domenica 30 ottobre 2011

Lotta al coltello tra asciugamani e medaglie : CesenaComics 2011

Era il mese di maggio quando ci è arrivata dall'Elisa la triste notizia: dato il taglio di fondi pressoché ovunque in Italia, il comune aveva comunicato che non c'erano fondi da elargire per l'organizzazione della terza edizione del festival di fumetti CesenaComics, un festival che nelle passate edizioni aveva portato a Cesena autori, appassionati e curiosi e che aveva il merito di incoraggiare i più piccoli alla lettura, guidandoli alla scoperta del mondo dei fumetti mediante laboratori gratuiti organizzati presso le scuole elementari e medie della zona.
Un fulmine a ciel sereno, questo tirare i remi in barca da parte delle istituzioni, soprattutto considerando il fatto che da anni questa associazione opera nel territorio organizzando per i più piccoli laboratori sempre molto frequentati.

Dopo un primo momento di comprensibile amarezza però, le legioni di Barbablù, capitanate dall'impavida Elisa Rocchi, sono scese sul sentiero di guerra alla ricerca di sponsor. E' iniziata una campagna di comunicazione che ha sfruttato qualsiasi mezzo (ovviamente gratuito) a disposizione, inclusi social network e simili. Noi che osservavamo la battaglia dai lati, troppo timorosi o pigri per lanciarci nella mischia, abbiamo dato un piccolissimo contributo condividendo gli appelli per la ricerca di sponsor su facebook e perorando la causa presso le poche azienda a noi note. Tra le iniziative segnalo il Towel Day (Giorno dell'Asciugamano - per maggiori info), organizzato il 25 maggio a sostegno della campagna su Facebook, evento a cui ho partecipato non senza le mie piccole soddisfazioni.
a mali estremi estremi asciugamani
Poco a poco i tanti sassolini lanciati in acqua hanno prodotto onde sempre più grandi e si sono fatti vivi i primi sponsor, piccolini all'inizio poi più grandi. Il 7 giugno un post ci ha comunicato che Cesena Comics sarebbe sopravvissuto, un po' ridotto, un po' malconcio ma pur sempre pronto a tutto. E da quel momento abbiamo assistito a un piccolo miracolo: l'interesse è aumentato trascinandosi appresso le adesioni da parte di autori (Sergio Staino, Tuono Pettinato, Roberto Grassilli e tanti altri ancora), case editrici e sponsor, ponendo le basi per un'edizione 2011 coi fiocchi. Però intendiamoci, quando parlo di miracolo non intendo la manna dal cielo, mi riferisco alla tenacia e determinazione di un gruppo di irriducibili che è andato a bussare a mille porte e ha incontrato chiunque potesse fare qualcosa per Cesena Comics. Il miracolo sono loro.

E proprio in questi giorni fioccano le ultime bellissime notizie: il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e...la medaglia del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Il festival si tiene dal 7 al 13 novembre ma già a partire dal 4 novembre ci sono alcuni eventi: la partecipazione è gratuita e il programma è scaricabile al seguente link  http://www.cesenacomics.com/?p=1783

Accorriamo numerosi!


sono molto fiera

Altro barbalink: Associazione Barbablù

mercoledì 19 ottobre 2011

Piano B: calo l'asso e salto dalla finestra

La serata che vado a raccontare risale a un paio di mesi fa, quel tempo che fu quando ancora era piena estate e faceva un caldo infernale. L’Albertini mi messaggia quanto segue: stasera vado al Festival di XXX, devo parlare con la cantante di un gruppo, vieni anche tu?  Rispondo di sì quasi subito, in fondo ho voglia di fare un giro e poi la casa è un forno in questi giorni. La Clodia, forse presagendo il dramma in agguato, accusa stanchezza e si eclissa, quindi partiamo solo io e la Ste. Arriviamo a destinazione e, dopo un parcheggio improvvisato a bordo strada, nel buio più nero della notte nera, ci avviamo verso il centro della metropoli. Il caldo non dà tregua, nonostante il paese sia un po’ in alto rispetto a casa mia, l’unico respiro arriva da un accenno di brezza.
Partendo dal basso iniziamo a setacciare il paese alla ricerca del gruppo in questione ma la fortuna ci irride: ci sono tre band che suonano in tre punti diversi ma di quella che cerchiamo noi neppure l’ombra. Continuiamo a salire sempre più in alto e io inizio a preoccuparmi, tra un po’ il paese finisce, resta solo il cielo. Fortunatamente la Ste conosce il mondo e, mentre sostiamo perplesse di fronte al terzo palco, incontra degli amici da cui scopriamo che quelli che cerchiamo suoneranno a fine serata, verso le 23.45, lasciando poi il palco per la conclusione a un altro gruppo. Il concerto si terrà all’interno di un edificio proprio in cima al paese. ALL’INTERNO? MA CI SONO 35 GRADI!!

