martedì 20 dicembre 2016

Neanche a Casablanca

Stiamo attraversando un periodo di enormi cambiamenti, stravolgimenti epocali, mutazioni sociali, (aggiungere a piacere) e, comprensibilmente, ne abbiamo due balle così.
In questo delicato frangente, anche io voglio dare un mio contributo alla riduzione dello stress collettivo, affrontando una spinosa questione: le parole al femminile.

Da parecchi mesi mi sfrantumate le orecchie e gli occhi con tutte le possibili ragioni per cui:

a) le parole sindaca, ministra, avvocata ecc, devono essere adottate, pena il crollo della società per come la conosciamo,
b) le parole sindaca, ministra, avvocata ecc, se utilizzate porteranno al crollo della società per come la conosciamo.

Sono qui in trepidante attesa che vi diate una calmata e prendiate una decisione ma, lo sappiamo, decidere spesso scoccia, perché decidere quando possiamo andare avanti a scannarci allegramente per i secoli a venire?

Nel mio caso la necessità di una soluzione urgente è dovuta a una difficoltà di tipo professionale: immaginate un tizio X che sta tenendo un discorso (e che io devo tradurre in inglese) e dice ad esempio:
"Il mio progetto ha ricevuto l'approvazione dell'assessore Rossi e del suo consulente legale", essendo assessore una parola maschile io quel SUO devo tradurlo al maschile, poi magari dopo qualche minuto si scopre che l'assessore in questione è una donna e mi tocca iniziare a usare il femminile, con comprensibile confusione del pubblico straniero di fronte a questi repentini cambi di sesso. Neanche a Casablanca.

Per uscire da questo impasse che rende la mia vita più difficile di quanto meriterei, mi sento di farvi una proposta, diciamo diagonale: per quanto mi riguarda, potete passare i prossimi millenni a sviscerare i più reconditi anfratti della questione assessorasindacaministra, la cosa francamemte mi rimbalza; nel frattempo, però, onde evitare di farmi uscire di senno, potreste cortesemente usare in modo corretto almeno l'articolo?
Perché se io sento LA sindaco, so per certo che si tratta di una donna e la mia vita è più semplice e felice.
Se arriviamo a usare gli articoli giusti, poi chissenefrega di come finisce la parola, il mio obiettivo è raggiunto.

In fondo ci vuole poco per far fare un piccolo passo avanti all'umanità e, soprattutto, uno molto più grosso alla mia qualità della vita.

A buon rendere.

lunedì 12 dicembre 2016

Reading: istruzioni per l'uso

Visto che il fenomeno Reading (reading = evento in cui un tizio legge brani di un autore) va estendendosi a macchia d'olio per tutta la penisola, mi pare venuto il momento di dare qualche indicazione a chi volesse avvicinarsi a questa nobile arte in qualità di pubblico.
In questo, come in molti altri casi, la chiave di tutto è la preparazione: mai accettare un reading a scatola chiusa, cercate di raccogliere tutte le informazioni disponibili: dove lo fanno, chi organizza, chi legge, sono tutte variabili che, se trascurate, possono avere pesanti conseguenze (vedi punti a seguire).

1) Spesso il reading si colloca in fascia pre o post cena; anche se la tentazione è forte, non esagerate con l'aperitivo o l'ammazzacaffè, ci saranno casi in cui, per uscire dignitosamente dall'esperienza, dovrete essere nel pieno possesso delle vostre facoltà mentali.

2) Quando arrivate in loco, la prima cosa da cercare con lo sguardo sono gli amplificatori, trovate una posizione che sia il più vicino possibile alle casse, soprattutto se vi rendete conto che gli organizzatori utilizzano il sistema di amplificazione di Barbie.
Se malauguratamente non c'è il sistema di amplificazione "perché tanto lui parla forte", l'unica soluzione definitiva è fingersi affascinati da chi legge e sedere sulle sue ginocchia per tutta la durata della performance.

3) In ogni caso al momento di decidere dove sedere, tenete conto che è sempre meglio scegliere una posizione laterale che vi consenta un'agile fuga in caso l'evento si riveli un madornale errore (vostro, s'intende).
La pausa sigaretta è sempre un'ottima scusa per filarsela (per approfondire l'argomento vedi Concerti: 10 consigli utili per portare a casa la pelle).

4) Tornando al punto 1, informatevi bene su chi leggerà: ha avuto esperienze precedenti? Sa parlare in pubblico? Perché signori, parliamoci chiaro, se vi capita un tizio che più che leggere, vola, è la fine. Se non altro la sofferenza sarà breve. Se invece vi capita lo sterminatore di consonanti, allora l'esperienza sarà dolorosa e interminabile.

6) Concludo con un punto forse un po' delicato ma necessario:

- qualora la lettura avvenisse in chiesa, pregherei le signore di evitare di indossare perizomi di qualunque foggia o colore; questo non per motivi religiosi ma per il fatto che quel filo nel sedere tende a causare un certo fastidio e quindi l'indossatrice è portata a cambiare spesso posizione per cercare temporaneo sollievo.
Immaginate cosa succede se la signora o le signore siedono, come spesso accade in chiesa, su panche di legno: questo continuo processo di assestamento causa una serie interminabile di scricchiolii che rendono le cose ancora più difficili ai quattro poveretti (quattro a caso, ovviamente) che ancora non si sono arresi di fronte a quell'uomo che laggiù, in piedi di fianco alle casse di Barbie, legge a una velocità folle (causa nervosismo o sadismo, non ci è dato di sapere) e, proprio prima di iniziare, ha deciso di calmarsi mangiando tutto un pacchetto di Morositas che, come si sa, sono una versione profumata del mastice.

- un'ultima raccomandazione: portate con voi una bottiglietta d'acqua per affrontare accessi di tosse, singhiozzo ecc; starnutire e tossire sono necessità umane ma dopo la terza volta consecutiva diventano un crimine contro l'umanità in sala. E se qualcuno sa che macchina guidate, potrebbero esserci rappresaglie.

Siate gentili, in fondo basta poco per aiutare tanti.




