sabato 24 dicembre 2011

L'ukulele con la barba bianca è una renna col naso rosso

Oggi vi parlo di una novità di questi ultimi mesi, però per fare un cappello fatto bene devo tornare indietro di almeno tre lustri. Come saprà chiunque trovasi a intrattenere relazioni con il musicista medio, questi non riesce a concepire che chi gli sta intorno non provi il medesimo smodato entusiasmo per la sacra arte e quindi a intervalli regolari incoraggia a destra e a manca affinché si intraprenda lo studio di uno strumento musicale.
Negli ultimi quindici anni mi sono stati presentati strumenti di ogni genere e sospetto che l’unico motivo per cui non siamo arrivati a didjeridoo e affini è solo di tipo organizzativo/logistico (oltre ovviamente alla comprensibile preoccupazione delle ecchimosi che causerebbe l’essere colpiti ripetutamente con i citati strumenti). La risposta è sempre stata un fermo no, di musicista in famiglia ne basta uno.
Negli ultimi anni però è arrivato un nuovo inquilino, piccolo, simpatico, uno che non se la tira per niente e ti guarda sorridente come a dirti “Dai, prendimi in mano, senza impegno!” E così mi sono ritrovata a pensare che forse con lui lì potevo anche andare d’accordo, chissà.
Un paio di mesi fa ho comunicato la mia intenzione al musicista di cui sopra, il quale è partito subito in quarta con un piano di studi che avrebbe fatto venire freddo ai piedi a Mozart quindi ho dovuto mettere dei paletti. Io mi conosco e so benissimo che non ho voglia di mettermi lì a studiare per studiare, quindi gli ho detto che volevo imparare canzone per canzone, in modo da avere qualche gratificazione a intervalli regolari. L’uomo ha mugugnato cose del tipo mai che stia a sentire! Deve far sempre come pare a lei ecc (e non è che non abbia ragione in effetti) ma alla fine mi ha assecondato, salvo poi darmi della lavativa un giorno sì e uno no. Così facendo ho imparato la mia prima canzone e non mi dilungo se non per dire che quando sono riuscita a cantare e suonare La gatta di Gino Paoli c’era una parte di me che aveva un sorriso da orecchio a orecchio mentre l’altra parte mi guardava e pensava ma sei scema?

Avvicinandomi al Natale, ho pensato che mi avrebbe fatto piacere condividere con voi quella che è a tutti gli effetti la mia canzone di Natale preferita, quella sulla renna Rudolph e il suo naso rosso, una canzone allegra e che non la fa cadere dall’alto, si diverte e basta. Spero che vi piaccia.

 


Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

mercoledì 21 dicembre 2011

La piadina romagnola e le bocce

Oggi torno a casa verso l'ora di pranzo e sono mediamente di buonumore; fuori fa un freddo boia ma almeno il cielo è blu puffo e splende il sole, che sarà anche quel sole di dicembre un po' stitico ma non è il momento di fare i difficili, dopo tutta la nebbia che ci hanno rifilato.
Parcheggio e prima di entrare in casa controllo la cassetta della posta: ovviamente di posta seria non ce n'è, in compenso la pubblicità abbonda. Do un'occhiata veloce prima di cestinare tutto (nel bidone della carta, ci mancherebbe!) e trovo un simpatico volantino che reclamizza tale Cello e le sue piadine. Il nome dell'attività sembra essere Il Passatore, con tanto di simbolino-faccia del Passatore.
Fin qui tutto regolare, magari la foto del tizio vestito da babbo natale che con il dito indice si tocca la tempia è un po' oscura, non capisci se è uno che sta pensando di ordinare tonnellate di piadine da Cello o invece uno che ti sta dicendo:"Non hai ancora provato le piadine di Cello? Sei fuori di testa!" ma in fondo non è niente di grave. Ammetto che l'espressione del babbo natale in questione è un po' inquietante e mi auguro di non dovergli mai confessare che  le padine di Cello io non le ho ancora provate, essendo che ce lo vedrei con un'ascia in mano che mi rincorre (la sega a nastro no, che questo mi sembra uno che predilige il tradizionale).

