venerdì 28 marzo 2014

Coxo o non Coxo?

Solo due righe per informarvi che venerdì scorso, nonostante una marea di contrattempi, ostacoli e cattiverie varie da parte di un universo che pareva opporsi strenuamente ai miei piani (ne parlerò dettagliatamente in uno dei prossimi post, così almeno elaboro il trauma), sono riuscita a raggiungere incolume la sede di Radio Città Fujiko (anche grazie alla sapiente guida del prode Stefano Pasquinidove ero stata invitata a partecipare a Coxo Spaziale, il programma radiofonico condotto da Stefano Pasquini e da Fedra Boscaro tutti i venerdì sera dalle 22.30 alle 23.30
La mia prima partecipazione ufficiale a un evento pubblico in qualità di Estrema Riluttanza.
Per chi volesse riascoltare il programma, ecco il link:
http://coxospaziale.blogspot.it/2014/03/coxo-spaziale-41-21-marzo-2014-mali.html





martedì 25 marzo 2014

Più plebe, meno ipertensione

Guardando gli ultimi post che ho scritto mi accorgo che da un po' di tempo non parlo di lavoro e non vorrei dare l'impressione che da queste parti si sta tutto il giorno a ballar la liulera, quindi oggi vi parlerò dell'ultimo convegno in cui ho lavorato e delle rughe in più che temo mi abbia lasciato.
Il venerdì mattina si parte in direzione Roma; alla guida del suo potente bolide c'è Mercedes*, mentre io sono finita nel posto del navigatore (errore madornale) e dietro ci sono Elena e Lorenza.
Per un po' tutto scorre tranquillo, facciamo le nostre chiacchiere mentre la macchina scivola lungo l'E45, oggi meno trafficata del solito: gli unici momenti difficili arrivano quando Mercedes si volta verso di me e mi fa domande sulla nostra posizione, tipo "Quindi girando di qua andiamo verso l'Aquila?" inconsapevole del fatto che per quanto ne so io potremmo essere diretti a Timbuctù.
Seguendo il navigatore arriviamo a destinazione in perfetto orario, peccato che dell'albergo che cerchiamo
non ci sia traccia; accostiamo un benzinaio e alle nostre domande l'uomo risponde con fare rassegnato che l'indirizzo riportato sul sito web è sbagliato, che l'albergo si trova a 9 km da lì e che la storia ormai va avanti da anni. Ci tengo a precisare che l'hotel in questione è un 4 stelle, il che forse non ci autorizza a pretendere la vasca idromassaggio in camera ma almeno l'indirizzo giusto sul sito...
Sul fronte lavorativo nessuna sorpresa, il convegno parte come mi aspettavo: i primi due relatori non ci hanno mandato materiale per prepararci, sappiamo solo il titolo dell'intervento, in compenso arrivano con presentazioni power point da oltre 100 pagine, nel nostro metro cubo di cabina di traduzione volano le maledizioni, si prevede una massiccia caduta di capelli entro 48 ore. Comunque, grazie al cielo, il pomeriggio finisce e ce ne possiamo tornare in camera a fare una doccia per poi collassare sul letto prima di cena; io invece di collassare sul letto mi ci infilo proprio dentro e, così facendo, mi accorgo che il mio lenzuolo è pieno di buchi, non uno ma quattro o cinque, è impossibile che la cameriera non se ne sia accorta!
A cena consulto le colleghe e i tecnici ma pare che la fortuna sia solo mia, i loro lenzuoli sono normali. Che sia un nuovo prodotto che stanno testando? Sarà certamente una soluzione innovativa per migliorare la traspirazione, il lenzuolo Geox, il lenzuolo che respira.
A cena l'animale morto la fa da padrone nel menu quindi Elena, che è vegetariana, chiede al cameriere un'insalata che però non si materializza; solo quando vengono a portarci i piatti per il dolce una cameriera nota che Elena non ha mangiato il secondo ma lei a quel punto risponde di non preoccuparsi, che mangerà direttamente il dessert. Risposta della cameriera "No, è meglio se mangi l'insalata, il dolce è un diplomatico, non è un gran che".
Quando finalmente arriva (noi stiamo già finendo il dolce), l'insalata  viene accompagnata dai condimenti di ordinanza, però al posto della saliera (forse troppo plebea), c'è una scicchissima ciotola bianca piena di sale con cucchiaino. Io quelli che hanno queste idee luminose e scicchissime li inviterei a farmi vedere come si fa a salare un'insalata con il cucchiaio senza buttarne giù una montagna, sarei curiosa. Il mio consiglio? Più plebe, meno ipertensione. E magari anche meno buchi nei lenzuoli.
Tornando al convegno, uno dei pochi interventi in italiano lo fa un relatore che non è italiano ma, a detta sua, parla sei lingue e, oltre a fare il suo lavoro, tenere discorsi ai convegni ecc, a volte fa anche l'interprete. Manca solo che ci confessi di essere Batman.
Peccato che in un solo suo discorso facciano capolino parecchie di quelle sei lingue perché quando il gentiluomo in questione non ricorda una parola in italiano (e succede spesso) la sostituisce con il termine equivalente in spagnolo, francese o tedesco, tanto noi in cabina parliamo tutte le lingue dell'universo in un secondo, no?
Concludo con una chicca: verso la fine del secondo giorno uno dei relatori è entrato in sala convegni col cappellone texano e l'ha tenuto per tutto il suo discorso, sembrava di tradurre Tex Willer.

