lunedì 28 maggio 2012

Estreme interviste affatto riluttanti

Un paio di settimane apro facebook e ci trovo un messaggio in attesa; lo apro pensando che sarà una di quelle ragazze che vuole proporre qualcosa per il fine settimana, e invece mi trovo un messaggio assolutamente totalmente spaventosamente inaspettato:

"Ciao, mi chiamo Mauro e conosco Rico (e lui conosce me). Ma non ti scrivo per via di Rico, ma per via del tuo blog. (...). Volevo farti una piccola intervista per il mio sito di scrittura (www.maurocorso.it) e parlare del tuo blog. E' molto semplice, ti mando un po' di domande con l'introduzione che voglio mettere e tu devi solo scrivere le risposte. Che ne pensi, sepoffa'? A presto,
Mauro"

Nel dubbio lo rileggo, magari non ho afferrato bene. Oh, a me par di capire che mi vuol fare un'intervista.
A me. Un'intervista. Rileggo. Ah dì, parrebbe così. Non avrà sbagliato persona? Però il riferimento al blog è troppo preciso. Provo lo stesso livello d'incredulità di quella volta che mi arrivò per mail la lettera della signora Mary Joseph, benedetta nel Signore.
Chiamo Rico, gli leggo il messaggio e alla fine concordiamo che non v'è dubbio alcuno: mi vuol proprio fare un'intervista. 
Intendiamoci, non è che non mi sia mai capitato di fare interviste, però in quei casi a nessuno fregava una cippa di quello che pensavo io, erano più che altro interessati al pensiero del guru/esperto/cervellone straniero che stavo traducendo. 
Un colpo di scena che certi sceneggiatori si sfregherebbero le mani.
Ovviamente rispondo subito subissandolo di ringraziamenti anche solo per il fatto che sia stato sfiorato dal pensiero di farmi un'intervista. Il giorno dopo mi arrivano le domande ma purtroppo quel fine settimana mi tocca un lavoro last minute a Firenze e tra l'incubo logistico e la fretta, non avrei il tempo di pensare. Decido di posticipare la cosa al lunedì (torno sabato notte e la domenica chissà in che stato sarò).

Quando finalmente mi ci metto, mi trovo un po' spiazzata, ci son delle domande a cui non sono proprio preparata, però mi piace questa cosa di andare a scavare per capire com'è che gira la mia testa. E parlarne con qualcuno che trova assolutamente naturale che tu scriva (ci ho messo parecchi anni prima di poter scrivere qualcosa senza sentirmi in colpa perché "perdevo tempo").

Ovviamente non sono mancati i momenti difficili (uno su tutti il trauma delle medie che riaffiora con prepotenza a distanza di decenni, cavolo se  ero fiera di quella favola) ma ripensandoci adesso è stata davvero una gran soddisfazione; secondo me dovrebbero lanciare sul mercato un servizio di sostegno all'autostima che nei momenti di sconforto ti contatta per chiederti un'intervista, così risollevi l'umore senza affossare le finanze in ore di shopping, che poi torni distrutto e col portafogli esaurito.
Tomò, Mastercard.


Per chi fosse curioso, ecco l'intervista


venerdì 25 maggio 2012

C'è sempre una solution per qualsiasi beauty problem

Son qui che sfoglio Beauty Parade, il supplemento al numero di maggio di Glamour: siamo nell'area trucco e capelli e, dopo sole dieci pagine, sto già digrignando i denti; a leggere sti testi ti viene il dubbio che a scriverli sia un software che ogni tot parole ne infila a caso una in inglese: passiamo le tecniche soft, e il formato pocket, incurviamo le spalle sotto il peso di "tra un effetto mat e un tocco sporty",  ma i trattamenti spa, quelli proprio no, da qualche parte una riga dobbiamo pure tirarla! "Trattamenti spa" al massimo può essere il nome di un'agenzia di recupero crediti, di quelle che se non paghi ti spezzano le braccine.

Gli articoli arrivano quasi sempre accompagnati da fotografie, essendo che un'immagine vale mille parole; chiaro che dipende da quali parole. Prendiamo ad esempio il servizio sui trend forti per l'estate: alla voce Neohippy si legge "Purple per occhi e labbra in nuance. L'effetto è glossy e ultrashine".
E poi ci lamentiamo che la gente non sa più l'italiano, ma dov'è l'italiano? Probabilmente è on holiday in qualche città cool a vedere il vernissage di un famoso visual artist.