Tutte le mie considerazioni, idee, sensazioni ecc, vengono però prepotentemente spazzate via quando giro il volantino: parto in alto a destra dove ci sono le foto delle piadine farcite, dei crescioni, dei rotoli di piadina ecc, insomma un gran ben di dio che ti fa venire anche un po' di acquolina in bocca. Poi l'occhio scende e si trova a posarsi sulla foto di due topolone pettorute e scollacciate che ammiccano inguainate in jeans e top con l'immancabile piercing nell'ombelico e le bocce rigorosamente de fora; ciliegina sulla torta è il simbolo del passatore visibile a livello della tetta sinistra. Completano il tutto con un tocco festoso dei simpatici cappellini da babbo natale.

A questo punto piovono interrogativi come a Londra in marzo: cosa diavolo c'entrano ste due tizie con Cello e le sue piadine? Sono forse le piadinaie? Quando vai al negozio ti servono loro inzampate come nella foto? O sono quelle che fanno le consegne a domicilio con tanto di davanzale a vista e cappellino nataloso, un po' stile film porno di quart'ordine? Se la risposta a queste domande è sì, suggerisco caldamente di specificarlo nel volantino (in maiuscolo), scommetto che le vendite aumenterebbero esponenzialmente, altrimenti a mio avviso trattasi di pubblicità ingannevole, che sia il caso di pubblicare una segnalazione su facebook?

mercoledì 14 dicembre 2011

La Came, le bolle e il Secchione: un regalo coi fiocchi.

Questo post l'ho lasciato un po' invecchiare in botte di rovere, dopotutto il barricato fa molto scic :)


