lunedì 31 gennaio 2011

In gita a Madrid (tipo la gita delle medie) - la prima di due parti

Rileggendo quanto scritto, seduta comodamente sul divano di casa, mi sembra impossibile che in quattro giorni abbiamo accumulato tante assurdità. E’ vero che eravamo a Madrid, patria della movida ma, a guardarci bene, tutto quello che leggerete d’ora in poi è 100% made in Italy, non ci sono scuse.
Il gruppo di viaggio era composto di quattro unità (la quinta si è materializzata in corso di viaggio), e più precisamente:

la sottoscritta,
la Rini (Clodia),
la Lucchi (Nadescie),
e la Berti (Daniela-per-favore-non-fatemi-incazzare).

Prima di buttarmi a capofitto nella narrazione, è doveroso un ringraziamento alla Rini, la cui agendina nera mi ha permesso di prendere appunti durante i quattro giorni di viaggio (avendo appena finito il post di Amsterdam mi ero ripromessa di non scrivere una riga su Madrid ma non ce la potevo fare e capirete il perché).

Si parte la mattina dell’1 gennaio (dopo i bagordi di capodanno) e siamo in uno stato un po’ pietoso; qualcuno suggerisce di fermarci in autogrill x fare colazione e così facciamo, scartando però il Bevano perché secondo la Rini, se prendi il caffè lì poi ti viene mal di pancia (come potevo non prendere appunti, come?). Memore della mascotte del precedente viaggio ad Amsterdam, la Berti annuncia di voler acquistare un altro mattone di Ken Follet che le tenga compagnia; la Rini allora decide di comprare la Bibbia (in autogrill vendono la Bibbia, questo Paese non finirà mai di stupirmi) e promette di leggerci ogni tanto un versetto a caso. Seguono inevitabili minacce di violenza fisica che la convincono a lasciarla in macchina; a questo punto però interviene la Berti che non vuole assolutamente che si lasci la Bibbia sul sedile posteriore della macchina perché (cito testualmente) chissà dopo cosa pensano di lei quelli del parcheggio (?). Nel frattempo la macchina sta segnalando che c’è uno sportello chiuso male, più precisamente quello dal lato della Rini che non si fa pregare e apre lo sportello per chiuderlo bene, il tutto a 130 km/h. Non so come alla Berti non sia venuto un infarto.

Arrivati in aeroporto ci incamminiamo verso i controlli, mentre la Berti e la Lucchi si fermano fuori a fumare una sigaretta. Mezzora dopo, il nostro volo sta imbarcando e delle due imbombite non c’è traccia alcuna. Quando anche l’ultimo passeggero è salito sulla navetta, avvicino la hostess e le dico che ce ne mancano due, le quali due arrivano dopo parecchi minuti, tranquillissime e impervie a qualsiasi occhiataccia, nostra e della hostess. Le salva il fatto che ci sono altri più in ritardo di loro; ci fanno accomodare su un’altra navetta (la prima è già partita da un pezzo) e, in men che non si dica, vediamo arrivare una sfilza di giovani energumeni ritardatari e il livello ormonale del veicolo va in subbuglio.
Una volta sull’aereo, prendiamo velocemente possesso dei nostri posti. La Lucchi afferra le due estremità della cintura di sicurezza e le allaccia, poi però se ne ritrova un pezzo in più sotto il sedere, mi guarda pensando sia la mia, io però ho già la cintura allacciata. Ci guardiamo perplesse, cosa sarà, la cintura di ricambio? Decidiamo ad ogni modo di tenerla a portata di mano, potrebbe essere utile per meglio assicurare la Berti al sedile, visto che pare sul punto di saltare addosso all’energumeno dal collo taurino seduto un paio di sedili dietro.
Una volta in volo, la Berti e la Rini iniziano a prendere appunti sui luoghi meritevoli di visita; guardando meglio mi accorgo che la Rini sta scrivendo le info sul sacchetto del vomito che, presumibilmente, si porterà dietro per tutto il viaggio. Non ci facciamo mancare niente.

Atterriamo a Madrid in perfetto orario e, una volta recuperato il bagaglio a mano dalle hostess, io mi avvio con gli altri passeggeri verso il terminal; peccato che sia l’unica, le tre grazie sono ancora là che aspettano che i rugbisti scendano dall’aereo con una determinazione che le groupie più incallite se la sognano. Sorvoliamo sui jeans della Rini, talmente scesi che ormai si vedevano i polpacci.

L’hotel in cui soggiorniamo è super trendy e a me e alla Berti capita la camera migliore (leggi quella col bidet). La tv è di quelle super moderne ed è ovviamente un assoluto mistero, siamo ancora qui che ci chiediamo come diavolo si cambiasse l’audio dei film in spagnolo.
N.B. Spero ardentemente che questa moda di mettere il lavandino in camera passi presto perché fai un gran bordello in camera e bagni ovunque. Non ci siamo.

