sabato 24 dicembre 2011

L'ukulele con la barba bianca è una renna col naso rosso

Oggi vi parlo di una novità di questi ultimi mesi, però per fare un cappello fatto bene devo tornare indietro di almeno tre lustri. Come saprà chiunque trovasi a intrattenere relazioni con il musicista medio, questi non riesce a concepire che chi gli sta intorno non provi il medesimo smodato entusiasmo per la sacra arte e quindi a intervalli regolari incoraggia a destra e a manca affinché si intraprenda lo studio di uno strumento musicale.
Negli ultimi quindici anni mi sono stati presentati strumenti di ogni genere e sospetto che l’unico motivo per cui non siamo arrivati a didjeridoo e affini è solo di tipo organizzativo/logistico (oltre ovviamente alla comprensibile preoccupazione delle ecchimosi che causerebbe l’essere colpiti ripetutamente con i citati strumenti). La risposta è sempre stata un fermo no, di musicista in famiglia ne basta uno.
Negli ultimi anni però è arrivato un nuovo inquilino, piccolo, simpatico, uno che non se la tira per niente e ti guarda sorridente come a dirti “Dai, prendimi in mano, senza impegno!” E così mi sono ritrovata a pensare che forse con lui lì potevo anche andare d’accordo, chissà.
Un paio di mesi fa ho comunicato la mia intenzione al musicista di cui sopra, il quale è partito subito in quarta con un piano di studi che avrebbe fatto venire freddo ai piedi a Mozart quindi ho dovuto mettere dei paletti. Io mi conosco e so benissimo che non ho voglia di mettermi lì a studiare per studiare, quindi gli ho detto che volevo imparare canzone per canzone, in modo da avere qualche gratificazione a intervalli regolari. L’uomo ha mugugnato cose del tipo mai che stia a sentire! Deve far sempre come pare a lei ecc (e non è che non abbia ragione in effetti) ma alla fine mi ha assecondato, salvo poi darmi della lavativa un giorno sì e uno no. Così facendo ho imparato la mia prima canzone e non mi dilungo se non per dire che quando sono riuscita a cantare e suonare La gatta di Gino Paoli c’era una parte di me che aveva un sorriso da orecchio a orecchio mentre l’altra parte mi guardava e pensava ma sei scema?

Avvicinandomi al Natale, ho pensato che mi avrebbe fatto piacere condividere con voi quella che è a tutti gli effetti la mia canzone di Natale preferita, quella sulla renna Rudolph e il suo naso rosso, una canzone allegra e che non la fa cadere dall’alto, si diverte e basta. Spero che vi piaccia.

 


Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

mercoledì 21 dicembre 2011

La piadina romagnola e le bocce

Oggi torno a casa verso l'ora di pranzo e sono mediamente di buonumore; fuori fa un freddo boia ma almeno il cielo è blu puffo e splende il sole, che sarà anche quel sole di dicembre un po' stitico ma non è il momento di fare i difficili, dopo tutta la nebbia che ci hanno rifilato.
Parcheggio e prima di entrare in casa controllo la cassetta della posta: ovviamente di posta seria non ce n'è, in compenso la pubblicità abbonda. Do un'occhiata veloce prima di cestinare tutto (nel bidone della carta, ci mancherebbe!) e trovo un simpatico volantino che reclamizza tale Cello e le sue piadine. Il nome dell'attività sembra essere Il Passatore, con tanto di simbolino-faccia del Passatore.
Fin qui tutto regolare, magari la foto del tizio vestito da babbo natale che con il dito indice si tocca la tempia è un po' oscura, non capisci se è uno che sta pensando di ordinare tonnellate di piadine da Cello o invece uno che ti sta dicendo:"Non hai ancora provato le piadine di Cello? Sei fuori di testa!" ma in fondo non è niente di grave. Ammetto che l'espressione del babbo natale in questione è un po' inquietante e mi auguro di non dovergli mai confessare che  le padine di Cello io non le ho ancora provate, essendo che ce lo vedrei con un'ascia in mano che mi rincorre (la sega a nastro no, che questo mi sembra uno che predilige il tradizionale).

Tutte le mie considerazioni, idee, sensazioni ecc, vengono però prepotentemente spazzate via quando giro il volantino: parto in alto a destra dove ci sono le foto delle piadine farcite, dei crescioni, dei rotoli di piadina ecc, insomma un gran ben di dio che ti fa venire anche un po' di acquolina in bocca. Poi l'occhio scende e si trova a posarsi sulla foto di due topolone pettorute e scollacciate che ammiccano inguainate in jeans e top con l'immancabile piercing nell'ombelico e le bocce rigorosamente de fora; ciliegina sulla torta è il simbolo del passatore visibile a livello della tetta sinistra. Completano il tutto con un tocco festoso dei simpatici cappellini da babbo natale.

A questo punto piovono interrogativi come a Londra in marzo: cosa diavolo c'entrano ste due tizie con Cello e le sue piadine? Sono forse le piadinaie? Quando vai al negozio ti servono loro inzampate come nella foto? O sono quelle che fanno le consegne a domicilio con tanto di davanzale a vista e cappellino nataloso, un po' stile film porno di quart'ordine? Se la risposta a queste domande è sì, suggerisco caldamente di specificarlo nel volantino (in maiuscolo), scommetto che le vendite aumenterebbero esponenzialmente, altrimenti a mio avviso trattasi di pubblicità ingannevole, che sia il caso di pubblicare una segnalazione su facebook?

mercoledì 14 dicembre 2011

La Came, le bolle e il Secchione: un regalo coi fiocchi.

Questo post l'ho lasciato un po' invecchiare in botte di rovere, dopotutto il barricato fa molto scic :)


Stasera festeggio il mio compleanno, non perché sia il mio compleanno ma perché il regalo di mia sorella è usufruibile solo oggi. Per essere più chiari, stasera a Bologna c’è lo spettacolo di Arturo Brachetti Ciak si gira! e noi si ha due biglietti. Per l’occasione mi volevo tirare a balestra ma fuori fa un freddo boia e noi si dovrà andare dal ristorante al teatro, quindi niente bracciale di strass, niente stivali da pioggia fucsia, niente mantella viola, insomma, una tristezza. Per non sembrare un mix preoccupante tra una suora di clausura e un assassino prezzolato, metto al collo una collana rigida d’argento che si ostinerà a girarsi per tutta la sera e che mi lascerà sempre il dubbio di avere il collo nero causa ossidazione argento.
Parto come sempre un po’ di corsa ma il tragitto fino a Imola è tranquillo, di sabato la gente ha di meglio da fare che pascolare in autostrada. Il percorso Imola-Bologna è invece un po’ più affollato anche se neppure lontanamente paragonabile alla Bologna dell’ora di punta. Dato che guida la Checca a me tocca gestire il navigatore e, come sappiamo, ho i miei problemi. Ci tengo comunque a sottolineare che anche il navigatore non era in formissima. Nonostante entrambi, al teatro ci arriviamo ed è proprio in orario di chiusura dei negozi per cui l’ardua impresa di trovare un parcheggio si risolve in soli cinque minuti. Scendiamo dalla macchina e io non ho la più pallida idea di dove sono; non so se riesco a spiegarmi, non è che non sappia dov’è il teatro (ce l’ho davanti), non ho proprio idea di come sono girata rispetto a Bologna e mi sono già dimenticata la spiegazioni di mia sorella su quali porte siano vicino al teatro. Fortunatamente io e lei condividiamo un sacco di cromosomi ma quello dell’orientamento lei ce l’ha più grosso quindi mi lascio guidare e in pochi minuti arriviamo al ristorante pizzeria La porta di San Felice, scelto appositamente per la sua vicinanza al teatro. La logistica innanzitutto.
La Trattoria/Pizzeria di Porta San Felice
Entriamo e la Checca dice al cameriere che abbiamo prenotato per due; lui ci indica un tavolo e si dilegua. Sul nostro tavolo c’è un biglietto con su scritto prenotato ma non c’è nessun nome; sbircio gli altri tavoli ma anche lì c’è solo il cartellino con su scritto prenotato. Evidentemente hanno una gran fiducia che nessuno millanti una prenotazione che non ha. Il locale sembra una trattoria tradizionale e il menu non delude. Opto per i tortelli di zucca con ragù e prima decidiamo di dividere un antipasto XXL. Messa al corrente dei nostri piani, la cameriera ci squadra e poi ci suggerisce di aspettare di aver mangiato l’antipasto prima di ordinare i primi, a me pare un po’ strano però l’esperta è lei…
Quando arriva il piatto in questione, non posso che riconoscere la saggezza del consiglio: ci sono crocchette di verdure, polpette, melanzane alla parmigiana, patate con pancetta e formaggio e, per finire in gloria, olive piccanti.
Pur partendo con le migliori intenzioni e un notevole appetito, riusciamo a stento a finirlo e ci troviamo obbligate a confessare alla Cameriera (la maiuscola a questo punto è d’obbligo) che non c’è nessuna possibilità di riuscire a mangiare anche un primo. La sua reazione non si fa attendere: “Lo sapevo che non dovevo dirvi di aspettare a ordinare, adesso mi licenziano!”  Ci facciamo una risata e decidiamo che però un dolcino, quello ci sta. La Came caldeggia il tiramisù (tirami up, come lo chiama lei) ma io punto la torta alla crema con more e la torta con mascarpone e amaretti. La seconda è finita e quindi dietro consiglio della Came ripariamo su una mousse mascarpa e nutella che sì, può andare, però resta il rimpianto. Siamo lì che finiamo la torta chiacchierando rilassatissime quando noto che la Checca mi si irrigidisce e chiede:”Che ore sono?” Guardo l’orologio, sono le nove meno cinque LE NOVE MENO CINQUE! Inizio spettacolo ore nove. Molliamo tutto lì e corriamo alla cassa; passando rallento un attimo per spiegare alla Came che il dolce era proprio buono ma il tempo è tiranno e ci tocca lasciarne una parte. Non sia mai che le lasci l’impressione di non aver apprezzato il dessert che ha suggerito, sarebbe indelicato, proprio non si può.
Essendo che la Checca si allena per la maratona e io qualche corsetta ogni tanto la faccio, volendo potremmo anche correre come gazzelle verso il teatro ma non sarebbe bello arrivare tutte scapigliate e magari con l’ascella pezzata quindi, confidando nel fatto che non si è mai visto uno spettacolo che inizi secondo programma, allunghiamo la falcata e incrociamo le dita. Ringrazio il cielo di aver optato per gli stivali bassi snobbando le francesine bombate davanti con tacco otto/dieci, non sarei riuscita a gestirle.
Fila tutto liscio: arriviamo in tempo a teatro, ci indicano i nostri posti e, meraviglia delle meraviglie, quelli davanti ai nostri sono occupati da due bambine che avranno cinque/sei anni e quindi superano di poco la spalliera della sedia. Una fortuna così non si era mai vista. E infatti non dura, poco dopo l’inizio dello spettacolo le due ridotte si lamentano con le madri che quindi si siedono nei loro posti, prendendole sulle ginocchia. Fortunatamente non sono Vatusse né sono cotonate stile Sofia Loren per cui tutto sommato non c’è da lamentarsi.
E adesso veniamo allo show.
Devo dire che durante lo spettacolo la mascella mi è caduta parecchie volte; in più ho goduto di una colonna sonora inattesa e gentilmente offerta dai tizi seduti dietro di noi, tutte variazioni più o meno auliche di “Ma come cazzo ha fatto?!”
Ogni tanto noi del pubblico si veniva interrogati da Brachetti sui personaggi che stava rappresentando (con solo l’ausilio di un anello di carta marrone ne avrà fatta una trentina) e devo ammettere che, almeno in un caso, quando le bambine davanti a noi hanno risposto all’unisono “Capitano Uncino!!!”, io mi trovavo ancora a brancolare nell’oscurità di una galassia lontana lontana.
Ovviamente tra le prime file era in agguato l’inevitabile secchione che rispondeva di sì a tutto, indipendentemente dalla domanda. Esempio:
Brachetti: “Il suono è come un filo nero che accompagna il film”
Mima con le dita lo svolgersi di un filo, poi ci guarda e chiede: “Lo vedete?”
Secchio-man: “Sììììì!!!!!!”
Brachetti (con un’occhiata divertita in direzione del Secchione):”Ma se non c’è?!! E come mai non c’è? Perché è un suono, non si vede!”