Stasera festeggio il mio compleanno, non perché sia il mio compleanno ma perché il regalo di mia sorella è usufruibile solo oggi. Per essere più chiari, stasera a Bologna c’è lo spettacolo di Arturo Brachetti Ciak si gira! e noi si ha due biglietti. Per l’occasione mi volevo tirare a balestra ma fuori fa un freddo boia e noi si dovrà andare dal ristorante al teatro, quindi niente bracciale di strass, niente stivali da pioggia fucsia, niente mantella viola, insomma, una tristezza. Per non sembrare un mix preoccupante tra una suora di clausura e un assassino prezzolato, metto al collo una collana rigida d’argento che si ostinerà a girarsi per tutta la sera e che mi lascerà sempre il dubbio di avere il collo nero causa ossidazione argento.
Parto come sempre un po’ di corsa ma il tragitto fino a Imola è tranquillo, di sabato la gente ha di meglio da fare che pascolare in autostrada. Il percorso Imola-Bologna è invece un po’ più affollato anche se neppure lontanamente paragonabile alla Bologna dell’ora di punta. Dato che guida la Checca a me tocca gestire il navigatore e, come sappiamo, ho i miei problemi. Ci tengo comunque a sottolineare che anche il navigatore non era in formissima. Nonostante entrambi, al teatro ci arriviamo ed è proprio in orario di chiusura dei negozi per cui l’ardua impresa di trovare un parcheggio si risolve in soli cinque minuti. Scendiamo dalla macchina e io non ho la più pallida idea di dove sono; non so se riesco a spiegarmi, non è che non sappia dov’è il teatro (ce l’ho davanti), non ho proprio idea di come sono girata rispetto a Bologna e mi sono già dimenticata la spiegazioni di mia sorella su quali porte siano vicino al teatro. Fortunatamente io e lei condividiamo un sacco di cromosomi ma quello dell’orientamento lei ce l’ha più grosso quindi mi lascio guidare e in pochi minuti arriviamo al ristorante pizzeria La porta di San Felice, scelto appositamente per la sua vicinanza al teatro. La logistica innanzitutto.
La Trattoria/Pizzeria di Porta San Felice
Entriamo e la Checca dice al cameriere che abbiamo prenotato per due; lui ci indica un tavolo e si dilegua. Sul nostro tavolo c’è un biglietto con su scritto prenotato ma non c’è nessun nome; sbircio gli altri tavoli ma anche lì c’è solo il cartellino con su scritto prenotato. Evidentemente hanno una gran fiducia che nessuno millanti una prenotazione che non ha. Il locale sembra una trattoria tradizionale e il menu non delude. Opto per i tortelli di zucca con ragù e prima decidiamo di dividere un antipasto XXL. Messa al corrente dei nostri piani, la cameriera ci squadra e poi ci suggerisce di aspettare di aver mangiato l’antipasto prima di ordinare i primi, a me pare un po’ strano però l’esperta è lei…
Quando arriva il piatto in questione, non posso che riconoscere la saggezza del consiglio: ci sono crocchette di verdure, polpette, melanzane alla parmigiana, patate con pancetta e formaggio e, per finire in gloria, olive piccanti.
Pur partendo con le migliori intenzioni e un notevole appetito, riusciamo a stento a finirlo e ci troviamo obbligate a confessare alla Cameriera (la maiuscola a questo punto è d’obbligo) che non c’è nessuna possibilità di riuscire a mangiare anche un primo. La sua reazione non si fa attendere: “Lo sapevo che non dovevo dirvi di aspettare a ordinare, adesso mi licenziano!”  Ci facciamo una risata e decidiamo che però un dolcino, quello ci sta. La Came caldeggia il tiramisù (tirami up, come lo chiama lei) ma io punto la torta alla crema con more e la torta con mascarpone e amaretti. La seconda è finita e quindi dietro consiglio della Came ripariamo su una mousse mascarpa e nutella che sì, può andare, però resta il rimpianto. Siamo lì che finiamo la torta chiacchierando rilassatissime quando noto che la Checca mi si irrigidisce e chiede:”Che ore sono?” Guardo l’orologio, sono le nove meno cinque LE NOVE MENO CINQUE! Inizio spettacolo ore nove. Molliamo tutto lì e corriamo alla cassa; passando rallento un attimo per spiegare alla Came che il dolce era proprio buono ma il tempo è tiranno e ci tocca lasciarne una parte. Non sia mai che le lasci l’impressione di non aver apprezzato il dessert che ha suggerito, sarebbe indelicato, proprio non si può.
Essendo che la Checca si allena per la maratona e io qualche corsetta ogni tanto la faccio, volendo potremmo anche correre come gazzelle verso il teatro ma non sarebbe bello arrivare tutte scapigliate e magari con l’ascella pezzata quindi, confidando nel fatto che non si è mai visto uno spettacolo che inizi secondo programma, allunghiamo la falcata e incrociamo le dita. Ringrazio il cielo di aver optato per gli stivali bassi snobbando le francesine bombate davanti con tacco otto/dieci, non sarei riuscita a gestirle.
Fila tutto liscio: arriviamo in tempo a teatro, ci indicano i nostri posti e, meraviglia delle meraviglie, quelli davanti ai nostri sono occupati da due bambine che avranno cinque/sei anni e quindi superano di poco la spalliera della sedia. Una fortuna così non si era mai vista. E infatti non dura, poco dopo l’inizio dello spettacolo le due ridotte si lamentano con le madri che quindi si siedono nei loro posti, prendendole sulle ginocchia. Fortunatamente non sono Vatusse né sono cotonate stile Sofia Loren per cui tutto sommato non c’è da lamentarsi.
E adesso veniamo allo show.
Devo dire che durante lo spettacolo la mascella mi è caduta parecchie volte; in più ho goduto di una colonna sonora inattesa e gentilmente offerta dai tizi seduti dietro di noi, tutte variazioni più o meno auliche di “Ma come cazzo ha fatto?!”
Ogni tanto noi del pubblico si veniva interrogati da Brachetti sui personaggi che stava rappresentando (con solo l’ausilio di un anello di carta marrone ne avrà fatta una trentina) e devo ammettere che, almeno in un caso, quando le bambine davanti a noi hanno risposto all’unisono “Capitano Uncino!!!”, io mi trovavo ancora a brancolare nell’oscurità di una galassia lontana lontana.
Ovviamente tra le prime file era in agguato l’inevitabile secchione che rispondeva di sì a tutto, indipendentemente dalla domanda. Esempio:
Brachetti: “Il suono è come un filo nero che accompagna il film”
Mima con le dita lo svolgersi di un filo, poi ci guarda e chiede: “Lo vedete?”
Secchio-man: “Sììììì!!!!!!”
Brachetti (con un’occhiata divertita in direzione del Secchione):”Ma se non c’è?!! E come mai non c’è? Perché è un suono, non si vede!”

Per riassumere: un gran bello spettacolo, tecnologia e bolle di sapone, piacerebbe a chiunque, con o senza prole.

