al vestitino, alle zip aperte, niente. Lei vorrebbe prendere il ferro da stiro e frantumargli quel cranio vuoto ma riesce a dominarsi e la sua unica reazione è sottolineare seccamente che i lenzuoli con gli angoli non si stirano e poi chiedere di bere qualcosa.
Lui la informa che in frigo c'è da bere e poi torna ai suoi legnetti mentre lei risale furibonda sul camper. In frigo c'è in effetti della birra, di marca sconosciuta ma almeno è fredda al punto giusto; afferra un bicchiere (ce ne sono solo due) e si versa da bere.
Sentendosi soffocare (la cintura troppo stretta non la fa respirare bene) decide di mettersi qualcosa di più comodo e, dopo aver preparato il letto, ci si stende languidamente e sorseggia la sua birra in attesa che il cerebroleso smetta di giocare col fuoco e decida di giocare con lei.
La porta socchiusa si apre leggermente e la speranza si accende, ma a saltare sul letto non è il nostro lui, bensì un cagnolino bianco, probabilmente proveniente da qualche casa nei dintorni; mentre gioca con l'inaspettato Trudino, facendo attenzione che non le rovini i pizzi o la rete delle calze, ecco entrare Mirko con un'espressione a dir poco abbattuta. Le confessa che non è riuscito ad accendere il fuoco quindi dovranno usare la carbonella; lo dice con un tono sconfitto, come se stesse ammettendo una vergognosa debolezza, non la guarda neppure negli occhi e quindi non può accorgersi del cambio di mise, delle calze a rete, del pizzo e del relativo messaggio.
Jessica dal canto suo, avendo visto la carbonella due volte nella sua vita, non mostra particolare interesse per la notizia, limitandosi a indagare su cosa c'è per cena. "Pollo alla griglia" le risponde l'aspirante Prometeo, poi si apre una birra e torna fuori, deciso a trionfare sul nemico barbecue.
La osserviamo mentre si lascia cadere sul letto e il tonfo rispecchia fedelmente la caduta in picchiata del suo umore, questo l'unica cosa che vuol fare è giocare a MacGyver!
Tira fuori dal baule uno specchio e si osserva, mentre la mente valuta la possibilità di piantare il mollusco e tornare a casa, arenandosi contro lo scoglio dell'assenza di trasporto alternativo. Ed eccolo lì, il pizzo strappato che lo specchio mostra impietoso, sarà stato quello stramaledetto botolo bianco, adesso le tocca cambiare il body e ovviamente anche tutto il resto...
Mentre la nostra eroina effettua un rapido cambio d'abito, accessori compresi, fuori l'impareggiabile Mirko, novello Mac, ha appena spruzzato dell'alcol sulla carbonella accesa, nel maldestro tentativo di avere fiamme più vivaci ma con l'unico risultato di darsi fuoco alla maglietta.
Quando lo vede aprire la porta del camper a torso nudo, Jessica per un momento s'illumina, magari è la volta buona! Invece lo sente chiederle di portare fuori il pollo; sospira rassegnata e apre il frigo. Dentro non si sono cosce, alette o roba simile, bensì un pollo intero che lo sa il cielo come si possa cuocere su un barbecue.
Questa volta la soddisfazione di far roteare il pollo e lanciarlo verso la schiena dell'invornito se la toglie, ovvio che dopo la situazione si fa un po' tesa ma riesce comunque a risolvere tutto fingendo che il volatile le sia sfuggito di mano. A quel punto lui, abbattuto, conclude che l'unica soluzione sarà andare a mangiare in paese e Jessica che non aspettava altro, corre in camper a cambiarsi, ha un vestitino strepitoso che lo farà capitolare!
Sta ancora sistemando i vari ganci dell'intimo quando lui socchiude la porta e le annuncia raggiante che non c'è bisogno di fare tutta la strada fino al ristorante perché in dispensa ha trovato delle provviste che non ricordava di avere, è tutto risolto!
