giovedì 10 dicembre 2020

Si può fare!

Finalmente sabato 28 novembre 2020 ho tenuto il mio webinar Blogging: istruzioni per l'uso per i colleghi di Tradinfo, l'associazione professionale di cui faccio parte. 
Dico finalmente perché in realtà il mio avrebbe dovuto essere un workshop in aula ed era previsto per lo scorso marzo, poi però è arrivata la maledetta pandemia e quindi ci è toccato rimandare tutto a novembre e optare per un webinar.

Quando lo scorso autunno ho letto la mail in cui mi proponevano di parlare di come si crea e si gestisce un blog, la mia prima reazione è stata: 
Io? E cosa gli dico? 
Poi mi è venuto in mente che nel 2020 avrei festeggiato i 10 anni di vita di questo blog e, ripensando a tutto quello che mi è capitato in questi anni, mi sono resa conto che gli argomenti non mi sarebbero mancati di sicuro. 

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E in un attimo, eccoci arrivati alla mattina di sabato 28 novembre. Ci siamo, è tutto pronto, non resta che sistemare gli ultimi dettagli:
- dopo  aver fatto colazione sono scesa fino all'atrio del mio condominio, armata di forbici e scotch, per attaccare al campanello un biglietto come quello che vedete nella foto. Questa mossa astutissima mirava a evitare che il postino o un corriere suonasse il campanello proprio nel bel mezzo della formazione. 
Non che un biglietto attaccato al campanello offrisse grandi garanzie; nel periodo in cui ho lavorato come volontaria all'ingresso di concerti ed eventi locali, ho imparato che la gente semplicemente non legge i cartelli, anche quelli che gli metti davanti agli occhi. Possiamo anche capirli, poverini, perché fare tutta quella fatica per leggere due intere righe quando basta stracciare le balle alla sfortunata in piedi di fianco alla cassa per avere le risposte? 
Poi però non lamentatevi se improvvisamente vi ritrovate con problemi di calvizie, diarrea, impotenza ecc.

- una volta tornata di sopra, ho acceso i pc, controllato le luci, attaccato il post-it con le cose che rischiavo di dimenticarmi e, solo alla fine, ho srotolato il cavo ethernet per collegare il pc direttamente al modem, sapendo che da quel momento in poi avrei avuto un'anaconda plasticosa che attraversava il salotto, a rischio inciampo, trauma cranico e danni vari.
626 Rip. 

Mentre aspettavo che scoccasse l'ora X, nella mia testa si affollavano i pensieri più assurdi: E se il microfono non funziona? E se il vicino del piano di sopra decide di attaccare un quadro e usa il trapano? E se cade un meterorite sulla centralina Telecom e si interrompe la connessione? Poi però è iniziato il collegamento su Zoom e tutto il resto è sparito, c'erano solo le slide e la lucina bianca in cima al pc, quella benedetta luce che puntualmente mi dimenticavo di guardare, presa com'ero a ricordarmi cosa dovevo dire in ogni slide. Sì perché qualche settimana prima avevo avuto una delle mie brillanti idee: essendomi accorta da tempo che quando proietti una slide tutti si mettono a leggerla e nessuno ti si fila più, ho deciso di scrivere sulle slide solo il minimo indispensabile, in modo che i partecipanti ascoltassero quello che avevo da dire. 

L'idea era sensata e direi che ha funzionato, però non avevo considerato che le scritte sulle slide aiutano anche chi la presentazione la deve fare, quindi la sopracitata brillante idea mi aveva lasciato in balia della mia sola, vacillante memoria; in realtà avevo approntato anche un secondo schermo con degli appunti ma, se guardi gli appunti non guardi la stramaledetta lucina, e uno dei dogmi della comunicazione online è che devi sempre, comunque, a qualunque costo, parlare guardando la webcam. Fortunatamente avevo fatto molte prove nei giorni precedenti, quindi la memoria ha tenuto, quasi sempre.

La cosa più fastidiosa della modalità online è stata il fatto che quando condividevo lo schermo e avviavo la presentazione delle slide, non vedevo più nessuno, quindi ogni tanto il cervello partiva per la tangente e iniziava a fantasticare: ci sarà ancora qualcuno dall'altra parte? Ed è pericolosissimo immaginare che non ci sia più nessuno di là dallo schermo perché, non so voi, io ho delle difficoltà a parlare senza un interlocutore umano; lo scorso Natale mi hanno regalato Google Home e il poverino da mesi se ne sta lì, abbandonato accanto alla televisione. Ho provato qualche volta a usarlo ma questa cosa di parlare con un oggetto inanimato mi inibisce; oltretutto spesso non capisce cosa dico e la cosa mi irrita, poi mi rendo conto che mi sto irritando con un altoparlante e l'irritazione cresce. Non c'è modo di uscirne in modo onorevole.