*Per chi non lo sapesse, è alla macchina che è stato dato il nome di una donna, non viceversa.

venerdì 21 marzo 2014

Estremo Oriente con Estrema Riluttanza: vedi Angkor Wat e poi muori

Apro gli occhi ed è buio, strano, sarà ancora notte, un falso allarme. Mi giro dall'altra parte però sento un suono, lo ascolto, io questo lo conosco, cos'è? Sembra la sveglia. All'improvviso, mi torna in mente tutto (anche se avrei preferito di no): Agkor Wat, la
visita guidata e soprattutto l'orario, sono le 4.30. Le 4.30 A.M.
Li odio tutti: l'autista, Rico, le rovine, l'umanità intera. Mi alzo con l'occhio a vongola, una fessura strettissima; vado in bagno, odio anche il bagno. Riesco miracolosamente a scendere le scale e mi ritrovo all'ingresso dove, nell'oscurità della notte, compare il nostro autista 100% cambogiano che si presenta come Mr Black (tipico nome locale). Saliamo su quella specie di risciò trainato da moto che è il tuk-tuk e partiamo verso le rovine. Poco a poco lungo la strada compaiono altri mezzi; ci raggiungono, ci superano, si accodano, sembra il rientro dei vacanzieri la domenica sera sulla statale Adriatica. Però è bello per una volta non morire dal caldo.
Devo dire che qui in Cambogia la gente guida in modo creativo, nel senso che quando arrivano agli incroci girano infilandosi in tutte le corsie, l'impressione è che quello del senso di marcia per loro sia un concetto opinabile.
Per fortuna il nostro baldo autista è uomo saggio e conosce il valore del casco per proteggersi dagli incidenti e infatti uno splendido casco pende da un bracciolo del tuk-tuk, versione asiatica del santino di San Cristoforo, patrono degli automobilisti. Speriamo solo che funzioni.
Quando finalmente arriviamo in zona rovine, siamo una mandria infinita, un mare di tuk-tuk.  Facciamo il biglietto e poi ci avviamo verso il primo tempio dove attenderemo tutti insieme il magico arrivo dell'alba. Lungo la strada la gente si affretta per prendere i posti migliori; io, data l'oscurità, preferisco rinunciare alla pole position ma almeno evitare di inciampare e rompermi l'osso del collo, anche perché il casco-santino è rimasto sul tuk-tuk.
Raggiunto il lago davanti al quale resteremo in piedi per un'ora in paziente attesa, guardandomi intorno noto alle nostre spalle una costruzione sui cui gradini alcune persone si stanno rapidamente accomodando; con una mossa repentina li raggiungiamo, guadagnando gli ultimi posti a sedere e scongiurando il rischio di iniziare l'esplorazione del sito avendo già un gran mal di schiena.
Nell'ora trascorsa seduti su quei gradini ho visto sfilarmi davanti un sacco di umanità e devo confessare che di parecchia di questa umanità si farebbe volentieri a meno. Prime fra tutte le tre fighe di legno (si può dire fighe di legno?) con la tinta bionda identica che ci hanno bruciato la retina (e sgardellato gli zebedei) per un'ora, facendosi continuamente delle foto mentre scrollavano la bionda criniera. E non dimentichiamo le sciantose, quelle che vai a visitare un sito dove sai che devi fare su e giù per scale, ruderi ecc per almeno sei ore e ti metti la zeppa trampolata e il vestito lungo di velo. Una menzione speciale va ai derelitti con bermuda e infradito, sarei stata curiosa di vedere i loro piedi a fine giornata. Anche perché (ma noi l'avremmo scoperto solo dopo) l'ingegnere che ha progettato sto complesso non doveva essere proprio un fulmine coi calcoli e secondo me si è accorto solo alla fine che non aveva spazio per fare delle scale normali, per cui ha infilato ovunque scale ripidissime e con gradini corti che anche per noi con le scarpe chiuse non erano proprio una passeggiata. Se fossi stata al suo posto avrei brillantemente risolto il problema sistemando intorno a ogni edificio un bel tapis roulant come in aeroporto (l'assenza di elettricità compensata da un pesante utilizzo di schiavi trascinatori). Volete mettere la comodità? Per non parlare del panorama...
So che non dovrei dirlo (sito patrimonio dell'Umanità dell'Unesco ecc ecc) però la cosa in assoluto più bella per me sono stati questi alberi secolari immensi, maestosi, che ogni tanto incontravamo lungo il percorso e che puntualmente ci fermavamo a fotografare (solo noi e i turisti giapponesi). Uno l'abbiamo anche abbracciato.
Ah, prima che mi dimentichi: ore 06.00, tempo nuvoloso, alba spettacolare ciccia.