A lato potete vedere la foto del look neohippy, dove le modelle più che truccate sembrano aver appena fatto a botte con qualcuno (e non esserne uscite molto bene).

Proseguiamo con un articolo sulla cura dei capelli in cui ci suggeriscono dei trucchetti fast, come ad esempio:
Avete lasciato i bigodini a casa? Tranquille, c'è un alternativa.
Evidentemente le case delle italiane traboccano di bigodini, quando queste non li portano con sè in viaggio (spiegherebbe quelle valigie che vedi ogni tanto in aeroporto e che paion condomini, chissà se Monti ha pensato a fargli pagare l'IMU) .
Comunque, per coloro che trovandosi fuori casa si accorgono con sgomento di esserseli dimenticati, non tutto è perduto: è sufficiente attorcigliare le ciocche su piccoli pezzi di stoffa e poi annodarli una volta arrivate alle radici.
Perché è chiaro che il mondo è pieno di donne sbadate che dimenticano a casa gli indispensabili bigodini ma nessuno oserebbe mai uscir di casa senza le tasche piene di piccoli pezzi di stoffa, che risultano utilissimi in tante piccole occasioni: per imbavagliare la suocera rompiballe, per fingere un'emergenza medica (li sventoli dal finestrino dell'auto quando salti la fila usando la corsia di emergenza), oppure legandoli insieme per calarti dalla finestra quando la moglie del tuo amante torna a casa senza aver prima telefonato (telefonare, telefonare sempre).
Per le sbandate che non hanno mai preso questa buona abitudine, suggerisco di estrarre dal beauty le forbicine da unghie (se non hanno neppure quelle l'alternativa è il tagliaunghie ma il lavoro si fa un po' brigoso) e ritagliare le striscioline di cui sopra dalle lenzuola dell'albergo in cui si trovano (se a casa di amici, io eviterei).
Raccomando caldamente di non sbrandellare le lenzuola alla boia bensì, astutamente, tagliare una lunga striscia dal fondo del lenzuolo (quello da sotto che generalmente in hotel non ha gli angoli) e farne tanti pezzettini. In questo modo è improbabile che la direzione dell'albergo se ne accorga e vi addebiti il costo del lenzuolo sulla carta di credito. Buona fortuna.


giovedì 17 maggio 2012

La Cantinata 2012. E adesso può anche finire il mondo.

E finalmente anche quest'anno è arrivata: quando ormai la davamo per persa e ci eravamo rassegnati a un 2012 zoppo, incompleto, ecco arrivare la comunicazione sulla bacheca facebook della Ciana: l'ormai celeberrima cantinata chez Ciana e Livio veniva annunciata per sabato 12 maggio.

La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno perché di solito detto evento ha luogo in periodo invernale (generalmente in area pre o post natalizia) e quest'anno, non avendo ricevuto convocazioni in quel periodo, ci eravamo mestamente ritirati in un angolo a strapparci i capelli e ululare sconsolati.

La Cantinata in questione è una serata che da anni la Ciana e Livio organizzano nella loro cantina insieme a un gruppo di amici volonterosi per raccogliere denari da donare in beneficienza; noi lavativi invece andiamo, ci sbafiamo il mondo, ci divertiamo a pacchi, lasciando però la nostra offerta per mitigare il senso di colpa.
Quest'anno l'organizzazione scelta come destinataria della donazione era Amnesty International.

Ovviamente, appena ricevuta la lieta novella  su facebook sono andata a sentire come era messo Rico il 12; il fine settimana è sempre difficile che l'uomo sia libero dal lavoro però negli ultimi due anni eravamo stati fortunati quindi ho incrociato le dita e anche stavolta è andata bene: suonava il sabato e la domenica prima, il sabato e la domenica dopo, la domenica 13 ma il sabato 12 era libero come l'aria. Evvai.