All’uscita si è presentato il problema di ritrovare la macchina tra le centinaia parcheggiate in zona ma ancora una volta la Checca, dopo aver riso del mio momentaneo panico, si è attivata e mi ha condotto con successo alla meta; a quel punto mi sono ritrovata a combattere col navigatore e son stati momenti difficili. Dopo circa un quarto d’ora abbiamo svoltato e io, sempre fissando il navigatore ho commentato sollevata “Dai, adesso stiamo tranquille per un po’, qui dice di andare dritto per 6,7 km!”, in risposta è arrivata la risata di mia sorella: “Per forza, siamo in tangenziale e dobbiamo andare a prendere l’autostrada per Ancona!” Ho alzato la testa e in effetti era vero. Mi son sentita molto Stanlio.
Il ritorno a Imola è stato tranquillo, anche perché stavolta il parcheggio me l’aveva indicato la Checca che ivi risiede quindi non c’era nessuna catena a ostruire il passaggio (vedi Attacco di Vega sull'Arena di Verona: George Michael in concerto).
Una bella serata cittadina, che per noi gente di provincia è sempre una novità, anche se resta un po’ di rimpianto per quel mezzo dolce al mascarpone e nutella…

giovedì 8 dicembre 2011

Giove e Saturno uniti contro i punti neri

Eccomi di ritorno come promesso. Quello di oggi sarà un post/tutorial con consigli e suggerimenti dermatologici. Non posso prendermi il merito di cotanta chicca, essendo che sto vampirizzando un articolo di Glamour, numero di dicembre.
L'articolo in questione ci svela che il nostro benessere cutaneo è regolato da quattro pianeti: Luna, Marte Venere e Saturno quindi, sostanzialmente, prima di fare un peeling è meglio leggere l'oroscopo. In questo caso siamo molto fortunati perché con l'aiuto di un esperto di astrologia ci vengono suggeriti i momenti ideali per tutta una serie di procedure che porteranno la nostra pelle alle vette dello splendore cutaneo. Bando alle ciance, partiamo.

Gennaio - La partenza è in salita: il Sole in quadratura è ostile, quindi tocca intervenire sulla luminosità della pelle con peeling e pulizia profonda.
Febbraio - La posizione di Giove può causare sensazioni di gonfiore, meglio iniziare una cura drenante o dieta, possibilmente il giorno 21 (se il giorno 21 vi regalano dei ciccioli, sapete dove trovarmi).
Aprile - Il Sole torna a rompere gli zebedei (essendo in opposizione penalizza la luminosità cutanea), buttatevi su scrub e maschere rivitalizzanti come se non ci fosse un domani.
Giugno - Giove in Gemelli stimola una maggiore produzione di sebo (non credo di dover aggiungere altro).
Luglio - Stavolta il problema è Marte in Bilancia che determina una sensibilità cutanea (ma solo a partire dal giorno 4), per cui due mesi prima vi tocca iniziare a bombarvi con l'integratore di licopene (e non avete scuse, il programma ve lo danno adesso!)
Agosto - Dal 17 c'è la Luna Nuova, quindi la pelle trionfa (sarà mica stato tutto quel licopene?) e se la tira un casino.
Ottobre - I meno fortunati che hanno la pelle grassa vedranno un aumento dell'oleosità cutanea dovuto a sto fatto che Marte e Giove sono opposti; a quelli che hanno la pelle secca invece cadranno molti capelli causa le maledizioni scagliate contro di loro dagli invidiosi unti di cui sopra.
Novembre - La Luna Nuova del 13 è propizia per iniziare trattamenti antirughe, macchie, acne, couperose. Ringraziano le estetiste che probabilmente il 15 devono versare l'IVA.
Dicembre - L'opposizione di Venere a Giove segnala un eccesso di impurità a partire da dopo il 23 (chissà come mai?!)

Noterete che mancano alcuni mesi, sono quelli noiosi in cui il livello di assurdità era inferiore allo standard minimo accettabile.
Devo confessare che scrivere un articolo non è mai stato così facile.

martedì 6 dicembre 2011

Scarlet is the new black

Oggi è un po' un giorno cazzeggio: non lavoro, fuori c'è la nebbia e la voglia di lavorare è partita prima per il ponte dell'Immacolata per evitare le file, quindi son qui che faccio colazione con la mia tazza di tè e il numero di dicembre di Glamour, fonte inesauribile di divertimento, nonchè base per parecchi dei miei post Toccata e Fuga.

In questo caso le cose si muovono lentamente, passo le prime inevitabili e interminabili pagine di pubblicità (sì, perché il resto cos'è?), arrivo al pezzo sul vermiglio passionale (che l'articolo sostiene essere il nuovo nero) e mi soffermo sull'immagine della scarpa con tacco a spillo e aperta davanti (qui definita stiletto open toe). Qualcuno prima o poi mi spiegherà perché dovrei comprarmi una scarpa con un buco davanti quando fuori ci sono tre gradi, sarà che io non sono fescion ma ci terrei a conservare tutte e dieci le dita dei piedi, chiamatemi sentimentale.
Sempre il pezzo sul vermiglio passionale ci presenta vari oggetti in questa trendissima nuance, tra cui una clessidra con doppi calici. Rileggo tentando di capire ma il mistero rimane fittissimo: la clessidra è composta da due calici (uno a testa in giù) uniti a livello degli steli, all'interno scorre una polvere vermiglia e passionale. Prima domanda: perchè? Seconda domanda: perché? E potremmo continuare all'infinito.