Ovvio che a questo punto la fiducia nelle dichiarazioni del cefalopode è ormai precipitata a livelli da Fossa delle Marianne ma la povera figliola non sa resistere alla tentazione di uscire dal camper vestita della sola biancheria intima per scoprire cosa ha in mente questa volta il suo cavaliere.
E purtroppo lo scopre: würstel di maiale.
Non serve aggiungere molto altro, dopo averlo coperto di contumelie, risale sul camper e infila nel baule tutto l'intimo sparso per il mezzo, determinata ad andarsene quanto prima. L'assenza di un mezzo di trasporto a sua disposizione è un ostacolo non trascurabile ma la nostra Jessica è come tutte le eroine degne di questo nome: è proprio quando il gioco si fa duro che inizia a giocare.
Fruga in fondo al baule e ne estrae una mise che già da sola è una garanzia di successo, un passaggio da qualcuno non le mancherà di certo.
Ed è così che la la vediamo allontanarsi verso il destino, in una mano il mazzo di rose che LEI aveva portato quando ancora si illudeva di poter spargere petali di rosa sul loro letto come fanno sempre a Beautiful, nell'altra il sacchetto dei croissant che avrebbero consumato a colazione e sulle spalle il giubbotto di pelle per darsi un'aria da dura e prepararsi ad affrontare i mille pericoli della strada.
È stata una dura giornata e non è ancora finita ma, qualunque altra prova le riserverà il destino, sa che saprà affrontarla con coraggio, mantenendo sempre e comunque dritta la riga delle calze.
mercoledì 2 luglio 2014
Fendi alla Notturna di San Giovanni
Per la Notturna di san Giovanni di quest'anno (per la passata edizione vedi Gli Dei sorridono sulla Notturna di San Giovanni, io meno) io e Rico avevamo deciso di prendercela comoda e camminare, anche perché considerando la mia velocità di corsa e il ritmo da bersagliere che mi tocca tenere quando vado a camminare con lui, non ci avremmo messo molto più tempo dello scorso anno...
Sfortunatamente con l'approssimarsi del D-Day l'evento stesso è parso a rischio, vittima della furia degli elementi che secondo le previsioni meteo si sarebbero abbattuti su quel fine settimana, affogando in ettolitri di pioggia qualsiasi buona intenzione podistica. E in effetti la sera prima della gara Madre Natura aveva dato ragione al colonnello Bernacca, sfoderando il meglio del proprio repertorio: tuoni, fulmini e piogge torrenziali.
Immaginate la mia sorpresa quando il mattino dopo, nonostante avesse rinfrescato, i miei occhi si sono aperti su un cielo limpido e un sole splendente; di fronte a tanto ben di dio ho pensato Carpe Diem! e sono andata a fare una corsetta, sai mai che le previsioni ci azzeccassero per la serata, mandando a monte la Notturna...
Sfortunatamente non avevo considerato che, anche se preceduto da una notte di diluvio, il sole di giugno si riprende in fretta e già dopo un quarto d'ora sudavo abbondantemente e la testa sembrava andarmi a fuoco. Sono riuscita a resistere per trenta interminabili minuti, dopodiché a malincuore ho gettato la spugna (in realtà ormai la spugna ero io).
Neanche a dirlo, non è caduta neanche una goccia di pioggia in tutto il giorno.
All'ora X siamo partiti per la nostra camminata con una formazione composta dalla sottoscritta, Rico, la Clodia e Tommasoni; abbiamo affrontato il percorso in modo molto rilassato, eccetto in quei cinque minuti in cui siamo stati travolti dalle centinaia di corridori della competitiva che ci hanno superato, sfrecciando intorno a noi come mustang e costringendoci a trovare rifugio dietro una colonna per non venire travolti dalla mandria impazzita.