venerdì 25 novembre 2016

Trasferte tra mammut, gatti e neonati grossi

Ho in programma una quattro giorni in Toscana ma prima devo arrivarci e, con le condizioni meteo di questo periodo non è proprio così scontato.
Sfidando pioggia raffiche di vento e compagnia, arrivo in zona Firenze e quando ormai sto tirando un sospiro di sollievo mi trovo davanti un camion che trasporta tronchi, oltretutto con rimorchio.
Il mammut va a 30 km/h e, in quelle strade strette e piene di curve, è insorpassabile; la mia mezza età scivola via aspettando che le nostre strade si dividano.
Viste le lunghe distanze da percorrere, ho chiesto in prestito la macchina di Enrico che è a gpl (la macchina, non lui) ma, avendo scoperto che per fare rifornimento serve la presenza di un baldo operatore, vivo nel terrore di rimanere senza gas.
Poco prima di arrivare a destinazione comincio la ricerca di un punto rifornimento: passo diversi distributori che però non hanno il gpl, quando finalmente ne trovo uno sono le 19.05 e quindi gli addetti hanno già messo la giacca e chiuso il gabbiotto del distributore, li vedo allontanarsi e sembra mi salutino con la mano. Va là che un mese in miniera...
Sono ormai in prossimità di casa di Ilaria e vorrei avvisarla del mio arrivo ma, inspiegabilmente, il cellulare non si sblocca, striscio il dito sullo schermo ma lui non dà udienza.
Non è la prima volta che mi ritrovo con le dita talmente fredde che i sistemi che reagiscono al calore non si attivano, in passato rimasi bloccata e disperata nell'ascensore di casa Rinaldi; appoggiavo il dito sul numero ma l'ascensore non dava udienza. La cosa si risolse solo grazie a un vigoroso sfregamento delle mani sui pantaloni.
In questo caso però le mani sono calde, quindi non è colpa mia ma della stupida tecnologia. Mi rassegno e vado a cercare il campanello, sperando vivamente che funzioni perché ho appena fatto tre rampe di scale con:
- un trolley carico del necessario per un soggiorno di quattro giorni (utilissime le ruote quando ci sono le scale),
- la borsa porta-computer che pesa come un neonato grosso.
Rifarle non è un'opzione.
La mattina dopo mi trovo con Ilaria fuori dal palazzo del convegno a Colle di Val d'Elsa, il panorama è stupendo ed è pure uscito il sole ma la gioia dura poco, scopriamo che la sala convegni si trova due piani sottoterra e, una volta raggiunta la grotta tramite ascensore, precipitiamo nell'Era Glaciale, il riscaldamento è spento.
Ci chiudiamo in cabina di traduzione, stringendoci nel cappotto e confidando nel cosiddetto "effetto-asino-bue" per scaldare l'interno, se poi finisce l'ossigeno, pazienza, sarà una dolce morte.
Sopravviviamo fino alla pausa caffè e risaliamo in superficie a prendere un po' d'aria e di sole (il sole scalda, almeno lui), quand'ecco arrivare un tizio alla guida del solito SUV obeso (il SUV, non lui); l'individuo in questione vuole per forza infilarsi nel parcheggio, anche se non ci sono posti liberi.
Deciso a non lasciarsi scoraggiare dalle leggi della fisica e del buon senso, l'uomo si lancia in una serie di manovre degne di Austin Powers con la macchinina del golf e alla fine riesce a infilarsi con la macchina ma non ci vuole un genio a capire che non può lasciarla lì, è insensato, ha bloccato tutte le altre macchine!
Lo splendido però non si lascia turbare da queste plebee considerazioni, molla il SUV ed entra nell'edificio. La tentazione di dire qualcosa è forte ma, pensandoci bene, uno che ha fatto un lavoro così non può essere del tutto a posto con la testa quindi, onde evitare una coltellata, riprendiamo il nostro ascensore per l'inferno e torniamo al lavoro; alle 13 si conclude la mattinata di lavoro e ci buttiamo letteralmente verso il buffet, il freddo mette appetito.
Peccato che il pranzo non sia pronto perché, ci dicono, il camioncino non riesce a raggiungere la sala, essendo l'entrata bloccata da un SUV.
Ovviamente il gigino responsabile si guarda bene dall'andare a spostare l'obeso mezzo, immagino per paura di un meritato linciaggio (la folla affamata non usa guanti bianchi) e, purtroppo, quando lo splendido mi è passato di fianco io avevo il sole in faccia quindi non potrei riconoscerlo e smascherarlo, posso solo mangiarmi le mani e maledirlo in silenzio.
Finito il primo convegno parto per la destinazione del lavoro successivo e mi trovo in un bed and breakfast decisamente insolito; il gestore è un ragazzo giovane che l'ha messo in piedi da zero e si occupa di tutto da solo quindi a volte mancano la carta igienica in bagno, le grucce nell'armadio, la tapparella non scende, però ogni volta che gli chiedi aiuto lui si fa in quattro e gli si perdona molto, soprattutto perché per due giorni consecutivi a colazione mi ha preparato i pancake.
La legge di Murphy (Sorridi, domani sarà peggio) si rivela ancora una volta esatta: dopo essermi lamentata del freddo di Colle di Val d'Elsa, scopro che l'ultimo convegno è in un albergo per cui in sala c'è un bel teporino, però il cliente per risparmiare non ha messo la cabina quindi ci tocca tradurre esposte a tutti i rumori possibili, incluso quello che produce la griglia metallica del parcheggio vibrando ogni volta che una macchina ci passa sopra.
Il tutto aggravato da un relatore francese che parla un inglese, diciamo parallelo (es. lui vorrebbe dire cut-tagliare ma pronuncia cat-gatto e questa è la più inoffensiva del mucchio).
Quando finalmente esco dall'albergo, sulle spalle sento chiaramente tutti e quattro i giorni di questo tour toscano, però fuori c'è un bel sole e sono le 17, se parto subito dovrei riuscire a evitare il traffico spaventoso della Firenze Bologna e arrivare a casa prima di cena, questo sì, SUV obesi permettendo.






lunedì 7 novembre 2016

L'ascia o raddoppia

Siate sinceri, non avreste anche voi la stessa espressione se vi avessero rifilato dei vestiti così?
Anche se fai la modella di mestiere, qui non c'è bolletta da pagare che tenga.


Oltretutto è solo l'inizio.

Lì per lì guardi la giacca e la gonna e pensi che in fondo poteva andare peggio.
Poi va peggio.

Chi non vorrebbe avere degli scaldamuscoli fucsia che si saldano agli stivaletti tramite laccetti in pelle?
La stilista potrebbe essere Xena, l'atmosfera è quella.



Un comico qualche tempo fa disse: "se le fragole sono buone e la maionese è buona, non è detto che le fragole con la maionese siano buone."

Sante, santissime parole.
Per concludere, ammiro il coraggio del fotografo che ha fatto sistemare la modella vicino all'ascia e poi le ha scattato la foto, io nei suoi panni non sarei rimasta nelle vicinanze.





mercoledì 26 ottobre 2016

La Compagnia del Coltello

Pubblicità di una nuova pavimentazione.
Guardando la foto il mio primo pensiero è che, se in casa vi serve un pavimento che resista alle coltellate, forse invece del pavimento sarebbe il caso di cambiare compagnia.








martedì 20 settembre 2016

Gli occhiali fanno meno male


Pensavo che i creativi di Police non potessero superare quanto già fatto in passato (vedi i capolavori esaminati nel precedente post Essere o non essere: Silvan contro Sandokan) e invece eccoli qua.
A volte ritornano.
I processi mentali che portano alla creazione delle boccette di profumo Police per me sono un mistero; questa qui non è semplicemente una brutta boccetta, è ridicola, c'è un teschio che sembra avere in testa quelle cuffiette di plastica a fiori che una volta le signore anziane si mettevano per fare il bagno.