Per fortuna basta un sorso di tè e torna il sereno, deglutisco e vado avanti. L'attenzione  si sposta su un altro oggettino subito sotto, un papillon di ceramica (sempre vermiglio passionale) che a prima vista immagino essere una bomboniera, uno di quegli oggetti smaltati e privi di senso che darebbe grande soddisfazione tirare contro un muro. Guardando meglio, però, noto una specie di banda elastrica nera con chiusura e la verità si fa prepotentemente strada: non è una bomboniera ma un vero papillon, hanno prodotto un papillon di ceramica da mettersi al collo. Ottimo, a quando le mutande di terracotta?
Per oggi direi che è tutto, a domani per l'oroscopo dermatologico (cosa fare quando la pelle ha Saturno contro).

venerdì 2 dicembre 2011

Street art e marshmallow puffosi: Drink & Draw per Cesena Comics

Domenica 13 novembre si è concluso ufficialmente Cesena Comics 2011, il festival dedicato al fumetto e ai suoi fan di tutte le età. La conclusione era affidata a un evento particolare, una serata “Drink & Draw” in cui vari disegnatori ospiti del festival si sarebbero trovati a bere un bicchiere di buon bere, fare due chiacchiere e, soprattutto, disegnare in libertà.
La colonna sonora della serata era nelle mani di “Enrico Farnedi e i suoi ukuleli” (mi piace ukuleli), quindi noi non potevamo mancare.
Alle ore 20.30 l’Ale ha suonato il mio campanello e alle 20.45 eravamo sotto casa della Clodia; la Ste purtroppo era di turno al teatro Bonci e quindi ci avrebbe raggiunto là.
Per una volta abbiamo osato (non guidavo io) e la nostra baldanza è stata ricompensata: abbiamo trovato parcheggio a pochi metri dalla piazza del popolo, più centro di così non si può.
Andando verso il locale ci siamo fermati davanti a un negozio di suppellettili e, mentre la Rini e Paul vagliavano gli oggetti in vetrina alla ricerca dell’attaccapanni definitivo, mi è caduto l’occhio per terra e più precisamente sul disegno dell’omino che indica il percorso pedonale, disegno che una mano misteriosa aveva reinterpretato. L’umorismo romagnolo pare godere di ottima salute.
L’enoteca Vivì era già parecchio affollata per cui ci siamo buttati sull’unico divano libero, quello di fianco a dove suonava il Farnedi. Peccato che il divano fosse per tre e noi invece fossimo quattro, per cui l’Ale e la Clodia che erano in mezzo stavano come papesse, mentre io e Paul ai lati eravamo a dir poco sacrificati, a dir bene insteccati come stoccafissi. Quando è iniziato il concerto mi sono ritrovata a fare le contorsioni per vedere qualcosa perché, pur essendo di fianco al palco (anche quello un altro divano), nel tentativo di far posto a tutti alla fine mi ero ritrovata girata al contrario (sono un genio). In più alcune ragazze, non riuscendo a trovare sedie libere, avevano optato per il pavimento, soluzione comprensibilissima ma che trasformava qualsiasi tentativo di andare a prendere da bere in un simil-camel trophy. Per fortuna di lì a poco due degli occupanti del divano di fronte se ne sono andati e noi ne abbiamo preso possesso, se non altro ho evitato un potenziale colpo della strega.
Sul tavolino di fronte a noi, oltre ai prevedibili bicchieri di vino, c’erano delle mucche pezzate di plastica, uno scoiattolo a molla e uno stagno con paperette anch’esso di plastica. A Farnedi ci piace decorare (vedi asse da stiro avvolta in una tovaglia e cosparsa di lucine di Natale posta a lato palco).
L’artista era in solitaria, quindi il concerto è stato molto raccolto, intimo. Non aveva pedalini e questo secondo me un po’ l’ha fatto soffrire ma a volte la vita è matrigna. A noi invece è andata meglio: da una parte Paul  si è eroicamente offerto di andarci a prendere qualcosa da bere e ci ha portato a chi un ottimo bicchiere di rosso, a chi del vin santo, sfidando le intemperie di quel mare di gambe e piedi che lo separava dal bar, dall’altra Farnedi aveva messo a disposizione del pubblico una ciotola piena di orsetti gommosi e noi non ci siamo certo fatti pregare.