La camminata è stata molto piacevole, la vista dall'Abbazia del Monte al tramonto era splendida ma confesso che la mia attenzione a quel punto era focalizzata su ben altro: davanti a noi c'erano due tizie che avevano portato il concetto di Bella Figheira a livelli impensabili: dovendo scegliere l'abbigliamento più adatto alla camminata (seppure di soli 6 km includeva varie salite piuttosto ripide), una delle due aveva optato per una maglia obliqua che cadeva lasciando tutta una spalla di fuori, i capelli raccolti in stile Nicollette Sheridan anni 80 e, udite udite, una borsa di Fendi che teneva orgogliosamente al braccio con la tipica inclinazione dell'arto che contraddistingue chi non è mai stata sfiorata dal pensiero che le braccia siano più che semplici attaccapanni per borse griffate.
Vedendo che la nostra squadra, distratta dalle chiacchiere, aveva visibilmente rallentato l'andatura, ho fatto loro presente che per me potevano anche fermarsi a fare le capriole sul prato ma noi la camminata non potevamo finirla dietro la Bella Figheira con la borsetta. Una degli standard minimi li deve avere.
Mi tocca ammettere che la tipa in questione prendeva molto sul serio il suo personaggio: il braccio è sempre rimasto ad angolo retto, abbassandosi solo per brevi istanti, uno dei quali purtroppo proprio mentre io cercavo di scattare una foto per documentare la situazione. Mannaggia.
Verso la fine del percorso, mentre affrontavamo l'ultima ripidissima salita invocando a intervalli regolari uno ski-lift o uno spritz, siamo stati superati dai cyborg della competitiva i quali, oltre ad aver per-corso una distanza doppia rispetto alla nostra, correvano su per la salita senza fare una piega. E pensare che da fermi sembravano terrestri come noi.
A fine corsa siamo andati a ritirare la maglietta premio ed è stato quello il momento più difficile di tutta la giornata: da una parte in questi casi è meglio andare subito al ritiro t-shirt, così non si rischia di arrivare quando l'unica taglia rimasta è la XL come mi successe l'anno scorso; dall'altra parte per ottenere una M devi farti strada in mezzo a una marea di braccia spalle e schiene tutte sudatissime e sempre in movimento per cui solo Mandrake riuscirebbe a evitare di farsi toccare. Quando esci ti sembra di essere stata attaccata da un branco di lama e leccata a morte.
Forte dell'esperienza acquisita mi sento di pronosticare che l'anno prossimo invece di correre allestiremo un chioschetto lungo il percorso e ci arricchiremo servendo Spritz ai partecipanti assetati.
Sfortunatamente con l'approssimarsi del D-Day l'evento stesso è parso a rischio, vittima della furia degli elementi che secondo le previsioni meteo si sarebbero abbattuti su quel fine settimana, affogando in ettolitri di pioggia qualsiasi buona intenzione podistica. E in effetti la sera prima della gara Madre Natura aveva dato ragione al colonnello Bernacca, sfoderando il meglio del proprio repertorio: tuoni, fulmini e piogge torrenziali.
Immaginate la mia sorpresa quando il mattino dopo, nonostante avesse rinfrescato, i miei occhi si sono aperti su un cielo limpido e un sole splendente; di fronte a tanto ben di dio ho pensato Carpe Diem! e sono andata a fare una corsetta, sai mai che le previsioni ci azzeccassero per la serata, mandando a monte la Notturna...
Sfortunatamente non avevo considerato che, anche se preceduto da una notte di diluvio, il sole di giugno si riprende in fretta e già dopo un quarto d'ora sudavo abbondantemente e la testa sembrava andarmi a fuoco. Sono riuscita a resistere per trenta interminabili minuti, dopodiché a malincuore ho gettato la spugna (in realtà ormai la spugna ero io).
Neanche a dirlo, non è caduta neanche una goccia di pioggia in tutto il giorno.
All'ora X siamo partiti per la nostra camminata con una formazione composta dalla sottoscritta, Rico, la Clodia e Tommasoni; abbiamo affrontato il percorso in modo molto rilassato, eccetto in quei cinque minuti in cui siamo stati travolti dalle centinaia di corridori della competitiva che ci hanno superato, sfrecciando intorno a noi come mustang e costringendoci a trovare rifugio dietro una colonna per non venire travolti dalla mandria impazzita.