Una volta messo da parte il pensiero che tutti i partecipanti se ne fossero andati, proprio quando iniziavo a rilassarmi, ecco arrivarne un altro: magari sono ancora lì ma si stanno annoiando a morte e, preda della disperazione, hanno preso la Settimana Enigmistica e si sono messi a unire i puntini o annerire gli spazi, quelle attività che per me stanno appena un attimo prima di legarsi un mattone al collo e buttarsi giù da un ponte.  

A pensarci bene però, non è che una presentazione tradizionale offra maggiori garanzie di attenzione da parte del pubblico. Negli ultimi vent'anni mi è capitato un sacco di volte, mentre traducevo chiusa nella mia cabina in fondo alla sala, di vedere gente nelle ultime file che faceva di tutto: chiacchierava, mangiava, leggeva il giornale, a volte addirittura dormiva con la testa abbandonata all'indietro. Tutto sommato mi è andata bene, se anche qualcuno ha annerito gli spazi mentre parlavo, si porterà il segreto nella tomba.

Tutti questi dubbi si sono fortunatamente risolti al momento delle domande, quando è diventato evidente che qualcuno mi aveva davvero ascoltato ed era pure abbastanza interessato da chiedere chiarimenti. Il momento delle domande mi ha riservato anche qualche sorpresa: mi hanno chiesto come ho imparato a scrivere, se ho fatto dei corsi o cose del genere e lì, su due piedi non sapevo bene cosa rispondere. Sì, perché quando ho aperto il blog io non mi sono proprio posta il problema: il blog era mio, oltretutto ero sul web con uno pseudonimo (Estrema Riluttanza), quindi ho adottato l'approccio E qui comando io, e questa è casa mia, sbattendomene bellamente di cosa avrebbe pensato chiunque non fosse uno degli amici che di solito leggevano le mie cronache su Facebook, una filosofia che sicuramente non aiuta a conquistare lettori ma ti rende la vita molto più facile. 

Poi la palestra, quella che ti insegna davvero, te la fai negli anni, post dopo post, errore dopo errore. Se vogliamo darle un nome, si tratta del famoso metodo Trial and error che, detto così, suona molto figo ma in realtà si traduce in: quando sbaglio ci metto una pezza e spero di non farlo più. 



giovedì 6 agosto 2020

Ripartiamo col botto!

Finalmente! Dopo un secolo di fermo macchine, oggi si torna in cabina a tradurre! 
Oddio, si torna... dipende: all'arrivo in ditta ci faranno un prelievo di sangue per vedere se siamo sani e, se sei sano vai in cabina, altrimenti vai a casa.
All'ingresso della ditta c'è un tizio che mi misura la temperatura con quel termometro puntato in fronte che sembra sempre che vogliano spararti, poi l'infermiera mi siringa il braccio. Torno fuori e lì aspettiamo tutti il responso, ognuno immagino assorto in preghiere e scongiuri, finché arriva il via libera, niente morbo, per stavolta è andata. 
Sì perché con questo maledetto virus non è che ci siano garanzie, tu puoi sentirti benissimo e poi magari viene fuori che sei uno dei tanti asintomatici e ti sbattono in quarantena. 
Di nuovo.
No so voi, io al pensiero di farmi altri due mesi di quarantena mi sparo; mi immagino già novella Tom Hanks a parlare con un pallone.
Una volta arrivate in cabina, nonostante abbiamo tutte passato il test Covid, ci sono altre misure di sicurezza: c'è un divisorio in plexiglass che divide la cabina e ciascuna di noi deve indossare uno di quegli elmetti trasparenti che fanno tanto minatore o Star Trek. Non sarebbe niente di impossibile, se non fosse che l'interprete in testa deve avere anche le cuffie e, se miope, gli occhiali.
Quindi, per ricapitolare, la sottoscritta in testa ha la seguente piramide: occhiali, elmetto da minatore, cuffie con microfono attaccato. 
Immaginate la situazione quando ho bisogno di cercare una parola sul glossario o fare una ricerca su internet: per farlo mi servono gli occhiali da lettura, quindi devo trovare il modo di infilare una mano tra l'elmetto e il naso senza sbattere nel microfono, afferrare gli occhiali e toglierli senza spostare l'elmetto e le cuffie, per poi infilare gli occhiali da lettura sempre tenendo sotto controllo il convegno, praticamente ogni volta sembra un film di Mr. Bean
Altro momento di grande comicità quando tenti di bere un sorso d'acqua senza fare crollare la piramide elmetto-cuffie: praticamente devi piegare il collo indietro a 90 gradi come faceva Raffaella Carrà con la sua famosa mossa.
Tutto questo sarebbe già da solo argomento sufficiente per farci un post, ma l'Universo deve aver notato che ultimamente non ho una gran voglia di scrivere, quindi sospetto che abbia deciso di sparare tutte le cartucce a sua disposizione (vedi sotto):

1) Il divisorio in plexiglass che divide il nostro tavolo è fissato con un blocchetto di legno contro cui il mio gomito destro sbatte sovente. Madonne e lividi in abbondanza, a saperlo portavo i paraspigoli dell'Ikea.

