mercoledì 30 novembre 2011

La paleodieta: Wilma dammi la clava!!!!!!!!

Siamo in edicola e, mentre Rico dà un'occhiata ai fumetti, io gironzolo senza particolare interesse leggendo i titoli delle riviste; non ho voglia di cose serie quindi l'occhio tende a cadere sulle assurdità. Trovo un numero di Marie Claire (novembre o dicembre, non so) che pare abbastanza grosso da poter essere usato come fermaporta o per difesa in caso di rapina ma il prezzo scoraggia, scontato da 3,30 euri a 3 euri, per il mattone paion troppi, sospiro e proseguo. Poco più avanti c'è un'altra rivista con la foto dell'attrice di Beautiful (Taylor, anche nota come il Canotto date le labbra siliconatissime) che dice che ama ancora Ridge ma c'è un dolore nel suo passato; con una dichiarazione così l'interesse sale esponenzialmente quindi passo ad altro. E così poco alla volta mi avvicino alla perla del giorno, la rivista Silhouette (che immagino parli di diete). In copertina c'è la topolona di turno e a lato leggo la seguente scritta La paleo dieta: 5 chili in 3 settimane. La paleo dieta? Quindi mangi solo ciò che uccidi con le tue mani? O a colpi di clava? O magari mangi tutto crudo, sbranandolo? Ci credo che perdi cinque chili, secondo me ne perdi di più.
Me ne torno a casa rimuginando sui misteri dell'editoria, poi la vita prende il sopravvento e per un po' me ne dimentico. Stasera decido di cercare l'immagine della rivista sul web per vedere se mi ricordo bene sto titolo in previsione di un potenziale post; la prima ricerca mi sbatte in faccia là, nero su bianco la copertina di un LIBRO di PALEORICETTE (allego immagine), seguita da tabelle corredate da titoli quali La paleo dieta: per tornare alle origini, ci sono pure le figurine degli uomini primitivi che attaccano bestie enormi dall'apparenza molto paleo. A questo punto ve lo devo chiedere: ma l'assurdità della cosa la vedo solo io?


P.S. Io avrei terminato però mi è capitata tra le mani questa immagine strepitosa e da qualche parte la dovevo mettere, abbiate pazienza...

The paleo diet, so easy a caveman can do it












P.P.S. Strano che da nessuna parte si faccia menzione dell'incredibile longevità di cui godeva l'uomo paleolitico grazie a questa straordinaria paloedieta. Buona paleonotte a tutti.