La camminata è stata molto piacevole, la vista dall'Abbazia del Monte al tramonto era splendida ma confesso che la mia attenzione a quel punto era focalizzata su ben altro: davanti a noi c'erano due tizie che avevano portato il concetto di Bella Figheira a livelli impensabili: dovendo scegliere l'abbigliamento più adatto alla camminata (seppure di soli 6 km includeva varie salite piuttosto ripide), una delle due aveva optato per una maglia obliqua che cadeva lasciando tutta una spalla di fuori, i capelli raccolti in stile Nicollette Sheridan anni 80 e, udite udite, una borsa di Fendi che teneva orgogliosamente al braccio con la tipica inclinazione dell'arto che contraddistingue chi non è mai stata sfiorata dal pensiero che le braccia siano più che semplici attaccapanni per borse griffate.
Vedendo che la nostra squadra, distratta dalle chiacchiere, aveva visibilmente rallentato l'andatura, ho fatto loro presente che per me potevano anche fermarsi a fare le capriole sul prato ma noi la camminata non potevamo finirla dietro la Bella Figheira con la borsetta. Una degli standard minimi li deve avere.
Mi tocca ammettere che la tipa in questione prendeva molto sul serio il suo personaggio: il braccio è sempre rimasto ad angolo retto, abbassandosi solo per brevi istanti, uno dei quali purtroppo proprio mentre io cercavo di scattare una foto per documentare la situazione. Mannaggia.
Verso la fine del percorso, mentre affrontavamo l'ultima ripidissima salita invocando a intervalli regolari uno ski-lift o uno spritz, siamo stati superati dai cyborg della competitiva i quali, oltre ad aver per-corso una distanza doppia rispetto alla nostra, correvano su per la salita senza fare una piega. E pensare che da fermi sembravano terrestri come noi.
A fine corsa siamo andati a ritirare la maglietta premio ed è stato quello il momento più difficile di tutta la giornata: da una parte in questi casi è meglio andare subito al ritiro t-shirt, così non si rischia di arrivare quando l'unica taglia rimasta è la XL come mi successe l'anno scorso; dall'altra parte per ottenere una M devi farti strada in mezzo a una marea di braccia spalle e schiene tutte sudatissime e sempre in movimento per cui solo Mandrake riuscirebbe a evitare di farsi toccare. Quando esci ti sembra di essere stata attaccata da un branco di lama e leccata a morte.
Forte dell'esperienza acquisita mi sento di pronosticare che l'anno prossimo invece di correre allestiremo un chioschetto lungo il percorso e ci arricchiremo servendo Spritz ai partecipanti assetati.
mercoledì 25 giugno 2014
Sotto il vestito, un ukulele
Tutto è iniziato qualche mese fa quando Farnedi mi ha informato che avrebbe partecipato anche quest'anno al Festival dell'Ukulele di Caldogno (20-22 giugno); poi, come se fosse un semplice dettaglio, ha aggiunto "io suonerò il venerdì sera e il sabato sera ci sarà la Ukulele Orchestra of Great Britain". Un attimo dopo ho sentito la mia voce: "Vengo anch'io!"
L'orchestra in questione l'ho già menzionata in un precedente post (vedi Nonantola e il mucchio selvaggio) e il fatto che tornasse in Italia dopo non so mai quanti anni era già un evento in sé, figuriamoci per me che non l'avevo mai vista dal vivo...
Sono ormai le 21.13 e io mi sto chiedendo se mai riuscirò a mettere qualcosa sotto i denti quand'ecco aprirsi la porta del camerino e uscire gli otto membri dell'orchestra i quali, elegantissimi in smoking (i signori) e abiti da sera (le signore), davanti ai nostri occhi increduli sono saliti sul palco, hanno fatto un inchino di saluto e alle ore 21.15 hanno dato inizio al concerto.