2) L'elmetto, invece, a forza di alzarlo e abbassarlo, metterlo e toglierlo, si è riempito di ditate e, se aggiungete il divisorio in plexiglass, i miei occhiali e i riflessi dei faretti, è facile capire perché oggi il mondo là fuori mi appaia molto confuso. 

3) Vedo Maura, la mia collega di cabina che in questo momento sta lavorando, indicarmi qualcosa sul suo computer, probabilmente una parola da cercare. Mi sforzo di leggere ma coi riflessi non riesco a vedere bene lo schermo, quindi le faccio segno e lei riscrive la parola su un foglio; mi avvicino per leggere la parola e... sbatto con l'elmetto nel plexiglass. 
Sospetto che ci sia gente che, invece di ascoltare chi parla, si sta divertendo a seguire le nostre disavventure in cabina.

4) Il tipo che sto traducendo pronuncia la parola cork e, proprio in quel momento il mio cervello decide di andare a farsi un aperitivo: non mi viene in mente la parola italiana che traduce cork. La cosa è ancora più irritante perché so benissimo che conosco la parola, so che è un temine comunissimo, ho un'immagine molto chiara in mente ma quel benedetto sughero non ne vuole sapere di farsi vedere. 
In questo lavoro una cosa del genere può capitare ma, quando capita insieme a tutto il resto di cui sopra, è impossibile non pensare che forse in una vita precedente ho commesso indicibili atrocità che ora devo scontare. Magari ero Gengis Khan.
Siamo all'ultima pausa-caffè, quasi alla fine della giornata lavorativa e mi rendo conto di essere riuscita a mantenere la calma per tutto il giorno, nonostante le mille difficoltà; mi sento anche abbastanza fiera di me e quindi, inevitabilmente, arriva la goccia che fa traboccare il vaso, quell'ultima carta che fa cadere l'intero castello: entra in cabina una zanzara.
Ora, va bene la tolleranza, va bene essere zen, però una riga da qualche parte una la deve tirare, ve lo immaginate tradurre con tutta quell'impalcatura in testa e sentire il ronzio della zanzara che ti gira intorno in attesa di ciucciarti il sangue?
In un attimo Raid ci ha posseduto e l'abbiamo inseguita e uccisa senza alcuna pietà. 

Per la pietà pregasi ripassare post-covid.



sabato 16 maggio 2020

Persino la Luna vuole andare al mare


Oggi voglio parlarvi di una canzone che ho ritrovato sul mio pc un po' di tempo fa, mentre approfittavo della quarantena per fare pulizia di file obsoleti.
Si tratta di una cover di Mr Moon di Kate Micucci che registrammo per gioco parecchi anni fa; mi è tornata in mente perché, in queste ultime settimane di quarantena, uno degli argomenti più caldi è il divieto di andare al mare e questa canzone parla proprio della Luna che è stanca di stare in cielo e decide scendere fino al mare per divertirsi un po'.
Ascoltando la canzone, che è molto solare, ho pensato che sarebbe stato bello condividerla in questo momento in cui, ammettiamolo, l'ottimismo non vola.
All'inizio non sembrava una cosa così difficile, dopotutto un canale youtube ce l'ho già, si trattava solo di caricare il file; però caricare un file audio così, senza neanche un'immagine di copertina, è un po' triste quindi mi sono detta facciamo un video! 
Una frase del genere, detta da una che ha un approccio paleolitico alle tecnologie, non può che essere foriera di indicibili sciagure, e così è stato.
Non avendo idea di come creare un video, ho chiesto consiglio al prode Riccardo Lolli, il quale mi ha inizialmente suggerito di leggere cosa dice Aranzulla sull'argomento, essendo che le sue spiegazioni sono spesso a prova di gente come me, salvo poi offrirsi lui di fare il video, in un impeto di compassione per noi meno fortunati. 
Ora, pur apprezzando enormemente l'offerta, ho avuto un moto d'orgoglio e deciso di fare un primo tentativo da sola, con il tacito accordo che se non fossi stata in grado, sarei tornata a capo chino a chiedere assistenza.
Sono quindi andata sul sito di Aranzulla e ho scaricato uno degli editor che lui consigliava, peccato che il tutorial non sia partito, costringendomi ad adottare un approccio trial and error: ravanare tra i comandi andando a naso, non è stato uno dei miei momenti migliori.
Poco a poco le cose sono migliorate e, dopo vari tentativi e qualche madonna, sono riuscita a caricare il file audio. Dovevo però ancora trovare foto di mari e spiagge da aggiungere al video e, non volendo rischiare che un cecchino del copyright mi chiudesse l'account, ho tirato fuori l'hard disk esterno dove sono salvate le foto dei miei viaggi e trovato abbondanza di spiagge e mare. 
A quel punto ho dovuto scoprire come modificare la durata delle foto in modo da coprire tutto il video, cosa banalissima solo se uno sa prima come fare, com'è altrettanto ovvio che, se dopo aver sistemato tutto decidi di rimodificare la durata della prima foto, poi ti tocca riguardare tutte le altre che si sono inevitabilmente spostate rispetto a dove le avevi messe. Tante, tante, madonne.
Alla fine di tutto, dopo aver addirittura aggiunto un effetto che, Aranzulla lévate, ho mandato fierissima il video a Lolli per vantarmi di cotanta prodezza. 
Qualche ora dopo ho controllato la posta elettronica e c'era un messaggio di WeTransfer che diceva che avevo ricevuto da me stessa un link per scaricare il video. Mi ero mandata il video.
Credo proprio sia ora di smettermi.