Una volta confermata la nostra presenza alla soirée, si è presentato un altro problema: uno degli elementi caratteristici di una cantinata che si rispetti è il buon vino ed è quindi praticamente impossibile uscirne con un tasso alcolemico in linea con le norme vigenti in materia di guida e alcol (dopo due bicchieri io sono fuori di sicuro). Dato il mio proverbiale livello di jella, se appena bevessi due dita in più e osassi avviare la macchina in una strada deserta, di sicuro si materializzerebbe una pattuglia della polizia stradale con tanto di macchinino per il test. Essendo poi che se superi di 0,01 la soglia di 0,50 ti ritirano la patente per tre, dico TRE, mesi (per non parlare dei 500 euri di multa, degli esami del sangue e del corso obbligatorio su alcol e guida), non mi pareva il caso di andare in cerca di guai.
Dopo attenta riflessione abbiamo deciso di lasciare a casa l'auto e andare in bicicletta (una pedalata di mezzora, niente di proibitivo); purtroppo però, con l'avvicinarsi della data le previsioni meteo si sono fatte sempre più fosche e tendenti al bagnato. Scartata l'ipotesi di andare in macchina e poi dormire nella stessa (a parte la scomodità della cosa e l'effetto barbone, appena c'è luce io mi sveglio e non avrebbe molto senso andare a letto alle due per poi svegliarsi alle 5.30), ci siamo affidati al destino e a un buon ombrello e siamo partiti pedalando in direzione Cesena centro.

Arrivati a destinazione ci aspettava un'altra sopresa: la cantinata nella sua versione primaverile si era evoluta, arrivando a comprendere un'area privé nel cortile interno. Di sotto invece era tutto come sempre: candele lungo le scale, tavolone su cui i cuochi approntavano bruschette, crostini coi funghi, piadina e affettati e, lungo il corridoio, un'altra tavola imbandita con torte salate, frittate, macedonia e chi più ne ha più ne metta.
Sopra un tavolino appositamente decorato faceva bella mostra di sè la scatola con fessura per le libere offerte.
Onde rispettare la cantinosa tradizione, la prima cosa che ho fatto è stata prendere un bicchiere di sangiovese e una bruschetta all'aglio (le dimensioni degli spicchi d'aglio che strofinano su quelle bruschette sono da film di fantascienza) e mi sono avviata in direzione privé. Giunta al quarto gradino sono inciampata (non so in cosa, nei miei piedi suppongo) e il contenuto del bicchiere ha formato un arco molto artistico, andando poi ad annaffiare il muro sulla mia sinistra.
Ne avevo combinata già una dopo i primi cinque minuti. Mi sono prostrata in scuse di fronte ai padroni di casa che con grande eleganza mi hanno fatto notare che il muro della cantina era già tutto massacrato (questo la Ciana) e che potevo passare a ridipingere con comodo il lunedì (questo Livio).

La serata è poi proseguita come da copione: chiacchiere, risate, e tentativi infruttuosi di sfuggire ai cuochi, già tutti parecchio allegri, che ogni volta che passavo lì davanti trovavano il modo di rifilarmi qualcosa da mangiare (il formaggio di fossa era da urlo).
In superficie, la zona privé era illuminata dalla luce del patio, la quale luce aveva un timer e quindi quando si spegneva si restava a chiacchierare al buio in attesa che qualche anima buona si alzasse per riaccenderla; in quegli intervalli di oscurità potevamo vedere una stellata assoluta sopra le nostre teste (mi par d'aver visto l'orsa maggiore), una visione meravigliosa che ci riempiva di speranza allontanando, seppur temporaneamente, la nostra spada di Damocle meteorologica.

Dopo essere stata sbeffeggiata ripetutamente per la mia goffaggine e aver ascoltato Manoni  e Mauri progettare di spargere la voce che, in preda ai fumi dell'alcol, avessi vomitato l'anima sul muro, ho deciso di annegare i dispiaceri in due dita di bianco che Livio stava cortesemente distribuendo; una decina di minuti dopo il padrone di casa è tornato per offrirci un altro bicchiere:
"Volete un po' di Albana?"
"No, grazie Livio, me l'hai data prima"
Sguardo depresso, occhio avvilito.
"Quello era Trebbiano"
E' sempre doloroso vedere le ferite che la propria totale ignoranza infligge a chi il vino lo conosce e lo ama. Io lo bevo soltanto.
La Cantinata offre anche l'occasione di far due chiacchiere con persone che magari vedi solo un paio di volte l'anno; di solito, dopo un introduttivo come stai? ci si informa su lavoro, famiglia, eventuali figli, fratelli ecc. In alcuni casi le cose prendono una direzione più, come dire, creativa: quest'anno dopo il come stai di rito mi son sentita chiedere "Come va con i capelli bianchi?" La Cantinata è anche questo.