Per riassumere: un gran bello spettacolo, tecnologia e bolle di sapone, piacerebbe a chiunque, con o senza prole.

All’uscita si è presentato il problema di ritrovare la macchina tra le centinaia parcheggiate in zona ma ancora una volta la Checca, dopo aver riso del mio momentaneo panico, si è attivata e mi ha condotto con successo alla meta; a quel punto mi sono ritrovata a combattere col navigatore e son stati momenti difficili. Dopo circa un quarto d’ora abbiamo svoltato e io, sempre fissando il navigatore ho commentato sollevata “Dai, adesso stiamo tranquille per un po’, qui dice di andare dritto per 6,7 km!”, in risposta è arrivata la risata di mia sorella: “Per forza, siamo in tangenziale e dobbiamo andare a prendere l’autostrada per Ancona!” Ho alzato la testa e in effetti era vero. Mi son sentita molto Stanlio.
Il ritorno a Imola è stato tranquillo, anche perché stavolta il parcheggio me l’aveva indicato la Checca che ivi risiede quindi non c’era nessuna catena a ostruire il passaggio (vedi Attacco di Vega sull'Arena di Verona: George Michael in concerto).
Una bella serata cittadina, che per noi gente di provincia è sempre una novità, anche se resta un po’ di rimpianto per quel mezzo dolce al mascarpone e nutella…

giovedì 8 dicembre 2011

Giove e Saturno uniti contro i punti neri

Eccomi di ritorno come promesso. Quello di oggi sarà un post/tutorial con consigli e suggerimenti dermatologici. Non posso prendermi il merito di cotanta chicca, essendo che sto vampirizzando un articolo di Glamour, numero di dicembre.
L'articolo in questione ci svela che il nostro benessere cutaneo è regolato da quattro pianeti: Luna, Marte Venere e Saturno quindi, sostanzialmente, prima di fare un peeling è meglio leggere l'oroscopo. In questo caso siamo molto fortunati perché con l'aiuto di un esperto di astrologia ci vengono suggeriti i momenti ideali per tutta una serie di procedure che porteranno la nostra pelle alle vette dello splendore cutaneo. Bando alle ciance, partiamo.

Gennaio - La partenza è in salita: il Sole in quadratura è ostile, quindi tocca intervenire sulla luminosità della pelle con peeling e pulizia profonda.
Febbraio - La posizione di Giove può causare sensazioni di gonfiore, meglio iniziare una cura drenante o dieta, possibilmente il giorno 21 (se il giorno 21 vi regalano dei ciccioli, sapete dove trovarmi).
Aprile - Il Sole torna a rompere gli zebedei (essendo in opposizione penalizza la luminosità cutanea), buttatevi su scrub e maschere rivitalizzanti come se non ci fosse un domani.
Giugno - Giove in Gemelli stimola una maggiore produzione di sebo (non credo di dover aggiungere altro).
Luglio - Stavolta il problema è Marte in Bilancia che determina una sensibilità cutanea (ma solo a partire dal giorno 4), per cui due mesi prima vi tocca iniziare a bombarvi con l'integratore di licopene (e non avete scuse, il programma ve lo danno adesso!)
Agosto - Dal 17 c'è la Luna Nuova, quindi la pelle trionfa (sarà mica stato tutto quel licopene?) e se la tira un casino.
Ottobre - I meno fortunati che hanno la pelle grassa vedranno un aumento dell'oleosità cutanea dovuto a sto fatto che Marte e Giove sono opposti; a quelli che hanno la pelle secca invece cadranno molti capelli causa le maledizioni scagliate contro di loro dagli invidiosi unti di cui sopra.
Novembre - La Luna Nuova del 13 è propizia per iniziare trattamenti antirughe, macchie, acne, couperose. Ringraziano le estetiste che probabilmente il 15 devono versare l'IVA.
Dicembre - L'opposizione di Venere a Giove segnala un eccesso di impurità a partire da dopo il 23 (chissà come mai?!)

Noterete che mancano alcuni mesi, sono quelli noiosi in cui il livello di assurdità era inferiore allo standard minimo accettabile.
Devo confessare che scrivere un articolo non è mai stato così facile.

martedì 6 dicembre 2011

Scarlet is the new black

Oggi è un po' un giorno cazzeggio: non lavoro, fuori c'è la nebbia e la voglia di lavorare è partita prima per il ponte dell'Immacolata per evitare le file, quindi son qui che faccio colazione con la mia tazza di tè e il numero di dicembre di Glamour, fonte inesauribile di divertimento, nonchè base per parecchi dei miei post Toccata e Fuga.

In questo caso le cose si muovono lentamente, passo le prime inevitabili e interminabili pagine di pubblicità (sì, perché il resto cos'è?), arrivo al pezzo sul vermiglio passionale (che l'articolo sostiene essere il nuovo nero) e mi soffermo sull'immagine della scarpa con tacco a spillo e aperta davanti (qui definita stiletto open toe). Qualcuno prima o poi mi spiegherà perché dovrei comprarmi una scarpa con un buco davanti quando fuori ci sono tre gradi, sarà che io non sono fescion ma ci terrei a conservare tutte e dieci le dita dei piedi, chiamatemi sentimentale.
Sempre il pezzo sul vermiglio passionale ci presenta vari oggetti in questa trendissima nuance, tra cui una clessidra con doppi calici. Rileggo tentando di capire ma il mistero rimane fittissimo: la clessidra è composta da due calici (uno a testa in giù) uniti a livello degli steli, all'interno scorre una polvere vermiglia e passionale. Prima domanda: perchè? Seconda domanda: perché? E potremmo continuare all'infinito.