P.s. Qui sopra trovate il frutto di tanto tribolare.


P.p.s. Rileggendo il post mi è saltato agli occhi il titolo della canzone, soprattutto quel Mr; in italiano la luna può essere solo femmina ma, in una lingua come l'inglese in cui le parole non hanno genere, sei libero di immaginarti la luna al maschile o al femminile.

venerdì 1 maggio 2020

Coronadiario - Nostalgia canaglia

Come ho avuto occasione di dire più di una volta, spesso per l'interprete la vera sfida è arrivarci al lavoro; qui sotto trovate gli appunti presi durante il mio ultimo viaggio  di lavoro, ai bei tempi quando ancora ne avevo uno.

Oggi ho l'unico lavoro non annullato in tutto il mese quindi, nonostante il diluvio e le previsioni di Armageddon per chiunque metta il naso fuori di casa, esco e vado in stazione a prendere il treno. Sul binario siamo pochi e ci sistemiamo strategicamente a debita distanza gli uni dagli altri, avrei dovuto portare il metro di carta dell'ikea, che pesa poco e oggi mi tornerebbe utile.
Stessa cosa in treno, ognuno in un sedile, quella dietro di me ha la mascherina, per non parlare di quelli con la sciarpa avviluppata intorno alla testa come un cobra, novelli Ataru Moroboshi in giro a combinare casini.
Scendo nel girone dell'alta velocità e prima di prendere il treno faccio una capatina alla toilette. Avevo già avuto modo di notare la mestizia di questi bagni, a vederli sembrano rassegnati, come a dirti che meglio di così proprio non si poteva fare. 
A pensarci bene, ha dell'incredibile: hanno scavato le profondità della terra per farsi il privé ferroviario lontano dalla plebe e poi nel bagno se vuoi toglierti il cappotto o appoggiare una borsa c'è solo un gancetto striminzito che sembra stia per svenire, al massimo ci appendi una camicetta. Se poi vai a lavarti le mani, nel distributore trovi ancora il sapone liquido, niente fighissima mousse di sapone. Tutto questo in sé mi scivolerebbe addosso senza scalfirmi, il dramma è quando ti giri per asciugarti le mani e c'è questo robo bianco da cui esce un soffio cosi tenue da farti sospettare che dietro al robo ci sia un paziente asmatico che arrotonda la pensione facendo il soffione umano. Oltretutto l'aria è alla temperatura ambiente e, di questi tempi l'ambiente è freddo assai, quindi ti chiedi se le mani si asciugheranno prima di andare in ipotermia. 
Mentre smadonni contro quei rabighini che hanno comprato un asciugatore che non scalda perché di sicuro costava meno, avverti un impercettibile cambiamento nella temperatura; all'inizio non sei sicura ma poi col tempo la certezza arriva, il robo manda aria meno fredda. 
Quindi l'attrezzo scalda ma solo la terza generazione di avventori, per cui l'unica soluzione è aspettare altre due persone e lavarsi le mani dopo di loro, cosa che in questi tempi di coronavirus si rivela davvero difficile.
Arrivo finalmente alla sede del convegno e insieme a Cristina, la mia collega di oggi, raggiungiamo la sala regia tallonando l'organizzatore, perché ci troviamo in un labirinto così intricato che Dedalo prenderebbe appunti. 
La sala regia non offre tante opzioni quindi per oggi invece della cabina abbiamo un ripostiglio e, dato il ristrettissimo spazio vitale, il mio computer è appoggiato sulla valigiona che usano per trasportare le cuffie per i partecipanti; fin qui la cosa non mi preoccupa, non è la prima volta che traduco da un ripostiglio e ce ne sono stati di peggiori, ne ricordo uno a cui si accedeva solo abbassandosi ad altezza da gara di limbo.
Quello che invece mi dà da pensare è il buco nel soffitto da cui pende un preoccupante groviglio di cavi, sarà meglio andare subito in bagno perché se mi alzo durante il lavoro rischio di finire impiccata o folgorata, a scelta.