Però c’è un però; al nostro arrivo non avevamo potuto fare a meno di notare il sacchetto di marshmallow a forma di puffi appoggiato con noncuranza sul divano del musico, il quale musico l’aveva definito un omaggio dell’organizzazione. Ora, a casa mia, se lasci un sacchetto di roba da mangiare in bella vista, poi lo devi condividere, mica puoi fare finta di niente. E invece il concerto proseguiva e di puffi neanche l’ombra. Ho deciso di passare all’azione: mentre Farnedi era impegnato con l’accordatura del millesimo ukulele, ho iniziato ad allungare la mano poco a poco, strisciando sul divano in direzione del sacchetto. Di fonte a me la Clodia ha notato la mia manovra e io le ho fatto un cenno, indicando con gli occhi il sacchetto di puffi; immaginate il mio sgomento quando la serpe in seno mi ha segnalato al Farnedi svelando l’ardito piano! In un attimo il sacchetto di puffi è sparito e sono stata pubblicamente redarguita. Vari gesti in direzione della Rinaldi le hanno fatto capire che me l’avrebbe pagata, la spiona, intanto però toccava rassegnarsi. Il concerto è proseguito tra cover del cugino veterinario e cuori a metano. L’unico appunto che mi sentirei di fare è che quando l’uomo ha attaccato Julie, l’ukulele scelto era troppo morbido per rendere la disperazione e l’angoscia del pezzo. Ma poi queste sono idee mie che chissà…
Pur continuando a seguire il concerto, una parte della mia mente si arrovellava sul problema dell’accesso ai puffi, temporaneamente impedito, come sbloccare la situazione?
 Alla fine ci sono riuscita ma, onestamente, non posso prendermi il merito della situazione se non per il fatto di aver colto l’attimo: Farnedi mi ha alzato la palla e io ho schiacciato. Eravamo ormai ben oltre la metà del concerto quando al microfono the artist mi ha chiesto che ore fossero e io gli ho risposto “È l’ora dei puffi!” A quel punto aveva le mani legate, ha tirato fuori il sacchetto e l’ha fatto girare. Dopo vari avanti e indietro, finalmente la merce è tornata all’ovile e ho potuto assaggiarne uno: la cosa più schifosa che si possa immaginare, dopo dieci secondi ti sembra di aver in bocca una lumaca, oltretutto sa di plastica ma dolcissima. Ho dato fondo a tutto il mio vasto repertorio di facce schifate, avrei voluto sputarlo ma non si fa (sempre ste xxx di buone maniere) quindi mi è toccato ingoiarlo tra le risate del popolo dei divani.
Tra le chicche del concerto segnalo la cover di Bovi in moscone, una delle mie canzoni favorite, anche se preferisco ascoltarla quando c’è anche Marco Bovi che suona. Mi resta il rammarico di non essermi alzata per osservare un po’ più da vicino i disegnatori al lavoro che purtroppo erano dall’altra parte della sala; ci ho pensato più di una volta ma, da una parte avrei dovuto calpestare parecchia gente accomodatasi sul tappeto, dall’altra ero seduta proprio a mezzo metro dal Farnedi e quindi un mio alzarmi e andare via non sarebbe passato inosservato quindi, da vera pusillanime, ho lasciato che il non oso prevalesse sul vorrei come il vecchio gatto del proverbio.
Si stava bene in quel posto là, tra chi chiacchierava, chi disegnava, chi elencava le cose da mangiare che non ci piacciono e chi come l’Albertini elencava quelle che non può mangiare per intolleranze varie. È un po’ il dramma di quelle domeniche sera che finiscono tra le migliori, quando stai passando una serata stupenda ma hai il lunedì appollaiato sulla spalla che rompe le balle, quindi alla fine ci siamo arresi, abbiamo salutato un po’ tutti e, con un ultimo inchino a Elisa Rocchi per rendere merito all’organizzazione del Festival e della serata, noi cinque donzelletti abbiamo abbandonato il calore del Vivì per il freddo e il gelo dell’era glaciale scesa quella sera giusto per noi.
Qui trovate alcune foto della serata




Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271