Per fortuna basta un sorso di tè e torna il sereno, deglutisco e vado avanti. L'attenzione  si sposta su un altro oggettino subito sotto, un papillon di ceramica (sempre vermiglio passionale) che a prima vista immagino essere una bomboniera, uno di quegli oggetti smaltati e privi di senso che darebbe grande soddisfazione tirare contro un muro. Guardando meglio, però, noto una specie di banda elastrica nera con chiusura e la verità si fa prepotentemente strada: non è una bomboniera ma un vero papillon, hanno prodotto un papillon di ceramica da mettersi al collo. Ottimo, a quando le mutande di terracotta?
Per oggi direi che è tutto, a domani per l'oroscopo dermatologico (cosa fare quando la pelle ha Saturno contro).

venerdì 2 dicembre 2011

Street art e marshmallow puffosi: Drink & Draw per Cesena Comics

Domenica 13 novembre si è concluso ufficialmente Cesena Comics 2011, il festival dedicato al fumetto e ai suoi fan di tutte le età. La conclusione era affidata a un evento particolare, una serata “Drink & Draw” in cui vari disegnatori ospiti del festival si sarebbero trovati a bere un bicchiere di buon bere, fare due chiacchiere e, soprattutto, disegnare in libertà.
La colonna sonora della serata era nelle mani di “Enrico Farnedi e i suoi ukuleli” (mi piace ukuleli), quindi noi non potevamo mancare.
Alle ore 20.30 l’Ale ha suonato il mio campanello e alle 20.45 eravamo sotto casa della Clodia; la Ste purtroppo era di turno al teatro Bonci e quindi ci avrebbe raggiunto là.
Per una volta abbiamo osato (non guidavo io) e la nostra baldanza è stata ricompensata: abbiamo trovato parcheggio a pochi metri dalla piazza del popolo, più centro di così non si può.
Andando verso il locale ci siamo fermati davanti a un negozio di suppellettili e, mentre la Rini e Paul vagliavano gli oggetti in vetrina alla ricerca dell’attaccapanni definitivo, mi è caduto l’occhio per terra e più precisamente sul disegno dell’omino che indica il percorso pedonale, disegno che una mano misteriosa aveva reinterpretato. L’umorismo romagnolo pare godere di ottima salute.
L’enoteca Vivì era già parecchio affollata per cui ci siamo buttati sull’unico divano libero, quello di fianco a dove suonava il Farnedi. Peccato che il divano fosse per tre e noi invece fossimo quattro, per cui l’Ale e la Clodia che erano in mezzo stavano come papesse, mentre io e Paul ai lati eravamo a dir poco sacrificati, a dir bene insteccati come stoccafissi. Quando è iniziato il concerto mi sono ritrovata a fare le contorsioni per vedere qualcosa perché, pur essendo di fianco al palco (anche quello un altro divano), nel tentativo di far posto a tutti alla fine mi ero ritrovata girata al contrario (sono un genio). In più alcune ragazze, non riuscendo a trovare sedie libere, avevano optato per il pavimento, soluzione comprensibilissima ma che trasformava qualsiasi tentativo di andare a prendere da bere in un simil-camel trophy. Per fortuna di lì a poco due degli occupanti del divano di fronte se ne sono andati e noi ne abbiamo preso possesso, se non altro ho evitato un potenziale colpo della strega.
Sul tavolino di fronte a noi, oltre ai prevedibili bicchieri di vino, c’erano delle mucche pezzate di plastica, uno scoiattolo a molla e uno stagno con paperette anch’esso di plastica. A Farnedi ci piace decorare (vedi asse da stiro avvolta in una tovaglia e cosparsa di lucine di Natale posta a lato palco).
L’artista era in solitaria, quindi il concerto è stato molto raccolto, intimo. Non aveva pedalini e questo secondo me un po’ l’ha fatto soffrire ma a volte la vita è matrigna. A noi invece è andata meglio: da una parte Paul  si è eroicamente offerto di andarci a prendere qualcosa da bere e ci ha portato a chi un ottimo bicchiere di rosso, a chi del vin santo, sfidando le intemperie di quel mare di gambe e piedi che lo separava dal bar, dall’altra Farnedi aveva messo a disposizione del pubblico una ciotola piena di orsetti gommosi e noi non ci siamo certo fatti pregare.
Però c’è un però; al nostro arrivo non avevamo potuto fare a meno di notare il sacchetto di marshmallow a forma di puffi appoggiato con noncuranza sul divano del musico, il quale musico l’aveva definito un omaggio dell’organizzazione. Ora, a casa mia, se lasci un sacchetto di roba da mangiare in bella vista, poi lo devi condividere, mica puoi fare finta di niente. E invece il concerto proseguiva e di puffi neanche l’ombra. Ho deciso di passare all’azione: mentre Farnedi era impegnato con l’accordatura del millesimo ukulele, ho iniziato ad allungare la mano poco a poco, strisciando sul divano in direzione del sacchetto. Di fonte a me la Clodia ha notato la mia manovra e io le ho fatto un cenno, indicando con gli occhi il sacchetto di puffi; immaginate il mio sgomento quando la serpe in seno mi ha segnalato al Farnedi svelando l’ardito piano! In un attimo il sacchetto di puffi è sparito e sono stata pubblicamente redarguita. Vari gesti in direzione della Rinaldi le hanno fatto capire che me l’avrebbe pagata, la spiona, intanto però toccava rassegnarsi. Il concerto è proseguito tra cover del cugino veterinario e cuori a metano. L’unico appunto che mi sentirei di fare è che quando l’uomo ha attaccato Julie, l’ukulele scelto era troppo morbido per rendere la disperazione e l’angoscia del pezzo. Ma poi queste sono idee mie che chissà…
Pur continuando a seguire il concerto, una parte della mia mente si arrovellava sul problema dell’accesso ai puffi, temporaneamente impedito, come sbloccare la situazione?
 Alla fine ci sono riuscita ma, onestamente, non posso prendermi il merito della situazione se non per il fatto di aver colto l’attimo: Farnedi mi ha alzato la palla e io ho schiacciato. Eravamo ormai ben oltre la metà del concerto quando al microfono the artist mi ha chiesto che ore fossero e io gli ho risposto “È l’ora dei puffi!” A quel punto aveva le mani legate, ha tirato fuori il sacchetto e l’ha fatto girare. Dopo vari avanti e indietro, finalmente la merce è tornata all’ovile e ho potuto assaggiarne uno: la cosa più schifosa che si possa immaginare, dopo dieci secondi ti sembra di aver in bocca una lumaca, oltretutto sa di plastica ma dolcissima. Ho dato fondo a tutto il mio vasto repertorio di facce schifate, avrei voluto sputarlo ma non si fa (sempre ste xxx di buone maniere) quindi mi è toccato ingoiarlo tra le risate del popolo dei divani.
Tra le chicche del concerto segnalo la cover di Bovi in moscone, una delle mie canzoni favorite, anche se preferisco ascoltarla quando c’è anche Marco Bovi che suona. Mi resta il rammarico di non essermi alzata per osservare un po’ più da vicino i disegnatori al lavoro che purtroppo erano dall’altra parte della sala; ci ho pensato più di una volta ma, da una parte avrei dovuto calpestare parecchia gente accomodatasi sul tappeto, dall’altra ero seduta proprio a mezzo metro dal Farnedi e quindi un mio alzarmi e andare via non sarebbe passato inosservato quindi, da vera pusillanime, ho lasciato che il non oso prevalesse sul vorrei come il vecchio gatto del proverbio.
Si stava bene in quel posto là, tra chi chiacchierava, chi disegnava, chi elencava le cose da mangiare che non ci piacciono e chi come l’Albertini elencava quelle che non può mangiare per intolleranze varie. È un po’ il dramma di quelle domeniche sera che finiscono tra le migliori, quando stai passando una serata stupenda ma hai il lunedì appollaiato sulla spalla che rompe le balle, quindi alla fine ci siamo arresi, abbiamo salutato un po’ tutti e, con un ultimo inchino a Elisa Rocchi per rendere merito all’organizzazione del Festival e della serata, noi cinque donzelletti abbiamo abbandonato il calore del Vivì per il freddo e il gelo dell’era glaciale scesa quella sera giusto per noi.
Qui trovate alcune foto della serata




Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

mercoledì 30 novembre 2011

La paleodieta: Wilma dammi la clava!!!!!!!!

Siamo in edicola e, mentre Rico dà un'occhiata ai fumetti, io gironzolo senza particolare interesse leggendo i titoli delle riviste; non ho voglia di cose serie quindi l'occhio tende a cadere sulle assurdità. Trovo un numero di Marie Claire (novembre o dicembre, non so) che pare abbastanza grosso da poter essere usato come fermaporta o per difesa in caso di rapina ma il prezzo scoraggia, scontato da 3,30 euri a 3 euri, per il mattone paion troppi, sospiro e proseguo. Poco più avanti c'è un'altra rivista con la foto dell'attrice di Beautiful (Taylor, anche nota come il Canotto date le labbra siliconatissime) che dice che ama ancora Ridge ma c'è un dolore nel suo passato; con una dichiarazione così l'interesse sale esponenzialmente quindi passo ad altro. E così poco alla volta mi avvicino alla perla del giorno, la rivista Silhouette (che immagino parli di diete). In copertina c'è la topolona di turno e a lato leggo la seguente scritta La paleo dieta: 5 chili in 3 settimane. La paleo dieta? Quindi mangi solo ciò che uccidi con le tue mani? O a colpi di clava? O magari mangi tutto crudo, sbranandolo? Ci credo che perdi cinque chili, secondo me ne perdi di più.
Me ne torno a casa rimuginando sui misteri dell'editoria, poi la vita prende il sopravvento e per un po' me ne dimentico. Stasera decido di cercare l'immagine della rivista sul web per vedere se mi ricordo bene sto titolo in previsione di un potenziale post; la prima ricerca mi sbatte in faccia là, nero su bianco la copertina di un LIBRO di PALEORICETTE (allego immagine), seguita da tabelle corredate da titoli quali La paleo dieta: per tornare alle origini, ci sono pure le figurine degli uomini primitivi che attaccano bestie enormi dall'apparenza molto paleo. A questo punto ve lo devo chiedere: ma l'assurdità della cosa la vedo solo io?