Decidiamo di raggiungere l’edificio nella speranza di trovarvi il gruppo e riuscire a parlare con sta benedetta cantante, per poi ovviamente tagliare la corda. E invece anche qui picche, la frontwoman (che pare sia influenzata) si è rintanata in camerino e non ha nessuna intenzione di uscire prima dello spettacolo, almeno stando a quello che ci dicono. Tutto sembra cospirare per costringerci a rimanere fino alla fine (non so se sarà la fine del concerto o la nostra). Mi consolo con una coca ghiacciata e inganniamo l’attesa facendo due chiacchiere con un paio di amici; quando entriamo in sala, il concerto è già iniziato ed è pieno di gente, il caldo ve lo potete immaginare. Individuo due sedie libere a metà sala e non ho dubbi: mi siedo dicendo alla Ste che lei vada pure davanti, io sono stanca morta e tanto il concerto di questo gruppo l’ho già visto, meglio dare un po’ di respiro alla schiena (che vecchiaia). L’Albertini avanza verso le prime file, salvo poi tornare a sedersi di fianco a me, non so se per farmi compagnia o perché anche lei accusa stanchezza. Guardandoci intorno notiamo un altro paio di sedie più avanti e ci buttiamo. Adesso siamo a due metri dai musicisti e spostandoci un po’ lateralmente riusciamo a vedere quasi tutto; o almeno ci riesco io, la Ste infatti è ostacolata da una tipa in piedi che ostruisce il campo e oltretutto balla totalmente fuori tempo rispetto alla musica, se la fissi troppo a lungo ti sbalestra. Mi fa quasi rimpiangere il gigino in maglietta rossa che era alla Rocca a Cesena, anche lui verticale ma perlomeno statico (vedi Il mio regno per il figlio di un vetraio). Ormai il concerto è in pieno svolgimento e, compresse tra queste quattro pareti, le urla della cantante fanno francamente paura; è a questo punto, proprio a questo punto, che parte la macchina del fumo. La macchina del fumo in uno stanzone dove si fa già fatica a respirare. MA SIAMO IMPAZZITI!!!! Mentre sono lì che m’indigno contro quella macchina di morte, l’occhio mi cade su una tizia che con la massima tranquillità si sta rullando una sigaretta, sigaretta che poi si accenderà, sempre senza fare una piega. E non è mica l’unica! Le fa compagnia un nutrito numero di soggetti che infestano l’area. OOOOOOOO!!!! Sarà che con l’aumento dell’altitudine si rarefanno anche i neuroni. Oppure da queste parti offrono incentivi per la lobotomia.
Esamino le pareti alla ricerca di un allarme antincendio, sarebbe il massimo che scattasse  e arrivassero i pompieri. Andrebbe bene anche una bella retata, non sono mai stata in una retata. Ma dove diavolo sono finiti quei nuguli di vigili che piombano sulla Rocca ogni volta che c’è un concerto? Saranno mica tutti in ferie! Purtroppo di allarmi antincendio neanche l’ombra e, quando lo faccio presente alla Ste, lei mi fa notare che non sono neppure accesi i segnali per le uscite di sicurezza. Mi viene in mente che, se per caso uno dei fari sopra il palco cade e nel buio fumoso si scatena il panico, rischio di morire calpestata dalla folla impazzita. Urge piano B, mi rifiuto categoricamente di crepare al concerto degli urlatori folli solo per colpa di una manica di cerebrolesi nicotinomani che non possono fare dieci metri per andare a fumare fuori. C’è una finestra aperta proprio dietro al palco, bene, se succede qualcosa io salto sul palco, scavalco la cantante (non è difficile) e mi butto a volo d’angelo dalla finestra. Sottopongo il piano all’Albertini-approvazione ma lei obietta che, per quanto ne possiamo sapere noi, al di là della finestra potrebbe esserci benissimo un baratro o un deposito di vetri. Ed è qui che calo l’asso di briscola: avendo davanti la donna tronco tarantolata, lei non può vedere le tre persone che stanno assistendo al concerto affacciate proprio a quella finestra; tutto sistemato, se cadiamo, cadiamo sul morbido. Vedendomi alquanto turbata, la Ste mi rassicura dicendo che a breve dovrebbero concludere e lasciare il posto all’altro gruppo, si tratta di portare pazienza ancora per un po’. L’avverso destino però non è ancora soddisfatto (sto stronzo) quindi quando finalmente arriva il momento del cambio di gruppo (si nota dal fatto che gli altri musicisti sono già tutti lì in attesa), da sopra il palco non si muove nessuno e la cantante continua imperterrita con le sue urla belluine, senza curarsi minimamente dei colleghi. I quali colleghi, con il passare del tempo, hanno facce sempre più annuvolate. Finalmente qualcosa sembra smuoversi, c’è un cambio alla batteria e il cantante del nuovo gruppo improvvisa un duetto con il batterista del vecchio, peccato però che l’altra cantante sia ancora lì e sembri non avere la minima intenzione di schiodarsi. Si arriva a un momento surreale in cui il tastierista sale sul palco in mezzo a un assolo e inizia a montare i suoi strumenti mentre il pezzo si stiracchia sempre più, perdendo qualsiasi senso. A quel punto dico alla Ste che io non ne posso più, ho bisogno d’aria; lei concorda e ci alziamo. E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Temporeggiamo per un po’ prendendo il “fresco”, poi dei rumori ci illudono e rientriamo convinte che il concerto sia finito. Errore, la cantante è ancora tenacemente ancorata al palco, come una cozza al suo scoglio, e fa degli urli che ti si coagula il sangue. Sopra di lei vedo un cartello al neon, dice ERRARE È UMANO, PERSEVERARE È DA DEFICIENTI. Per una volta ascoltiamo il monito divino e abbandoniamo il campo di battaglia. Per darvi un’idea del mio stato d’animo posso dirvi che, passando di fianco a un chiosco che friggeva dorate e croccantose patatine, non ho avuto neppure un attimo di esitazione, l’ho ignorato puntando a testa bassa verso la macchina.
Sono ormai le due di notte e in piazza il termometro segna 29°, non voglio immaginare la temperatura lassù nel camerone della morte.