Una volta sistemate le cose in camera, partiamo alla ricerca di un posto dove pranzare ma, essendo le tre di pomeriggio del primo dell’anno, Madrid è un deserto silenzioso. Ci fermiamo per qualche minuto davanti a un poster dell’ultimo film di Johnny Depp e, mentre la Berti e la Lucchi litigano per farsi una foto davanti al cartellone (fortuna che non ci sono testimoni), io osservo incredula un’enorme scia di bolle di sapone che arriva fino a noi trasportata dal vento. Sono migliaia, sembra di essere in un film di Miyazaki, non fosse per le due folli che si contendono Johnny.
Dopo lungo peregrinare troviamo finalmente uno Starbucks aperto e ci fiondiamo dentro. Il tè non sarebbe neanche male, neppure i panini, il problema è che ci sono 28 gradi e tutto suda, una costante dei locali pubblici spagnoli, fuori un freddo che si bela e dentro i tropici. Mah.

Iniziamo la nostra esplorazione diretti alla Plaza della Paja dove, secondo i fantomatici appunti sul sacchetto del vomito, c’è la movida più movida di Madrid; quando arriviamo sul posto però, ad attenderci c’è il nulla. Tutto chiuso e buio, praticamente la morte civile. Torniamo sui nostri passi un po’ abbattute e finiamo senza accorgercene in Plaza Mayor. La conversazione si sviluppa più o meno in questi termini:

Io: “Oh! Siamo in Plaza Mayor!”
“No, qui dice che è la plaza XXX”
Io: “Boh, non so cosa dice lì ma questa è la Plaza Mayor”

Alla fine concordiamo tutti di trovarci in Plaza Mayor, fondamentalmente grazie a una provvidenziale scritta, PLAZA MAYOR, e facciamo un giro esplorativo. Non che sia facile, la piazza è piena di bancarelle di dolciumi e giocattoli e di spaventose statue viventi che qui sono di gran moda. Mentre passeggiamo (la Rini ovviamente incontra qualcuno che conosce anche a Madrid) l’occhio cade su un tipo spagnolo inguainato in una tutina da Spiderman, che si offre come soggetto per le foto. Ora, l’idea non sarebbe niente di nuovo, se non fosse che lo Spiderman in questione ha quei 20-25 chili di troppo rispetto al supereroe, sembra l’Uomo Ragno Pienotto. Assolutamente irresistibile. Ci facciamo un trilione di foto e di risate e lo salutiamo lasciandogli una mancia da conto svizzero.
Riprendiamo la passeggiata e dopo qualche minuto ci imbattiamo nella Taberna de la Daniela con conseguente vagonata di foto. La cena si consuma all’osteria dei 100 montaditos. E qui devo aprire una parentesi: anche a Madrid, trovare un posto dove mangiare si è rivelato un arduo compito. In molti casi si trattava di una corsa contro il tempo perché c’era da tamponare il calo di zuccheri della Berti che se lo prendi in tempo tutto ok ma se aspetti troppo son dolori. In più, a parte la donna vegetariana che non mangia aglio e cipolla (basi della cucina spagnola), c’erano altre difficoltà: quel posto non era bello, nell’altro faceva freddo, in quello invece c’era troppa gente, fino ad arrivare all’assoluto picco del rifiuto: siamo entrati in un locale per uscirne dopo 10 secondi perché “puzzava d’aglio”. Vostro Onore, ho concluso.

continua...