sabato 26 novembre 2011

La cena chez Mohuro uncensored

E finalmente è arrivato il momento che tutti noi attendevamo da tempo: stasera si cena da Mohuro. Erano mesi e mesi che ogni tanto il Gaz buttava là un “la prossima settimana potremmo anche organizzare quella cena a casa mia” per poi tirare successivamente i remi in barca e non farne più parola con nessuno; alla fine l’abbiamo messo di fronte alle sue responsabilità di ospite e gli abbiamo strappato una data: sabato sera.
Come sanno quelli diligenti che hanno letto il prequel, proprio la sera prima il popolo (leggi io e Rico) aveva convinto il padrone di casa a modificare l’orario della cena anticipandolo di un’ora; poi però quando è arrivato il momento di prepararci, per una qualche inspiegabile ragione il popolo (leggi sempre io e Rico) è stato colpito da un attacco di flemma e tra una cosa e l’altra (non ultimo il fatto di dover trovare un parcheggio il sabato sera in centro - Mohuro ci vogliamo trasferire in periferia sì o no?!) è arrivato davanti al portone alle 20.50. Venti minuti di ritardo. Ops!
Proprio in quel momento è suonato il cellulare e sono stata apostrofata dalla voce della Rinaldi che tuonava “Dove siete?!!!!!!” In risposta ho suonato il campanello e siamo saliti di corsa. Ovviamente gli altri (la Clodia, Paul, Paolo e l’Ale) erano già tutti lì e Mohuro scalpitava, essendo che evidentemente aveva preparato il risotto per le 20.30, cosa da non fare quando si hanno ospiti un po’ indisciplinati come noi, in questi casi è sempre meglio garantirsi una mezzora di cuscinetto da trascorrere con un aperitivo, come fanno quelli di Cortesie per gli ospiti che, mentre il padrone di casa è in cucina, curiosano in giro per casa in attesa che arrivino tutti. 
Una volta guadagnato il salotto ci siamo prostrati in scuse e abbiamo raggiunto gli altri che erano già tutti a tavola; Mohuro ci ha servito il risotto lamentando a gran voce il fatto che fosse scotto. A me è sembrato buonissimo e credo anche agli altri, almeno a giudicare da come volavano i piatti al momento del bis; sfortunatamente, anche con tutta la nostra buona volontà, non era umanamente possibile finire tutto il riso, essendo che lo chef aveva calcolato per la cena una dose più adatta a un reggimento di artiglieria da montagna che alla nostra timida tavola di sei persone. Per dare un’idea della situazione posso dire che dopo aver preso tutti il bis (io a onor del vero il tris) nella pentola ce n’era rimasto quasi un quarto. Per amor di precisione (e per evitare un cazziatone dall’interessata che non è una che le manda a dire) ci tengo a specificare che a tavola eravamo sette ma la Rinaldi, causa vegetarianismo, snobbava il risotto salsiccioso per la pasta di mais con sugo di verdure (vedi sempre il prequel, a chi non l’avesse letto consiglio di dargli un’occhiata prima di leggere questo, altrimenti perde le note fruttate del bouquet).
L’Albertini purtroppo non è potuta venire e ci è mancata assai.
