venerdì 29 aprile 2011

Quella volta dalle parti di Stoccolma - 3a parte

Passiamo a un tasto dolente: il cibo. Ammetto onestamente che non abbiamo provato praticamente niente di indigeno, contrariamente al solito. Il motivo è presto detto: di giorno il tempo era splendido e quindi mangiavamo sempre nei parchi comprando panini, yogurt, paste ecc, mentre la sera vicino al nostro ostello c’era un ristorante di sushi che spaccava e quindi tre cene su quattro le abbiamo consumate lì. La quarta è stata una cena purificante a base di insalata verde, pane ai mille cereali e gorgonzola (vedi commento sulla colazione nel primo post svedese) consumata nella sala da pranzo dell’ostello. Siamo dei turisti degeneri ma ci piace così.
Torniamo alla città (escludendo il centro storico): pur essendo piena di casermoni brutti brutti, hanno talmente tanto verde (parchi, giardinetti tra gli edifici ecc) che riescono a ingentilire anche quegli orridi mostrazzi. In più i balconi e le finestre sono spesso decorati e traboccano di piante. I parchi sono pieni di minuscole casette tipo Hansel e Gretel, circondate dalla tipica staccionata di legno, sono le case per il fine settimana e ce ne sono una marea sparse nelle aree verdi della città, ognuna decorata e verniciata secondo il gusto dei proprietari.
Verso sera frotte di podisti invadono i parchi armati di i-pod; la mattina e il pomeriggio è invece pieno di bambini: ci sono quelli dell’asilo con il loro giubbotti ad alta visibilità e quelli nel passeggino spinti dai genitori/nonni (qui è pieno di uomini in giro coi figli piccoli col passeggino e senza l’ombra delle mamme, ne abbiamo visti di ogni etnia e gestivano anche quattro bambini da soli, ma quanto sono avanti?!)

Il viaggio di ritorno è stato un po’ più movimentato. Inizio col dire che la Ryanair a Rimini non è molto fiscale in fatto di bagaglio a mano, a Stoccolma lo è invece molto di più e il personale fermava tutti facendo mettere eventuali altre borse nel trolley per poi controllarne il peso. Io avevo messo nel trolley le scarpe pesanti perché facevano caldo ed erano un po’ scomode, senza pensare che avevo anche comprato tre libri piuttosto pesanti, quindi ovviamente superavo il peso e mi sono dovuta infilare in tasca macchina fotografica, guida ecc. facendo la solita figura da italiana. Rico invece è stato fermato ai controlli di sicurezza perché non capivano cosa fosse il sapone da barba nella valigia, credevano fosse un grosso rossetto e quando ha detto che la valigia era la sua l’hanno guardato un po’ perplessi.
Sull’aereo abbiamo assistito a un paio di scene memorabili. Un ragazzino seduto nel sedile in mezzo aveva bisogno di andare in bagno ma, dato che  la signora di fianco a lui dormiva , quel genio di suo padre (suppongo), seduto nella fila davanti, ha tentato di sollevarlo di peso e farlo passare da sopra i sedili, fallendo miseramente dato che il ragazzino in questione non aveva certo le dimensioni di Cicciobello. La cosa si è comunque risolta quando, durante l’ennesimo tentativo del padre, il ragazzino ha mollato un calcio alla signora (speriamo per sbaglio).
Il supposto padre si è nuovamente distinto al momento dell’atterraggio: non avevamo ancora tutte le ruote appoggiate a terra e questo si era già alzato e aveva aperto la cappelliera per prendere il giubbotto. La hostess al microfono era parecchio incazzata ma da brava hostess tentava di mascherarlo. Alla fine, dopo che tutti i suoi compari l’hanno infamato intimandogli di sedersi, lui, seppur controvoglia, ha ceduto, salvo poi alzarsi di nuovo per infilarsi il giaccone mentre l’aereo ancora si muoveva. Preciso che ci saranno stati 25 gradi in cabina quindi lo sa il Signore a cosa gli servisse il giaccone.
Alla fine siamo riusciti a scendere dall’aereo per poi essere costreti a salire sul tram per fare i cinquanta metri che ci separavano dall’ingresso del terminal; ovviamente il mezzo ha aspettato che scendessimo tutti ma proprio tutti e, inspiegabilmente, ha continuato ad aspettare anche dopo. Noi ci si guardava intorno perplessi finché dall’aereo è uscita una hostess seguita…dal nostro ineffabile uomo con giaccone e dal figlio: erano ancora dentro l’aereo.