A ora tarda si è aggiunto al gruppo anche Mohuro (dietro nostro invito), giusto in tempo per fare da testimone al momento clou della serata. A un cenno dei padroni di casa siamo scesi tutti in cantina, andandoci a sistemare nella sala più remota, dove mani sapienti hanno proceduto all'apertura della scatola nera e al conteggio delle offerte, sotto gli occhi vigili di una quindicina di testimoni. Ho scattato qualche foto per documentare l'evento e il successo dell'iniziativa che ha permesso di raccogliere ben 1139 euri. Ovviamente il documento con i conteggi e la cifra finale è stato controfirmato da tutti i presenti per motivi di trasparenza.

Si sa che quando si parla di eventi organizzati per beneficenza ci son sempre i soliti malfidati che se ne escono con commenti del tipo Eh, chissà che fine fanno quei soldi! probabilmente per giustificare il loro braccino corto che al portafogli proprio non ci arriva. In questo caso, un commento del genere causa nei veterani della cantinata smodata ilarità e sguardi di commiserazione; è infatti cosa risaputa che, dopo ogni cantinata, Livio procede al bonifico e ne conserva copia nel portafogli, mostrandola a chiunque incontri (che abbia partecipato alla cantinata  o meno) per i due mesi successivi a riprova della propria rettitudine (che per chi lo conosce non serve ma lui ci tiene e fa bene).

E in effetti due giorni dopo, il lunedì mattina, Mohuro ha raccontato a Rico di aver incontrato per le vie del centro "quel signore del padrone di casa dell'altra sera che mi ha salutato e mi ha fatto vedere la ricevuta del versamento".


lunedì 14 maggio 2012

Ascesa e caduta dell'acchiapparello nel cinema d'animazione giapponese

Nonostante il tempo da lupi, oggi pomeriggio siamo usciti sfidando le intemperie per andare a vedere Il castello nel cielo, film di animazione di Hayao Miyazaki. A prima vista non sembra ma trattasi di una vera e propria impresa dato che dalle nostre parti i film di animazione, oltre a essere proiettati in poche sale, quasi senza pubblicità, rimangono sullo schermo per un periodo limitatissimo quindi spesso non riesci neanche a sapere che un film è uscito e già l'hanno tolto.
Nel nostro caso invece, pur avendolo saputo per tempo, temevamo di non riuscire a vederlo perché (perlomeno nei cinema vicini a casa nostra) i film d'animazione giapponesi vengono quasi sempre proiettati solo la domenica pomeriggio, per una qualche misteriosa ragione, come se qualcuno pensasse che trattandosi di un cartone animato, possa interessare solo dei bambini. Ah, dì, siam messi così.

Questa volta un provvidenziale diluvio ha fatto saltare il concerto di Rico previsto per la domenica pomeriggio (per l'uso dell'aggettivo provvidenziale mi beccherò sicuramente un'infamata) e quindi, dopo un fitto carteggio via cellulare, alle 15.45 abbiamo varcato la soglia del cinema dove ci aspettavano la Ste, la Clodia, Paul e l'Ale.
Andare al cinema la domenica pomeriggio è sempre un terno al lotto perché rischi di trovarti circondata da bambini che fanno un casino allucinante, da quello che mi scappa la cacca, all'altro che voglio il gelato e via di questo passo; in questo caso invece mi ha sorpreso la tranquillità della sala, a parte l'occasionale vocina che chiedeva spiegazioni su quanto stava accadendo, il pubblico è stato quasi sempre silenzioso.
C'erano quindi tutte le condizioni per poter godere appieno di un film che è a tutti gli effetti una piccola gemma, che consiglio a chiunque, ovunque, a qualunque età.