P.S. Io avrei terminato però mi è capitata tra le mani questa immagine strepitosa e da qualche parte la dovevo mettere, abbiate pazienza...

The paleo diet, so easy a caveman can do it












P.P.S. Strano che da nessuna parte si faccia menzione dell'incredibile longevità di cui godeva l'uomo paleolitico grazie a questa straordinaria paloedieta. Buona paleonotte a tutti.

sabato 26 novembre 2011

La cena chez Mohuro uncensored

E finalmente è arrivato il momento che tutti noi attendevamo da tempo: stasera si cena da Mohuro. Erano mesi e mesi che ogni tanto il Gaz buttava là un “la prossima settimana potremmo anche organizzare quella cena a casa mia” per poi tirare successivamente i remi in barca e non farne più parola con nessuno; alla fine l’abbiamo messo di fronte alle sue responsabilità di ospite e gli abbiamo strappato una data: sabato sera.
Come sanno quelli diligenti che hanno letto il prequel, proprio la sera prima il popolo (leggi io e Rico) aveva convinto il padrone di casa a modificare l’orario della cena anticipandolo di un’ora; poi però quando è arrivato il momento di prepararci, per una qualche inspiegabile ragione il popolo (leggi sempre io e Rico) è stato colpito da un attacco di flemma e tra una cosa e l’altra (non ultimo il fatto di dover trovare un parcheggio il sabato sera in centro - Mohuro ci vogliamo trasferire in periferia sì o no?!) è arrivato davanti al portone alle 20.50. Venti minuti di ritardo. Ops!
Proprio in quel momento è suonato il cellulare e sono stata apostrofata dalla voce della Rinaldi che tuonava “Dove siete?!!!!!!” In risposta ho suonato il campanello e siamo saliti di corsa. Ovviamente gli altri (la Clodia, Paul, Paolo e l’Ale) erano già tutti lì e Mohuro scalpitava, essendo che evidentemente aveva preparato il risotto per le 20.30, cosa da non fare quando si hanno ospiti un po’ indisciplinati come noi, in questi casi è sempre meglio garantirsi una mezzora di cuscinetto da trascorrere con un aperitivo, come fanno quelli di Cortesie per gli ospiti che, mentre il padrone di casa è in cucina, curiosano in giro per casa in attesa che arrivino tutti. 
Una volta guadagnato il salotto ci siamo prostrati in scuse e abbiamo raggiunto gli altri che erano già tutti a tavola; Mohuro ci ha servito il risotto lamentando a gran voce il fatto che fosse scotto. A me è sembrato buonissimo e credo anche agli altri, almeno a giudicare da come volavano i piatti al momento del bis; sfortunatamente, anche con tutta la nostra buona volontà, non era umanamente possibile finire tutto il riso, essendo che lo chef aveva calcolato per la cena una dose più adatta a un reggimento di artiglieria da montagna che alla nostra timida tavola di sei persone. Per dare un’idea della situazione posso dire che dopo aver preso tutti il bis (io a onor del vero il tris) nella pentola ce n’era rimasto quasi un quarto. Per amor di precisione (e per evitare un cazziatone dall’interessata che non è una che le manda a dire) ci tengo a specificare che a tavola eravamo sette ma la Rinaldi, causa vegetarianismo, snobbava il risotto salsiccioso per la pasta di mais con sugo di verdure (vedi sempre il prequel, a chi non l’avesse letto consiglio di dargli un’occhiata prima di leggere questo, altrimenti perde le note fruttate del bouquet).
L’Albertini purtroppo non è potuta venire e ci è mancata assai.
Mentre noi a tavola si chiacchierava ingozzandoci di bis/tris di risotto, Mohuro in cucina ultimava i preparativi per secondo e contorno come farebbe un vero chef: facendo cadere da un mezzo metro di altezza l’olio per condire l’insalata, rovesciando patate al forno per ogni dove, insomma un gran buttasù. Tutto molto scenografico ma trattasi di un procedimento che richiede la massiccia presenza di personale di cucina che a fine battaglia rimuova i cadaveri; devo dire però che alla fine ha pulito tutto lui quindi con quello ci ha chiuso la bocca (quasi).
Di lì a poco ci sono stati serviti straccetti di vitello con rucola e aceto balsamico con contorno di patate al forno, il tutto ovviamente accompagnato dalle critiche dello chef che le patate non erano cotte, che gli straccetti erano duri ecc; l’unica cosa su cui non ha potuto infierire era l’insalata della Clodia che non offriva spunti sufficienti.
Come prevedibile abbiamo spazzato via ‘gniccosa mentre Mohuro ci intratteneva raccontandoci episodi della sua infanzia quando lui, fanciullo, gridava bestemmie da carrettiere per far incazzare la sua vicina di casa che gliene diceva di tutti i colori, mentre il di lei marito si divertiva un mondo. A questo argomento ha fatto seguito il delicato tema di come far desistere quelli che si fermano a fare pipì contro i cassonetti di fronte a casa sua e le possibili soluzioni attualmente allo studio, dal puntargli un fascio di luce contro infamandoli a gran voce, fino alla secchiata d’acqua fredda (di difficile realizzazione, date le distanze).
A coronamento del menù sono arrivati uno strudel fatto dall’Ale con le sue manine e delle tortine di pasta frolla con frutta opera della Rinaldi (che Mohuro, non so bene perché, aveva sistemato in terrazzo) e anche di questi è rimasto ben poco. Noi, i soliti buzzurri, oltre ad arrivare tardi abbiamo portato solo una misera bottiglia di vino.
Nel corso della serata, in un paio di occasioni ci siamo trovati a riflettere sul tenore della nostra conversazione che non era, diciamo, elevatissimo; ciò a causa del fatto che sfortunatamente gli invitati di un certo spessore culturale avevano già altri impegni e quindi si faceva il possibile con quello che c’era (cioè noi). In uno di questi momenti frivoli siamo rimasti attoniti nell'apprendere che il padrone di casa ignorava chi fosse Nicoletta Paciaroni (la famosa potente veggente, mica una di quei cartomantini) e quindi con la piena approvazione del Branzaglia che è uomo di mondo e queste cose le sa, abbiamo sequestrato il computer e ci siamo buttati su youtube alla ricerca di video tratti dalle sue trasmissioni (chi non la conosce può cliccare qui per farsi un'idea, per chi invece è già fan, qui c’è il video dell’altalena che è una vera gemma), il tutto per colmare le lacune della mohuronica istruzione. La conoscenza innanzitutto.
La serata è proseguita così, liscia e senza sforzo, fino a ora tarda. Congedatici dal padrone di casa siamo scesi fino al piano terra e qui dopo un’ultima goliardica scampanellata a Mohuro che ci ha risposto emettendo tutta una serie di suoni non ben identificati (direi un incrocio tra il barrito di un elefante e i versi di Jabba the Hutt), le nostre strade si sono divise, ciascuno diretto a casa propria, chi in macchina e chi, eroicamente, in bicicletta ma tutti attanagliati dallo stesso dubbio: quanti giorni gli ci vorranno per finire quel risotto?