Mentre noi a tavola si chiacchierava ingozzandoci di bis/tris di risotto, Mohuro in cucina ultimava i preparativi per secondo e contorno come farebbe un vero chef: facendo cadere da un mezzo metro di altezza l’olio per condire l’insalata, rovesciando patate al forno per ogni dove, insomma un gran buttasù. Tutto molto scenografico ma trattasi di un procedimento che richiede la massiccia presenza di personale di cucina che a fine battaglia rimuova i cadaveri; devo dire però che alla fine ha pulito tutto lui quindi con quello ci ha chiuso la bocca (quasi).
Di lì a poco ci sono stati serviti straccetti di vitello con rucola e aceto balsamico con contorno di patate al forno, il tutto ovviamente accompagnato dalle critiche dello chef che le patate non erano cotte, che gli straccetti erano duri ecc; l’unica cosa su cui non ha potuto infierire era l’insalata della Clodia che non offriva spunti sufficienti.
Come prevedibile abbiamo spazzato via ‘gniccosa mentre Mohuro ci intratteneva raccontandoci episodi della sua infanzia quando lui, fanciullo, gridava bestemmie da carrettiere per far incazzare la sua vicina di casa che gliene diceva di tutti i colori, mentre il di lei marito si divertiva un mondo. A questo argomento ha fatto seguito il delicato tema di come far desistere quelli che si fermano a fare pipì contro i cassonetti di fronte a casa sua e le possibili soluzioni attualmente allo studio, dal puntargli un fascio di luce contro infamandoli a gran voce, fino alla secchiata d’acqua fredda (di difficile realizzazione, date le distanze).
A coronamento del menù sono arrivati uno strudel fatto dall’Ale con le sue manine e delle tortine di pasta frolla con frutta opera della Rinaldi (che Mohuro, non so bene perché, aveva sistemato in terrazzo) e anche di questi è rimasto ben poco. Noi, i soliti buzzurri, oltre ad arrivare tardi abbiamo portato solo una misera bottiglia di vino.
Nel corso della serata, in un paio di occasioni ci siamo trovati a riflettere sul tenore della nostra conversazione che non era, diciamo, elevatissimo; ciò a causa del fatto che sfortunatamente gli invitati di un certo spessore culturale avevano già altri impegni e quindi si faceva il possibile con quello che c’era (cioè noi). In uno di questi momenti frivoli siamo rimasti attoniti nell'apprendere che il padrone di casa ignorava chi fosse Nicoletta Paciaroni (la famosa potente veggente, mica una di quei cartomantini) e quindi con la piena approvazione del Branzaglia che è uomo di mondo e queste cose le sa, abbiamo sequestrato il computer e ci siamo buttati su youtube alla ricerca di video tratti dalle sue trasmissioni (chi non la conosce può cliccare qui per farsi un'idea, per chi invece è già fan, qui c’è il video dell’altalena che è una vera gemma), il tutto per colmare le lacune della mohuronica istruzione. La conoscenza innanzitutto.
La serata è proseguita così, liscia e senza sforzo, fino a ora tarda. Congedatici dal padrone di casa siamo scesi fino al piano terra e qui dopo un’ultima goliardica scampanellata a Mohuro che ci ha risposto emettendo tutta una serie di suoni non ben identificati (direi un incrocio tra il barrito di un elefante e i versi di Jabba the Hutt), le nostre strade si sono divise, ciascuno diretto a casa propria, chi in macchina e chi, eroicamente, in bicicletta ma tutti attanagliati dallo stesso dubbio: quanti giorni gli ci vorranno per finire quel risotto?