Questo dettaglio, a prima vista trascurabile, è invece fondamentale per capire che noi e gli inglesi siamo popoli assai diversi: nel programma il loro concerto era previsto per le 21.15 e alle 21.15 è iniziato. Noi, da bravi italiani, di fronte a tanta britannica puntualità siamo rimasti a bocca aperta come paganelli.
L'orchestra non ha deluso le nostre aspettative, il repertorio ha spaziato dagli Who (Pinball Wizard in una versione da ballata marinaresca) a Morricone (Il buono il brutto il cattivo), passando per i Talking Heads (Psycho Killer) e i Nirvana (Smells Like Teen Spirit), il tutto accompagnato dall'inconfondibile humor d'oltremanica.
A metà concerto c'è stato un breve intervallo per far riposare i musicisti; nel frattempo un altro artista (Ugo Sánchez Jr) è salito sul palco, anche lui impeccabile nel suo smoking. Proprio mentre erano sul punto di uscire di scena, con una mossa rapidissima e letale, i membri dell'orchestra si sono gettati su di lui e quando sono scesi dal palco hanno lasciato di fronte alla folla un uomo coperto solo del suo ukulele (oltretutto soprano).
La sorpresa del pubblico era palpabile, non capita tutti i giorni di vedere un uomo nudo su un palco e, per un attimo, mi sono chiesta come sarebbe andata a finire; è andata a finire che abbiamo goduto di quindici minuti di puro divertimento (non solo noi, anche le signore in abito a fiori sedute davanti a me hanno mostrato di apprezzare), su cui però mantengo un rigoroso silenzio, onde non rovinare la sorpresa a coloro che avranno la fortuna di assistere a una simile performance in futuro. Aggiungo soltanto che il signor Sánchez ha concluso in grande stile l'intervallo, consegnandoci all'orchestra per la seconda, strepitosa parte del concerto.
Non ho purtroppo spazio sufficiente per raccontare tutto quello che è successo in quei tre giorni: dal concerto della Keiki Ukulele Band, composta interamente da bambini, alla proposta di matrimonio che il virtuoso hawaiano Aldrine Guerrero ha fatto alla sua compagna nel bel mezzo del suo concerto, dalla lotteria con i biglietti pastello che di sera non capivi di che colore fossero, fino al numero spropositato di ukulele in mostra che ha causato in Farnedi più di un sospiro di desiderio.
Per quanto mi riguarda, quello che porto a casa da Caldogno è l'atmosfera accogliente e di grande entusiasmo che si respirava, le facce sorridenti di chi lavorava senza sosta e il rammarico di non essere stata in grado, con i quattro accordi in croce che conosco, di partecipare davvero di tutta quella gioia a forma di ukulele.
P.S. E il panino ukulele, ovviamente :)
P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express
L'orchestra in questione l'ho già menzionata in un precedente post (vedi Nonantola e il mucchio selvaggio) e il fatto che tornasse in Italia dopo non so mai quanti anni era già un evento in sé, figuriamoci per me che non l'avevo mai vista dal vivo...
***
Sabato 21 giugno è finalmente arrivato e mi trovo in fila da 30 minuti davanti al camioncino dei panini (un sacco di gente, un solo camioncino = fila interminabile), circondata da un mare di gente e un numero imprecisato di ukulele; per tutto il pomeriggio le performance "autorizzate" si sono alternate alla musica spontanea, gruppetti di persone sedute all'ombra di un albero improvvisavano piccoli concerti in un'atmosfera gioiosa e familiare difficile da rendere a parole.Sono ormai le 21.13 e io mi sto chiedendo se mai riuscirò a mettere qualcosa sotto i denti quand'ecco aprirsi la porta del camerino e uscire gli otto membri dell'orchestra i quali, elegantissimi in smoking (i signori) e abiti da sera (le signore), davanti ai nostri occhi increduli sono saliti sul palco, hanno fatto un inchino di saluto e alle ore 21.15 hanno dato inizio al concerto.
Questo dettaglio, a prima vista trascurabile, è invece fondamentale per capire che noi e gli inglesi siamo popoli assai diversi: nel programma il loro concerto era previsto per le 21.15 e alle 21.15 è iniziato. Noi, da bravi italiani, di fronte a tanta britannica puntualità siamo rimasti a bocca aperta come paganelli.
