venerdì 26 febbraio 2010

Certe esperienze lasciano il segno

E' domenica e, vista la bella giornata con tanto di cielo turchino ecc ecc, decidiamo di andare a fare una corsettina in giro per la campagna.
Partiamo belli pimpanti e tutto sembra procedere bene finché, arrivati di fronte a una ridente casetta tutta recintata ma priva di cancello, ne esce un botolo peloso che, dopo averci abbaiato a morte da dentro il giardino, aspetta tranquillo che passiamo e poi azzanna allegramente il mio polpaccio.

Mi fermo, incredula, che io ricordi non mi aveva mai morso nessuno (nessun cane intendo, all'asilo succedeva di continuo ma lì c'era la guerra e poi ne davo tanti quanti ne prendevo).
Enrico mi guarda come a dire:"Vedi che avevo ragione, dovevamo fare un'altra strada", ma lo si perdona, in fondo l'ammasso di pulci in questione l'ha morso appena un anno fa.

Il botolo si allontana, presagendo rappresaglie. Suono il campanello ed ecco comparire la padrona col suo grembiulino. Le spiego brevemente l'accaduto.
Il suo commento:"Ah, è che lei è bastarda così"
E basta.
La guardo allucinata. Le faccio presente che non è la prima volta che succede, che se la cagna è abituata a mordere le persone può essere pericolosa, se passa un bambino o un anziano in bicicletta...dovrebbe mettere un cancello o legare l'animale.
Risposta "A dì, non so perché, lei morde solo certa gente"

Sono ancora lì che rifletto su quel "certa gente" (gli alieni? i podisti vestiti di verde?) e già sento la belva che mi ribolle dentro pronta ad avventarsi sulla vecchia. Riesco quasi a vedermi con una tanica di benzina che appicco fuoco alla casa, mando il cane nel fosso con un calcio e sorridendo dico alla signora: "è che io sono bastarda così"
Poi la società m'imbriglia di nuovo e a malincuore mi allontano. Per oggi niente rappresaglie cruente. Ma la prossima volta che passo di lì se quel botolo si azzarda ad avvicinarsi gli do un calcio che lo spedisco sulla luna*.



*Io e porgi l'altra guancia non siamo parenti.

sabato 13 febbraio 2010

Se Ulisse avesse volato British Aiways, Itaca non l'avrebbe vista neanche col binocolo

E finalmente, dopo giorni di preparativi e imprevisti da risolvere, è giunto il momento della partenza: si va in Islanda per una settimana di convegni.
Arriviamo a Malpensa e si nota subito un'atmosfera molto Shining: spazi enormi e quasi deserti, senza neanche un bambino in triciclo.
Dopo qualche giro a vuoto (non infierisco sulla segnaletica perché non ho tempo) arriviamo al banco British Airways: tre hostess E BASTA, neanche un passeggero. Perfetto, niente fila. Presentiamo il nostro biglietto (scalo a Londra poi Reykjavik) al check-in ma non possono servirci subito, una delle hostess sta intrattenendo le colleghe con il racconto del suo viaggio a New York e le si può capire poverine, chissà che palle tutto il giorno a scaldare sedie in questo androne (va là che un mese in miniera...).
Alla fine la situazione si sblocca e, quando finalmente prendiamo posto sull'aereo, mi giro verso Maura e commento soddisfatta "ce l'abbiamo fatta, ormai siamo a posto"

Arrivate a Londra, cerchiamo il volo per Reykjavik (che ovviamente è in un altro terminal) e solo dopo essere arrivate al controllo passaporti ci rendiamo conto che le care signore della British ci hanno fatto il check in solo fino a Londra (senza informarci, ovviamente).
Torniamo al terminal di arrivo ma il nostro bagaglio è già stato tolto dal nastro, quindi dobbiamo aspettare un tipo della sicurezza perché ci accompagni. Non solo, dobbiamo fare un altro controllo con metal detector ecc, sono le regole.
Siamo in lotta contro il tempo, rischiamo di perdere l'aereo ma sono le regole. Vabbè. Faccio per sfilarmi cintura e orologio e IL TIPO CHE STA AL CONTROLLO mi dice: "No, non c'è bisogno, vai pure". Ok,  allora passo. Ovviamente suona il detector e MI PERQUISISCONO E MI FANNO TOGLIERE LE SCARPE!!!!
E secondo voi il decerebrato della sicurezza dice qualcosa? Ma va là. Mi consola pensare che abbia ormai perso parecchie appendici a cui teneva. Intanto noi abbiamo perso minuti preziosi.