L'unico uso che posso concepire per questa bottiglia è quando sei furibondo e vuoi qualcosa da scagliare contro il muro per sfogarti.
Ciononostante, mi rendo conto che forse il mio sentire non è in linea con quello del resto del mondo e magari l'essenza al suo interno è buonissima, quindi cerchiamo di essere costruttivi: se proprio siete decisi a comprare e usare il profumo, la cosa
migliore è infilare la boccetta in un calzino di lana grosso.
In questo modo potrete profumarvi senza essere costretti a guardare il contenitore, un po' come si fa con i porta-pacchetto di sigarette, che ti permettono di fumarti la tua dose quotidiana di droga senza dover leggere quei simpatici messaggi apocalittici che ti mandano di traverso la nicotina.
Enjoy.

martedì 13 settembre 2016

Il Santo e il Tonno

Siamo con Mauro e la Paola in gita sul lago Maggiore e, dopo un pranzo volante (pizzette e focacce prese dal focacciatore locale e consumate sotto un pergolato in riva al lago), Mauro propone di andare a vedere il San Carlone, una statua di metallo alta più di 30 metri e costruita in onore del vescovo locale.
Andiamo.
Sarà la mia recente esperienza ammerregana  (vedi Boccia nella Grande Mela) ma, a una prima occhiata, il Sancarlone mi pare la Statua della Libertà de noantri, ha pure il braccio alzato ma la distingui perché al posto della fiaccola c'è un messale.
Come per la cugina d'oltreoceano, anche qui paghi un biglietto diverso a seconda che tu voglia salire fino ai piedi della statua o raggiungere la testa.
Ci guardiamo in faccia e il messaggio è forte e chiaro: siamo arrivati fino a lì, adesso mica ci tireremo indietro causa braccine corte? Vogliamo salire fin sulla testa e siamo disposti a pagarne il prezzo (5 euri).
Appena pagato il biglietto inizia piovigginare, è il Cielo che ci sta dicendo qualcosa ma noi siamo tonti e non ci accorgiamo di nulla.
Si pagano due biglietti ma non è che questo ti dia diritto a vivere negli agi, per arrivare alla benedetta base della statua c'è da salire quelle millemila scale a chiocciola e si raggiunge l'ingresso della sottana del santo con un principio di nausea ma c'è tutto il tempo di farsela passare perché per salire c'è da fare la fila, dato che si entra in gruppi di massimo 10 persone.
Il gruppo davanti a noi conta 9 persone e il custode sta tentando di convincere una famiglia di turisti tedeschi a mandare la loro figlia di 11 anni da sola col gruppo per fare cifra tonda; in questo caso la barriera linguistica è provvidenziale e la giovine resta coi suoi mentre il gruppo di italiani entra nella statuona.
Noi, che siamo fuori in paziente attesa, sentiamo quelli dentro che gridano "qui c'è un orecchio!" o "sono davanti a un occhio!" seguiti dalla voce del custode che li riporta con i piedi per terra chiarendo che, essendo loro sul retro della statua, è difficile che trovino gli occhi o le orecchie, a meno che il San Carlone non sia un'opera di Picasso. 
Dopo quella che sembra un'eternità, il gruppo esce, e noi ci addentriamo nell'antro della carlosa bestia.
In pochi secondi mi ritrovo ad avere 13 anni, sto facendo la ferrata della Tridentina, con le stesse scale a pioli di ferro totalmente verticali e lo stesso pensiero inquietante:se mi sudano le mani è la fine. Due le differenze principali in questo caso:
1. invece di essere attaccata a una parete di roccia sono dentro un sarcofago di metallo (però, se cado, lo sfracellamento non sarà poi così diverso),
2. In questo caso non indosso imbragatura, cordino, moschettone e casco, il che rende ancora più concreta l'ipotesi sfracellamento.
Sono a metà percorso e sto tentando di concentrarmi, onde evitare l'ipotesi di cui sopra, quand'ecco che inaspettatamente la Paola comincia a smadonnare contro il Mauro, colpevole di averci proposto quella che è a tutti gli effetti una visita a pagamento in una scatola di tonno.
Una volta arrivati in cima, guardiamo finalmente dagli occhi della statua e la vista è impagabile: il parcheggio. A quel punto, sempre accompagnati da una colonna sonora di infamie rivolte al povero Mauro ci apprestiamo a scendere, peccato che non sia possibile perché la scala a pioli è occupata da gente che sale e quindi, come in qualunque ferrata, se la scala è occupata non ti resta che aspettare che si liberi.
E' a quel punto che mi sono scoperta grata per il maltempo, non volendo neanche immaginare che temperatura ci sarebbe stata all'interno della capoccia metallica se ci fosse stato il sole.
Vista la situazione ci siamo messi di coltello per fare posto a quelli che salivano, pregando che facessero presto perché non c'è bisogno di essere claustrofobici per provare un leggero disagio quando si è pressati contro pareti metalliche senza possibilità di fuga.

Il tonno pinne gialle ha tutta la mia comprensione.



martedì 30 agosto 2016

Tintarella sulla fiducia

Il balzo della fede serve più spesso di quanto non si pensi.
Qui a lato vedete l'inevitabile articolo sull'abbronzatura pubblicato su Grazia il 21 giugno (sto leggendo gli arretrati passatimi da mamma, devo recuperare il mese passato in terre straniere coi boccia); l'autrice ci rivela che quest'anno spopola il colore dorato in stile Copacabana, con effetti ambrati-dorati.
Fin qui tutto bene, però mi chiedo: se l'articolo deve servire a dare indicazioni a noi della plebe cosicché ci buttiamo su lozioni, pomatoni e integratori nella speranza di sentirci strafighi e molto vip, che senso ha metterci a corredo una foto in bianco e nero?
Perché noi del volgo non siamo mai passati da Copacabana con la cartella colori per capire qual è il pantone ideale per la tintarella di tendenza.
A mio avviso l'articolo, che in teoria dovrebbe spingerti a fare il mutuo per comprare i millemila prodotti che servono per l'abbronzatura vip (oltre agli spray vernicianti in caso i tentativi falliscano e ti ritrovi con un colore besciamella gratinata), con questa foto si dà la zappa sui piedi: ti fa vedere una giovine che, pur essendo innegabilmente grigia, fa comunque una gran figura
C'é il rischio concreto che qualcuno cominci a pensare che in fondo si può vivere anche senza tintarella ma allora tutti quei poveri pomatoni che fine farebbero?
 