L'orchestra non ha deluso le nostre aspettative, il repertorio ha spaziato dagli Who (Pinball Wizard in una versione da ballata marinaresca) a Morricone (Il buono il brutto il cattivo), passando per i Talking Heads (Psycho Killer) e i Nirvana (Smells Like Teen Spirit), il tutto accompagnato dall'inconfondibile humor d'oltremanica.
La sorpresa del pubblico era palpabile, non capita tutti i giorni di vedere un uomo nudo su un palco e, per un attimo, mi sono chiesta come sarebbe andata a finire; è andata a finire che abbiamo goduto di quindici minuti di puro divertimento (non solo noi, anche le signore in abito a fiori sedute davanti a me hanno mostrato di apprezzare), su cui però mantengo un rigoroso silenzio, onde non rovinare la sorpresa a coloro che avranno la fortuna di assistere a una simile performance in futuro. Aggiungo soltanto che il signor Sánchez ha concluso in grande stile l'intervallo, consegnandoci all'orchestra per la seconda, strepitosa parte del concerto.
Non ho purtroppo spazio sufficiente per raccontare tutto quello che è successo in quei tre giorni: dal concerto della Keiki Ukulele Band, composta interamente da bambini, alla proposta di matrimonio che il virtuoso hawaiano Aldrine Guerrero ha fatto alla sua compagna nel bel mezzo del suo concerto, dalla lotteria con i biglietti pastello che di sera non capivi di che colore fossero, fino al numero spropositato di ukulele in mostra che ha causato in Farnedi più di un sospiro di desiderio.
Per quanto mi riguarda, quello che porto a casa da Caldogno è l'atmosfera accogliente e di grande entusiasmo che si respirava, le facce sorridenti di chi lavorava senza sosta e il rammarico di non essere stata in grado, con i quattro accordi in croce che conosco, di partecipare davvero di tutta quella gioia a forma di ukulele.
P.S. E il panino ukulele, ovviamente :)
P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express
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mercoledì 18 giugno 2014
Pizzi fiorentini e treni fantasma
Questo post è la prosecuzione del post precedente sul mio ultimo lavoro in quel di Firenze, per chi l'avesse perso: Un Vaglia ci salverà
Non mi dilungo sul lavoro in sè, dato che non ha riservato grandi sorprese a parte il tocco di eleganza che abbiamo trovato ad attenderci in cabina: dei raffinati sottobicchieri di carta con motivo pizzoso (vedi foto) su cui poggiavano due bicchieri di plastica da fiera della polenta.
Aggiungo solo che finalmente ho capito come deve sentirsi Brad Pitt quando esce di casa: tutte le mattine al mio arrivo al centro congressi c'erano decine di volontari (il convegno era della Croce Rossa) sorridenti che ti davano il buongiorno facendoti sentire una piccola celebrità, magari sono dettagli ma è un bel modo per cominciare la giornata.
Il lavoro è inaspettatamente finito in orario ma ahimè, il treno per Faenza era partito da poco quindi mi è toccato aspettare un'ora in stazione però, vista la situazione, sono rientrata rapidamente nella modalità gita, ho comprato due ottime pizze al taglio (quelle quadrate di una volta, non gli spicchi tristi che vanno adesso) e mi sono
seduta comodamente a un tavolino con la mia copia di American Gods di Neil Gaiman, romanzo godibilissimo con un'unica controindicazione: ti tocca puntare la sveglia perché rischi di andare avanti a leggere e perdere il treno.
Una volta fattasi ora di partire, mi sono avvicinata al tabellone delle partenze ma ancora il numero del binario non c'era, strano- ho pensato - non manca mica tanto! A intervalli regolari alzavo gli occhi verso il tabellone ma la casella chiave rimaneva inspiegabilmente vuota; quando ormai cominciavo a preoccuparmi, il velo mi è caduto dagli occhi: stavo guardando la colonna dei ritardi in cui grazie a dio non c'era niente, mentre il binario era scritto lì a fianco, 14, da chissà quanto tempo. Che invornita!