Va là che un mese in miniera a quei due...

giovedì 28 aprile 2011

Quella volta dalle parti di Stoccolma - 1a parte

Stavolta non mi va di andare sempre in fila quindi salterò di palo in frasca, statemi dietro.
Il viaggio è iniziato rispettando la tradizione: il babbo che doveva darci un passaggio all’aeroporto di Rimini è arrivato con 15 minuti di anticipo, incasinando tutti i miei programmi e facendomi dimenticare metà della roba ma, essendo tradizione, avrei dovuto prevederlo. Dopo un’immissione sulla Via Cervese che mi ha fatto perdere almeno cinque anni di vita (e alla nostra età non è che si possano tirar dalla finestra così senza pensarci), il pilota si è comportato bene e ci ha recapitato a destinazione senza ulteriori intoppi. Santo Antenato.

Il volo non è degno di particolare menzione, eccezion fatta per l’inspiegabile fila che si è creata intorno alle 10.15 davanti al nostro gate; delle hostess non c’era neppure l’ombra e l’imbarco non sarebbe cominciato se non dopo venti minuti (a esser fortunati), la cosa però non sembra aver influito sul processo decisionale del gregge di pecoroni che, vedendo uno che si alzava (probabilmente per andare in bagno), si è fatto prendere dal panico e ha generato l’equivalente di una stampede bovina: decine di personesi sono ritrovate in fila in piedi davanti al gate per mezzora senza sapere bene il perché. I meccanismi psicologici del viaggiatore andrebbero studiati.
Dimenticavo il genio che al controllo di sicurezza, quando gli hanno chiesto di togliere tutti gli
oggetti metallici che aveva addosso, ha  mostrato il pataccone al polso e chiesto incredulo: “Anche questo?” Chissà, forse l'orologio era di marzapane effetto metallo…
Ovviamente le previsioni davano parecchio freddo e noi ci si era vestiti di conseguenza; altrettanto ovviamente, arrivati in quel di Stoccolma faceva parecchio caldo. Per i successivi quattro giorni i giacconi pesanti sono stati una rottura di palle per buona parte della giornata (sei al sole apri il giubbotto perché fa caldo, poi vai all’ombra allora chiudi che è freddo e magari aggiungi la sciarpa perché tira vento). Dico buona parte della giornata perché al tramonto, come d'incanto, si trasformavano nei nostri migliori amici, essendo che al calar del sole si presentavano un freddo boia e un vento siberiano.

Una volta atterrati ci siamo fermati allo sportello del cambio per acquistare un po’ di corone; questi svedesi molto civili hanno i bigliettini numerati per fare la fila, peccato che il dispensatore sia introvabile. Quando finalmente lo si scova, il numero che dà non corrisponde a quello che c’è sullo schermo e tu realizzi che non funziona. Intanto però, mentre giocavi a Indiana Jones, ti sono passate avanti nella fila quelle dieci-dodicimila persone. Ovviamente ci sono due file e, nella nostra, davanti allo sportello c’è la classica signora con messa in piega da bigodino che sta parlando con la cassiera da una vita. Ipotizziamo che abbiano rivangato i bei tempi delle elementari e adesso si stiano scambiando la ricetta della salsa ai lamponi da servire con le polpette. Purtroppo però, essendo che parlano svedese, non c’è modo di provare quanto sospettiamo quindi ci tocca rimanere lì ad aspettare sentendoci un po’ dei pipilochi. E intanto l’altra fila va che vola.
Usciamo finalmente dall’aeroporto e sembra di entrare sul set fotografico di IKEA.

Il nostro ostello è in una delle isole principali ma le indicazioni non sono precisissime per cui quando arriviamo e ci troviamo di fronte a un hotel con tanto di targhetta “tre stelle”, ci guardiamo un po’ perplessi. E invece siamo nel posto giusto, è parte albergo e parte ostello: ci danno la chiave della camera che è una scheda perforata e quando tentiamo di entrare scopriamo che per assicurare la massima tenuta termica, le porte sono inamovibili per cui l’accesso alla camera te lo devi guadagnare con una di quelle spallate da irruzione della polizia.
Ovvio che non ci lasciamo scoraggiare da così poco e dopo un paio di tentativi riusciamo a entrare; ci accolgono due allegri letti a ribalta, come i taglieri per fare la sfoglia. se quello sopra cede finisco come il ripieno dei sandwich.
Sembra un po’ una galera ma in fondo non è male; l’unica difficoltà è quel pensiero che fa capolino tutte le volte che ti stendi (se sei nel letto sotto, ovvio).