Arriviamo al mucchio di valigie n°11 ma delle nostre non c'è traccia. Si comincia a sudare freddo. Mentre ci guardiamo intorno disperate, Maura vede passare su un altro nastro la sua valigia. Urla. Dopo poco segue la mia. Le afferriamo e cominciamo la corsa più interminabile che io ricordi. Dobbiamo raggiungere il treno che porta all'altro terminal, trascinandoci dietro la valigia e portando in spalla il bagaglio a mano che, date le precedenti esperienze in materia, è stipato a morte in caso di smarrimento del bagaglio principale.
Forse sarebbe stato meglio lo smarrimento.
Quando arriviamo al binario scopriamo che il treno E' FERMO PER UN CONTROLLO DI SICUREZZA.
Il treno riparte dopo 15 interminabili minuti. Io intanto ho coltivato l'ulcera.
Sul treno, ormai distrutte, elaboriamo un piano: appena scese, lascerò le valigie a Maura e correrò più veloce possibile al banco del check in di Icelandair, sperando di arrivare in tempo.
Corro, corro e quando arrivo al banco la tipa mi informa che il check-in è chiuso da due minuti. Le spiego la situazione e lei mi risponde che è inutile che mi agiti, se è chiuso è chiuso, noi italiani ci agitiamo troppo*. Voglio ucciderla.
Fortunatamente, un residuo di umanità la spinge a telefonare giù ai tipi dei bagagli. Frase di esordio: "Ormai è chiuso vero?!" invece le rispondono che CI SONO ANCORA CINQUE MINUTI e io a quel punto sto per collassare.
Le lasciamo le valigie (la mia non ha più l'etichetta, si è strappata correndo, se me la perdono è finita) e ricominciamo a correre per arrivare all'imbarco.
E ci imbarchiamo. Non ci posso credere, ce l'abbiamo fatta. Arrivate sull'aereo spero ardentemente di non avere vicini di posto perché puzzo come una capra. Prima del decollo mando un sms all'organizzatrice per chiedere il nome dell'albergo (non ce l'ha ancora detto). Mi risponde che non staremo in quello previsto ma in uno lì vicino e comunque di non preoccuparci, ci sarà una navetta ad aspettarci in aeroporto.

Una volta atterrati (è mezzanotte e siamo in giro dalle 9 di mattina, sono un fiore), troviamo effettivamente un pulmino che ci aspetta e che spazza via le nostre ultime ansie.
Partiamo. Dopo qualche minuto l'autista, con la massima naturalezza, ci informa che il viaggio durerà DUE ORE. Saremo in albergo verso le due di notte. Il convegno inizia alle 8.30. Non ho più neanche la forza di incazzarmi, non ho più niente. Mi addormento. O perdo i sensi, non lo so.
La terra promessa
Mi sveglio mentre il pulmino parcheggia davanti al resort dove si terrà il convegno, scarichiamo le valigie e, una volta entrati, l'incaricato alla reception ci informa che non sa niente di noi, abbiamo sbagliato albergo. Peccato che nessuno sappia in quale albergo dovremmo stare, né noi né l'autista a cui hanno detto di portarci lì. Siamo come Maria e Giuseppe la vigilia di Natale.
Mosso a compassione dalle nostre facce (e non sapeva neanche la metà della storia), il sant'uomo alla reception ci offre una camera per quella notte. Vorrei baciarlo ma sono troppo stanca, guadagno il letto augurandomi che, davvero, domani sia un altro giorno.