Mi sono lanciata verso il binario dove, pur trovando il treno con le sue porte ben aperte, ho notato che le luci all'interno delle carrozze erano spente e dentro non c'era nessuno; fortunatamente non ero nuova a situazioni di questo tipo e ho subito ipotizzato un tiro mancino di quei sadici di Trenitaglia che a volte amano nascondere il trenino della linea Faenza-Firenze dietro un altro treno così, tanto per renderti le cose più vivaci.
Ho percorso quel miglio lungo la banchina che mi separava dall'ambito mezzo e, senza ulteriori contrattempi, ho trovato posto (tra l'altro era quello più ambito, proprio accanto al finestrino, dove si gode il panorama migliore).
Mentre il treno partiva non ho potuto fare a meno di chiedermi se in quel momento non ci fosse qualcuno seduto nel treno spento che si chiedeva come mai il mezzo non partiva.
Il fatto che le porte del treno finto fossero aperte rafforzava l'ipotesi di sadismo precedentemente avanzata.
Concludo felicemente con l'arrivo in stazione a Faenza in perfetto orario. Son soddisfazioni.
Non mi dilungo sul lavoro in sè, dato che non ha riservato grandi sorprese a parte il tocco di eleganza che abbiamo trovato ad attenderci in cabina: dei raffinati sottobicchieri di carta con motivo pizzoso (vedi foto) su cui poggiavano due bicchieri di plastica da fiera della polenta.
Aggiungo solo che finalmente ho capito come deve sentirsi Brad Pitt quando esce di casa: tutte le mattine al mio arrivo al centro congressi c'erano decine di volontari (il convegno era della Croce Rossa) sorridenti che ti davano il buongiorno facendoti sentire una piccola celebrità, magari sono dettagli ma è un bel modo per cominciare la giornata.
Il lavoro è inaspettatamente finito in orario ma ahimè, il treno per Faenza era partito da poco quindi mi è toccato aspettare un'ora in stazione però, vista la situazione, sono rientrata rapidamente nella modalità gita, ho comprato due ottime pizze al taglio (quelle quadrate di una volta, non gli spicchi tristi che vanno adesso) e mi sono
seduta comodamente a un tavolino con la mia copia di American Gods di Neil Gaiman, romanzo godibilissimo con un'unica controindicazione: ti tocca puntare la sveglia perché rischi di andare avanti a leggere e perdere il treno.
Una volta fattasi ora di partire, mi sono avvicinata al tabellone delle partenze ma ancora il numero del binario non c'era, strano- ho pensato - non manca mica tanto! A intervalli regolari alzavo gli occhi verso il tabellone ma la casella chiave rimaneva inspiegabilmente vuota; quando ormai cominciavo a preoccuparmi, il velo mi è caduto dagli occhi: stavo guardando la colonna dei ritardi in cui grazie a dio non c'era niente, mentre il binario era scritto lì a fianco, 14, da chissà quanto tempo. Che invornita!
Mi sono lanciata verso il binario dove, pur trovando il treno con le sue porte ben aperte, ho notato che le luci all'interno delle carrozze erano spente e dentro non c'era nessuno; fortunatamente non ero nuova a situazioni di questo tipo e ho subito ipotizzato un tiro mancino di quei sadici di Trenitaglia che a volte amano nascondere il trenino della linea Faenza-Firenze dietro un altro treno così, tanto per renderti le cose più vivaci.
Ho percorso quel miglio lungo la banchina che mi separava dall'ambito mezzo e, senza ulteriori contrattempi, ho trovato posto (tra l'altro era quello più ambito, proprio accanto al finestrino, dove si gode il panorama migliore).
Mentre il treno partiva non ho potuto fare a meno di chiedermi se in quel momento non ci fosse qualcuno seduto nel treno spento che si chiedeva come mai il mezzo non partiva.