All’improvviso casa mia è il posto più bello del mondo.





Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

venerdì 7 ottobre 2011

Pollice Nero, la Squartatrice e Amor di Broccolo: il ratto dell'Ikea

A volte una decisione lì per lì non sa di niente, non è giusta o sbagliata di per sé, lo scopri solo dopo.
Ricevo  un sms della Clodia:
Domani pomeriggio ore 14 io e l’Ale andiamo all’Ikea, vieni?
Il domani in questione è sabato e in circostanze normali ci vorrebbero un arpione da balena e un baleniere nerboruto per trascinarmi all’Ikea di sabato, in genere preferisco vivere. In questo caso però la Rinaldi, avendo appena traslocato, deve andare a comprare parecchia roba, incluso il divano, quindi mi pare giusto andare a offrire il mio sostegno, data l’enormità dell’impresa.
Decido di raggiungere lei e l’Ale direttamente là, dato che sono a pranzo parenti e non posso arrivare, scofanarmi tutto e  correre via, non è carino. E c’è sempre il rischio che mia mamma mi prenda a padellate.
Quando arrivo all’Ikea il parcheggio è sul pienino ma senza esagerare e la cosa mi rincuora; entro e chiamo la Clodia ma purtroppo non c’è campo. Mi avvio lungo il percorso, confidando di trovarle a breve; passo salotti, cucine e camere da letto, dribblando chiunque incontri sulla mia strada, neanche fossi Pelè. Dopo un po’ arriva un sms dell’Ale che chiede dove diavolo sono finita. Stringo i denti e continuo la perlustrazione e alla fine le trovo, nell’area dei giochi per bambini. La Clodia ha appena messo nella borsa Ikea un ratto grigio di peluche. Mi aggiornano sulla situazione e mentre le ascolto mi cade l’occhio su una roba verde in uno dei cestoni dei giochi che una volta estratta si rivelerà essere il peluche di un broccolo con corpo conico e pantaloni a quadretti. Un colpo di fulmine.
Le due lovarone (leggi golosastre) sono già state al bar Ikea per la merenda, quindi non ci resta che scendere al piano terra dove ci aspettano stoviglie, bicchieri e, soprattutto, le candele. Mi preparo psicologicamente alla battaglia: scendere nella fossa dei leoni con la Rinaldi, e sospetto anche con l’Ale, non sarà un passeggiata (fosse per loro comprerebbero anche i muri). Per fortuna manca la Ste che è al festival di Venezia a vedersi sette film al giorno, se ci fosse anche lei mi butterei direttamente sotto al primo carrello carico di Billy. Partiamo abbastanza tranquillamente, l’Ale vuole comprare un servizio di posate nuove, la Rinaldi cerca due ciotole per il muesli, niente di drammatico; di tanto in tanto cerco di convincere la Clodia a comprarsi un’alzatina per torte in vetro ma, inspiegabilmente, lei rifiuta nonostante le illustri i mille utilizzi di questo sottovalutato ammennicolo. Con il passare del tempo però la febbre sale e si iniziano a considerare le tovagliette da colazione, i piatti piani, fondi e anche quelli verdi giganti, fino ad arrivare al tragico momento delle lenzuola. 