Oddio, forse non proprio tutte le condizioni; la traduzione in italiano dei dialoghi (o forse l'adattamento successivo, non so) lasciava veramente molto a desiderare; è veramente difficile abbandonarsi a un mondo così fantastico se fatichi a capire cosa dicono i personaggi.
Mi chiedo quanti dei bambini che hanno visto con me il film sapessero il significato di "giocare all'acchiapparello". O forse è un'ignoranza solo nostra, magari nel resto d'Italia lo sanno tutti, boh.
Però c'è dell'altro: sentire una bambina (che si suppone sia cresciuta in mezzo agli yak) esprimersi come un libro stampato è una nota stonata e in qualche modo ti allontana dalla storia, per non parlare dei pirati (noti dotti) che, vedendo l'aeronave alzarsi in volo, urlano "Ascendono!"
O anche il cattivo che, prima di uccidere un suo complice, se ne esce con una roba tipo "Sono stanco di guardare la tua faccia di demenza".
Quello che ci ha lasciato perplessi è il fatto che io e Rico avevamo visto una precedente versione in dvd e nessuno dei due ricorda espressioni di questo tipo; ad esempio, per quanto riguarda la pietra protagonista del film, nella versione precedente si chiamava gravipietra mentre qui diventa l'aeropietra. Per carità, nessuna pietra dello scandalo, ma cosa volete che vi dica, a me piaceva più la prima.
Concludo in bellezza con "l'isola stante nel cielo" sempre a opera del cattivo.
L'impressione era che la traduzione in italiano l'avesse fatta qualcuno che la nostra lingua l'ha imparata solo sui libri (edizioni rigorosamente precedenti il conflitto del 15-18). La domanda è: ma prima di distribuire il film nelle sale, nessuno ha riascoltato la versione italiana? Perchè sarebbe bastato sentirla una volta, la perla del faccia di demenza.
Vorrei poter proseguire l'elenco delle assurdità ma purtroppo non ho avuto la prontezza di spirito di tirar fuori carta e penna, pur nell'oscurità della sala, quindi posso solo ricordare vagamente un ordunque o roba simile ma la memoria non mi assiste oltre.

Al di là di tutto, sono contenta di aver visto questo film sul grande schermo, è sempre un'emozione; e poi ti fa sorridere quando pensi che, nonostante demenze e acchiapparelli vari, il pubblico è rimasto inchiodato alla poltrona fino alla fine, inclusi i bambini. Altro che Pokemon.





P.S. Date un'occhiata al trailer.

martedì 8 maggio 2012

Qualche problema nella sfera dell'intimo?

Questo post sarà brevissimo, un pensiero fugace che scompare nella notte.

Come già  molti di voi sanno, la mattina la mia colazione è spesso allietata dalla lettura di una rivista frivola; alcune me le passa mia mamma, altre me le procuro io. Lo faccio fondamentalmente per due motivi: 1) la mattina appena sveglia non ho voglia di leggere di disgrazie, oscurità e pessimismo e 2) le riviste in questione sono una fonte inesauribile di buonumore e, soprattutto, post.
Recentemente mi sono imbattuta in una pubblicità di intimo (leggi reggiseni e mutande, lo dico per quelli che ancora chiamano le cose col loro nome) che mi ha dato da parecchio pensare. Allego la foto in questione per maggiore chiarezza.
Ecco, io di fronte a questo tipo di pubblicità mi faccio sempre un sacco di domande, in questo caso quella più pressante è: perchè sta donna in mutande ha i tacchi? Mi spiego: questo non è GQ o Max, dove piazzano immagini di donne per attizzare il lettore medio e quindi non si preoccupano che la foto sia reale, possibile, ma solo che causi una tempesta ormonale nel citato lettore, questa è una rivista femminile, che suppongo si rivolga a un pubblico di donne, quindi ci sta la modella bellissima che ovviamente starebbe bene anche col mutandone ascellare della nonna, però mi chiedo: quante donne girano abitualmente per casa in mutande e tacchi alti? O forse sono io che, essendo un po' baluba, ignoro l'esistenza di questo mondo parallelo pieno di donne intimate e taccate.
Ho chiesto anche un parere a Rico, per avere il punto di vista maschile, e lui ipotizza che la signora in questione sentisse freddo ai piedi. Boh, fatto sta che a me il tacco in questa fotografia sa un sacco di film porno. Magari il pubblicitario l'aveva previsto, chissà.