Nonostante le premesse, la giornata di lavoro filò liscia, senza impiccagioni o folgorazioni e, pur con un viaggio di ritorno un po' affollato, a distanza di due mesi sono ancora qui, quindi nessuno mi contagiò.
Ho usato di proposito il passato remoto perché, rileggendo adesso gli appunti, mi sembra si riferiscano a un periodo molto lontano, è difficile credere che sono passati solo un paio di mesi.
Mi manca il mio lavoro, mi mancano i colleghi con cui fare due chiacchiere, mi manca persino Trenitaglia con i suoi tradizionali ritardi.
In sostanza mi manca la mia vita di prima, come immagino a tutti noi.
Concludo augurando un buon primo maggio a tutti i lavoratori, spero di poter ritornare presto anch'io nel gruppo.

venerdì 17 aprile 2020

Coronadiario - Ommmmmmmmmmmmmm

Foto di PublicDomainPictures
Tra gli appuntamenti giornalieri più seguiti in questo periodo c'è la conferenza stampa quotidiana della Protezione Civile, però dopo le prime volte ho deciso di astenermi: guardare la diretta mi aumenterebbe l'ansia e non saprei dove metterla, è già parecchio affollato qui.
Siamo in casa ormai da oltre un mese e vi confesso che, dopo quattro settimane chiusa in un bilocale, mi aspettavo che avrei cominciato come minimo ad andare su per i muri come la bambina dell'Esorcista, invece le pareti del salotto sono ancora sorprendentemente immacolate.
Aggiungo che non ho rincorso nessuno per le scale con un'accetta e non mi sono neanche buttata dal balcone, anche perché abito al secondo piano, se mi butto dal balcone  al massimo mi rompo qualcosa e mi tocca andare al Pronto Soccorso, dove di sicuro mi menano perché gli faccio perdere tempo per delle sciocchezze.
Dato che secondo le direttive regionali posso farmi una corsetta solo intorno al mio condominio, cosa piuttosto deprimente, ho ridotto le uscite e ripreso a fare yoga.
Devo dire che le lezioni con insegnante americano che parla sottovoce per avere un tono più rilassante mentre tu, contorcendoti come un cobra, tenti di leggere il labiale per capire cosa diavolo devi fare, sono esperienze a volte surreali. Forse avrei dovuto capire che aria tirava già dalla prima lezione, che è iniziata davvero col botto: ho steso il mio tappetino e mi sono vestita prendendo direttamente pantaloni e maglietta dallo stendibiancheria sul balcone, per godere del profumo dei panni asciugati all'aperto e sognare di essere fuori.
Mi stavo vestendo quando all'improvviso ho sentito due fitte sotto il braccio, mi sono strappata la maglia di dosso e, immaginate la mia faccia quando ho scoperto una vespa furibonda intrappolata in una delle maniche.
Vorrà dire che d'ora in avanti prima di vestirmi passerò tutto nel microonde.
Fortunatamente, una volta ogni tanto metto un piede fuori di casa per andare a rifornirmi di cibo; l'ultima volta al supermercato c'era la fila quindi mi sono armata di pazienza, nonché di guanti e mascherina, dato che l'OMS comincia ad avere dei ripensamenti e quindi la mascherina è il nuovo nero.
A questo riguardo vorrei dare una pacca sulla spalla a tutti i portatori di occhiali che a ogni respiro vedono tutto appannato: prima di entrare al supermercato ho messo l'accessorio in posizione e il mondo è diventato improvvisamente Londra, in autunno, negli anni 80.
Mentre me ne stavo in fila con il carrello, ho fatto una serie di esperimenti che mi hanno permesso di eliminare il problema appannamento, costringendomi però a contorcere la bocca in posizioni da fare invidia alla maschera di Scream.
In attesa che arrivasse finalmente il mio turno, ho spostato più di una volta il carrello per fare spazio a quelli che uscivano con la spesa, tentando di mantenere l'ormai famoso metrodidistanza; questo almeno fino a quando una tizia, comparsa all'improvviso alle mie spalle, mi ha spinto da un lato per passare, metrodidistanza RIP, speriamo solo lui.