Niente nelle parole della Clodia fa presagire la tragedia, non un avvertimento, non un segnale, dice semplicemente venite che dovete aiutarmi a scegliere le lenzuola; la seguiamo docili mentre passa incurante davanti a tutti gli altri colori, quelli normali, per poi fermarsi di fronte al nero.  
Personalmente il pensiero di dormire tra le lenzuola nere mi fa orrore ma per il momento taccio; però quando mi dice che non sa cosa scegliere, tra il lenzuolo con angoli grigio e quello nero, non riesco a trattenermi e osservo che sembra che stia preparando la cassa per qualcuno. Da morto. Lei ribatte che sono colori di design e io ne deduco che io non sono donna di design perché mi dovrebbero legare per farmi dormire in un letto con il sotto grigio e il sopra nero. Mancherebbero solo le corone di garofani e le candele accese. 
La Rinaldi mi lancia un’occhiataccia e ribatte Ma che colore vuoi metterci? Il letto è nero!
E questa è proprio l’ultima goccia. Io il suo letto non l’avevo ancora visto, sapevo solo che doveva andare il falegname a montarlo ma immaginavo fosse di legno, color legno. Di fronte a un letto nero con lenzuolo sotto grigio e sopra nero sono senza parole (a dir la verità, una ce l’avrei: catafalco). Alla fine però, vedendola esitare di fronte alle nostre velate critiche (anche l’Ale è perplessa ma non quanto me), le dico di non badare a noi e di prendere le lenzuola del colore che preferisce; anzi, di farlo subito, finché un abbinamento del genere è legale (prima o poi…).
E anche questa ce la lasciamo alle spalle, avanzando abbastanza spedite verso le casse; passiamo la zona tappeti e quella luci senza grossi problemi per poi arenarci del tutto inaspettatamente nella zona piante. Sempre la Rinaldi, pietra dello scandalo, se ne esce con Bella quell’orchidea, la compro! e a questo punto dobbiamo tirare una riga. Ci sono confini che non si possono e non si devono oltrepassare, uno di questi è quello che separa la Rinaldi dal mondo vegetale. Sono sempre più convinta che la Clodia sia vegetariana non perché ama gli animali ma perché odia le piante. Mesi fa, preda di un impulso malsano, le ho regalato una giovane pianta di clivia che avevo separato dalla mia. Trattasi di pianta senza particolari esigenze, a parte quelle dell’essere vivente in genere. Ho scoperto qualche mese dopo che la pianta in questione era deceduta, secondo l’assassina, inspiegabilmente. Riporto per correttezza la conversazione:
“Come, è morta? Ma se te l’ho data solo qualche mese fa? Cosa le hai fatto?”
“Ma niente, anzi l’ho curata! Un giorno che era bello l’ho anche messa fuori”
“Ma quando?”
“Boh, era dicembre”
“Ah, bene!”
“L’unica cosa è che me la sono dimenticata fuori qualche giorno”
“Oddio!”
“Dopo però l’ho sistemata vicino alla caldaia perché si scaldasse”
Rumore di testa sbattuta ripetutamente contro il muro, s’ode una voce rotta che grida Mio dio mio dio perché mi hai abbandonato!