sabato 19 novembre 2011

Cena da Mohuro: il prequel, tra tubi rotti, renne e pinguini

Stasera ci si incontra al Nero su Bianco per bere qualcosa e fare due chiacchiere ma, soprattutto, per fare il punto della situazione in vista della cena di sabato sera chez Mohuro. La cena in questione ci era stata promessa mesi fa ma, vuoi per un problema, vuoi per un altro non si è mai concretizzata; questa volta invece pare che ci siamo e dalle nostre parti una cena è cosa delicata, vuole organizzata bene.
Quando arriviamo al Nero la Clodia e Paul sono già arrivati e si sono purtroppo seduti al tavolino vicino alla porta (l’unico libero in effetti), anche noto come il tavolo che ti ammali sicuramente. E in effetti quella benedetta porta d’ingresso si apre continuamente lasciando entrare nuguli di giovini e folate di ariaccia gelida. Rico si offre si sedersi nel posto più esposto e dopo rapida valutazione del mio stato di salute (raffreddore, occhio lucido ecc), accetto riconoscente.
Una volta pervenuta anche l’Albertini, s’inganna il tempo con le solite chiacchiere in attesa del padrone di casa, senza il quale poco può essere deciso. Ne approfitto per informare il popolo della mia irrevocabile decisione di interrompere definitivamente la collaborazione con il centro per cui da anni insegno inglese all’interno di un corso di formazione professionale. Seguono proteste e lamentazioni e in fondo posso capirle, i racconti delle mie vicissitudini tra quelle quattro pareti hanno allietato più di una giornata piovosa e reso più facile per tutti il ritorno all’ufficio il lunedì mattina (prima o poi ne parlerò in dettaglio). Però, essendo che in fondo mi vogliono bene, alla fine mi danno ragione, soprattutto quando li informo del quasi dimezzamento della tariffa causa tagli ai finanziamenti regionali. La bolletta s’ha da pagà.
Mentre Rico si avvolge la sciarpa intorno al collo in un vano tentativo di difesa dallo spiffero siberiano, l’Albertini ci illustra i risultati dei test sulle intolleranze alimentari a cui si è recentemente sottoposta: se si eccettua il ragno arboricolo del Sud America, è allergica praticamente a tutto e dovrà seguire una dieta ferrea per almeno un paio di mesi. La reazione alla notizia non è la stessa per tutti; da una parte c’è chi le fa coraggio cercando al contempo di suggerire qualche ricetta con le tre cose che le sono concesse, dall’altra c’è la Rini (che notoriamente mangia quattro cose in croce) che adotta l’approccio mal comune mezzo gaudio e tenta di impossessarsi della lista dei cibi permessi per barrarne alcuni che a lei non piacciono.
Di lì a poco compare Mohuro, accompagnato dai fratelli Costa, e l’attenzione si sposta sull’imminente cena. Il padrone di casa ha idee già molto precise sui manicaretti da servire (risotto radicchio e salsiccia, straccetti di vitello all’aceto balsamico e rucola), peccato che non abbia fatto i conti con la lista di ingredienti proibiti della Ste e con il vegetarianismo della Clodia; ciononostante, una volta informato della situazione, reagisce prontamente e da vero padrone di casa escogita un secondo menù (pasta di mais con sugo di verdure) per le due ospiti vip. Non è una cosa facile, ci sono gli inevitabili momenti di confusione tra quello che la Ste non può mangiare (aglio) e quello che la Clodia non mangia (cipolla), accompagnati da qualche scivolone del tipo ok, allora il risotto alla salsiccia lo faccio senza cipolla così va bene a tutte e due che scatenano le occhiate assassine della Rinaldi, ma alla fine tutto si chiarisce.
È solo in quel momento che mi accorgo della barista che con uno straccio sta tentando di asciugare il pavimento bagnato: la tubatura dell’acqua in bagno dev’essersi rotta per l’ennesima volta. Fortunatamente il nostro tavolo, pur nella sua infelice prossimità all’uscita, mantiene una certa distanza dal bagno, quindi ci sentiamo tutto sommato piuttosto al sicuro. Errore, grosso. Una volta raccolta una buona parte dell’acqua resta il problema di come far asciugare il pavimento e le povere lavoratrici, già duramente provate dall’imprevisto guasto e dalla folla del venerdì sera, optano per una soluzione non proprio ottimale: aprono la finestra del bagno e la porta d’ingresso PER FARE CORRENTE. Ora, il ragionamento non farebbe una piega se fossimo in agosto e fuori ci fossero quei 35-40 gradi ma essendo profondo autunno, l’unico risultato è riempire il locale di pinguini, renne e Babbi Natale, nessuno dei quali provvisto di stracci per asciugare il pavimento.
Di fronte all’imminente Armageddon cogliamo il messaggio divino e togliamo il disturbo, dandoci appuntamento davanti al Bar Notturno che, data l'ora tarda, avrà già le paste fresche. Calmati i languorini sotto lo sguardo bieco dell’Albertini che è intollerante a tutto il contenuto del locale, esclusi forse i videopoker, torniamo alle macchine e Mohuro ci dà appuntamento a casa sua per le 21; segue sollevazione di popolo perché se ti trovi alle 21 non ceni prima delle 21.30 e sarà mica un orario per cenare le 21.30? Cosa siamo in Spagna? Messo alle strette Mohuro cede e si concordano le 20.30. Per la cronaca della cena: stay tuned.

