giovedì 6 agosto 2020

Ripartiamo col botto!

Finalmente! Dopo un secolo di fermo macchine, oggi si torna in cabina a tradurre! 
Oddio, si torna... dipende: all'arrivo in ditta ci faranno un prelievo di sangue per vedere se siamo sani e, se sei sano vai in cabina, altrimenti vai a casa.
All'ingresso della ditta c'è un tizio che mi misura la temperatura con quel termometro puntato in fronte che sembra sempre che vogliano spararti, poi l'infermiera mi siringa il braccio. Torno fuori e lì aspettiamo tutti il responso, ognuno immagino assorto in preghiere e scongiuri, finché arriva il via libera, niente morbo, per stavolta è andata. 
Sì perché con questo maledetto virus non è che ci siano garanzie, tu puoi sentirti benissimo e poi magari viene fuori che sei uno dei tanti asintomatici e ti sbattono in quarantena. 
Di nuovo.
No so voi, io al pensiero di farmi altri due mesi di quarantena mi sparo; mi immagino già novella Tom Hanks a parlare con un pallone.
Una volta arrivate in cabina, nonostante abbiamo tutte passato il test Covid, ci sono altre misure di sicurezza: c'è un divisorio in plexiglass che divide la cabina e ciascuna di noi deve indossare uno di quegli elmetti trasparenti che fanno tanto minatore o Star Trek. Non sarebbe niente di impossibile, se non fosse che l'interprete in testa deve avere anche le cuffie e, se miope, gli occhiali.
Quindi, per ricapitolare, la sottoscritta in testa ha la seguente piramide: occhiali, elmetto da minatore, cuffie con microfono attaccato. 
Immaginate la situazione quando ho bisogno di cercare una parola sul glossario o fare una ricerca su internet: per farlo mi servono gli occhiali da lettura, quindi devo trovare il modo di infilare una mano tra l'elmetto e il naso senza sbattere nel microfono, afferrare gli occhiali e toglierli senza spostare l'elmetto e le cuffie, per poi infilare gli occhiali da lettura sempre tenendo sotto controllo il convegno, praticamente ogni volta sembra un film di Mr. Bean
Altro momento di grande comicità quando tenti di bere un sorso d'acqua senza fare crollare la piramide elmetto-cuffie: praticamente devi piegare il collo indietro a 90 gradi come faceva Raffaella Carrà con la sua famosa mossa.
Tutto questo sarebbe già da solo argomento sufficiente per farci un post, ma l'Universo deve aver notato che ultimamente non ho una gran voglia di scrivere, quindi sospetto che abbia deciso di sparare tutte le cartucce a sua disposizione (vedi sotto):

1) Il divisorio in plexiglass che divide il nostro tavolo è fissato con un blocchetto di legno contro cui il mio gomito destro sbatte sovente. Madonne e lividi in abbondanza, a saperlo portavo i paraspigoli dell'Ikea.

2) L'elmetto, invece, a forza di alzarlo e abbassarlo, metterlo e toglierlo, si è riempito di ditate e, se aggiungete il divisorio in plexiglass, i miei occhiali e i riflessi dei faretti, è facile capire perché oggi il mondo là fuori mi appaia molto confuso. 

3) Vedo Maura, la mia collega di cabina che in questo momento sta lavorando, indicarmi qualcosa sul suo computer, probabilmente una parola da cercare. Mi sforzo di leggere ma coi riflessi non riesco a vedere bene lo schermo, quindi le faccio segno e lei riscrive la parola su un foglio; mi avvicino per leggere la parola e... sbatto con l'elmetto nel plexiglass. 
Sospetto che ci sia gente che, invece di ascoltare chi parla, si sta divertendo a seguire le nostre disavventure in cabina.

4) Il tipo che sto traducendo pronuncia la parola cork e, proprio in quel momento il mio cervello decide di andare a farsi un aperitivo: non mi viene in mente la parola italiana che traduce cork. La cosa è ancora più irritante perché so benissimo che conosco la parola, so che è un temine comunissimo, ho un'immagine molto chiara in mente ma quel benedetto sughero non ne vuole sapere di farsi vedere. 
In questo lavoro una cosa del genere può capitare ma, quando capita insieme a tutto il resto di cui sopra, è impossibile non pensare che forse in una vita precedente ho commesso indicibili atrocità che ora devo scontare. Magari ero Gengis Khan.
Siamo all'ultima pausa-caffè, quasi alla fine della giornata lavorativa e mi rendo conto di essere riuscita a mantenere la calma per tutto il giorno, nonostante le mille difficoltà; mi sento anche abbastanza fiera di me e quindi, inevitabilmente, arriva la goccia che fa traboccare il vaso, quell'ultima carta che fa cadere l'intero castello: entra in cabina una zanzara.
Ora, va bene la tolleranza, va bene essere zen, però una riga da qualche parte una la deve tirare, ve lo immaginate tradurre con tutta quell'impalcatura in testa e sentire il ronzio della zanzara che ti gira intorno in attesa di ciucciarti il sangue?
In un attimo Raid ci ha posseduto e l'abbiamo inseguita e uccisa senza alcuna pietà. 

Per la pietà pregasi ripassare post-covid.