giovedì 24 marzo 2011

Ok, in miniera sarà anche peggio, però...

Si torna a lavorare, ogni tanto tocca. La partenza è prevista per domenica pomeriggio: vado a Cernusco dove mi aspetta una spartana camera d'albergo a poca distanza dall'azienda dove lavorerò lunedì. Purtroppo trattasi della domenica di rientro dal ponte del 150° anniversario quindi del tutto inconsapevole mi trovo nel bel mezzo di una folla oceanica di macchine, file chilometriche sull'autostrada e il simpatico speaker di isoradio che ti dice che ci sono dei rallentamenti. E tu sei lì, immobile, che friggi. Poi il citato speaker (qui ipotizzo) riceve sms/telefonate da gente che lo infama per la presa per i fondelli del "rallentamenti" e lui si affretta a spiegare che, se ogni tanto la fila si muove, allora è un rallentamento. Ne consegue che le uniche vere file mai esistite saranno state quelle degli abitanti di Pompei intrappolati dalla lava. Almeno loro potevano smoccolare che erano in fila.
Ringrazio il cielo di aver fatto benzina prima di partire perché le aree di sosta sono invase da uno sciame di gente che va nutrita toilettata e benzinata. Io guardo e apro un paccheto di cracker, stasera si cena leggeri.
Quando finalmente arrivo all'albergo, verso le 22.45 sono parecchio provata ma felice. Prendo il cellulare per chiamare casa e confermare la mia incolumità e mi accorgo che è quasi scarico. Peccato che nella fretta non abbia preso su il carica cellulare o, se è per quello, i tappi per le orecchie. E ovviamente la mia camera dà su una strada assai trafficata.
La notte è agitata. Il lavoro è peso ma poi finisce e inizia la vera impresa del giorno: sono le 18.40 e parto da Cernusco diretta a Pesaro dove lavoro il giorno dopo (con breve pausa a casa per prendere quanto dimenticato). Mi consigliano di prendere l’autostrada per Verona perché a quell'ora la zona di Milano è tutta un'enorme fila. Mi piacerebbe far presente che in realtà sono solo rallentamenti ma non c'è tempo.
Alle ore 22.20 sono a casa. Entro e, mentre Rico mi scalda l'acqua per un tè, controllo la posta e prendo il caricacell (tappi introvabili, speriamo bene). Dopo esattamente quindici minuti riparto diretta verso Pesaro. Sono più di là che di qua. Esco a Pesaro e inserisco nel navigatore l'indirizzo dell'albergo. Niente. Secondo lui non esiste. Sono le 23.20 e non ne posso più, odio l'umanità. Se una vecchietta con carrozzina mi attraversasse la strada sulle strisce la stirerei senza pensarci due volte. Fortunatamente nella zona artigianale non c'è un gran viavai di vecchiette con carrozzina al seguito. Comincio a girare in tondo come uno squalo e dopo un po' ci capito per caso. Alleluia.
Il giorno dopo io e Isabella partiamo presto dirette verso l'azienda. Arriviamo e fortunatamente la cabina c'è. Sospiro di sollievo, stavolta l’isolamento acustico c’è. Peccato che, non avendo spazio, la cabina l'abbiano messa in magazzino, in mezzo alla gente che lavora. C'è un casino che sembra il mercato del pesce; muletti che vanno e vengono trasportando di ogni, gente che taglia dio-solo-sa-cosa con il flessibile, strani cigolii non meglio identificati, manca solo un rave party e il concorso Miss Maglietta Bagnata.