domenica 14 agosto 2016

Vacanze fritte al di là della Manica: il Gran Finale

Bits and pieces: scampoli di impressioni forestiere.
- i boccia si lamentano in continuazione di tutto e si girano verso di te, con tono tra l'attonito e l'indignato (ricordano Barbra Streisand quando faceva Melinda ne L'amica delle cinque e mezza), pretendendo una spiegazione per qualsiasi cosa.
Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, praticamente ti considerano dio (o Jeeves).
Facciamo un esempio: improvvisamente, mentre viaggiamo tra due stazioni ferroviarie, il treno si ferma nel mezzo del nulla e uno dei boccia si gira subito verso di me:
"Chiara perché ci siamo fermati?"
Resta da capire in base a quale ragionamento io potessi saperne più di lui, eravamo seduti di fianco, non avevano fatto annunci nè avevo parlato con chicchessia. Con il senno di poi, forse avrei dovuto reagire con più tatto ma erano gli ultimi giorni e i livelli di tolleranza erano ormai bassissimi, quindi mi è scappato un "How should I know? Am I train guy now?"
- altra deliziosa abitudine dei nostri giovini è quella di seguire non le persone ma i piedi davanti a loro (un po' come gli anatroccoli che seguono gli stivali di quello che dà loro da mangiare), quindi a volte nella folla seguono la persona sbagliata e devi correggerne la direzione, prima che si perdano. Sospetto non sia molto diverso da quello che fa un pastore con il suo gregge, praticamente sono Peter.
- mi manca il cromosoma Y e si vede chiaramente quando giro con i boccia per Londra: quando si sente il rombo di una macchina sportiva io non alzo la testa come un felino in caccia, cercando di capire che macchina ne sia responsabile e snocciolando marche e caratteristiche come fossero le tabelline.
Per concludere, ecco alcune chicche dei genitori che ci fanno capire che la mela non cade lontano dall'albero:
- un padre mi ha chiamato per sapere se, nelle due settimane di soggiorno in Inghilterra era prevista la Giornata dei genitori;
- una mamma parlando di Londra mi ha chiesto:"Ma cosa facciamo con questi attacchi terroristici?" Ora, ripensandoci, mi rammarico di non aver avuto la prontezza di rispondere "Nessun problema signora, a noi dell'agenzia ci avvisano prima!"
- Last But Not Least (leggi Ciliegina Sulla Torta): il giorno prima della partenza un padre trafelato ha chiamato la mia collega per chiedere se il ritrovo in aeroporto era due ore prima della partenza o dell'arrivo.
M'inchino di fronte alla grande forza d'animo della sopracitata collega che non ha controllato di chi fosse il padre quest'uomo, per non penalizzare ingiustamente il figlio.

E anche quest'anno è andata!


lunedì 8 agosto 2016

Vacanze fritte al di là della Manica - Il diploma

Ultimo giorno nel nostro college inglese perso nel nulla (ci vogliono due ore per arrivare in qualsiasi posto degno di nota), domani si parte per Londra e quindi oggi ci è toccato sorbirci la consegna dei diplomi.
Ci era stato detto che la cerimonia si sarebbe svolta alle 17.15 nella mensa vicino ai nostri alloggi, quindi in tanti siamo arrivati rilassatissimi alle 17.14 (l'interesse per simili cerimonie è pari a quello per la vernice che si asciuga sul muro.) 
Senza alcun preavviso è piombata su di noi la direttrice del corso per informarci che, causa imprevisto (leggi: quelli del talent show serale dovevano fare altre prove in sala mensa), tutto veniva spostato in altra sede a noi sconosciuta.
La suddetta direttrice è poi partita a tutto gas verso la nuova destinazione, senza curarsi di controllare che qualcuno la stesse effettivamente seguendo (mi chiedo a chi avrebbe dato i diplomi se noi fossimo rimasti in mensa.) 
Una volta compreso che la velocista in fuga era l'unica a conoscere la nuova sede, ci siamo lanciati all'inseguimento e in qualche modo siamo arrivati a destinazione; peccato che la volpe non avesse pensato alla necessità di lasciare in mensa qualcuno che potesse spiegare la strada ai ritardatari e quindi tutti quelli che sono arrivati in mensa con qualche minuto di ritardo (e non erano pochi) hanno vagato per il campus smadonnando per mezz'ora alla ricerca della maledetta sala. 
I diplomi non ritirati causa studenti non pervenuti li hanno ovviamente rifilati a noi capigrupo e io li ho tirati nella schiena dei ritardatari quella stessa sera in mensa.
Nonostante i millemila contrattempi, alla fine questa benedetta cerimonia di consegna dei diplomi è iniziata. Trattasi di una di quelle tradizioni molto britanniche/americane che faccio sempre un po' fatica ad abbracciare: ti chiamano per nome, tu scendi tra gli applausi della folla e la direttrice sorridendo a 32 denti ti stringe la mano,  congratulandosi con te per aver completato il corso di...20 ore di inglese. Mah.
Come stavo dicendo, la cerimonia è iniziata ma, tra la pronuncia della direttrice che con i nomi turchi e italiani aveva delle difficoltà e gli applausi di ordinanza dopo ogni nome, i ragazzi non capivano quale nome avessero chiamato, nel dubbio scendevano i gradini ma poi venivano rispediti al posto dalla direttrice con un frettoloso "no, no, non sei tu"
Dopo un po' di queste scenette qualcosa è scattato nella mente della direttrice e la signora ha deciso di chiamare cinque nomi per volta e poi fare l'applauso a tutti, così si snelliva il processo, cosa alquanto desiderabile se si considera che il mio gruppo doveva essere in mensa per cena alle 18, erano ormai le 17.50 ed eravamo dall'altra parte del campus.
La fame fa nascere nella tua mente pensieri che non pensavi di poter concepire, ad esempio l'idea che
con un semplice accendino si sarebbe potuto far scattare l'allarme anticendio, obbligando tutti ad evacuare l'edificio; da una parte questo avrebbe messo fine alla cerimonia, dall'altra l'inevitabile confusione avrebbe permesso alla sottoscritta (gli studenti li avrei abbandonati al loro destino senza pensarci due volte) di scivolare non vista verso la mensa, mangiare in santa pace e poi millantare di essere dovuta tornare alla mensa perché non mi sentivo bene e il paracetamolo è meglio prenderlo a stomaco pieno.
Un piano perfetto, rovinato irresponsabilmente dalla conclusione della cerimonia.
Mai una gioia.

venerdì 29 luglio 2016

Vacanze fritte al di là della Manica - 2


Faccio un passo indietro rispetto al post precedente per aggiungere un dettaglio che ha la sua importanza.
Quella famigerata prima sera al campus, una volta sbattuti i boccia ognuno nella sua camera, ho varcato finalmente la soglia della mia stanza, decisa a svenire sul letto tutta vestita com'ero.
Sarebbe stato bello riuscirci, però in camera si sentiva una gran puzza di piedi, evidentemente non miei, quindi per prima cosa sono corsa a spalancare la finestra, solo per scoprire che si apriva al massimo di tre dita perché, essendo al pianoterra, per motivi di sicurezza avevano messo all'esterno una barra di ferro che permetteva di aprire solo uno spiraglio.
Come diavolo faranno a sopravvivere quei poveri studenti che qui ci devono passare anni?
Come i migliori cani da caccia ho iniziato ad annusare metodicamente tutto,  cercando la fonte del podoaroma e alla fine mi è toccato concludere che veniva dalla moquette, quindi il problema era irrisolvibile; sopra alla prima finestra sbarrata c'era una seconda finestrella lunga e stretta col vetro che si apriva in fuori, la poveretta ci provava a fare entrare un po'd'aria ma era chiaramente una goccia nel mare.