martedì 11 marzo 2014

Estremo Oriente con Estrema Riluttanza: un viaggio, un delirio, un karma

Oggi siamo in partenza per la Cambogia, viaggio in autobus con durata prevista di nove ore (quindi potenzialmente di quindici, niente panico). Chiaro che prima dobbiamo arrivare alla stazione di Mo Chit che trovasi non proprio dietro l'angolo quindi  non c'è tempo da perdere, alle 07.00 ci alziamo e senza neppure fare colazione (la faremo in stazione) scendiamo in strada alla ricerca di un taxi.
Ieri il percorso dalla stazione dei bus fino all'albergo (eravamo andati a fare i biglietti) ha richiesto poco meno di mezz'ora ma si sa che la mattina a Bangkok nell'ora di punta è tutta un'altra storia quindi, anche se il nostro autobus parte alle 9.00, alle 7.30 stiamo già salendo sul taxi.
Si dà il caso che il mezzo che abbiamo scelto sia guidato da uno di quegli individui che da noi in Romagna sono generalmente noti come rabaziéri, quelli che cercano di fregarti anche mentre respirano, non ce l'hanno con te, ce l'hanno nel DNA.
Il tizio in questione, il cui tassametro è abilmente coperto da un enorme groviglio di oggetti appesi allo specchietto retrovisore, inizialmente tenta di estorcerci quasi il triplo rispetto a quanto pagato il giorno
prima per lo stesso tragitto, poi dopo un duro negoziato concordiamo 200 baht + 50 per il pedaggio dell'autostrada (necessaria dato il traffico in città). Pur essendo una cifra superiore a quanto pagato ieri, alla fine accettiamo, più che altro per sfinimento.
Una volta conclusa la trattativa ci rilassiamo sul sedile posteriore del taxi convinti che ormai il più sia fatto ma non ci vuole molto prima che ci rendiamo conto che la cosa butta male, perché a Bangkok quando butta male butta veramente male, puoi passare mezz'ora immobile nello stesso punto senza alcuna motivazione apparente se non il fatto che quelli davanti a te non si muovono.
Decidiamo di prenderla con filosofia, dopotutto abbiamo un'ora e mezza e ci basta arrivare all'autostrada, una volta là il traffico scorrerà sicuramente meglio. Peccato che questa benedetta autostrada non arrivi mai, mentre il taxi si muove a singhiozzo e le 9 si avvicinano sempre di più.
Non essendo abituata a mangiarmi le unghie, mentre Rico tamburella nervosamente con le dita sullo sportello, io mi limito a farmi venire la gastrite e, con lo sguardo perso e la speranza in rovinosa picchiata (sono ormai passate le 9), comincio a elaborare piani di emergenza, tutti con un unico comune denominatore: io a Bangkok non voglio restare quindi l'unica è arrivare alla stazione e poi scegliere una destinazione tra quelle degli autobus che partono stamattina. L'avventura con la A maiuscola.
Mentre il cervello elabora opzioni, alzo distrattamente gli occhi e così, senza alcun preavviso, mi trovo davanti la stazione dei bus mentre un pensiero si fa prepotentemente strada accompagnato da un giramento di zebedei di proporzioni cosmiche: lo stronzo non ha preso l'autostrada, probabilmente contando sul fatto che non ce ne saremmo accorti e avrebbe quindi intascato dei soldi in più. Guardo Rico e anche lui se n'è accorto, gli fa presente che non ha preso l'autostrada e chiede una spiegazione, ma quello fa finta di niente e si ferma davanti all'ingresso.