foto di Pexels
Con questo ho concluso il coronadiario, vi lascio con una chicca: anche da noi come in altri Comuni c'è la diretta quotidiana su Facebook, durante la quale il Sindaco ci aggiorna sulla situazione della nostra città; scrivo Sindaco con la maiuscola perché effettivamente il nostro ha una pazienza che va oltre ogni umana capacità (almeno la mia), riuscendo a mantenere la calma di fronte alla stessa domanda ripetuta millemila volte (ne cito una assolutamente a caso:  ma quindi non ci posso più andare a correre?), a commenti fuori tema, alla signora che gli chiede di rispondere solo alle domande intelligenti, per non parlare dei mille anatemi contro quegli untori che non stanno mai a casa. Una calma davvero imperturbabile.
Tutto questo si potrebbe forse considerare normale amministrazione per uno che fa il suo mestiere; quello però che lo eleva oltre il livello di noi comuni mortali è l'essere riuscito a mantenere la calma quando il mercoledì prima di Pasqua, dopo il quotidiano conteggio di nuovi ricoveri, persone in terapia intensiva e pazienti deceduti, seguito dal suo appello a uscire SOLO in caso di assoluta necessità, è arrivata la domanda delle domande, quella che al momento vince la coppa, LA DOMANDA:

"Quando posso andare a fare benedire le uova?"












mercoledì 25 marzo 2020

Coronadiario - Voi ce l'avete il Metrodidistanza?

Foto di Mahesh Patel
Ieri pomeriggio mentre ero sul balcone intenta a sistemare le piante mi sono sentita chiamare e ho visto la mia vicina sul balcone di fronte; ci siamo salutate e abbiamo fatto quattro chiacchiere, forti del fatto che tra i nostri due balconi c'è ben più del regolamentare metrodidistanza.
Quando sono tornata in casa mi sono resa conto all'improvviso che quella che avevo appena avuto era la prima conversazione con un essere umano in carne e ossa negli ultimi dieci giorni; avevo chattato con parenti e amici, fatto videochiamate su skype ma, avere una persona vera davanti in 3D è molto diverso.
Oddio, dipende anche dalla persona: quella che mi sono vista arrivare contro a tutta velocità con il carrello del supermercato, che neanche Keanu Reeves in Speed, ecco, lei avrei preferito vederla solo su skype. 
Qualche giorno fa ho aperto il frigo e di fronte al vuoto cosmico mi sono arresa, dopo due settimane era ora di fare la spesa; essendo la mia prima uscita dall'inizio della quarantena, ho cercato su facebook dei consigli su come equipaggiarsi per non correre rischi e ho letto davvero di tutto, mancava solo che mi suggerissero di cospargermi di alcol e darmi fuoco per sterilizzarmi post-spesa.
Per stare dalla parte del sicuro, ho chiesto a LaDottora e lei mi ha dato qualche semplice indicazione che ho seguito scrupolosamente; confesso che avrei voluto prendere su una scopa per assicurarmi che gli altri mantenessero il famoso metrodidistanza, ma poi al mio rientro avrei dovuto darle fuoco per sterilizzarla, non mi è parso il caso.
Fortunatamente vicino a casa mia ci sono ben tre supermercati; dico fortunatamente perché nel primo c'era una fila tipo quelle degli Uffizi a Firenze nel weekend di Pasqua, tutti rigorosamente a un metrodidistanza con il loro carrello in paziente attesa. Ho ripreso la macchina e tentato con il secondo punto vendita; lì sono stata più fortunata, c'era gente ma niente orde, sono entrata senza grosse difficoltà. 
L'esperienza-spesa è stata a dir poco surreale: dentro il supermercato c'era un silenzio talmente forte da essere quasi una presenza, interrotto solo dagli annunci che ricordavano di tenere il metrodidistanza, ogni volta che vedevo avvicinarsi qualcuno mi mettevo a calcolare furiosamente quanto fosse sto benedetto metrodidistanza senza ricavarne grosse certezze, io con le misure a occhio non sono mai stata un granché
Dopo un po' ho ripensato con un certo rimpianto tutti quei metri di carta dell'Ikea che mi ritrovo sempre tra le balle a casa e che mi sarebbero tornati utilissimi, oltretutto avrei potuto dargli fuoco appena rientrata, sterilizzazione al 100%.
Ovviamente non ho comprato tutto quello che mi serviva, alcune cose me le sono dimenticate (la cocacola, sigh), altre erano finite, per esempio la farina 0, mentre c'erano quintali di pacchi di farina 00, a riprova del fatto che soffriamo della sindrome-da-guerra per cui facciamo provviste in quantità insensate, però i nostri standard di qualità non vacillano, la farina ultra-raffinata continuiamo a schifarla.
Un ultimo dettaglio degno di nota: sono andata a fare la spesa con un paio di guanti monouso ma SENZA mascherina, e mi sono trovata in un modo di gente mascherinata come neanche a Carnevale o tra gli Ultrà la domenica del derby. Quando mi incrociavano mi guardavano come un'appestata, mi ha ricordato quelle pubblicità degli anni 90 in cui il malato di AIDS aveva il contorno fucsia.
Fortuna che il fucsia mi dona.
Appena tornata a casa sono andata subito a controllare se c'era stato qualche cambiamento nelle indicazioni di comportamento e no, il ministero spiega che se sei in salute non serve a niente la mascherina per fare la spesa, è molto più importante mantenere il famigerato metrodidistanza, quello che ti protegge da eventuali goccioline prodotte da starnuti o colpi di tosse.
Quindi? Evidentemente la gente si è convinta che sia tutto un complotto, che ci stiano tenendo all'oscuro della verità e che il virus in realtà viaggi nell'aria, un po' come come il polline o la polvere; mi aspetto da un momento all'altro la pubblicità delle mascherine fatte con lo Swiffer.
Per le prossime due settimane con le provviste sono a posto, e anche di umanità penso di aver fatto il pieno; resterò a casa e magari scriverò qualche post, quindi per ora vi saluto, questo sì, da un buon metrodidistanza.