La sala conferenze è visibile tramite video ma, essendo la telecamera in fondo alla sala, vediamo solo delle gran nuche, perfetto per leggere il labiale quando parla l'indiano o l'australiano o peggio l'italiano che decide di parlare inglese perché lui lo parla così bene.
L’orario del primo giorno è un po’ insolito: 8.30-11.20, pausona, poi 16-20. Le prime tre ore si concludono senza spargimento di sangue e verso le 11.30 torniamo in macchina e tentiamo di tornare all’albergo. Dico tentiamo perché la situazione è sempre quella, il navigatore sto albergo non lo trova e quindi per un po’ andiamo a caso. Lo troviamo dopo venti minuti buoni. Per onor di verità devo riconoscere che le decisioni prese dalla sottoscritta (dai giriamo di là, mi sa che veniamo da laggiù) non ci prendevano neanche per sbaglio e che abbiamo trovato l’albergo solo perché Isabella l’ha visto da lontano.
Torniamo nel pomeriggio un po’ rinvigorite dalla pausa e ricominciano le danze. Ovviamente avevamo chiesto che ci mandassero le presentazioni ppt da studiare prima del convegno ma la risposta è stata che non c’era nulla, che avrebbero parlato a braccio. E altrettanto ovviamente ci siamo ritrovati tre relatori che parlavano di dati finanziari, modelli di macchine ecc con le loro belle presentazioni ppt piene zeppe di cifre di dimensioni lillipuziane. Dopo due ore di maledizioni saranno ormai tutti pelati e probabilmente costipati.
Verso le 17, sono lì che sto traducendo e si sente suonare una sirena a un volume pazzesco. Primo pensiero: c'è un incendio, secondo pensiero: ossignore, anche questa! Guardando però la gente lì intorno non vedo segni di panico e mi tranquillizzo. Scoprirò dopo che si tratta della sirena di fine turno per gli operai. Ovviamente tra il pubblico in sala, chi ascoltava la mia traduzione in cuffia si è beccato pure la sirena anche se decisamente più debole. Chissà cos’avrà pensato. Avrà pensato? Alle 5 di pomeriggio probabilmente no.
Alle ore 20 comincio a pensare alle vacanze; è segno che il cervello ha abdicato. Torniamo finalmente in albergo e dopo un quarto d’ora si riparte alla ricerca di una pizzeria. Non sembrerebbe un’impresa impossibile e invece la zona di Montecchio il martedì sera non è che brulichi di posti aperti. Delle gran gelaterie, quelle sì. Evidentemente a Montecchio hanno un gran caldo in marzo. Troviamo una pizzeria da asporto che però ha anche qualche tavolo; la pizza è buona ma ci sono dei problemi con l’impianto di aspirazione: non c’è, dubito che ci sia anche solo una finestra aperta. Quando usciamo, il cappotto odora di pizza, i vestiti sotto odorano di pizza, i capelli odorano di pizza. Non fraintendiamo, io adoro la pizza ma possibilmente non sui capelli. Nonostante il mio controsenso dell’orientamento, riusciamo a tornare in albergo senza troppi problemi. Lungo la strada, grazie al cielo terso, possiamo ammirare l’apogeo lunare (meglio noto come fenomeno della luna grossa).