Però almeno apprezzo il fatto che nella foto in questione la modella non sia costretta in una di quelle pose assurde, con un braccio di qua una gamba di là, che invece di guardare le mutande stai lì a chiederti come diavolo sia girata sta povera donna e, soprattutto, perché.
Prendiamo ad esempio la foto qui a fianco che ha tutte le caratteristiche incriminate; girando su internet ne ho trovate a pacchi ma non voglio eccedere che dopo rischio di attirare schiere di lettori guardoni che non sono proprio il mio target.
Apprezziamo anche il fatto che la modella non indossi tacchi cavalcando la fiera statua, però resta il dubbio di quella collana abbinata al costume da bagno che il leone pare fissare con incredulità (non è il solo).

In quest'altro caso invece lo sfondo della foto ricorda la sala da pranzo di una casa di lusso o di un albergo; la giovine è seduta su un tavolo, coi tacchi d'ordinanza, circondata da, boh, petali bianchi? Dietro c'è un candelabro a tre bracci, elemento fondamentale per chiunque sia seduto sopra un tavolo in mutande coi tacchi.
In basso a destra troneggia un secchiello del ghiaccio (pare più un paiolo, in realtà) con l'inevitabile bottiglia e davanti tre bicchieri, segno evidente che la signora aspetta compagnia numerosa.
Cos'altro dire? Speriamo che a scendere dal tavolo non righi il legno coi tacchi, altrimenti chi lo sente poi il maggiordomo?

giovedì 3 maggio 2012

Mi appello al 5° emendamento: James Taylor in concerto a Bologna

Come sempre, quello che inizia come un tranquillo momento musicale, poi finisce che finisce in traggedia.
Tutto è iniziato così:

C'è James Taylor a Bologna! Ci andiamo?
Mi sa che i biglietti son già finiti, però se li trovi io ci sono!

Il giorno dopo avevamo i biglietti. Non so se mia sorella li abbia strappati dalle mani di un cadavere ancora caldo o se abbia freddato qualcuno, son cose che è meglio non sapere. Fatto sta che i biglietti c’erano e quindi la sera in questione siamo arrivate belle pimpanti e in perfetto orario davanti al teatro Manzoni (anche grazie a una notevole botta di fortuna, parcheggio aggratis in una traversa di via Indipendenza); una volta ritirati i biglietti siamo andate di corsa a mangiarci due pizzette al taglio da Altero e all’ora X abbiamo varcato la soglia del teatro e guadagnato i nostri posti.
Dimenticavo di precisare che, prima di prendere posizione, abbiamo fatto un salto alla toilette e, dato che c’era un po’ di fila, nonostante dentro il mio cubicolo ci fosse un lavandino sono uscita per lasciare libero il posto, andando a lavarmi le mani nel lavandino comune; dopo averle accuratamente insaponate ho aperto il rubinetto per sciacquarle ma quello ha mandato due gocce e poi sciopero! Sono rimasta lì come una pipiloca con le mani gocciolanti e insaponate in attesa che si aprisse uno degli altri bagni. Decisamente un inizio col botto.

Come si può notare dalla foto, siamo arrivate in leggerissimo anticipo ma è andata meglio così, almeno siamo riuscite a fare quattro chiacchiere in tranquillità; quella che vedete qui è una foto del palco pre-concerto ed è anche l’unica che sono riuscita a scattare perché pare non si potessero fare fotografie, almeno a quanto ci ha detto l’omone-maschera del teatro che ci è piombato addosso alla prima foto scattata; a dir la verità non avevo visto cartelli con divieti ma l’uomo era parecchio grosso, non mi è parso il caso di mettermi a discutere.
Per tutta la prima parte del concerto il nostro eroe (la maschera, non James Taylor) si è spostato da una parte all’altra della platea, ammantato dell’oscurità della notte, ammonendo gente a destra e a manca, arrivando ad agitare le braccia tipo mulino a vento nel (vano) tentativo di dissuadere uno spettatore al piano di sotto dal fare altre foto. Un po’ come avere Batman come amministratore di condominio.