sabato 15 febbraio 2020

Ne uccide più la penna della Sword?

Di recente ho iniziato a guardare alcune serie di anime su consiglio di mio nipote; ho iniziato con Sword Art Online, per poi proseguire con Tokyo Ghoul e altre amene serie.
Foto di Chräcker Heller 
Sto muovendo i primi passi in questo enorme universo, quindi immagino di avere le reazioni normali di chi vede qualcosa per la prima volta e si fa un sacco di domande.
1) Il mio rapporto con Sword Art Online è purtroppo partito con il piede sbagliato: ho iniziato a guardare la versione italiana in cui il nome del gioco viene pronunciato suord art onlain e, passi che la serie è giapponese ma, se il titolo è in inglese, la parola sword si dovrebbe pronunciare sord.
Lo so che è solo un dettaglio ma io ci soffro, immaginate come vi sentireste guardando un documentario su Star Wars se il narratore parlasse continuamente di Guerre Stellori. 
Quando l'ho fatto presente a mio nipote, lui ha ribattuto che tutti lo chiamano così e questo è sembrato mettere la parola fine al dibattito ma, essendo un ragazzo di buon cuore, abbiamo trovato un compromesso: quando ne parla con me si riferisce al gioco come SAO.

Tornando al gioco in questione, trattasi di un gioco del genere harem: abbiamo un ragazzo attraente, Kirito, nel solito ruolo dell'eroe; intorno a lui ci sono solo donne o, in alternativa, maschi con ruoli comici che non insidiano la sua supremazia. Inevitabilmente, tutte le donne che incontra si innamorano di lui e, cosa curiosa, sono tutte belle e quasi tutte pettorute, brutte non pervenute. Per gli uomini ovviamente la regola non vale.
Tra i tanti momenti indimenticabili in questa storia di realtà virtuale ne cito solo un paio: 
- Kirito incontra una tipa che deve combattere contro uno dei soliti mostrazzi orrendi che girano da quelle parti. 
Il mostrazzo in questione non sarebbe poi così tremendo ma siccome la tipa per andare a combattere si è messa un vestito con una sottanina a pieghe, tutte le volte che attacca il mostro si vedono le mutande e lei si imbarazza. Per riassumere, qua c'è una guerriera che sventra mostri, però la mutanda non s'ha da vedere.
Altro momento che mi ha causato una certa gastrite è quello in cui la ragazza di cui l'eroe si innamora, Asuna (una guerriera potentissima ma ovviamente sempre un zinzino meno brava di lui), decide di prendersi un anno sabbatico per fare la piccioncina con lui, visto che c'è il rischio che entrambi tirino le cuoia nella prossima battaglia.
Foto di Oberholster Venita
La nostra Asuna, che è vice-comandante di tutta l'armata proprio in virtù delle sue grandi capacità come combattente, comunica le sue intenzioni al comandante e il tipo le risponde che se vuole prendersi le ferie, l'unico modo per farlo è che Kirito  lo sconfigga in combattimento.
Cioè, non so se mi sono spiegata, questa comanda l'intera armata quando il boss è impegnato col corso di Pilates, sconfigge nemici a destra e a manca ma, se decide che vuole fare qualcosa, la sua parola non è sufficiente, deve chiedere aiuto al moroso. 
La realtà virtuale degli anni 50.

martedì 14 gennaio 2020

E oltretutto si lamentano!