A questo punto, a parte il piedoso benvenuto che mi aspettava ogniqualvolta varcavo la soglia, mi preoccupava la possibilità che prima o poi il citato olezzo si trasferisse dalla moquette alla mia persona, cosa che si sarebbe riflettuta negativamente sulle mie relazioni sociali al campus.
Come reagisce il corpo umano quando viene messo in marinata per ore (5-6 per notte) nella puzza di piedi? 
Confesso che all'inizio questo pensiero mi turbava ma, grazie a vigorose e frequenti insaponate in doccia, siamo riusciti a tenere a bada il nemico.
Quindi, faremo inevitabilmente la nostra figura di italiani casinisti e ritardatari ma, puzzoni, quello almeno no.

domenica 24 luglio 2016

Vacanze fritte al di là della Manica - 1

Sto ancora combattendo il jet-lag di New York ma è arrivato il giorno della partenza e devo dire che il viaggio inizia alla grande: sono le 10.15, l'appuntamento con boccia e famiglie è per le 12.20 in aeroporto ma un genitore mi ha appena chiamato dicendo che sta parcheggiando e chiedendo se sono già là. Tsunami di ansia in zona Linate.
Sull'aereo ci servono il pranzo nonostante siano quasi le 15; apro la mia scatolina ma qualcosa non quadra, l'insalata di cous cous non dovrebbe essere gialla? O almeno beige? I tre poveri granelli di cous cous che riesco a individuare sembrano capitati lì per sbaglio, affogati come sono da legumi verdi di ogni genere, fave piselli, persino semi di zucca, ce ne fosse uno che sa di qualcosa, oltretutto a una prima annusata odorano di benzina. 
Aggiungo che la forchetta da assemblare era dentro una bustina di plastica che genialmente avevano inserito dentro il contenitore del cous cous, quindi per utilizzarla dovevi prima ungerti tutte le mani tentando di aprire la dannata bustina. Tutto considerato, British airways: malino più.
Una volta atterrati a Heathrow saliamo sul pullman e ci dicono che ci vorranno 2,5 ore per raggiungere il college, mentre ancora sto bofonchiando che c'è voluto meno a volare dall'Italia l'autista ci informa che c'è stato un incidente con ben due tir, quindi le ore diventano rapidamente 3,5. Per completare il quadro, fuori ci sono 32 gradi e l'aria condizionata è rotta, voglio morire, subito sarebbe meglio.
Arriviamo finalmente al college e sono già  le 20.30; l'autista ci informa che non sa esattamente dove portarci (mi guarda come se si aspettasse di saperlo da me ma, dico io, chi dei due è l'autista? Mentre noi telefoniamo alla manager per sapere dove andare, il nostro baldo nocchiero prende l'iniziativa e si infila brillantemente su per una stradina stretta e contromano, il genio. Per completare il capolavoro, lo splendido rimane incastrato; segue una mezz'ora di manovre e madonne ma il mezzo non collabora, testardamente convinto di essere un pullman e non una Cinquecento come lo vorrebbe l'autista.
Sembra una nuova versione di Austin Powers col macchinino del golf.
Se dio vuole, alla fine ce la fa e abbandoniamo il mezzo, peccato che poi ci tocchi scarpinare con le valigie su e giù per il campus alla ricerca dei nostri alloggi. Rido sadicamente pensando a quelle che hanno una valigia che pesa 22 chili, alla loro faccia quando scopriranno che non c'è l'ascensore. Sono cattiva, lo so.
Per concludere in bellezza la giornata, dato che sono le 21 e non abbiamo cenato, ci danno uno dei loro pasti impacchettati che mi scuso di non aver fotografato, la prostrazione ha avuto la meglio; dentro c'era uno di quei panini lunghi di pane molle con una fetta tristissima di formaggio, un cubotto di succo d'arancio all'aroma di polivitaminico, la solita barretta di cereali e...le patatine gusto formaggio e cipolla.
Quello è stato il colpo di grazia, ho buttato smadonnando panino e cubotto nel bidone e mi sono infilata sotto il piumone, giornate così meritano solo di morire.

martedì 19 luglio 2016

Boccia nella Grande Mela - The End

Sono sul punto di partire per la mia seconda "vacanza" con i boccia, stavolta in Inghilterra, quindi mi tocca chiudere il capitolo USA.
Qui sotto trovate alcuni commenti e impressioni liberamente accumulate durante il soggiorno.

"Dopo una settimana di soggiorno la cosa più buona della mensa sono state le polpette dell'Ikea, sul menù c'era scritto polpette svedesi ma erano proprio quelle surgelate Ikea.
Indimenticabile  il petto di pollo alla griglia, stoppaccioso e insapore fin dal primo giorno, forse perché è ancora quello del primo giorno, la versione USA della Luisona.
Immancabili hamburger e wurstel, nonché wafer alternati a pancake o french toast per colazione. L'indurimento delle arterie vien mangiando.
Se osservi i passanti sembra sempre che corrano da qualche parte, come la tartaruga della canzone.
La carta igienica del Hard Rock Cafe è 10 piani di morbidezza quindi gli americani sanno che una carta igienica decente esiste ma con quelle braccine corte non riescono a comprarla.
In aereo con swissair stiamo preparando l'atterraggio e si vede uno dei loro cioccolatini a forma di palla da calcio (triste ricordo degli europei) che rotola lungo il corridoio.
Filadelfia, andiamo al museo della costituzione, a vedere la campana della libertà, nonché il luogo dove una donna di cui non ricordo il nome ha cucito le 13 stelle sulla prima bandiera americana, mancava solo quello che visitassimo la piantagione dove hanno coltivato il cotone usato per tessere la bandiera e poi eravamo a posto.
No shopping, unico tempo libero nel negozio del museo, ci sono la cravatta dei presidenti, i busti dei presidenti, la bambola della donnina che cuce la bandiera, tutti regali perfetti per la Tombola degli Orrori di Natale, la faranno anche qui?
C'è pure una macchina che dispensa zucchero colorato da ciucciare, il dubbio che venda droga sotto copertura c'è ma poi ragiono che costa troppo poco.
La mattina del check out il livello di organizzazione raggiunge altezze da Fossa delle Marianne: dobbiamo fare il check out entro le 9 perché poi i boccia  hanno lezione ma i nostri strepitosi manager decidono che, oltre alla chiave, dobbiamo portare giù anche lenzuola, copriletto, federa, cuscino e asciugamani (manca che ci chiedano di dare una pulita al bagno).
Genialmente decidono di informarci appendendo avvisi quella stessa mattina e, com'era prevedibile, parecchi boccia non li vedono quindi alle 8.40 la metà viene giù senza biancheria da letto e viene rispedita su, all'altra metà spesso manca qualche pezzo (il cuscino e la coperta sono i più gettonati) quindi viene anch'essa rispedita su, con grande viavai di boccia tra i due piani e inevitabile ingorgo degno di New York.
Il check out è alle 9 ma il nostro aereo parte alle 20.55 quindi i cari manager si ritrovano con 60 valigie da stivare da qualche parte (non ci avevano pensato, che sorpresa) e altrettante persone ciondolanti in giro e comprensibilmente incazzate (1 bagno x 40 persone).
Riusciamo a partire nonostante ci mancasse un pullman (i nostri due gruppi partivano da due aeroporti diversi ma in ufficio non lo avevano notato, ormai non ho più neanche la forza di insultarli) e se dio vuole decolliamo.
In aeroporto a Zurigo abbiamo solo 50 minuti per prendere la coincidenza e ovviamente uno si dimentica le scarpe in aereo ed esce in ciabatte; quando Cenerentola torna calzando le scarpine ci rimettiamo in marcia ma noto che rimane un borsone per terra, quindi mi tocca fermare tutti di nuovo (a questo punto mi frega zero se lasciano lì qualcosa ma i bagagli incustoditi fanno scattare l'allarme bomba e oggi mi manca solo quello.)
Ci tocca pure un altro controllo passaporti e, mentre io sento nascere una gastrite, i boccia invece di darsi una mossa strascinano i piedi come se fossero a ciondolare in centro. Vorrei avere il pungolo da bestiame. Calma e serenità.
Qualunque viaggio tu faccia con tineger italiani sai che prima o poi ti faranno vergognare, per un motivo o un altro. Commentano tutto urlando, nonostante tu gli abbia fatto notare che non parlano ostrogoto ma italiano, quindi su un aereo che va a Milano è probabile che li capiscano in parecchi. 
L'unica soluzione che ho trovato è sedermi al mio posto è fingere di non conoscerli.
I'm sorry, no parla, no capisc. 