C'è da dire che io quando mi arrabbio per davvero non perdo le staffe, non urlo, al contrario divento estremamente calma; ho chiesto a Rico di scaricare i bagagli e poi mi sono piantata davanti al tizio con una faccia che immagino parlasse da sola e gli ho detto che lui l'autostrada non l'aveva presa per cui i soldi in più se li poteva scordare perché ci aveva fatto perdere l'autobus e quindi un sacco di soldi; il nostro eroe l'ha presa bene, da vero signore, mi ha mostrato il dito e regalato un simpatico fuck you.
Paese che vai, rabaziere che trovi.
Siamo entrati in stazione parecchio mogi (io più che altro mandavo fiamme dal naso) e siamo andati verso la corsia del bus per la Cambogia per vedere se magari quel giorno c'era un'altra corsa.
Il bus era ancora lì!
Causa traffico mancavamo all'appello in quattro e, avendo dato loro i nostri nominativi la sera prima, ci stavano aspettando nonostante fossero le 9.15 (avremmo imparato dopo che l'orario di partenza dei bus in Thailandia è piuttosto elastico)
Non sto a dirvi il sollievo e la felicità all'idea di non dover cambiare tutti i nostri programmi. Siamo saliti scusandoci del ritardo e dopo qualche minuto, una volta arrivati anche gli ultimi due e il bus è partito in direzione Cambogia, un viaggio lungo (causa anche burocrazia lentissima al confine) ma sostanzialmente tranquillo.
Appena scesi dall'autobus a Siem Reap siamo stati arpionati dall'autista di un tuk tuk che ci ha portati all'albergo che avevamo scelto (dove fortunatamente avevano una camera libera e soprattutto una piscina sulla terrazza) e poi si è gentilmente offerto di portarci l'indomani mattina a visitare il complesso di templi di Angkor Wat.
Stavamo per accettare quando l'uomo ci ha informati che il momento migliore per visitare il complesso è l'alba, per cui sarebbe passato a prenderci alle ore 5.00.
Ora, non so voi ma io non riesco a pensare a un motivo abbastanza importante per cui io debba alzarmi alle 4.50 di notte, oltretutto in vacanza, quindi stavo per rispondere che se lo poteva sognare ma poi Rico ha insistito dicendo che se tutti andavano a quell'ora ci  doveva essere un motivo e che così avrei sofferto meno il caldo, io che me ne lamento sempre! A quel punto, probabilmente a causa della fatica e dello stress accumulati durante la giornata, il mio cervello è andato in tilt e quando finalmente si è riconnesso eravamo già in camera e l'escursione era stata concordata, per fortuna per due giorni dopo.
Un'ora più tardi, mentre sguazzavo in piscina godendomi il fresco dopo una giornata decisamente intensa, due pensieri facevano prepotentemente capolino nella mia testa:
1) come diavolo farò a svegliarmi alle 4.50? Sopravviverò per raccontarlo?
2) se l'autista rabaziere avesse usato il tassametro (che quando il taxi va molto piano inizia a tariffare a tempo) avrebbe probabilmente guadagnato di più.
Chissà se anche in Thailandia lo chiamano karma.