Ora, voi capite che dopo una serie di sevizie del genere, non si può assistere senza fare niente di fronte a un’altra morte annunciata.
Era così bella...
“No, non la puoi prendere”
“Ma dai, perché no?”
“Perché non sei in grado, hai il pollice nero”
“Non è vero!”
“Ma te la ricordi la mia clivia? Per non parlare della pianta che avevi messo nel bagno senza finestre, dai, sei negata!”
“Magari stavolta va bene!”
Alla fine cedo per stanchezza e la Clodia mette l’orchidea nel carrello. A questo punto, secondo le nostre previsioni il più è fatto (che tenerezza le illusioni!) e ci dirigiamo con passo deciso verso la cassa. Il processo di pagamento è un po’ lungo ma alla fine ne veniamo fuori e ci troviamo dall’altra parte con un carrello pieno e un carrellone coperto di pacchi piatti.
Portiamo le macchine in zona carico e, a questo punto, iniziano le comiche. Abbiamo la mia macchina e quella della Rini ma i pacchi sono troppo grandi per entrambe; suggerisco di rimuovere l’imballaggio per guadagnare qualche centimetro ma strappare lo scotch a mani nude non è sport per signorine e dopo qualche tentativo ci fermiamo sconfortate. A questo punto l’Ale salva la situazione tirando fuori un portachiavi con coltellino e mettendosi a sgozzare cartoni con una ferocia degna di Whitechapel. Alzo la testa e vedo al primo piano tre tizi appoggiati alla ringhiera che guardano giù verso di noi; non posso giurare di avergli visto in mano del popcorn ma…
Poco a poco, a forza di togliere poggiatesta e piegare sedili (il tutto accompagnato dal lancio di sanguinarie maledizioni contro i produttori di automobili, di divani fai da te, e chi più ne ha più ne metta) riusciamo a farci stare tutto. Una volta pronte a partire, salutiamo l’Ale che torna a Cesenatico e la Clodia chiude il portabagagli con entusiasmo, proprio sopra l’orchidea. Non ci siamo per niente.
La strada del ritorno la percorriamo in carovana: io davanti sulla Fiesta e la Rini di dietro sull’Incudine; guardandola dallo specchietto retrovisore la vedo alla guida un po’ sbilenca ma è comprensibile, i mobili occupano buona parte dello spazio e se vuole vedere qualcosa non ha molta scelta se non fare la contorsionista. Ovviamente c’è un inizio di rientro quindi in autostrada è un po’ affollato ma, tutto sommato, ce la caviamo abbastanza dignitosamente e riusciamo a raggiungere incolumi casa Rini. La felicità però finisce lì. Sì, perché i mobili non è che volino, quindi almeno fino all’ascensore li devi trasportare, e poi dall’ascensore all’ingresso. In un paio di occasioni, proprio mentre stiamo caricando l’ascensore, questo si ribella e chiude le porte intrappolandoci nel mezzo. Dannate macchine. Quando finalmente anche l’ultimo mobile è entrato in casa e l'orchidea fa bella mostra di sè sul tavolo in terrazzo, ci guardiamo con soddisfazione: il dado è tratto.
Con questo si conclude la narrazione di un epico pomeriggio svedese/romagnolo. Non mi resta quindi altro da riportare se non il fatto che in data 30 settembre ho appreso con dolore del decesso dell’orchidea di cui sopra: in poco più di tre settimane il giovane virgulto è appassito, il fluido Rinaldi ha colpito ancora. Voci di corridoio sostengono che i produttori del Flit siano molto interessati al fenomeno.

martedì 4 ottobre 2011

Tu che sei dall'altra parte della cornetta! Sì, dico proprio a te!