martedì 12 luglio 2016

Boccia nella Grande Mela - 4

Stasera gli animatori hanno organizzato una meravigliosa serata di karaoke ma ho come l'impressione che le cose non stiano andando proprio come speravano. Non sono un'animatrice esperta ma sono abbastanza sicura che per realizzare con successo il karaoke sia necessario prima di tutto l'impiantino per il karaoke. 
Qui però non c'è l'hanno. O meglio, ce l'hanno ma per motivi misteriosi non hanno pensato di portarlo.
Alla fine dopo circa un'ora lo hanno portato ma non funzionava, nessuno aveva pensato di controllarlo prima della grande serata.
Per tenere a bada l'orda di boccia, un eroe tra noi ha deciso di organizzare un gioco a squadre mentre gli animatori tentavano inutilmente di rianimare la karaoke machine.
Per rendere tutto ancora più interessante, uno dei gruppi ha deciso di chiamarsi "I cazzoni" e vi assicuro che rimanere seri mentre il presentatore grida con accento francese "And the winner is I CAZZONI!!!" non è cosa facile, anche perché la traduzione del nome si è diffusa in fretta tra il pubblico.
Alla fine hanno messo su una mezza roba con l'audio che saliva e scendeva in modo insensato, a volte coprendo la voce, altre volte lasciandola nuda e indifesa.
Ovviamente la sala da cerimonie scelta per l'evento era perfetta, illuminata a giorno con luci al neon tipo sala operatoria. Il pub con la sua illuminazione  discreta non è stato considerato.
La serata si è conclusa in grande stile con la vittoria de I CAZZONI.


venerdì 8 luglio 2016

Boccia nella Grande Mela - 3

Qualche giorno fa abbiamo preso il traghetto per andare a vedere Ellis Island e la Statua della Libertà; la prima cosa che mi ha colpito (oltre al fatto che la statua è più piccola di come la immaginavo), sono state le panche del traghetto. 
Se osservate la foto qui sotto vedrete che la distanza tra la spalliera e la seduta è enorme, c'è un buco dove dovrebbe esserci un appoggio per le terga, tanto che quando ti siedi finisci poco a poco con mezzo sedere dentro il citato buco e, a parte l'evidente fastidio che ciò comporta, non è un gran bel vedere tutti questi popò mezzi incastrati (per fortuna non c'erano tanga o natiche in "bella" vista, a dirla tutta, raramente è una bella vista).
Altro interessante fenomeno è la frenesia della gente di fare foto alla donna con la torcia; mentre il traghetto le gira intorno, la gente si sposta per avere sempre l'inquadratura migliore, a volte c'è il rischio stampede. 
Poi ci sono quelli che si fanno fotografare dall'amico paziente ma, non vedendo la statua che è dietro di loro, non possono sapere che questa ormai volge loro la schiena e l'amico ovviamente si guarda bene dall'informarli della cosa, rischierebbe di dover ricominciare il balletto tutto daccapo e, sarà anche un amico paziente ma non è scemo.
Riassumendo, anche nel caso della Statua della Libertà la mia reazione dopo la prima occhiata è stata:"sì, ok, bello scherzo, adesso tirate fuori quella vera!"


mercoledì 6 luglio 2016

Boccia nella Big Apple - Calimero's Day -


Today is Calimero's Day.
Arriviamo a New York nel pomeriggio, e saliamo subito sulla cima del Rockfeller Center da dove si gode una vista a 360 gradi su...un sacco di grattacieli; potrebbe valerne la pena se almeno da dietro un grattacielo uscisse Godzilla e iniziasse a buttare giù edifici, invece così ti guardi intorno senza capire bene cosa ci fai lì.
Poi finalmente torni a terra e scopri che i ragazzi (e quindi anche tu) hanno 3 ore libere e la lista di tutti i marchi in vendita sulla Quinta Strada (sospetto che dei negozi rimarranno giusto gli zerbini). Accantonata l'opzione sciopping (tre ore in giro per meganegozi sono la mia idea di inferno) mi compro un sacchetto di noccioline caramellate da un venditore per strada e passeggiando rilassata nel sole mi dirigo verso il MoMa; ho a disposizione tre ore, qualcosa dovrei riuscire a vedere!
Entro e ho un primo momento di turbamento allo scoprire che ci vogliono 25 sacchi per entrare, poi però mi dico che sono in vacanza e onestamente per comprare l'ennesimo paio di sandali mi farei meno problemi; 
mi metto in fila per la biglietteria (solo un paio di persone davanti) e poi, casualmente alzo gli occhi verso gli orari d'apertura: oh, questi chiudono alle 17.30 e sono già le 16.30! Avrei meno di un'ora!
Mestamente mi alzo, metto il mio guscio d'uovo in testa e mi avvio verso l'uscita masticando amaro, alla faccia della Patria dell'Imprenditorialità e del Business, aprono alle 10.30 e chiudono alle 17.30.
Branco di lavativi. 

domenica 3 luglio 2016

Boccia nella Grande Mela - 2

Alcune brevi considerazioni sulle differenze USA-Italia che ho notato finora.
Mi pare che i nostri amici d'oltreoceano abbiano le braccine parecchio corte, almeno a giudicare dalla carta igienica che qui consiste in enormi rotoloni di UN solo velo (ci vedi attraverso, giuro) quindi devi tirarne fuori mezzo chilometro per costruirti un rettangolino consistente che faccia il suo lavoro. 
Gli orari dei pasti sono insensati, ieri ci hanno portato a cena alle 17! Va bene che dobbiamo essere accomodanti ma alle 17 una si aspetta il tè coi biscotti, non la salsiccia con la cipolla e il riso alle verdure! 
Poi ovviamente alle 22 ti viene la prevedibile botta di fame e ti tocca sfamarti con quello che trovi nelle macchinette.
Sospetto che ci sia un accordo segreto con quelli delle macchinette in questione, altrimenti come si spiegano questi orari da pensionati in Florida?
C'è poi la spinosa questione dell'aria condizionata polare: tu scendi dall'aereo ormai trasformata in un bastoncino Findus (vedi Boccia nella Mela - parte 1) poi esci dall'aeroporto e per raggiungere l'autobus ci vogliono quei 5 minuti a 28 gradi per cui ti scongeli, peccato che poi il pullman sia una cella frigorifera per cui ti risurgeli fino all'arrivo al campus dove scaricare le valigie e salutare lo staff ti scalda e permette al sangue di ricominciare a circolare, almeno fino a quando non varchi la soglia dell'edificio che spazzerà via per sempre le tue illusioni: tu pensavi di sapere cosa fosse il freddo ma ora capisci che ti sbagliavi, quello che ti trovi ad affrontare è probabilmente lo stesso freddo che ha portato alla scomparsa dei dinosauri e, sospetti, presto farà lo stesso con te. 
Il colpo di grazia ti aspetta in camera: un caldo umido da foresta tropicale, se ti azzannasse un coccodrillo non ti stupiresti (e almeno, pensi, metterebbe fine alle tue sofferenze).
Ma com'è possibile che questi non si siano ancora estinti?