sabato 12 novembre 2011

Nonna Abelarda e i tortellini bolognesi: tutti maracani.

E' sabato 15 ottobre e stasera ci aspetta una seratona di quelle sfavillanti: io e Rico andiamo a Bologna, al Teatro delle Celebrazioni, a vedere Tutti Maracani: la storia del rock and roll e del suo sbarco a Bologna negli anni ‘50.
Per noi gente di campagna il sabato sera nella metropoli è comunque un evento e i preparativi per la serata sono sempre fonte di divertimento e anche di qualche preoccupazione. Quella più comune? La cena. Sì, perché per forza ci tocca partire presto, quindi non è che alle sei ti metti a mangiare, però non puoi neanche fare l’asceta che tira dritto senza buttar giù niente, altrimenti poi te lo gestisci tu il borborigma intestinale che si scatena nel silenzio del teatro.
Dopo attenta riflessione propendiamo per l’approccio a piccoli passi: iniziamo con un aperitivo a casa, vinello e patatine light eurospin,  e poi via verso Bologna (tappa a Forlì per prendere su Benny), una volta raggiunta la metropoli mangeremo un panino da qualche parte.
Viaggiare di sabato sera è decisamente un lusso: in autostrada siamo quattro gatti e tutti piuttosto rilassati, niente suv che sfanalano da dietro, quei tesori.
Arrivati in zona teatro, la ricerca del parcheggio porta via un po’ di tempo ma si conclude felicemente e nel giro di qualche minuto ci stiamo già dirigendo verso la meta con falcate da velocisti. Il motivo delle falcate non è tanto il ritardo, siamo infatti in perfetto orario, quanto più il freddo boia che è calato all’improvviso e non fa prigionieri. Per far fronte all’emergenza indosso un basco di lana che dà al mio look un tocco nonna Abelarda ma per fortuna è buio e io sono posizionata lato muro, basta girare la faccia verso la parete ogni volta che incrociamo qualcuno.
Facciamo una breve sosta al bar per rifocillarci e Bologna ci dà il benvenuto per bocca di un barista mattacchione:
Benny:”Volevo un quadretto di pizza, me lo può scaldare al volo?”
Lui:” No, mi dispiace, per scaldarlo ci vuole il forno”
Nel mentre che consumiamo il nostro frugale pasto ecco entrare nientepopodimenoche la Passini seguita dalla Pincelli, anche loro dirette a teatro. Si accomodano al nostro tavolo per un caffè e due chiacchiere ma ahimè si fa subito ora di andare; prima di alzarsi la Passini pulisce accuratamente il bordo della tazzina e, intimata di dare spiegazioni, ci risponde che non le pare bello che il barista che sparecchia debba pulire il suo rossetto. Va là che le lady ce le abbiamo anche qua da noi.
Arriviamo al teatro e ci mettiamo in fila per ritirare i biglietti, per poi scoprire che quei gentiluomini degli amici musicisti ce li hanno procurati omaggio. Il teatro è pieno di gente e i nostri posti sono proprio davanti a una fila di signore bolognesi impegnate in un allegro chiacchiericcio; devo confessare di aver origliato tutto il tempo senza vergogna, mi sono divertita un sacco.
Lo spettacolo è partito con l’entrata in scena di Jimmy Villotti e Lucky che hanno iniziato passeggiare per il palco parlando tra loro; di tanto in tanto gli finiva tra i piedi una delle molte lattine vuote sparse sul pavimento e loro la calciavano via. Per fortuna i nostri posti erano a una certa distanza.
Ariodante Dalla
Villotti, in una delle sue narrazioni, ha menzionato tale Ariodante Dalla, un cantante italiano dell’epoca ancora non riscoperto dalla dilagante moda di scegliere per i figli nomi che giustificheranno un futuro parenticidio.
Dopo una prima parte ad opera dei due narratori è entrato in scena il primo di due gruppi musicali che ci avrebbero accompagnato alla riscoperta del rock and roll, i Pink Flamingos, e quando la cantante ha iniziato a cantare mi ha inchiodato alla sedia: le mie orecchie gridavano “Eloisa!” ma i miei occhi (che hanno i loro problemi) non tiravano fino a laggiù, quindi non potevo esserne sicura. E che problema c’è? direte voi  Non puoi chiedere a qualcuno? Il problema è che io di fianco avevo Rico e questo rendeva la situazione quantomeno delicata. Mi spiego: l’Eloisa l’abbiamo sentita cantare parecchie volte e abbiamo anche i suoi cd a casa, anche quelli ascoltati spesso, quindi chiedere “Ma è lei?” mi avrebbe esposto a censura, variabile a seconda dello scenario:
1)      scenario uno, è lei. Reazione: “Non l’avevi riconosciuta?! Ma l’abbiamo sentita tante volte!”