Il fatto che le porte del treno finto fossero aperte rafforzava l'ipotesi di sadismo precedentemente avanzata.
Concludo felicemente con l'arrivo in stazione a Faenza in perfetto orario. Son soddisfazioni.
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sabato 14 giugno 2014
Meteo, meteo delle mie brame
Sono in piedi davanti alla porta-finestra della cucina e osservo il panorama con aria meditabonda; all'origine della mia aria meditabonda sta il fatto
che ho davanti un cielo turchino costellato di allegre nuvolette bianche e illuminato da un sole che picchia come un fabbro ferraio.
La cosa in sè non sarebbe grave, se non fosse che da circa una settimana sui vari siti meteo ci sgardellano gli zebedei annunciando un fine settimana da Armageddon a cui neanche Noè potrebbe sopravvivere; ieri ho controllato i siti meteo diverse volte e mancava solo l'icona della tromba d'aria.
Tocca ammettere che i signori colonnelli del meteo di questi granchi ne prendono spesso (dopotutto sono previsioni) ma, negli ultimi anni, mi pare che le cose siano andate sensibilmente peggiorando.
Questa constatazione mi fa tornare alla memoria una barzelletta che mi raccontò mio babbo anni fa e che pare fare proprio al caso nostro:
Un gruppo di meteorologi britannici si reca in visita alla super stazione meteo italiana, recentemente rinnovata con l'apporto di nuovi programmi software e di una centrale di elaborazione sofisticatissima; per tutta la giornata un collega italiano, il Professor Mario Rossi, li guida da un ufficio all'altro, illustrando le varie procedure utilizzate, i processori, le tecniche di rilevazione, i programmi di elaborazione e così via.
A fine serata, durante la cena organizzata in onore dei colleghi stranieri, uno dei meteorologi britannici, Mr Brown, si avvicina al collega italiano e gli sussurra con fare cospiratorio:"Ma alla fine, grazie a tutte queste nuove tecniche....quante volte ci azzeccate?" Mario Rossi gli risponde tenendosi sul vago:"Beh, dipende anche dalle stagioni, poi non sempre le rilevazioni sono accuratissime..."poi però, vedendo che il collega britannico inizia a spazientirsi, cede e vuota il sacco "Le previsioni corrette si aggirano intorno al 35%".
Mr Brown lo guarda sorpreso e chiede "Ma allora perché non dite il contrario?"
Effettivamente, ce lo stiamo chiedendo tutti.
che ho davanti un cielo turchino costellato di allegre nuvolette bianche e illuminato da un sole che picchia come un fabbro ferraio.
La cosa in sè non sarebbe grave, se non fosse che da circa una settimana sui vari siti meteo ci sgardellano gli zebedei annunciando un fine settimana da Armageddon a cui neanche Noè potrebbe sopravvivere; ieri ho controllato i siti meteo diverse volte e mancava solo l'icona della tromba d'aria.
Tocca ammettere che i signori colonnelli del meteo di questi granchi ne prendono spesso (dopotutto sono previsioni) ma, negli ultimi anni, mi pare che le cose siano andate sensibilmente peggiorando.
Questa constatazione mi fa tornare alla memoria una barzelletta che mi raccontò mio babbo anni fa e che pare fare proprio al caso nostro:
A fine serata, durante la cena organizzata in onore dei colleghi stranieri, uno dei meteorologi britannici, Mr Brown, si avvicina al collega italiano e gli sussurra con fare cospiratorio:"Ma alla fine, grazie a tutte queste nuove tecniche....quante volte ci azzeccate?" Mario Rossi gli risponde tenendosi sul vago:"Beh, dipende anche dalle stagioni, poi non sempre le rilevazioni sono accuratissime..."poi però, vedendo che il collega britannico inizia a spazientirsi, cede e vuota il sacco "Le previsioni corrette si aggirano intorno al 35%".
Mr Brown lo guarda sorpreso e chiede "Ma allora perché non dite il contrario?"
Effettivamente, ce lo stiamo chiedendo tutti.
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