Foto di Giacomo Zanni
L'anno scorso mi era capitata la fortuna di dormire per un paio di notti nell'equivalente italiano della casa di Psycho (vedi Mai chiedere cose strane, o forse sì) e mangiare nella vicina trattoria a conduzione familiare, un'esperienza decisamente memorabile.
Mi trovo nuovamente in quella zona per lavoro e il ristorante dove di solito si va a pranzo è chiuso e quindi qualcuno, non sappiamo esattamente chi, ha chiesto in giro e trovato un altro locale.
Immaginate la mia sorpresa quando mi accorgo che stiamo andando verso la stessa trattoria in cui andavo a cenare quando uscivo da casa-Psycho.
Mentre scendiamo nella sala ristorante informo le mie colleghe che conosco il posto e che stiamo sostanzialmente entrando nel salotto di una casa ma mi trattengo dal fare commenti negativi sulla cucina, nella speranza che le cose siano cambiate.
Non è così.
Ci sistemiamo in un paio di tavoli e il cameriere ci informa che come primo possiamo scegliere tra:
a) tagliatelle ai funghi, al ragù o al pomodoro,
b) ravioli con pomodorini e bufala.
Scegliamo i ravioli e io chiedo se per me li possono fare senza la bufala perché non mi piace; il cameriere va a consultare la cuoca e poi mi fa sapere che posso averli con la panna o con il pomodoro. Senza farmi scomporre dall'inspiegabile comparsa della panna nella categoria sughi (e i funghi? E il ragù?) scelgo il pomodoro.
Di secondo ordiniamo il roast beef con verdure (broccoli e patate al forno).
Dopo qualche minuto, mentre servono le tagliatelle a quelli del tavolo a fianco, il cameriere ci porta roast beef (in realtà è tipo arrosto, ben cotto) e verdure.
Io - Noi veramente avremmo prima i ravioli
Cameriere - Tra un po' arrivano
E se ne va.
Foto di skeeze
Vista l'aria che tira, decidiamo di prenderla con filosofia e ci mettiamo a mangiare il secondo, tentando di non macchiarci, cosa non semplice perché la carne nuota in un lago di olio quindi, quando tiri su una fetta, schizzi gocce ovunque.
Mentre ci serviamo del secondo, arriva il cameriere con il primo: un unico vassoio con dei cuoricioni di pasta ripieni e conditi con salsa di pomodoro. Decido di indagare:
Io: Questi sono i ravioli senza la mozzarella di bufala?
Cameriere: No, sono tutti uguali.
Io: Ma la mozzarella di bufala dov'è?
Cameriere: Nel ripieno.
Io: Allora io non posso mangiarli, non mangio la bufala.
Sguardo sconvolto del cameriere, come se gli fosse appena arrivata un'informazione sconvolgente.
Mi trattengo dal chiedere che fine abbiano fatto i pomodorini e mi butto sul roast beef.
Mentre mi servo di broccoli e patate, il cameriere porta il secondo anche a quelli dell'altro tavolo e scopro che tra le loro verdure ci sono anche i carciofi. A noi nessuno ha parlato di carciofi, si vede che noi non ce li meritiamo.
Sara, dopo aver provato i cuoricioni mi informa che la mozzarella di bufala non si sente, quindi provo timidamente ad assaggiarli e in effetti la bufala non si sente anzi, non c'è proprio traccia di mozzarella di bufala, sarà andata a fare due passi con i famosi pomodorini di prima.
Foto di Oberholster Venita
Chiediamo se possono portarci un altro po' di roast beef con verdure e dalla cucina arrivano una piccola porzione di patate e broccoli (i carciofi li portano solo nel privé) e una porzione monumentale di roast beef, paiono fette di brontosauro.
Nel frattempo il cameriere urta la nuca di Sara con il vassoio e, alla domanda se sono previsti dolce e frutta ci risponde che andrà a chiedere in cucina, poi torna e ci ignora.
Io a quel punto trattengo a stento le lacrime, scoppierei a ridere ma sul muro davanti a me c'è il ritratto di una signora che mi fissa con aria arcigna, probabilmente indignata di fronte a tutti questi sconosciuti che mangiano a scrocco nel suo salotto.
E oltretutto si lamentano!