2)      scenario due, non è lei. Reazione: “Ma no, l’Elo ha una voce diversa! L’abbiamo sentita tante volte!”
In entrambi i casi un campo minato, procedere con cautela. Alla fine ho buttato là un commento neutro tipo:“Dì, ma la cantante….” lasciando astutamente la frase in sospeso. E come previsto, Rico ha finito la frase “…è l’Eloisa!”. Tutto è bene ciò che finisce bene.
Lo spettacolo è stato divertente e anche interessante, soprattutto per me che di ste cose non ne ho un’idea. Il momento più bello in assoluto è stato quando Jimmy Villotti ha raccontato  di com’era Bologna a quei tempi, dei suoni che si sentivano e soprattutto di quelli che non si sentivano; mi sono resa conto che per me è difficile immaginare una città silenziosa. Ha anche descritto il suo primo incontro con un juke-box e ripensandoci, mi sarebbe piaciuto sentirlo parlare più a lungo di Bologna, dei luoghi, della gente, di tutte quelle cose che noi adesso possiamo solo immaginare.
Il secondo gruppo a entrare in scena sono stati i King Lion and The Braves, e in quel caso persino i miei occhi dopolavoristi hanno individuato facilmente la banana brizzolata di Fabrais dietro la batteria.
Il mio unico momento di cedimento si è presentato nel corso del quarto d’ora di celebrazione della chitarra Fender Stratocaster, probabilmente la parte più apprezzata dai molti musicisti presenti ma per noi del volgo sentir parlare di valvole, pickup (e altre robe che ho prontamente rimosso), è tutta un’altra storia.
All’uscita siamo andati a salutare gli amici e siamo stati invitati a unirci  a loro per cena alla Trattoria da Vito. Non eravamo convintissimi, però sarebbero venute anche la Passini e la Pincelli, quindi ci siamo detti perché no? Grazie al cielo e al navigatore, siamo riusciti a trovare il ristorante che, un po’ è imboscato di suo, un po’ Bologna per me è come il triangolo delle Bermuda, non era così scontato.
Sfortunatamente, alla Trattoria da Vito il posto per tutti non c’era, anche perché erano fioccati inviti in ogni direzione e quindi rispetto ai ventidue coperti della prenotazione eravamo una quarantina. La prima reazione è stata: vabbè, sarà per un’altra volta; poi però abbiamo notato un’altra sala con dei tavoli liberi e, dietro nostra richiesta, una delle cameriere ha acconsentito a prepararci un tavolo separato, solo per noi cinque: io, Rico, la Passini, la Pincelli e Benny. Alla fine però è arrivato dall’alto l’ordine di unirci all’altra tavolata per facilitare il servizio e quindi siamo stati ributtati nella prima sala.
Prima di lasciare il teatro avevo dichiarato con fermezza che non avrei cenato, al massimo un dessert; poi però quando ti trovi nella trattoria bolognese e sul menù leggi tortellini al ragù, capisci subito che non c’è lotta, è il destino che chiama e non ammette repliche. Li ho presi e ho fatto da dio, erano una lovaria (il ristoratore bolognese perdonerà lo scivolone romagnolo). Naturalmente i commensali mi hanno dato della sgombrona e non è che avessero torto, mi consolo pensando che ero in buona compagnia. Benny è stato l’unico fedele al proposito di non cenare; noialtri abbiamo spazzolato via portate e bottiglie lasciando la tavola nuda, con l’eccezione di una bottiglia quasi intera di birra che la Pincelli aveva ordinato quando ancora l’altra era piena per un terzo (tutto per paura di rimanerne sprovvista) e che ci ha fatto compagnia fino alla fine. Highlander.
Il responsabile della Trattoria da Vito era un tipo singolare: si aggirava per i tavoli prendendo le ordinazioni, lanciando battute salaci  e dicendone di ogni, suppongo fosse il suo modo di scaricare lo stress dato dal fatto di avere quaranta persone che arrivano all’una di notte e vogliono mangiare. Mentre stavamo congedandoci (dopo aver pagato, sia chiaro, che non siamo scrocconi che s’imbucano) si è fermato un attimo e vedendolo un po’ stravolto ho buttato là un “Certo che stasera avete avuto il vostro bel daffare!” e lui sospirando “Non sono neanche riuscito a cenare, ho una fame che mangerei una cliente!”  il tutto detto mentre mi afferrava un braccio.
Usciti dal locale, io e Rico abbiamo salutato tutti (Benny tornava con Lucky) e siamo ripartiti direzione Romagna.
Bologna stasera è stata una bella padrona di casa, peccato non poterle mandare dei fiori.


Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

domenica 6 novembre 2011

Se mentre guardi la tv vedi uno sputazzo, è Parodontax

Allora sono davanti alla tv, è domenica sera e sto aspettando che inizi Report quando appare questa pubblicità ad allietarmi l'animo: due lavandini affiancati in cui compaiono improvvisamente due sputazzi, uno, quello sotto accusa, è insanguinato, l'altro invece è sano (e cioè sempre un orrido schifoso sputazzo, mica nettare o ambrosia).
Lasciamo per ora da parte lo schifo causato dall'immagine degli sputazzi nel lavandino e concentriamoci sul messaggio della pubblicità: se ti capita di vedere del sangue mentre ti lavi i denti c'è qualcosa che devi sapere.
E cos'è che devi sapere esattamente? Forse che accoltellare la nonna per ereditare non è stata una grande idea? Che dovresti pulire il bagno più spesso?
Mi chiedo se sia possibile fargli causa per danni sostenendo di aver vomitato sul divano dopo aver visto la loro pubblicità (possibilità non remota) facendosi così pagare il lavaggio a secco del divano che, in effetti è piuttosto malconcio.
In ogni caso mi sono rotta parecchio gli zebedei di questi pubblicitari che per attirare l'attenzione fanno di tutto e ho deciso che, siccome tanto le mie proteste non le considererebbe nessuno, farò l'unica cosa che posso fare, e cioè piuttosto che comprare sto prodotto mi lascio morire dissanguata dalle gengive.



P.S. Non ho trovato lo spot italiano, forse fa troppo schifo per metterlo sul web. Il link qui sotto è dello spot spagnolo, sempre poco bello ma decisamente edulcorato rispetto al nostro, siamo sempre fortunati.
 spot parodontax

venerdì 4 novembre 2011

Cucina con Buddy, pulizia delle coronarie a breve.

Oggi verso le 12.50, dopo aver apparecchiato la tavola e messo su l'acqua per la pasta, ho acceso la tv in attesa che la Clodia e l'Albertini arrivassero per pranzo e sono finita come spesso accade su Realtime, canale 31 del digitale. A quell'ora c'è Buddy Valastro, il pasticcere italoamericano anche noto come "il boss delle torte", che però ha un programma nuovo in cui non fa torte ma cucina robe varie.
La puntata di oggi s'intitolava "un ricco brunch" ma purtroppo era quasi finita quindi non è che sia riuscita a vederne granché. Comunque, quello che ho visto è stato più che sufficiente:
Buddy sta controllando le patate che cuociono nel forno e io butto un occhio al tegame: ci ha messo olio e rosmarino proprio come le farei io (e l'aglio no? mah) però, per dare una sferzata di salute e leggerezza ha pensato bene di aggiungerci una vagonata di pancetta. D'accordo che il brunch non è sinonimo di dieta, però...
Poi siamo passati alla frittata col  basilico, antica ricetta di suo nonno o padre, non mi ricordo più. All'inizio tutto normale, apre le uova con una mano sola tirandosela non poco, neanche stesse camminando sulle braci, sbatte a mano come fosse un minipimer, aggiunge pecorino, sale e il famoso basilico tritato.
A questo punto ci rivela il segreto per fare una frittata perfetta e cioè la padella. Ne tira fuori una capiente e ci mette un tocco di burro lungo quanto un dito (leggerezza, leggerezza), lo lascia sciogliere un po' e poi specifica che il burro ha un punto di fumo un po' basso (leggi fa presto a bruciare), quindi è meglio aggiungere UN PO' di olio d'oliva (rigorosamente extravergine) che ha invece un punto di fumo più elevato. E parte un ruscello biondo che inonda la padella (leggerezza, leggerezza).
Una volta pronta, impiatta la frittata insieme alle patate con pancetta; conclude menzionando i french toast preparati prima e mi piange il cuore all'idea di essermeli persi, sono sicura che è riuscito nell'arditissima impresa di rendere sti toast (che per quanto buonissimi sono dei veri mattoni) ancora più pesanti. Chissà, magari li ha fritti nello strutto.
Si congeda ricordando che quelle che ha mostrato sono le ricette di famiglia (quindi per gli americani questa sarà cucina italiana, presumo) e ripetendo ancora una volta che quello è il brunch migliore che lui possa immaginare. Probabilmente è anche vero, forse però dovremmo assicurarci di riuscire ad assaggiare tutto prima di essere stroncati dall'inevitabile infarto. Intanto è arrivata la Clodia quindi mi tocca spegnere; che altro dire: lunga vita alla cucina italiana.