giovedì 30 giugno 2016

Boccia nella Grande Mela - 1

La partenza per New York è filata abbastanza liscia, il volo è stato tranquillo, non si è perso nessun boccia e non ci hanno smarrito i bagagli nonostante facessimo uno scalo a Zurigo.
Questo però non significa che non abbia cose da raccontare, partiamo dall'inizio:
- arrivata a Malpensa, prima di farmi riconoscere dall'orda di bocciagenitori, mi sono fermata a pranzare, ordinando una focaccia ligure così orrenda che ne ho buttato via un pezzo e arrivata davanti ai bidoni di carta, plastica e umido, ero incerta.
Lo scorso anno ne ho dette di ogni ai boccia invorniti, quest'anno ho dato io dei punti a tutti: ho rischiato varie volte di dimenticarmi in giro il borsone che avevo per bagaglio a mano e, dopo aver sgardellato le balle ai boccia ché non perdessero l'ESTA (l'autorizzazione all'ingresso negli USA), non la trovavo più io. A mia discolpa, gli altri non mi hanno facilitato le cose.
C'è quello che non ha compilato e pagato l'ESTA perché "non l'avevate scritto!" Chissà come mai gli altri 40 genitori l'avevano fatto, fenomeni paranormali di sicuro.
Tu chiedi il cellulare del figlio e il genitore spesso e volentieri ti dà il suo, perché in fondo che problema c'è se nella chat dei ragazzini ci finisce lei/lui?
Distribuisci etichette di viaggio e specifichi che devono scriverci la destinazione ma questi scrivono l'indirizzo di casa in Italia perchè in fondo prima o poi i loro tesorini torneranno a casa, no? 
Non è stato però tutto pianto e stridore di denti, ho avuto anche qualche colpo di fortuna
: sull'aereo una signora che voleva sedere vicino al figlio mi ha ceduto il posto vicino all'uscita di sicurezza, potevo stendere le gambe ed ero abbastanza vicina al bagno, oltretutto a buona distanza dai barbari che però vedevo spesso (prima o poi dal bagno passano tutti).
La mia vicina di posto ha ordinato il pasto low calories innaffiato però da due bottigliette di frizzantino, si vede che con le bolle non ingrassa, è tutta aria.
Ormai culinariamente parlando non temo nulla ma questa volta è andata bene: polenta epollo alle verdure più pane con burro speciale ( fortuna che c'era scritto).
L'aria condizionata era freddissima e per fortuna, altrimenti l 'aroma di piedi ci avrebbe ucciso. L'unica preoccupazione era che causasse una diarrea fulminante, con quei bagnetti stretti...
Stare in vista del bagno ti rende testimone di drammi quotidiani: un tizio entra in bagno ed esce subito, dentro ci deve essere roba brutta, un secondo entra e scappa, il terzo vorresti avvertirlo tu ma si fa troppa fatica, poi non dicono che un'immagine vale mille parole?
Concludo con la boccia che davanti ai controlli per l'ingresso in USA mi rivela candida che lei sull'aereo il modulo non l'ha compilato perché nessuno glielo ha detto, no, dico, ti danno un modulo, cosa dovrai farci un aeroplanino di carta?
E questo è solo il primo giorno!

giovedì 23 giugno 2016

L'ASL e il tesoruccio bohémien

Ieri sono stata dalla mia dottoressa e, mentre aspettavo pazientemente il mio turno ne ho approfittato per dare un'occhiata alle riviste a disposizione dei pazienti.
Ricordando che già in passato avevo trovato spunti di riflessione di un certo livello (vedi Pennuto e pregiudizio) nelle riviste maschili, ho pensato di dare un'occhiata e non sono rimasta delusa.
Qui a lato notate una lettera alla redazione, una di quelle lettere che ipotizzo siano inventate di sana pianta da una redazione disperata a causa della penuria di corrispondenza.
In sostanza il nostro amico, che per comodità chiameremo Armando, chiede aiuto alla redazione perché le condizioni indecenti della sua vasca da bagno ostacolano i suoi incontri sessuali.
L'Armando ci rivela che è single e orgoglioso di esserlo, quasi a voler intendere che se fosse sposato il problema non si porrebbe in quanto l'adorata moglie passerebbe ore a strofinare quel rottame di vasca da bagno sino a farla brillare come piace al suo tesoruccio.
Il nostro Armando è deciso a trovare una soluzione, ovviamente alternativa al "Sì, lo voglio", perché, pur orgoglioso della sua singletudine, quando si arriva al dunque e si avvicina con la fortunata di turno alla vasca (ci confida che la schiuma e le bolle lo attizzano) si vergogna SEMPRE del suo stato pietoso.
Concentriamoci per un momento su quella parola, sempre. Ma quante volte è già successo?  E come mai si decide a scrivere proprio adesso?
Probabilmente fino ad ora l'Armando se l'è cavata spacciandosi per un artista bohémien che non si cura di certi plebei dettagli ma evidentemente l'ultima signorina che ha posato gli occhi su quel cassonetto di vasca da bagno ha minacciato di chiamare l'Ufficio d'Igiene e il nostro teme a questo punto un affievolirsi dei suoi rendez-vous se si sparge la voce (si sa, le donne parlano).
Quindi, per riassumere, qui le opzioni sono due: o c'è una redazione disperata che falsifica corrispondenza e che non concepisce l'idea che un uomo possa voler pulire la sua vasca da bagno se non spinto da motivazioni sessuali, oppure questa sottospecie di uomo esiste davvero.

Non so francamente cosa augurarmi, e voi?

domenica 19 giugno 2016

Certificato è sempre meglio

Avvertenze: i genitori con figli in procinto di partire per vacanze studio all'estero è meglio che leggano il post da seduti.
L'e-mail che ho ricevuto qualche giorno fa e che, vi confesso, mi ha lasciato perplessa, affermava quanto segue:
"ricordiamo la necessità di produrre e inviarci nel minor tempo possibile il Certificato dei Carichi Pendenti"
Prima domanda: cosa diavolo è un certificato dei carichi pendenti?
Un giro sul web mi ha chiarito le cose, trattasi sostanzialmente di un certificato emesso dalla Procura che conferma che non hai pendenze con la giustizia, cioè dichiarano che non sei una serial killer.
Il certificato in questione mi è stato richiesto dalla ditta per conto della quale anche quest'anno porterò un gruppo di boccia all'estero, prima negli USA e poi in Inghilterra; suppongo che sia un comprensibile tentativo di rassicurare i genitori circa i capigruppo che per due settimane gestiranno i loro teneri virgulti e in quest'ottica posso anche capirlo però, pensandoci meglio, questo tipo di documento non certifica proprio che io non sono una serial killer ma semplicemente il fatto che non sono una serial killer tonta, di quelle insomma che si fanno scoprire.
Prima che a qualche genitore venga un infarto, cerchiamo di vedere la cosa in chiave positiva; in fondo, anche nella peggiore delle ipotesi (appunto quella che la sottoscritta sia in effetti una serial killer sveglia), questa situazione avrebbe indubbi risvolti positivi per tutti: da una parte se la capogruppo è una serial killer intelligente i vostri figli saranno tenuti sotto il dovuto controllo, saprà come gestirli e non si farà fregare quando questi millanteranno il morbo di Montezuma per non andare a lezione.  Oltretutto, se la nostra povera serial killer deve stare dietro a 25-30 bombe ormonali impazzite 18 ore al giorno (quando va bene), non avrà certo tempo o energie da dedicare alle sue attività di serial killer che rimanderà saggiamente a momenti in cui ha maggiore privacy sapendo, come purtroppo sa, che la capogruppo a qualunque ora del giorno ha un ragazzino che la cerca per stracciarle le balle con qualche richiesta assurda.
Per riassumere: col Certificato dei Carichi Pendenti siete comunque in una botte di ferro.