Dato che siamo in periodo censimento, approfitto di questo spazio per presentare una mia personale mini-versione:
1) Quando telefonate e sbagliate numero, è proprio così difficile dire: "scusi ho sbagliato numero" prima di riattaccare?
2) Avete così poco tempo che anche i due secondi guadagnati sbattendo il telefono in faccia al poveretto dall'altra parte sono preziosi?
Se la risposta al primo quesito è sì, piantatela di telefonare con la bocca piena.
Se la risposta al secondo quesito è sì, cambiate lavoro perché quella non è vita.
Se avete risposto no a entrambi i quesiti, scusate, ho sbagliato numero.
Click.

lunedì 3 ottobre 2011

Attacco di Vega sull'Arena di Verona: George Michael in concerto

Quanto vado a raccontare ha avuto il suo inizio parecchi mesi fa in quel di Imola: arriva mia sorella con la notizia che George Michael farà un tour e terrà dei concerti anche in Italia. Io non sono proprio un’appassionata ma, avendo diviso per tanti anni la camera con lei che è invece una fan coi fiocchi, conosco molte delle sue prime canzoni e anche parecchie delle successive. La Checca (vedi sorella) mi dice che le piacerebbe andarci e la cosa in effetti non dispiace neanche a me; le possibilità sono due, Verona o Firenze (Napoli e Milano anche no, grazie). Alla fine optiamo per Verona non so bene perché, forse solo perché ci ispira di più (e poi io non sono mai stata all’arena e sono curiosa). Possiamo scegliere tra varie tipologie di biglietti:
Poltronissima gold:          126,50 euri (per finanziamenti rivolgersi alla cassa, Taeg 10%)
Poltrona:                            97,75 euri
Tribuna numerata:              74,75 euri
Gradinata non numerata:    46,00 euri
Quale scegliere? Rifletto un secondo e concludo che non è che si vada a vedere concerti così tutti i giorni,  quindi possiamo allargarci e comprare i posti in tribuna numerata; anche perché, io magari sarò la principessa sul pisello, ma l’idea di guidare per due ore e mezza e poi dover lottare col coltello tra i denti per un posto a sedere non mi sorride particolarmente. Sono ad alto mantenimento ma, essendo che mi mantengo io, non vedo il problema.
Il gruppo-concerto si compone di:  la Checca, Cristiana (amica della Checca), la Ste e moi. Dei biglietti se ne occupa la Checca e quindi siamo in una botte di ferro; per il resto, mancano ancora più di tre mesi, quindi abbiamo tutto il tempo per organizzare la logistica, non c’è fretta. Qualche settimana dopo però scopro che il corso di formazione in cui sto lavorando a Modena prevede una seconda parte. Indovinate quando? Dal 13 al 15 settembre. Ovviamente, ho solo tre impegni in tutto il mese e uno di quelli deve proprio essere il 13. Ma porc…  Per fortuna Modena è sulla strada per Verona, quindi ci diamo l’appuntamento all’uscita di Modena Nord.
Arriva il fatidico giorno e tutto sembra andare per il meglio, il lavoro è duro ma finiamo addirittura qualche minuto prima, quindi ho il tempo di passare dall’albergo e farmi una doccia. L’unico dubbio ancora irrisolto è dove trovarci esattamente: all’inizio avevo proposto il parcheggio di Modena Nord ma, quando sono arrivata da Cesena, non ho fatto in tempo a vedere molto perché c’era un traffico mostruoso, camion ovunque e non vedevo l’ora di arrivare all’albergo.
Decido quindi di partire subito e approfittare del tempo rimasto per verificare se il posto va bene. Arrivo in prossimità dell’autostrada ma nell’unico spiazzo libero che trovo sembra di essere sul set di Mad Max: blocchi di cemento con scritte spray del tipo “niente auto”, catene per impedire l’ingresso, insomma, se vedessi due che scuoiano una bestia non mi stupirei più di tanto. Io lì non voglio rimanere. Sì, va bene, ma dove vado? Chiamo i rinforzi che sono in arrivo da Imola e mi suggeriscono di andare ad aspettarle all’ingresso dell’autostrada, il parcheggio lo cercheremo insieme. Peccato che una volta arrivata al casello questo si riveli un robone enorme a ventimila corsie, e non puoi certo attraversarle per andare dall’altra parte! Vista la situazione, accosto vicino a un carabiniere e, facendo la voce da povera piccola fiammiferaia, gli dico che temo di aver fatto una cazzata e che non devo prendere l’autostrada, cosa posso fare? Evidentemente le domande come la mia sono all’ordine del giorno perché il baldo tutore dell’ordine non fa una piega e mi indica uno stradello che mi riporterà sulla strada principale. Ringrazio e parto anche se non so bene verso dove. Non ho più voglia di pensare, getto la spugna e torno al parcheggio dei tagliagole in attesa che arrivino le altre, loro sapranno cosa fare.