sabato 19 novembre 2011

Cena da Mohuro: il prequel, tra tubi rotti, renne e pinguini

Stasera ci si incontra al Nero su Bianco per bere qualcosa e fare due chiacchiere ma, soprattutto, per fare il punto della situazione in vista della cena di sabato sera chez Mohuro. La cena in questione ci era stata promessa mesi fa ma, vuoi per un problema, vuoi per un altro non si è mai concretizzata; questa volta invece pare che ci siamo e dalle nostre parti una cena è cosa delicata, vuole organizzata bene.
Quando arriviamo al Nero la Clodia e Paul sono già arrivati e si sono purtroppo seduti al tavolino vicino alla porta (l’unico libero in effetti), anche noto come il tavolo che ti ammali sicuramente. E in effetti quella benedetta porta d’ingresso si apre continuamente lasciando entrare nuguli di giovini e folate di ariaccia gelida. Rico si offre si sedersi nel posto più esposto e dopo rapida valutazione del mio stato di salute (raffreddore, occhio lucido ecc), accetto riconoscente.
Una volta pervenuta anche l’Albertini, s’inganna il tempo con le solite chiacchiere in attesa del padrone di casa, senza il quale poco può essere deciso. Ne approfitto per informare il popolo della mia irrevocabile decisione di interrompere definitivamente la collaborazione con il centro per cui da anni insegno inglese all’interno di un corso di formazione professionale. Seguono proteste e lamentazioni e in fondo posso capirle, i racconti delle mie vicissitudini tra quelle quattro pareti hanno allietato più di una giornata piovosa e reso più facile per tutti il ritorno all’ufficio il lunedì mattina (prima o poi ne parlerò in dettaglio). Però, essendo che in fondo mi vogliono bene, alla fine mi danno ragione, soprattutto quando li informo del quasi dimezzamento della tariffa causa tagli ai finanziamenti regionali. La bolletta s’ha da pagà.
Mentre Rico si avvolge la sciarpa intorno al collo in un vano tentativo di difesa dallo spiffero siberiano, l’Albertini ci illustra i risultati dei test sulle intolleranze alimentari a cui si è recentemente sottoposta: se si eccettua il ragno arboricolo del Sud America, è allergica praticamente a tutto e dovrà seguire una dieta ferrea per almeno un paio di mesi. La reazione alla notizia non è la stessa per tutti; da una parte c’è chi le fa coraggio cercando al contempo di suggerire qualche ricetta con le tre cose che le sono concesse, dall’altra c’è la Rini (che notoriamente mangia quattro cose in croce) che adotta l’approccio mal comune mezzo gaudio e tenta di impossessarsi della lista dei cibi permessi per barrarne alcuni che a lei non piacciono.
Di lì a poco compare Mohuro, accompagnato dai fratelli Costa, e l’attenzione si sposta sull’imminente cena. Il padrone di casa ha idee già molto precise sui manicaretti da servire (risotto radicchio e salsiccia, straccetti di vitello all’aceto balsamico e rucola), peccato che non abbia fatto i conti con la lista di ingredienti proibiti della Ste e con il vegetarianismo della Clodia; ciononostante, una volta informato della situazione, reagisce prontamente e da vero padrone di casa escogita un secondo menù (pasta di mais con sugo di verdure) per le due ospiti vip. Non è una cosa facile, ci sono gli inevitabili momenti di confusione tra quello che la Ste non può mangiare (aglio) e quello che la Clodia non mangia (cipolla), accompagnati da qualche scivolone del tipo ok, allora il risotto alla salsiccia lo faccio senza cipolla così va bene a tutte e due che scatenano le occhiate assassine della Rinaldi, ma alla fine tutto si chiarisce.
È solo in quel momento che mi accorgo della barista che con uno straccio sta tentando di asciugare il pavimento bagnato: la tubatura dell’acqua in bagno dev’essersi rotta per l’ennesima volta. Fortunatamente il nostro tavolo, pur nella sua infelice prossimità all’uscita, mantiene una certa distanza dal bagno, quindi ci sentiamo tutto sommato piuttosto al sicuro. Errore, grosso. Una volta raccolta una buona parte dell’acqua resta il problema di come far asciugare il pavimento e le povere lavoratrici, già duramente provate dall’imprevisto guasto e dalla folla del venerdì sera, optano per una soluzione non proprio ottimale: aprono la finestra del bagno e la porta d’ingresso PER FARE CORRENTE. Ora, il ragionamento non farebbe una piega se fossimo in agosto e fuori ci fossero quei 35-40 gradi ma essendo profondo autunno, l’unico risultato è riempire il locale di pinguini, renne e Babbi Natale, nessuno dei quali provvisto di stracci per asciugare il pavimento.
Di fronte all’imminente Armageddon cogliamo il messaggio divino e togliamo il disturbo, dandoci appuntamento davanti al Bar Notturno che, data l'ora tarda, avrà già le paste fresche. Calmati i languorini sotto lo sguardo bieco dell’Albertini che è intollerante a tutto il contenuto del locale, esclusi forse i videopoker, torniamo alle macchine e Mohuro ci dà appuntamento a casa sua per le 21; segue sollevazione di popolo perché se ti trovi alle 21 non ceni prima delle 21.30 e sarà mica un orario per cenare le 21.30? Cosa siamo in Spagna? Messo alle strette Mohuro cede e si concordano le 20.30. Per la cronaca della cena: stay tuned.

sabato 12 novembre 2011

Nonna Abelarda e i tortellini bolognesi: tutti maracani.

E' sabato 15 ottobre e stasera ci aspetta una seratona di quelle sfavillanti: io e Rico andiamo a Bologna, al Teatro delle Celebrazioni, a vedere Tutti Maracani: la storia del rock and roll e del suo sbarco a Bologna negli anni ‘50.
Per noi gente di campagna il sabato sera nella metropoli è comunque un evento e i preparativi per la serata sono sempre fonte di divertimento e anche di qualche preoccupazione. Quella più comune? La cena. Sì, perché per forza ci tocca partire presto, quindi non è che alle sei ti metti a mangiare, però non puoi neanche fare l’asceta che tira dritto senza buttar giù niente, altrimenti poi te lo gestisci tu il borborigma intestinale che si scatena nel silenzio del teatro.
Dopo attenta riflessione propendiamo per l’approccio a piccoli passi: iniziamo con un aperitivo a casa, vinello e patatine light eurospin,  e poi via verso Bologna (tappa a Forlì per prendere su Benny), una volta raggiunta la metropoli mangeremo un panino da qualche parte.
Viaggiare di sabato sera è decisamente un lusso: in autostrada siamo quattro gatti e tutti piuttosto rilassati, niente suv che sfanalano da dietro, quei tesori.
Arrivati in zona teatro, la ricerca del parcheggio porta via un po’ di tempo ma si conclude felicemente e nel giro di qualche minuto ci stiamo già dirigendo verso la meta con falcate da velocisti. Il motivo delle falcate non è tanto il ritardo, siamo infatti in perfetto orario, quanto più il freddo boia che è calato all’improvviso e non fa prigionieri. Per far fronte all’emergenza indosso un basco di lana che dà al mio look un tocco nonna Abelarda ma per fortuna è buio e io sono posizionata lato muro, basta girare la faccia verso la parete ogni volta che incrociamo qualcuno.
Facciamo una breve sosta al bar per rifocillarci e Bologna ci dà il benvenuto per bocca di un barista mattacchione:
Benny:”Volevo un quadretto di pizza, me lo può scaldare al volo?”
Lui:” No, mi dispiace, per scaldarlo ci vuole il forno”
Nel mentre che consumiamo il nostro frugale pasto ecco entrare nientepopodimenoche la Passini seguita dalla Pincelli, anche loro dirette a teatro. Si accomodano al nostro tavolo per un caffè e due chiacchiere ma ahimè si fa subito ora di andare; prima di alzarsi la Passini pulisce accuratamente il bordo della tazzina e, intimata di dare spiegazioni, ci risponde che non le pare bello che il barista che sparecchia debba pulire il suo rossetto. Va là che le lady ce le abbiamo anche qua da noi.
Arriviamo al teatro e ci mettiamo in fila per ritirare i biglietti, per poi scoprire che quei gentiluomini degli amici musicisti ce li hanno procurati omaggio. Il teatro è pieno di gente e i nostri posti sono proprio davanti a una fila di signore bolognesi impegnate in un allegro chiacchiericcio; devo confessare di aver origliato tutto il tempo senza vergogna, mi sono divertita un sacco.
Lo spettacolo è partito con l’entrata in scena di Jimmy Villotti e Lucky che hanno iniziato passeggiare per il palco parlando tra loro; di tanto in tanto gli finiva tra i piedi una delle molte lattine vuote sparse sul pavimento e loro la calciavano via. Per fortuna i nostri posti erano a una certa distanza.
Ariodante Dalla
Villotti, in una delle sue narrazioni, ha menzionato tale Ariodante Dalla, un cantante italiano dell’epoca ancora non riscoperto dalla dilagante moda di scegliere per i figli nomi che giustificheranno un futuro parenticidio.
Dopo una prima parte ad opera dei due narratori è entrato in scena il primo di due gruppi musicali che ci avrebbero accompagnato alla riscoperta del rock and roll, i Pink Flamingos, e quando la cantante ha iniziato a cantare mi ha inchiodato alla sedia: le mie orecchie gridavano “Eloisa!” ma i miei occhi (che hanno i loro problemi) non tiravano fino a laggiù, quindi non potevo esserne sicura. E che problema c’è? direte voi  Non puoi chiedere a qualcuno? Il problema è che io di fianco avevo Rico e questo rendeva la situazione quantomeno delicata. Mi spiego: l’Eloisa l’abbiamo sentita cantare parecchie volte e abbiamo anche i suoi cd a casa, anche quelli ascoltati spesso, quindi chiedere “Ma è lei?” mi avrebbe esposto a censura, variabile a seconda dello scenario:
1)      scenario uno, è lei. Reazione: “Non l’avevi riconosciuta?! Ma l’abbiamo sentita tante volte!”
2)      scenario due, non è lei. Reazione: “Ma no, l’Elo ha una voce diversa! L’abbiamo sentita tante volte!”
In entrambi i casi un campo minato, procedere con cautela. Alla fine ho buttato là un commento neutro tipo:“Dì, ma la cantante….” lasciando astutamente la frase in sospeso. E come previsto, Rico ha finito la frase “…è l’Eloisa!”. Tutto è bene ciò che finisce bene.
Lo spettacolo è stato divertente e anche interessante, soprattutto per me che di ste cose non ne ho un’idea. Il momento più bello in assoluto è stato quando Jimmy Villotti ha raccontato  di com’era Bologna a quei tempi, dei suoni che si sentivano e soprattutto di quelli che non si sentivano; mi sono resa conto che per me è difficile immaginare una città silenziosa. Ha anche descritto il suo primo incontro con un juke-box e ripensandoci, mi sarebbe piaciuto sentirlo parlare più a lungo di Bologna, dei luoghi, della gente, di tutte quelle cose che noi adesso possiamo solo immaginare.
Il secondo gruppo a entrare in scena sono stati i King Lion and The Braves, e in quel caso persino i miei occhi dopolavoristi hanno individuato facilmente la banana brizzolata di Fabrais dietro la batteria.
Il mio unico momento di cedimento si è presentato nel corso del quarto d’ora di celebrazione della chitarra Fender Stratocaster, probabilmente la parte più apprezzata dai molti musicisti presenti ma per noi del volgo sentir parlare di valvole, pickup (e altre robe che ho prontamente rimosso), è tutta un’altra storia.
All’uscita siamo andati a salutare gli amici e siamo stati invitati a unirci  a loro per cena alla Trattoria da Vito. Non eravamo convintissimi, però sarebbero venute anche la Passini e la Pincelli, quindi ci siamo detti perché no? Grazie al cielo e al navigatore, siamo riusciti a trovare il ristorante che, un po’ è imboscato di suo, un po’ Bologna per me è come il triangolo delle Bermuda, non era così scontato.
Sfortunatamente, alla Trattoria da Vito il posto per tutti non c’era, anche perché erano fioccati inviti in ogni direzione e quindi rispetto ai ventidue coperti della prenotazione eravamo una quarantina. La prima reazione è stata: vabbè, sarà per un’altra volta; poi però abbiamo notato un’altra sala con dei tavoli liberi e, dietro nostra richiesta, una delle cameriere ha acconsentito a prepararci un tavolo separato, solo per noi cinque: io, Rico, la Passini, la Pincelli e Benny. Alla fine però è arrivato dall’alto l’ordine di unirci all’altra tavolata per facilitare il servizio e quindi siamo stati ributtati nella prima sala.
Prima di lasciare il teatro avevo dichiarato con fermezza che non avrei cenato, al massimo un dessert; poi però quando ti trovi nella trattoria bolognese e sul menù leggi tortellini al ragù, capisci subito che non c’è lotta, è il destino che chiama e non ammette repliche. Li ho presi e ho fatto da dio, erano una lovaria (il ristoratore bolognese perdonerà lo scivolone romagnolo). Naturalmente i commensali mi hanno dato della sgombrona e non è che avessero torto, mi consolo pensando che ero in buona compagnia. Benny è stato l’unico fedele al proposito di non cenare; noialtri abbiamo spazzolato via portate e bottiglie lasciando la tavola nuda, con l’eccezione di una bottiglia quasi intera di birra che la Pincelli aveva ordinato quando ancora l’altra era piena per un terzo (tutto per paura di rimanerne sprovvista) e che ci ha fatto compagnia fino alla fine. Highlander.
Il responsabile della Trattoria da Vito era un tipo singolare: si aggirava per i tavoli prendendo le ordinazioni, lanciando battute salaci  e dicendone di ogni, suppongo fosse il suo modo di scaricare lo stress dato dal fatto di avere quaranta persone che arrivano all’una di notte e vogliono mangiare. Mentre stavamo congedandoci (dopo aver pagato, sia chiaro, che non siamo scrocconi che s’imbucano) si è fermato un attimo e vedendolo un po’ stravolto ho buttato là un “Certo che stasera avete avuto il vostro bel daffare!” e lui sospirando “Non sono neanche riuscito a cenare, ho una fame che mangerei una cliente!”  il tutto detto mentre mi afferrava un braccio.
Usciti dal locale, io e Rico abbiamo salutato tutti (Benny tornava con Lucky) e siamo ripartiti direzione Romagna.
Bologna stasera è stata una bella padrona di casa, peccato non poterle mandare dei fiori.


Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

domenica 6 novembre 2011

Se mentre guardi la tv vedi uno sputazzo, è Parodontax

Allora sono davanti alla tv, è domenica sera e sto aspettando che inizi Report quando appare questa pubblicità ad allietarmi l'animo: due lavandini affiancati in cui compaiono improvvisamente due sputazzi, uno, quello sotto accusa, è insanguinato, l'altro invece è sano (e cioè sempre un orrido schifoso sputazzo, mica nettare o ambrosia).
Lasciamo per ora da parte lo schifo causato dall'immagine degli sputazzi nel lavandino e concentriamoci sul messaggio della pubblicità: se ti capita di vedere del sangue mentre ti lavi i denti c'è qualcosa che devi sapere.
E cos'è che devi sapere esattamente? Forse che accoltellare la nonna per ereditare non è stata una grande idea? Che dovresti pulire il bagno più spesso?
Mi chiedo se sia possibile fargli causa per danni sostenendo di aver vomitato sul divano dopo aver visto la loro pubblicità (possibilità non remota) facendosi così pagare il lavaggio a secco del divano che, in effetti è piuttosto malconcio.
In ogni caso mi sono rotta parecchio gli zebedei di questi pubblicitari che per attirare l'attenzione fanno di tutto e ho deciso che, siccome tanto le mie proteste non le considererebbe nessuno, farò l'unica cosa che posso fare, e cioè piuttosto che comprare sto prodotto mi lascio morire dissanguata dalle gengive.



P.S. Non ho trovato lo spot italiano, forse fa troppo schifo per metterlo sul web. Il link qui sotto è dello spot spagnolo, sempre poco bello ma decisamente edulcorato rispetto al nostro, siamo sempre fortunati.
 spot parodontax

venerdì 4 novembre 2011

Cucina con Buddy, pulizia delle coronarie a breve.

Oggi verso le 12.50, dopo aver apparecchiato la tavola e messo su l'acqua per la pasta, ho acceso la tv in attesa che la Clodia e l'Albertini arrivassero per pranzo e sono finita come spesso accade su Realtime, canale 31 del digitale. A quell'ora c'è Buddy Valastro, il pasticcere italoamericano anche noto come "il boss delle torte", che però ha un programma nuovo in cui non fa torte ma cucina robe varie.
La puntata di oggi s'intitolava "un ricco brunch" ma purtroppo era quasi finita quindi non è che sia riuscita a vederne granché. Comunque, quello che ho visto è stato più che sufficiente:
Buddy sta controllando le patate che cuociono nel forno e io butto un occhio al tegame: ci ha messo olio e rosmarino proprio come le farei io (e l'aglio no? mah) però, per dare una sferzata di salute e leggerezza ha pensato bene di aggiungerci una vagonata di pancetta. D'accordo che il brunch non è sinonimo di dieta, però...
Poi siamo passati alla frittata col  basilico, antica ricetta di suo nonno o padre, non mi ricordo più. All'inizio tutto normale, apre le uova con una mano sola tirandosela non poco, neanche stesse camminando sulle braci, sbatte a mano come fosse un minipimer, aggiunge pecorino, sale e il famoso basilico tritato.
A questo punto ci rivela il segreto per fare una frittata perfetta e cioè la padella. Ne tira fuori una capiente e ci mette un tocco di burro lungo quanto un dito (leggerezza, leggerezza), lo lascia sciogliere un po' e poi specifica che il burro ha un punto di fumo un po' basso (leggi fa presto a bruciare), quindi è meglio aggiungere UN PO' di olio d'oliva (rigorosamente extravergine) che ha invece un punto di fumo più elevato. E parte un ruscello biondo che inonda la padella (leggerezza, leggerezza).
Una volta pronta, impiatta la frittata insieme alle patate con pancetta; conclude menzionando i french toast preparati prima e mi piange il cuore all'idea di essermeli persi, sono sicura che è riuscito nell'arditissima impresa di rendere sti toast (che per quanto buonissimi sono dei veri mattoni) ancora più pesanti. Chissà, magari li ha fritti nello strutto.
Si congeda ricordando che quelle che ha mostrato sono le ricette di famiglia (quindi per gli americani questa sarà cucina italiana, presumo) e ripetendo ancora una volta che quello è il brunch migliore che lui possa immaginare. Probabilmente è anche vero, forse però dovremmo assicurarci di riuscire ad assaggiare tutto prima di essere stroncati dall'inevitabile infarto. Intanto è arrivata la Clodia quindi mi tocca spegnere; che altro dire: lunga vita alla cucina italiana.

domenica 30 ottobre 2011

Lotta al coltello tra asciugamani e medaglie : CesenaComics 2011

Era il mese di maggio quando ci è arrivata dall'Elisa la triste notizia: dato il taglio di fondi pressoché ovunque in Italia, il comune aveva comunicato che non c'erano fondi da elargire per l'organizzazione della terza edizione del festival di fumetti CesenaComics, un festival che nelle passate edizioni aveva portato a Cesena autori, appassionati e curiosi e che aveva il merito di incoraggiare i più piccoli alla lettura, guidandoli alla scoperta del mondo dei fumetti mediante laboratori gratuiti organizzati presso le scuole elementari e medie della zona.
Un fulmine a ciel sereno, questo tirare i remi in barca da parte delle istituzioni, soprattutto considerando il fatto che da anni questa associazione opera nel territorio organizzando per i più piccoli laboratori sempre molto frequentati.

Dopo un primo momento di comprensibile amarezza però, le legioni di Barbablù, capitanate dall'impavida Elisa Rocchi, sono scese sul sentiero di guerra alla ricerca di sponsor. E' iniziata una campagna di comunicazione che ha sfruttato qualsiasi mezzo (ovviamente gratuito) a disposizione, inclusi social network e simili. Noi che osservavamo la battaglia dai lati, troppo timorosi o pigri per lanciarci nella mischia, abbiamo dato un piccolissimo contributo condividendo gli appelli per la ricerca di sponsor su facebook e perorando la causa presso le poche azienda a noi note. Tra le iniziative segnalo il Towel Day (Giorno dell'Asciugamano - per maggiori info), organizzato il 25 maggio a sostegno della campagna su Facebook, evento a cui ho partecipato non senza le mie piccole soddisfazioni.
a mali estremi estremi asciugamani
Poco a poco i tanti sassolini lanciati in acqua hanno prodotto onde sempre più grandi e si sono fatti vivi i primi sponsor, piccolini all'inizio poi più grandi. Il 7 giugno un post ci ha comunicato che Cesena Comics sarebbe sopravvissuto, un po' ridotto, un po' malconcio ma pur sempre pronto a tutto. E da quel momento abbiamo assistito a un piccolo miracolo: l'interesse è aumentato trascinandosi appresso le adesioni da parte di autori (Sergio Staino, Tuono Pettinato, Roberto Grassilli e tanti altri ancora), case editrici e sponsor, ponendo le basi per un'edizione 2011 coi fiocchi. Però intendiamoci, quando parlo di miracolo non intendo la manna dal cielo, mi riferisco alla tenacia e determinazione di un gruppo di irriducibili che è andato a bussare a mille porte e ha incontrato chiunque potesse fare qualcosa per Cesena Comics. Il miracolo sono loro.