giovedì 27 gennaio 2011

Sabato sera - pensavo acqua ma non tempesta

La serata si preannuncia movimentata ma potenzialmente interessante: si è deciso di andare a Ravenna per assistere a una trasmissione radiofonica durante la quale Farnedi farà un piccolo concerto. A seguire, ritorno a Cesena per fare un salto al SinCafè a festeggiare il compleanno dell’Ivelise. Sulla carta è fattibile, si tratta di organizzarsi.
Ci troviamo alle 19 a casa della Rini, o meglio, alle 19 ci troviamo io e Paolo, cinque minuti dopo arriva la Ste ma della Rini non c’è traccia. Compare alle 19.10 insieme alla Cecca la quale, dopo una breve opera di persuasione, decide di unirsi a noi, nonostante sia decisamente provata dall’aver passato varie ore shoppingando alle Befane (di sabato è follia pura).
Nonostante mi abbiano eletto navigatore, arriviamo a Ravenna senza problemi e in leggero anticipo, il che ci permette di passare da un bar dei dintorni per un aperitivo.
questo poteva tornare utile alla barista
Essendo che il bar in questione è anche pizzeria, gli stuzzichini che accompagnano l’aperitivo sono tranci di pizza e noi non ci facciamo certo pregare. C’è da dire che la barista ha avuto la mano un po’ pesante con gli Spritz, quindi usciamo dal bar leggermente ‘mbriaghi e torniamo al locale sperando che non si noti.
Individuati Farnedi e Mohuro, chiediamo delucidazioni circa la trasmissione ma anche loro non ne sanno molto, salvo che suoneranno un paio di pezzi durante le due interviste agli ospiti e poi ci sarà un mini concerto di venti minuti alla fine. E’ tutto un po’ misterioso.
Gli intervistatori prendono posto e noi ci sediamo pieni di curiosità tra il pubblico. Chissà cosa ci aspetta?!
Parte la sigla d’inizio del programma e il primo pensiero che mi viene è: “Ma non è un po’ Fascio sta sigla?” Mi chino verso la Cecca per condividere il mio pensiero e lei mi fa notare che il simbolo sul grande schermo di fronte a noi è una fiamma. Cominciamo bene.
Sullo schermo c’è un enorme conto alla rovescia che, anche se lì per lì non ci facciamo caso, si trasformerà presto nel nostro migliore amico.
Parte la prima intervista: l’ospite è una semiologa appassionata di crittologia. Ora, nulla contro la materia, indubbiamente affascinante, il problema è riuscire a seguire l’intervista, più simile a una relazione accademica che a un incontro a scopo divulgativo. Ci ritroviamo inchiodati alle nostre poltroncine, proprio di fronte agli intervistati, circondati da ferocissimi precipui e sanguinarie ontologie, senza alcuna possibilità di scampo. Intanto sul grande schermo il conto alla rovescia prosegue, sempre troppo lentamente. Proprio mentre sto lottando per mantenere un’espressione perlomeno accettabile, la Rini mi passa il suo cellulare su cui leggo quanto segue: NON ABBIAMO BEVUTO ABBASTANZA.
Al termine della prima intervista si accende un barlume di speranza; mi giro verso la Cecca e sibilo: “Dai che da adesso in poi è tutta discesa” Non mi sembra di averla convinta.
La seconda intervista inizia quando mancano ancora 30 minuti; deglutiamo un paio di volte, stringiamo i denti e siamo pronti.
Da quel momento in poi nessuno ricorda più niente, ci avvolge una specie di nebbia che s’infittisce ad ogni frase; di tanto in tanto si riesce a emergere per qualche secondo e ti vengono in mente Amici miei e la supercazzola.
In uno di questi rari squarci di consapevolezza sento parlare di un progetto: un’iconoteca a cui vari artisti sono stati chiamati a contribuire con immagini corredate di testo. Penso: potrei contribuire anch’io? Con cosa? Risposta: la foto di quel famoso ristorante messicano di Amsterdam, con sotto scritto Ci fotterono.
Sprofondo nuovamente nella nebbia, sentendomi però anch’io un po’ artistica.
Accorgendosi che (grazie a dio) manca poco più di un minuto, l’intervistatore fa la nostra gioia con l’ultima domanda e chiede dove si possono trovare copie della rivista (sì, pare si parlasse di una rivista). Risposta: “A questa domanda risponderà qualcun altro, io invece vorrei parlare di….” E così si esauriscono gli ultimi secondi dell’intervista, lasciandoci con l’incognita di dove si possano trovare ste benedette copie, anche perché non è che si possa scoprire, chessò, con una ricerca su internet dato che, a quanto abbiamo capito, la rivista in questione sembrerebbe chiamarsi La rivista.
Segue mini concerto che ci risistema un po’, proprio come l’acqua calda col limone quando hai mal di pancia. Ovviamente resta il dubbio che Farnedi sapesse a cosa andavamo incontro ma abbia taciuto per i suoi loschi fini. Lui nega con forza ma chissà.
Fuggiamo verso la macchina e in men che non si dica siamo a Cesena e più precisamente al SinCafè, dove i festeggiamenti impazzano già da ore e la musica pompa con entusiasmo. Salutiamo e auguriamo l’Ive, per poi infamarla dopo aver visto il suo portacellulare incrostato di Swarowski sul rosa con motivo a corona centrale. Son brutte cose.
Nonostante si stiano festeggiando tre compleanni e ci siano quindi tre festeggiati, l’indiscusso protagonista della serata è tale Pedro (così ce lo battezzano), un uomo una spugna. Il Pedro in questione pare abbia tracannato di ogni e, in effetti, oltre a un colorito che i truccatori di Twilight se lo sognano, ha l’espressione di chi vede cose precluse ai più.
A un certo punto tira fuori dalla tasca il cellulare e rimane a fissarlo per almeno un minuto; niente di strano, se non fosse che lo tiene di profilo.
Ogni tanto scompare (Dov’è Pedro? Sarà vivo?) per poi tornare al banco per un refill. E incredibilmente, nonostante l’ora tarda, si regge ancora in piedi.
Quando a fine serata togliamo le tende, di Pedro non c’è più traccia. Ci dicono che l’hanno portato a casa e non possiamo fare a meno di provare un po’ di compassione per l’altro Pedro, quello che si sveglierà domattina e vorrà morire.