Una volta riunite decidiamo di tentare con la zona dall’altra parte della strada dove c’è un ristorante con parcheggio annesso che pare abbastanza tranquillo. Dopo aver parcheggiato ed essere salita sulla macchina della Ste, il tutto un po’ trafelata, noto una catena appoggiata a terra in un angolo  (come sarà che qui a Modena ci sono delle gran catene dappertutto? Capisco là nel parcheggio dei tagliagole, ma anche di qua? Boh); mentre prendiamo l’autostrada, mi lascio sfuggire che spero non la usino davvero altrimenti rischio di rimanere bloccata lì. Ovviamente da quel momento in avanti le battute sulla mia macchina incatenata al parcheggio si sprecheranno per tutta la sera.
Comunque perlomeno siamo partite. Dopo circa un’ora ci fermiamo in autogrill per fare una sosta e mettere qualcosa sotto i denti; alla cassa mi dicono che c’è una strepitosa offerta per cui, se ordini panino e bibita (come ho appena fatto io), con solo un euro in più puoi avere un sorbetto al caffè oppure dei dolcetti. Quando chiedo “che tipo di dolcetti?” mi indicano tre bomboloncini e, per chissà quale ragione, li prendo, pur sapendo che non c’è nessuna possibilità che riesca a mangiarli, avendo appena ordinato una baguette con prosciutto crudo lunga quanto il mio piede (n° 40). Forse è solo che stasera sono contenta e ho voglia di festeggiare. Chiedo un sacchetto e li infilo in borsa, li mangerò al concerto.
Mentre l’Albertini-car sfreccia sull’autostrada dribblando auto e camion con la scioltezza di sempre, sulla sinistra fa capolino, in un cielo terso come pochi, una luna piena e inaspettatamente rossiccia. Guardo mia sorella e non riesco a trattenere un Luna rossa, attacco di Vega!  Per fortuna, avendo più o meno tutte la stessa età, la dichiarazione causa qualche risata ma nessuno sguardo attonito della serie Eh?, di quelli che ti deprimi perché ti dicono sostanzialmente che sei vecchia, un po’ come è successo qualche anno fa quando ho detto resta di stucco è un barbatrucco di fronte a delle teenager che mi hanno guardato come se mi si fosse fuso il cervello. Devo dire che all’arena di Verona si sono organizzati bene: seguendo gli appositi cartelli troviamo un parcheggio che alla modica cifra di tre euri offre pure la navetta gratuita per l’arena. Sono le 20.05 e siamo decisamente euforiche, non avremmo mai sperato di arrivare così presto. Non possiamo sapere che la navetta parte una volta ogni morte di papa e che quindi dovremo aspettare fino alle 20.20 prima che l’autista si dia una mossa. Però abbiamo trovato da sederci, ci siamo rifocillate e i posti sono numerati quindi siamo in pace col mondo. Provo a offrire i miei bomboloncini ma il popolo è ancora pieno causa cena paninosa e fa il difficile. Nel frattempo il numero di persone va poco a poco aumentando e non posso fare a meno di notare che la fascia 30-50 (la nostra, per intenderci) è quella più rappresentata, ne concludo che sarà un concerto di mezz’età. Vabbè.
L’arena by night è un vero spettacolo, la zona intorno brulica di gente e mentre ci avviciniamo mi preparo psicologicamente a una fila chilometrica per entrare ma, anche in questo caso, l’organizzazione è impeccabile: ci sono tantissimi ingressi diversi tutt’intorno all’arena e praticamente nessuna fila. Entriamo e si parte subito alla ricerca dei nostri posti, i quali nostri posti si rivelano essere quanto di meglio potessimo sperare: sono quelli più in basso del nostro settore, quelli che davanti non hanno nessuno per tre metri e sono pure centrali, il palco si vede perfettamente. Di fronte a tutto ciò, ci gettiamo ai suoi piedi rendendo onore alla Checca, inarrivabile procacciatrice di biglietti. Dal canto mio, non avendo fiori o gioielli con cui omaggiarla, le offro in dono i miei famosi bomboloncini ma, inspiegabilmente, lei declina.