venerdì 10 giugno 2016

Passerotto non andare via

In quel di Calabrina le avventure non mancano. Questa mattina un passerotto si è infilato per errore nella canna fumaria; per fortuna Rico era proprio di fianco alla stufa e ha sentito il rumore dello sbattere di ali contro il tubo. Abbiamo subito svitato la parte dietro la stufa e battuto insistentemente sul tubo nel tentativo di far uscire il poveretto ma l'unico risultato ottenuto è stato spargere della gran cenere sul pavimento, passerotti non pervenuti.
Sono tornata di sopra un po' abbattuta, speravo proprio che vedendo un'apertura il nostro riuscisse a uscire ma, chissà, forse non eravamo intervenuti abbastanza in fretta, magari era già soffocato per la cenere inalata. Qualche minuto più tardi, mentre rimuginavo su questi allegri pensieri, ho sentito Enrico urlare "E' uscito!!!"
Sono corsa di sotto e in effetti il passerotto era vivo e vegeto ma spaventatissimo, volava disperato in qua e in là per la cantina in cerca di una via d'uscita ma uscire dalla cantina non è così semplice e non c'era modo di prenderlo per portarlo fuori.
Siamo corsi di sopra a prendere un lenzuolo per cercare di intrappolare il pennuto ma quello volava come un pazzo di qua e di là e anche quando siamo riusciti a buttargli sopra il lenzuolo, poi non sapevamo dove fosse esattamente e avevamo paura di fargli male quindi alla fine l'abbiamo fatto uscire, come strateghi abbiamo ancora molta strada da fare.
Dopo vari tentativi di intrappolarlo usando un colino, uno scolapasta e un coperchio (resta da capire
come Rico pensasse di catturare il pennuto, prendendolo a coperchiate?) abbiamo adottato la stessa tecnica usata anni fa con il coniglio nano, quando dovevamo catturarlo per dare una sistemata al giardino: ognuno lo rincorreva in metà del giardino così alla fine noi abbiamo evitato un infarto e lui era talmente stanco che si è lasciato prendere.
Con il passerotto è andata più o meno così, dopo un bel po' di svolazzamenti per la cantina ha gettato la spugna e si è lasciato cadere in un raccoglitore di riviste, così siamo riusciti a portarlo su e liberarlo in giardino.
Vederlo volare via è stata una gran gioia, era coperto di cenere ma vivo e vegeto.
Ecco, tutte le mattine dovrebbero iniziare così, con una buona notizia e un sorriso da orecchio a orecchio.

lunedì 6 giugno 2016

Tutti insieme appannatamente

Foto di René Mtdue
Immaginate di trovarvi di notte lungo il greto di un fiume, laggiù a pochi metri dell'acqua; il fiume mormora ma per il resto tutto è silenzio, non vola una mosca. Oddio, non proprio. Di tanto in tanto si sente una voce gridare "Via!"  e due figuri che hanno tutta l'aria di un paio di astronauti, con tanto di casco e tuta spaziale, avanzano lentamente avvolti in un mare di nebbia.
Io osservo la scena in silenzio e prudentemente a distanza, onde evitare di finire nell'inquadratura del regista e mandare a monte la ripresa; ogni tanto però sento un grido "Spannatrice!" e scatto come una velocista, il dovere mi chiama.
Sono infatti appena stata promossa da garzona tuttofare a Spannatrice Ufficiale dei caschi dei due astronauti (Ms Amitrano e Mr Farnedi) i quali, avendo il brutto vizio di respirare, non fanno che appannare i rispettivi caschi. Più che un lavoro la mia è una missione impossibile, mi aggiro silenziosamente intorno alla scena, munita di un grosso rotolo di Scottex e pronta alla pugna contro la maledetta condensa.
Passano le ore e noi lottiamo disperatamente contro il freddo (nonostante sia maggio quaggiù sul fiume la temperatura si è fatta siberiana e c'è così tanta umidità che l'aria praticamente la bevi) e la fame (dovendo arrivare a Villa Verucchio per le 20 abbiamo improvvisato una cena frugale e adesso la pancia protesta); fortunatamente il previdente regista (Mr Lelli) ha procurato un gigantesco sacchetto di patatine su cui ci gettiamo famelici dopo aver scaldato le membra intirizzite grazie all'ottimo tè caldo fornito in un provvidenziale thermos da Colui Che C'Era Ma Non C'Era.
In quelle poche ore non ci siamo fatti mancare nulla, neppure le emozioni forti: immaginate di trovarvi nell'oscurità più assoluta e sentire alle vostre spalle un forte tonfo, come se qualcosa di grande e pesante fosse caduto nel fiume. Impossibile non chiedersi cosa ci fosse di così grosso nei paraggi e, soprattutto, se fosse ancora lì in agguato. Devo guardare meno film di mostri.
Fortunatamente il pensiero che tra noi c'era Mr Cortesi (anche noto come McGyver 2.0) ci rassicurava, in caso il Mostro della Laguna Nera  fosse emerso dalle acque, eravamo certi che il nostro uomo avrebbe assemblato in pochi secondi un'arma letale usando scotch, ciottoli di fiume, colla e chissà cos'altro.

Vi starete sicuramente chiedendo per quale motivo questo manipolo di eroi sia sceso lungo il fiume nel cuore della notte per girare scene spaziali, la ragione è presto detta: l'obiettivo era creare un trailer per la promozione di un progetto di crowdfunding per la pubblicazione di The Shadow Planet.
Il progetto in questione nasce da un idea dei Blasteroid Brothers (Gianluca Pagliarani, Giovanni Barbieri e Alan D'Amico, rispettivamente disegnatore, sceneggiatore e colorista della serie): creare e produrre una serie a fumetti di 80 pagine a colori che mescola elementi di fantascienza anni 60-70 e horror.
Grazie al sistema del crowdfunding è possibile per chiunque finanziare il progetto, contribuendo anche solo con 5 euro alla realizzazione di The Shadow Planet (in cambio riceverete vari omaggi, a seconda del contributo, date un'occhiata al progetto e se decidete di contribuire cliccate qui).

Ecco il trailer frutto di tante fatiche e tanti spannamenti:



Ed ecco un assaggio di come sarà The Shadow Planet, se diamo una mano a finanziarlo. 
Buona visione!