domenica 2 marzo 2014

Estremo Oriente con Estrema Riluttanza: gli inizi

Partenza prevista per venerdì 7 febbraio ore 13.40, volo con destinazione Bangkok e scalo a
Mosca (il biglietto costava meno); nei giorni precedenti la frenesia nell'aria era palpabile, tutto molto last minute, troppe cose da fare e troppo poco tempo per farle.
Data la premessa, mi aspettavo il disastro e invece, se escludiamo il fatto di esserci dimenticati il sacco dell'umido dentro casa (un pietoso genitore s'è incaricato della cosa), mi sento di dire che questa volta la partenza è stata una delle più tranquille che io ricordi.
Ovviamente il viaggio aereo è tutto un'altro discorso e non solo per colpa nostra; dal momento in cui varchi la soglia dell'aeroporto entri in un universo parallelo in cui tutto costa dieci volte di più, il cibo sa di plastica o gomma (se è morbido) e improvvisamente l'acqua minerale diventa questo pericolosissimo nemico e se te ne trovano una bottiglietta in borsa te la sequestrano con quel fare da squadra narcotici che ha appena pizzicato un grosso spacciatore, per non parlare dei muri, tutti uguali, le sedie, tutte uguali, sembra di essere appena passati di lì e invece è mezz'ora che cammini per arrivare dal terminal B al terminal ZX e hai probabilmente macinato qualche chilometro.
La ciliegina sulla torta arriva quando sali sull'aereo e comincia la rumba di snack/bibite, pranzi cene colazioni, ad orari che con il ciclo di vita umano hanno ben poco a che fare. Questa volta abbiamo pranzato verso le 15 mentre la cena, causa ritardo del secondo volo, ce l'hanno servita verso l'una di notte e alle 3 hanno spento le luci per "dormire", salvo poi riaccenderle alle 5. Sadici.
Del menu ricordo solo un pomodoro ciliegino che sapeva di giuggiola, il formaggio arancione e, per colazione, lo stesso pollo a fette della cena affiancato a un pancake che era un masgotto (leggi pallotto, ammasso densissimo) inaffrontabile.
Comunque, nonostante tutto, siamo arrivati interi dall'altra parte del mondo ed essendo la nostra terza volta in quel di Bangkok, nel giro di qualche ora avevamo trovato un albergo, fatto una doccia e consumato il nostro primo pasto in loco, seduti ai tavolini di plastica di uno dei mille ambulanti che vendono cibo per le strade della città.
I due giorni successivi li ho trascorsi lottando con l'inevitabile jet-lag; fortunatamente in Thailandia il wi-fi è ovunque quindi anche alle 3 di notte, stesa a letto nel buio della mia camera mentre qualcun'altro (maledetto) dormiva beatamente, potevo mandare messaggi e navigare in attesa dell'alba. Va da sè che di giorno sembravo una comparsa de "La notte dei morti viventi", causa anche la temperatura oltre i 30 gradi e un'umidità da piscina.
I primi giorni ce la siamo presa comoda, abbiamo visitato qualche tempio lì nei dintorni, preso le barche-bus per spostarci lungo il fiume dimenticando per un po' il traffico allucinante della città e osservando la gente che andava al lavoro, a scuola e misteriosamente in giro con ceste piene di teste di pesce. Abbiamo pure mangiato qualche tagliolino in brodo di cui avevamo sentito molto la mancanza a casa.
La mia mise in giro per Bangkok non era proprio delle più chic, come ambasciatrice del Made in Italy nel mondo non avrei fatto una gran figura ma dovete capire che girare in questi climi è complicato; oltre a tutto il solito armamentario del turista fai-da-te, già di suo piuttosto ingombrante, avevo sempre con me quanto segue:
1) un ombrello parasole (qui li vendono foderati dentro così non passa neanche un raggio di sole) ispiratomi dalle signore giapponesi, che evidentemente ne sanno a pacchi perché l'ammennicolo in questione  riduce di almeno 4-5 gradi la temperatura avvertita e sarà quindi mio inseparabile compagno per tutti i secoli dei secoli, amen
2) una felpa da indossare sul treno sopraelevato, nei centri commerciali, sui taxi e in generale ovunque abbiano l'aria condizionata accesa, essendo normale arrivare da fuori (35 gradi) e trovarsi in un ambiente a 18-20 gradi che ti congela il sudore addosso e poi ti ammali e cominci a starnutire, cosa che qui pare non essere ben vista e si rischia di fare la figura dei soliti farang buzzurri
3) un pareo da avvolgermi intorno a mo' di gonna per quando si entra in un tempio dove le peccaminosissime ginocchia devono essere nascoste (per le braccia ho una maglietta con manica)
Fare i turisti non è sport per tutti.
Una volta ripresi ritmi di vita normali, abbiamo acquistato due biglietti per l'autobus che andava in Cambogia, un viaggio, un delirio.

Ma di questo parleremo la prossima volta.