Solo una volta trovati i posti e tranquillizzate le mie ansie posso darmi un’occhiata intorno e devo ammettere che lo spettacolo è impressionante, le gradinate sono strapiene di gente, e ne continua a entrare una marea; sapere che è tutto esaurito è una cosa ma vederlo con i tuoi occhi fa tutto un altro effetto.
Dagli altoparlanti ci informano che a breve scatteranno una foto dell’arena dal palco e che questa sarà poi resa disponibile sul sito internet di George; lì per lì sembra una gran bella idea, peccato che dopo un paio di minuti ce ne dimentichiamo completamente e infatti nella famosa foto si vedono giusto un pezzo di faccia della Checca e la mia tempia sinistra.
E poi, finalmente, inizia.
Ripensandoci adesso, il concerto è stato diverso da come mi aspettavo, è stato molto,  molto di più. In parte forse anche perché i brani scelti (tra gli altri My baby just cares for me,, Brother can you spare a dime, Kissing a fool), e lo stile in generale, s’inserivano perfettamente nella scenografia dell’arena e in quel cielo stellato in cui spiccava una luna piena e ahimè non più rossa, che però rendeva l’atmosfera fatata.
per gentile concessione dell'Albertini
Ma direi che la vera ragione, quella che ha fatto la differenza, è stata la gente: le mie previsioni in fatto di età si erano rivelate abbastanza precise, quindi mi aspettavo un concerto tutto sommato molto tranquillo. Non ero preparata a quella folla esultante, a tutta quella gioia, trascinante e contagiosa. Quando cresci ti disabitui a esprimere la gioia in modo vero, senza tirarti indietro, e quando te la trovi di fronte e ti investe in pieno è difficile non restarne colpiti. Questo pubblico di mezz’età si è dato tutto al concerto e mi ha emozionato al pari delle canzoni, non posso fare a meno di chiedermi come sia stato trovarsi dall’altra parte, stare su quel palco.
Durante il concerto sono successe molte cose, buffe, irritanti, divertenti; tra queste c’è stato un momento che mi ha davvero emozionato. Era appena finito un pezzo, un pezzo jazz molto elegante e, dopo gli applausi, c’è stato un attimo di vuoto prima dell’inizio del brano successivo. In quell’istante di silenzio si è sentita una voce femminile che gridava: “Bravo Giorgino!”  Quella voce ha incrinato la patina di raffinatezza e irraggiungibilità che si era creata intorno a George Michael e ha riportato i nostri pensieri sull’uomo, dimenticando per un attimo l’artista, perché all’uomo e non all’artista era diretto l’affetto che si avvertiva nella frase.
Quando si è concluso anche l’ultimo bis, quando l’accendersi delle luci ha segnato inequivocabilmente la fine del concerto, non sono tornata subito con i piedi per terra, sono stata per un po’ sospesa a mezz’aria, si stava bene da quelle parti.
Avendo l’Albertini alla guida, il viaggio di ritorno è durato un nanosecondo ma è stato abbastanza per farci decidere di portare i famosi bomboloncini in dono alla Clodia, la quale ci aveva messaggiato chiedendo un souvenir. Arrivati a Modena siamo uscite dall’autostrada e abbiamo raggiunto il parcheggio, dove una lucente e robusta catena sbarrava l’ingresso. Mi sono cadute le braccia. Ma porca miseria!!!!!!! C’era però ancora un’ultima carta da giocare, sono scesa dalla macchina e mi sono avvicinata timidamente…il lucchetto non era chiuso!!!!!!!!!
E così è terminata in gloria una serata veramente meravigliosa, non riesco a scacciare l’impressione che l’universo si sia messo d’accordo per concederci di vivere per qualche ora un momento speciale.
Arrivata in camera ho aperto la borsa per prendere il cellulare e la mano ha toccato qualcosa d’inaspettato: laggiù, dimenticati e schifati da tutti, i miei tre bomboloncini, fedeli compagni di mille avventure, aspettavano pazienti che qualcuno li notasse. Ho mandato una loro foto alla Clodia, in fondo è il pensiero che conta, no?










Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271