Devo dire che questa cosa ci ha assai rotto gli zebedei, provate voi a lasciarvi trasportare da Carolina in my mind mentre un energumeno lì davanti si lancia in segnalazioni che neanche un vigile urbano a Roma all’uscita del derby! Fossimo state a uno di quei concerti da pogo, nessuno si sarebbe accorto di nulla ma lì, al teatro Manzoni, al concerto di James Taylor che è uno dei concerti più tranquilli e posati che si siano mai visti! Fortunatamente a un certo punto il nostro uomo è uscito di scena, probabilmente per andare a frantumare le falangi del fu spettatore che fotografava imperterrito al piano di sotto e la pace è tornata a regnare.
Devo ammettere che io James Taylor di faccia non me lo ricordavo proprio quindi, quando all’inizio del concerto l’ho visto salire sul palco, questo spilungone che andava a sedersi sullo sgabello mi ha un po’ spiazzato, poi si è messo a cantare e lì andavi sul sicuro poteva essere solo lui.
E’ stato un concerto molto intimo, niente glamour, niente effetti speciali, solo lui, la band e noi; ho scoperto un uomo ironico, garbato e molto simpatico. E cosa dire della band? Anche se in un paio di occasioni si è temuto per le coronarie del batterista il quale, pur non essendo più un giovincello, suonava con una forza e un’energia che molti tinegers ci farebbero la firma, in generale i musicisti che lo accompagnavano filavano via senza una grinza, senza un inciampo e l’atmosfera sul palco sembrava quella di un gruppo di  amici di vecchia data (forse lo sono, non ne ho idea).
Spendo rapidamente due parole per quegli eroi dei tecnici del suono che si sono immolati per la causa, ho visto un poveretto che sarà rimasto dieci minuti acquattato di fianco alla batteria a fare dio solo sa cosa e immagino con che male alle ginocchia. Quando il gioco si fa duro, arriva il tecnico del suono.
A metà concerto c’è stato l’intervallo, anche se buona parte del pubblico sembrava non volerne sapere o forse temeva che l’uomo non sarebbe ricomparso, almeno a giudicare dagli applausi e i fischi con cui tentavano di trattenerlo sul palco; vista la situazione, JT ha mostrato il foglio con la scaletta della serata e poi ha mostrato il retro, indicando tutte le canzoni ancora da cantare; a  quel punto dopo una fragorosa risata dei presenti è riuscito a tornare in camerino a riprendere fiato.

Per tutta la durata dell’intervallo una mini folla si è accalcata intorno al palco (vedi foto) e ha fotografato tutto il fotografabile (gli strumenti? La scaletta? Lo sgabello? Boh), probabilmente una reazione al proibizionismo fotografico imperante quella sera. Lo spettacolo è stato molto gradevole, a tratti emozionante ma sempre pacato, le rare volte che noi tra il pubblico abbiamo avuto un esplosione di entusiasmo (escludiamo Batman l’agitatore di braccia), questa è presto tornata nei ranghi, come se non fosse quella la veste adatta per la serata.
Per gli ultimi pezzi, JT è stato raggiunto sul palco dalla moglie che ha cantato un paio di pezzi insieme a lui; su You got a friend devo dire che noi ci siamo guardate in faccia e abbiamo pensato entrambe era meglio prima, che è poi quello che ti viene da pensare quasi sempre quando senti la cover di una canzone che conosci bene (l’unica eccezione che mi viene in mente è One degli U2 nella versione di Johnny Cash).
Quindi tutto considerato una gran bella serata, di quelle che ti lasciano con una gioia sommessa, una felicità di cui parlare sottovoce per non farla scappare via.
A questo punto vi chiederete, giustamente, ma tutta sta traggedia di cui si parlava all’inizio dov’é? Era solo per far scena?
Magari.
Il giorno dopo a colazione sono  stata sottoposta all’interrogatorio di rito dal Farnedi. E’ andata più o meno così: Con chi suonava?
Qui mi ero preparata, non ho battuto ciglio. Batteria, tastiera e basso.
Ma chi erano? I nomi te li ricordi?
Cavolo, dovevo segnarmeli! Chino il capo sconfitta.  No, boh, il tastierista però suonava anche la clavietta.
L’uomo sospira. Le facce te le ricordi? Prova a descrivimeli.
Lo sapevo che finiva così. Boh, eravamo lontane! Il batterista aveva i capelli corti bianchi, il bassista credo lunghi con la coda.
Aveva gli occhiali?
Buio totale. Boh, credo avesse la barba.
Sembrava una partita a Indovina chi? Ma meno divertente.
….

Due giorni dopo mi è arrivato uno scappellotto, accompagnato da:
“C’era Steve Gadd, sant’Iddio! Steve Gadd!!!”

La vita non è tutta rose e fiori.




P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271