Fine prima parte

Quella volta dalle parti di Stoccolma - 2a parte


Una delle cose belle dell’ostello è che quando scendi per fare colazione vedi le cose più strane: dalla famiglia che consuma ettolitri di succo di frutta e cracker con strani paté, alle giapponesi che mangiano i tagliolini in brodo, ai due anziani che preparano una sbobba premasticata tipo porridge, fino a quell’italiana che essendo avanzato un po’ di gorgonzola dalla sera prima fa colazione con tè senza zucchero e pane e formaggio. Non ci si annoia.
La città è molto bella e il tempo è stato assolutamente splendido, abbiamo percorso chilometri e chilometri spostandoci da un’isola all’altra. Noi ovviamente sempre combattendo con cappotti sciarpe, berretti ecc, gli oriundi invece ci sbeffeggiavano  in maniche di camicia, canottiera e sandali senza calze. Il picco massimo è stato raggiunto in un parco dove la sottoscritta si è abbassata la zip del giaccone (solo fino alle spalle) fissando incredula due giovinette locali IN BIKINI.
Ovviamente non poteva mancare la puntatina nei negozi di roba usata, dove la roba usata costa come roba usata perché è roba usata e anche se la chiami vintage resta roba usata e quindi non la fanno cadere dall’alto come da noi.
In uno di questi negozi una signora che avrà avuto almeno 75 anni mi ha venduto tre libri e un dvd parlandomi in inglese. Ma quanto sono avanti?!
In una delle nostre escursioni siamo arrivati sull’isola che ospita il museo di Pippi Calzelunghe, eroina nazionale; l’ingresso del museo era facilmente individuabile grazie alle decine di passeggini parcheggiati con la massima fiducia lì davanti. Per il ritorno abbiamo scelto di prendere il traghetto e ci siamo ritrovati circondati da un’orda di bambini, alcuni dei quali oltre a fare un casino inimmaginabile rilasciavano flatulenze pestilenziali da cui non potevi fuggire, intrappolato com’eri su quella maledetta barca. Non lasciate che i pargoli vengano a me, grazie.

Non sono mancate le pause di riflessione al bar, i birrini e le patatine e a tal proposito mi permetto una riflessione: i camerieri svedesi non ti si filano neanche a morire; il loro punto di vista sembra essere che se proprio ti va di bere o mangiare qualcosa puoi anche muovere le tue gambette e andare al bancone a ordinare. Concordo con la tipa svedese della guida che diceva che loro non sono tagliati per l’accoglienza; sono cortesi ma si vede che quei cromosomi lì non li hanno. Nella stessa situazione un cameriere italiano sarebbe venuto al tavolo con un “ciao ragazzi, oggi si ordina al bancone quindi se vi va di prendere qualcosa venite pure là”. Stesso concetto ma esperienza totalmente diversa. In questo siamo più avanti noi.
Un capitolo a parte va dedicato alle patatine nel sacchetto. Come sa chi ha avuto occasione di provare le patatine Ikea, ci sono patatine e PATATINE. Le patatine italiane spesso hanno la minuscola, quando va proprio bene si beccano un sei e mezzo, se escludiamo quelle che costano come il prosciutto di Parma.
Anche a Stoccolma ci sono di varie qualità ma quelle buone sono BUONE e le altre sono mediamente meglio. Consiglio le Svenska Lant Chips striscia rossa. Il fegato ci metterà un po’ a riprendersi da questa full immersion nel tubero fritto ma non rimpiango neppure un sacchetto.
Avrei voluto andare al cinema e provare l’ebbrezza del film in lingua originale sottotitolato in svedese ma non ce l’abbiamo fatta, sarà per la prossima. Aggiungo che se vuoi andare in bagno dentro il cinema devi portare con te il biglietto perché per aprire la porta della toilette devi avvicinare il biglietto al lettore di codice a barre che sblocca la serratura solo dopo aver identificato il tuo biglietto. Ma quanto sono avanti?

Fine seconda parte