E proprio in questi giorni fioccano le ultime bellissime notizie: il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e...la medaglia del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Il festival si tiene dal 7 al 13 novembre ma già a partire dal 4 novembre ci sono alcuni eventi: la partecipazione è gratuita e il programma è scaricabile al seguente link  http://www.cesenacomics.com/?p=1783

Accorriamo numerosi!


sono molto fiera

Altro barbalink: Associazione Barbablù

mercoledì 19 ottobre 2011

Piano B: calo l'asso e salto dalla finestra

La serata che vado a raccontare risale a un paio di mesi fa, quel tempo che fu quando ancora era piena estate e faceva un caldo infernale. L’Albertini mi messaggia quanto segue: stasera vado al Festival di XXX, devo parlare con la cantante di un gruppo, vieni anche tu?  Rispondo di sì quasi subito, in fondo ho voglia di fare un giro e poi la casa è un forno in questi giorni. La Clodia, forse presagendo il dramma in agguato, accusa stanchezza e si eclissa, quindi partiamo solo io e la Ste. Arriviamo a destinazione e, dopo un parcheggio improvvisato a bordo strada, nel buio più nero della notte nera, ci avviamo verso il centro della metropoli. Il caldo non dà tregua, nonostante il paese sia un po’ in alto rispetto a casa mia, l’unico respiro arriva da un accenno di brezza.
Partendo dal basso iniziamo a setacciare il paese alla ricerca del gruppo in questione ma la fortuna ci irride: ci sono tre band che suonano in tre punti diversi ma di quella che cerchiamo noi neppure l’ombra. Continuiamo a salire sempre più in alto e io inizio a preoccuparmi, tra un po’ il paese finisce, resta solo il cielo. Fortunatamente la Ste conosce il mondo e, mentre sostiamo perplesse di fronte al terzo palco, incontra degli amici da cui scopriamo che quelli che cerchiamo suoneranno a fine serata, verso le 23.45, lasciando poi il palco per la conclusione a un altro gruppo. Il concerto si terrà all’interno di un edificio proprio in cima al paese. ALL’INTERNO? MA CI SONO 35 GRADI!!

Decidiamo di raggiungere l’edificio nella speranza di trovarvi il gruppo e riuscire a parlare con sta benedetta cantante, per poi ovviamente tagliare la corda. E invece anche qui picche, la frontwoman (che pare sia influenzata) si è rintanata in camerino e non ha nessuna intenzione di uscire prima dello spettacolo, almeno stando a quello che ci dicono. Tutto sembra cospirare per costringerci a rimanere fino alla fine (non so se sarà la fine del concerto o la nostra). Mi consolo con una coca ghiacciata e inganniamo l’attesa facendo due chiacchiere con un paio di amici; quando entriamo in sala, il concerto è già iniziato ed è pieno di gente, il caldo ve lo potete immaginare. Individuo due sedie libere a metà sala e non ho dubbi: mi siedo dicendo alla Ste che lei vada pure davanti, io sono stanca morta e tanto il concerto di questo gruppo l’ho già visto, meglio dare un po’ di respiro alla schiena (che vecchiaia). L’Albertini avanza verso le prime file, salvo poi tornare a sedersi di fianco a me, non so se per farmi compagnia o perché anche lei accusa stanchezza. Guardandoci intorno notiamo un altro paio di sedie più avanti e ci buttiamo. Adesso siamo a due metri dai musicisti e spostandoci un po’ lateralmente riusciamo a vedere quasi tutto; o almeno ci riesco io, la Ste infatti è ostacolata da una tipa in piedi che ostruisce il campo e oltretutto balla totalmente fuori tempo rispetto alla musica, se la fissi troppo a lungo ti sbalestra. Mi fa quasi rimpiangere il gigino in maglietta rossa che era alla Rocca a Cesena, anche lui verticale ma perlomeno statico (vedi Il mio regno per il figlio di un vetraio). Ormai il concerto è in pieno svolgimento e, compresse tra queste quattro pareti, le urla della cantante fanno francamente paura; è a questo punto, proprio a questo punto, che parte la macchina del fumo. La macchina del fumo in uno stanzone dove si fa già fatica a respirare. MA SIAMO IMPAZZITI!!!! Mentre sono lì che m’indigno contro quella macchina di morte, l’occhio mi cade su una tizia che con la massima tranquillità si sta rullando una sigaretta, sigaretta che poi si accenderà, sempre senza fare una piega. E non è mica l’unica! Le fa compagnia un nutrito numero di soggetti che infestano l’area. OOOOOOOO!!!! Sarà che con l’aumento dell’altitudine si rarefanno anche i neuroni. Oppure da queste parti offrono incentivi per la lobotomia.
Esamino le pareti alla ricerca di un allarme antincendio, sarebbe il massimo che scattasse  e arrivassero i pompieri. Andrebbe bene anche una bella retata, non sono mai stata in una retata. Ma dove diavolo sono finiti quei nuguli di vigili che piombano sulla Rocca ogni volta che c’è un concerto? Saranno mica tutti in ferie! Purtroppo di allarmi antincendio neanche l’ombra e, quando lo faccio presente alla Ste, lei mi fa notare che non sono neppure accesi i segnali per le uscite di sicurezza. Mi viene in mente che, se per caso uno dei fari sopra il palco cade e nel buio fumoso si scatena il panico, rischio di morire calpestata dalla folla impazzita. Urge piano B, mi rifiuto categoricamente di crepare al concerto degli urlatori folli solo per colpa di una manica di cerebrolesi nicotinomani che non possono fare dieci metri per andare a fumare fuori. C’è una finestra aperta proprio dietro al palco, bene, se succede qualcosa io salto sul palco, scavalco la cantante (non è difficile) e mi butto a volo d’angelo dalla finestra. Sottopongo il piano all’Albertini-approvazione ma lei obietta che, per quanto ne possiamo sapere noi, al di là della finestra potrebbe esserci benissimo un baratro o un deposito di vetri. Ed è qui che calo l’asso di briscola: avendo davanti la donna tronco tarantolata, lei non può vedere le tre persone che stanno assistendo al concerto affacciate proprio a quella finestra; tutto sistemato, se cadiamo, cadiamo sul morbido. Vedendomi alquanto turbata, la Ste mi rassicura dicendo che a breve dovrebbero concludere e lasciare il posto all’altro gruppo, si tratta di portare pazienza ancora per un po’. L’avverso destino però non è ancora soddisfatto (sto stronzo) quindi quando finalmente arriva il momento del cambio di gruppo (si nota dal fatto che gli altri musicisti sono già tutti lì in attesa), da sopra il palco non si muove nessuno e la cantante continua imperterrita con le sue urla belluine, senza curarsi minimamente dei colleghi. I quali colleghi, con il passare del tempo, hanno facce sempre più annuvolate. Finalmente qualcosa sembra smuoversi, c’è un cambio alla batteria e il cantante del nuovo gruppo improvvisa un duetto con il batterista del vecchio, peccato però che l’altra cantante sia ancora lì e sembri non avere la minima intenzione di schiodarsi. Si arriva a un momento surreale in cui il tastierista sale sul palco in mezzo a un assolo e inizia a montare i suoi strumenti mentre il pezzo si stiracchia sempre più, perdendo qualsiasi senso. A quel punto dico alla Ste che io non ne posso più, ho bisogno d’aria; lei concorda e ci alziamo. E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Temporeggiamo per un po’ prendendo il “fresco”, poi dei rumori ci illudono e rientriamo convinte che il concerto sia finito. Errore, la cantante è ancora tenacemente ancorata al palco, come una cozza al suo scoglio, e fa degli urli che ti si coagula il sangue. Sopra di lei vedo un cartello al neon, dice ERRARE È UMANO, PERSEVERARE È DA DEFICIENTI. Per una volta ascoltiamo il monito divino e abbandoniamo il campo di battaglia. Per darvi un’idea del mio stato d’animo posso dirvi che, passando di fianco a un chiosco che friggeva dorate e croccantose patatine, non ho avuto neppure un attimo di esitazione, l’ho ignorato puntando a testa bassa verso la macchina.
Sono ormai le due di notte e in piazza il termometro segna 29°, non voglio immaginare la temperatura lassù nel camerone della morte.

All’improvviso casa mia è il posto più bello del mondo.





Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

venerdì 7 ottobre 2011

Pollice Nero, la Squartatrice e Amor di Broccolo: il ratto dell'Ikea

A volte una decisione lì per lì non sa di niente, non è giusta o sbagliata di per sé, lo scopri solo dopo.
Ricevo  un sms della Clodia:
Domani pomeriggio ore 14 io e l’Ale andiamo all’Ikea, vieni?
Il domani in questione è sabato e in circostanze normali ci vorrebbero un arpione da balena e un baleniere nerboruto per trascinarmi all’Ikea di sabato, in genere preferisco vivere. In questo caso però la Rinaldi, avendo appena traslocato, deve andare a comprare parecchia roba, incluso il divano, quindi mi pare giusto andare a offrire il mio sostegno, data l’enormità dell’impresa.
Decido di raggiungere lei e l’Ale direttamente là, dato che sono a pranzo parenti e non posso arrivare, scofanarmi tutto e  correre via, non è carino. E c’è sempre il rischio che mia mamma mi prenda a padellate.
Quando arrivo all’Ikea il parcheggio è sul pienino ma senza esagerare e la cosa mi rincuora; entro e chiamo la Clodia ma purtroppo non c’è campo. Mi avvio lungo il percorso, confidando di trovarle a breve; passo salotti, cucine e camere da letto, dribblando chiunque incontri sulla mia strada, neanche fossi Pelè. Dopo un po’ arriva un sms dell’Ale che chiede dove diavolo sono finita. Stringo i denti e continuo la perlustrazione e alla fine le trovo, nell’area dei giochi per bambini. La Clodia ha appena messo nella borsa Ikea un ratto grigio di peluche. Mi aggiornano sulla situazione e mentre le ascolto mi cade l’occhio su una roba verde in uno dei cestoni dei giochi che una volta estratta si rivelerà essere il peluche di un broccolo con corpo conico e pantaloni a quadretti. Un colpo di fulmine.
Le due lovarone (leggi golosastre) sono già state al bar Ikea per la merenda, quindi non ci resta che scendere al piano terra dove ci aspettano stoviglie, bicchieri e, soprattutto, le candele. Mi preparo psicologicamente alla battaglia: scendere nella fossa dei leoni con la Rinaldi, e sospetto anche con l’Ale, non sarà un passeggiata (fosse per loro comprerebbero anche i muri). Per fortuna manca la Ste che è al festival di Venezia a vedersi sette film al giorno, se ci fosse anche lei mi butterei direttamente sotto al primo carrello carico di Billy. Partiamo abbastanza tranquillamente, l’Ale vuole comprare un servizio di posate nuove, la Rinaldi cerca due ciotole per il muesli, niente di drammatico; di tanto in tanto cerco di convincere la Clodia a comprarsi un’alzatina per torte in vetro ma, inspiegabilmente, lei rifiuta nonostante le illustri i mille utilizzi di questo sottovalutato ammennicolo. Con il passare del tempo però la febbre sale e si iniziano a considerare le tovagliette da colazione, i piatti piani, fondi e anche quelli verdi giganti, fino ad arrivare al tragico momento delle lenzuola. 
Niente nelle parole della Clodia fa presagire la tragedia, non un avvertimento, non un segnale, dice semplicemente venite che dovete aiutarmi a scegliere le lenzuola; la seguiamo docili mentre passa incurante davanti a tutti gli altri colori, quelli normali, per poi fermarsi di fronte al nero.  
Personalmente il pensiero di dormire tra le lenzuola nere mi fa orrore ma per il momento taccio; però quando mi dice che non sa cosa scegliere, tra il lenzuolo con angoli grigio e quello nero, non riesco a trattenermi e osservo che sembra che stia preparando la cassa per qualcuno. Da morto. Lei ribatte che sono colori di design e io ne deduco che io non sono donna di design perché mi dovrebbero legare per farmi dormire in un letto con il sotto grigio e il sopra nero. Mancherebbero solo le corone di garofani e le candele accese. 
La Rinaldi mi lancia un’occhiataccia e ribatte Ma che colore vuoi metterci? Il letto è nero!
E questa è proprio l’ultima goccia. Io il suo letto non l’avevo ancora visto, sapevo solo che doveva andare il falegname a montarlo ma immaginavo fosse di legno, color legno. Di fronte a un letto nero con lenzuolo sotto grigio e sopra nero sono senza parole (a dir la verità, una ce l’avrei: catafalco). Alla fine però, vedendola esitare di fronte alle nostre velate critiche (anche l’Ale è perplessa ma non quanto me), le dico di non badare a noi e di prendere le lenzuola del colore che preferisce; anzi, di farlo subito, finché un abbinamento del genere è legale (prima o poi…).
E anche questa ce la lasciamo alle spalle, avanzando abbastanza spedite verso le casse; passiamo la zona tappeti e quella luci senza grossi problemi per poi arenarci del tutto inaspettatamente nella zona piante. Sempre la Rinaldi, pietra dello scandalo, se ne esce con Bella quell’orchidea, la compro! e a questo punto dobbiamo tirare una riga. Ci sono confini che non si possono e non si devono oltrepassare, uno di questi è quello che separa la Rinaldi dal mondo vegetale. Sono sempre più convinta che la Clodia sia vegetariana non perché ama gli animali ma perché odia le piante. Mesi fa, preda di un impulso malsano, le ho regalato una giovane pianta di clivia che avevo separato dalla mia. Trattasi di pianta senza particolari esigenze, a parte quelle dell’essere vivente in genere. Ho scoperto qualche mese dopo che la pianta in questione era deceduta, secondo l’assassina, inspiegabilmente. Riporto per correttezza la conversazione:
“Come, è morta? Ma se te l’ho data solo qualche mese fa? Cosa le hai fatto?”
“Ma niente, anzi l’ho curata! Un giorno che era bello l’ho anche messa fuori”
“Ma quando?”
“Boh, era dicembre”
“Ah, bene!”
“L’unica cosa è che me la sono dimenticata fuori qualche giorno”
“Oddio!”
“Dopo però l’ho sistemata vicino alla caldaia perché si scaldasse”
Rumore di testa sbattuta ripetutamente contro il muro, s’ode una voce rotta che grida Mio dio mio dio perché mi hai abbandonato!

Ora, voi capite che dopo una serie di sevizie del genere, non si può assistere senza fare niente di fronte a un’altra morte annunciata.
Era così bella...
“No, non la puoi prendere”
“Ma dai, perché no?”
“Perché non sei in grado, hai il pollice nero”
“Non è vero!”
“Ma te la ricordi la mia clivia? Per non parlare della pianta che avevi messo nel bagno senza finestre, dai, sei negata!”
“Magari stavolta va bene!”
Alla fine cedo per stanchezza e la Clodia mette l’orchidea nel carrello. A questo punto, secondo le nostre previsioni il più è fatto (che tenerezza le illusioni!) e ci dirigiamo con passo deciso verso la cassa. Il processo di pagamento è un po’ lungo ma alla fine ne veniamo fuori e ci troviamo dall’altra parte con un carrello pieno e un carrellone coperto di pacchi piatti.
Portiamo le macchine in zona carico e, a questo punto, iniziano le comiche. Abbiamo la mia macchina e quella della Rini ma i pacchi sono troppo grandi per entrambe; suggerisco di rimuovere l’imballaggio per guadagnare qualche centimetro ma strappare lo scotch a mani nude non è sport per signorine e dopo qualche tentativo ci fermiamo sconfortate. A questo punto l’Ale salva la situazione tirando fuori un portachiavi con coltellino e mettendosi a sgozzare cartoni con una ferocia degna di Whitechapel. Alzo la testa e vedo al primo piano tre tizi appoggiati alla ringhiera che guardano giù verso di noi; non posso giurare di avergli visto in mano del popcorn ma…
Poco a poco, a forza di togliere poggiatesta e piegare sedili (il tutto accompagnato dal lancio di sanguinarie maledizioni contro i produttori di automobili, di divani fai da te, e chi più ne ha più ne metta) riusciamo a farci stare tutto. Una volta pronte a partire, salutiamo l’Ale che torna a Cesenatico e la Clodia chiude il portabagagli con entusiasmo, proprio sopra l’orchidea. Non ci siamo per niente.
La strada del ritorno la percorriamo in carovana: io davanti sulla Fiesta e la Rini di dietro sull’Incudine; guardandola dallo specchietto retrovisore la vedo alla guida un po’ sbilenca ma è comprensibile, i mobili occupano buona parte dello spazio e se vuole vedere qualcosa non ha molta scelta se non fare la contorsionista. Ovviamente c’è un inizio di rientro quindi in autostrada è un po’ affollato ma, tutto sommato, ce la caviamo abbastanza dignitosamente e riusciamo a raggiungere incolumi casa Rini. La felicità però finisce lì. Sì, perché i mobili non è che volino, quindi almeno fino all’ascensore li devi trasportare, e poi dall’ascensore all’ingresso. In un paio di occasioni, proprio mentre stiamo caricando l’ascensore, questo si ribella e chiude le porte intrappolandoci nel mezzo. Dannate macchine. Quando finalmente anche l’ultimo mobile è entrato in casa e l'orchidea fa bella mostra di sè sul tavolo in terrazzo, ci guardiamo con soddisfazione: il dado è tratto.
Con questo si conclude la narrazione di un epico pomeriggio svedese/romagnolo. Non mi resta quindi altro da riportare se non il fatto che in data 30 settembre ho appreso con dolore del decesso dell’orchidea di cui sopra: in poco più di tre settimane il giovane virgulto è appassito, il fluido Rinaldi ha colpito ancora. Voci di corridoio sostengono che i produttori del Flit siano molto interessati al fenomeno.