giovedì 10 marzo 2011

Che fretta c'era, maledetta primavera?!

Come accade ai visionari, ai santoni e alle potenti veggenti, anche noi veniamo di tanto in tanto visitati da ispirazioni potenti che poi si traducono in idee meravigliose (niente parrucchini però). Nel caso odierno, tale idea è: perché non fare i falafel noi con le nostre manine?
Le cose vanno più o meno così: con incrollabile fede nella Rete ci colleghiamo alla ricerca di qualche ricetta e ne troviamo ovviamente una vagonata. Essendo che non abbiamo voglia di mettere i ceci in ammollo (per me in ammollo ci dovrebbe andare solo l'uomo che ormai è abituato dalla reclame) scegliamo la ricetta che prevede l'uso dei ceci in scatola. Gli altri ingredienti non ci pongono particolari problemi quindi ci mettiamo al lavoro (in realtà lavora il robot noi più che altro guardiamo preoccupati) e una volta pronto il pappone beige lo schiaffiamo in frigo per un'ora, come richiesto.
Trascorriamo i sessanta minuti in trepidante attesa (leggi navigando su internet o spargendo la cenere della stufa in giardino e ci potrei fare un'altra nota solo su questo punto) e allo scadere del tempo siamo già lì belli pronti a fare le nostre polpette. Nella ricetta consiglia di aggiungere un po' di farina in caso il composto sia troppo liquido e in effetti non è proprio una roccia ma, per non so quale motivo (ammesso che ci fosse un motivo), decido di non aggiungere farina ma di passare le polpette nel pangrattato (mi avanzava del pangrattato e cosa diavolo ci fai col pangrattato se non lo metti nelle polpette o non pangratti le cotolette?). Insomma pangrattiamo ste polpette e mettiamo a scaldare l'olio in una capace padella (l'uso di capace padella fa molto ricettario, sono fierissima) una volta arrivati a temperatura è il momento: mi sembra di assistere al varo di una nave. Mettiano quattro polpettine in padella e stiamo a vedere.
La nave affonda dopo qualche secondo.
Le polpette si sfaldano senza pietà e l'olio diventa una poltigliona beige che volge rapidamente al marroncino. Falafe-Noi: 1-0.
Dopo un primo momento di comprensibile abbattimento decidiamo di prendere il toro per le corna e le quattro polpettine rimaste vengono ributtate violentemente nella ciotola e reimpastate aggiungendo una buona dose del pangrattato (sempre quello che mi avanzava). Segue vigoroso lavoro di mixaggio manuale e formazione di polpettine completamente rinnovate, con un look che dà molte più speranze. Ovviamente la padella è inutilizzabile, essendo ancora piena di bolo marrone fumante, quindi a malincuore prendiamo una seconda padella e mettiamo olio nuovo. Quando arriva a temperatura tratteniamo il respiro, mettiamo giù altre quattro polpettine e ce ne stiamo lì a osservare come se stessimo cercando la cura per non so quale malaccio. Questa volta le cose vanno diversamente, nel senso che ci vuole quasi un intero minuto perché le polpette si sfaldino trasformando anche questa padella in un porta-pappone marroncino. A voler vedere il lato positivo, abbiamo fatto progressi. A voler vedere la realtà abbiamo fatto un casino allucinante in cucina, sporcato comuli di roba e al momento puzziamo di fritto e non abbiamo niente da mettere nella nostra piadina con insalata e pomodori che aspettava speranzosa un paio di falafel. Aspetta e spera.
L'unica consolazione è che questa mattina quando qualcuno aveva pensato di invitare ospiti per provare questo menu vegetariano, il buonsenso è prevalso e abbiamo pensato:"Magari un'altra volta"
E' dai, sarà per un'altra volta, intanto vado ad aprire le finestre che la casa quella sì puzza di falafel, peccato non si mangi.
Continuiamo a sognare

mercoledì 2 marzo 2011

E siamo solo a metà settimana!

Questa settimana ha parecchi + e qualche - :

- con tutta questa pioggia si è allagata la cantina,
- ho fatto cadere un sacco di pellet in cantina (sì, quella allagata),
+ ho ritirato il cappotto dalla lavanderia e ricevuti complimenti per lo stesso (trattasi di cappotto acquistato al mercatino di beneficienza del Comitato Contro la Fame nel Mondo alla modica cifra di 10 euri, i miei cromosomi genovesi esultano),
- ho scoperto che tra gli studenti del corso in cui insegno ce n'è uno che non viene mai ma poi misteriosamente si firma presente,
+ aspetto di vedere cosa combinerà all'esame detto "studente" (^_^)
+ mio nipote mi ha chiesto quand'è che gli porto un'altra storia di Adamo (l'eroe delle favole che gli scrivo),
+ ieri sera abbiamo organizzato una cena a sorpresa e sono diventata Matta Hari,
- nessuno mi aveva informato che saremmo stati un branco, per cui ho fatto la torta di compleanno dei puffi,
+ detta torta spaccava,
- oggi a pranzo abbiamo provato i tagliolini cinesi in brodo piccante di manzo, sembrava d'ingoiare delle lumache,
+ il brodo però non era male.

Considerando che sono passati solo tre giorni, tremo al pensiero di cosa mi riservi il fine settimana...