martedì 26 giugno 2012

Trovate pane per i vostri denti

Questo post è l'inevitabile conseguenza delle mie ultime scoperte circa le macchinazioni ordite negli ultimi tempi dai produttori e/o distributori di pane (vedi Non di solo pane vive l'uomo...) locali. Avendo scoperto un'evidente speculazione su un bene di prima necessità, ho deciso di ribellarmi e, dopo un'attenta ricerca sul web e la visione di alcuni tutorial, mi sono lanciata nel mondo della panificazione. Mi sono imbattuta in video che promettevano di insegnare a fare il pane senza sporcarsi le mani; ora, se non volete sporcarvi le mani, il mio consiglio è: comprate il pane dal fornaio. Il cibo va manipolato, non morde. 
Ho deciso di iniziare senza troppe pretese con il tipo comune (che è poi quello che noi compriamo normalmente) senza tante aggiunte, se non un po' di lievito e sale.
Nella mia esplorazione dell'universo pane, ho raccolto qualche consiglio, che qui condivido più che altro per tirarmela e fare la parte di quella esperta.
Le cose sono andate più o meno così: ho misurato un quarto di litro d'acqua, tiepidina, e ci ho sciolto dentro 3 grammi di lievito di birra, poi seguendo le istruzioni di un video in cui l'autore rivelava il segreto di sua nonna (pare abilissima panificatrice), ho aggiunto un cucchiaino di miele e sciolto anche quello. Nel frattempo avevo messo 400 gr di farina  nel robot e vi ho quindi versato il liquido intruglio. A quel punto, solo dopo un minuto, ho aggiunto il sale perché gli esperti mi avevano fatto due balle così che, se lo aggiungi prima, esso interferisce con il lievito.
Ho lasciato lavorare il robot per qualche minuto, poi ho rovesciato tutto sul piano di marmo e munitami di grembiule di sicurezza (quello con sopra l'effige di Titti, regalo di compleanno delle superiori, praticamente vintage), ho passato il successivo quarto d'ora a impastare l'ammasso.
Devo dire che se uno è stressato, questa cosa di impastare sempre allo stesso modo, sempre con lo stesso ritmo, finisce per essere molto rilassante. Alla fine ho messo tutto in una terrina e l'ho infilato nel forno spento, lasciandocelo tutta la notte (un totale di 14 ore di lievitazione).
In realtà avevo ipotizzato solo 12 ore di lievitazione ma, per rispettare il programma, mi sarei dovuta svegliare alle sei e di questi tempi la sveglia all'alba non è proprio cosa...
La mattina dopo, una volta fatta colazione, ho aperto il forno e tirato fuori l'ammasso lievitoso; per fortuna mi ero messa un promemoria, altrimenti l'impasto l'avrebbero trovato i miei pronipoti, questo sì, lievitato da dio.
Sono seguite un'ulteriore fase di lavorazione manuale e seconda lievitazione (un paio d'ore), dopodiché ho messo l'impasto in una teglia e l'ho infornato a 220 ° x 35 min circa.
Ultimi dettagli appresi in Rete:

1) collocare un bricco di metallo pieno d'acqua nel forno per non fare seccare il pane.

2) Non scollegare mai il cervello durante il processo, ne potrebbero derivare tragedie inenarrabili (per esempio, se non usate la carta da forno, dopo per pulire la teglia ci vuole l'idropulitrice).

Oh, ha funzionato! Dopo i suoi 35 minuti, con la cucina che profumava di buono, ho sfornato la mia pagnotta e l'ho messa a raffreddare su una griglia; nonostante non fosse cresciuta tanto (come darle torto, con 3 grammi di lievito!), osservandola sono stata presa totalmente alla sprovvista da un senso di profonda soddisfazione. Mi ha sorpreso perché cucino abitualmente, quindi il fatto di produrre cibo non è una gran novità; forse in questo caso la differenza stava nel valore simbolico del pane, nel fare il pane con le mie mani. 
Non so bene perché ma sta di fatto che una decisione che avevo preso solo per protestare contro il rincaro dei prezzi, si è rivelata una gran bella esperienza.
E non oso immaginare le vette di felicità che raggiungerò quando le piante di pomodoro che ho piantato sul terrazzo (ne parleremo in separata sede) daranno i primi frutti e potrò farmi un crostino al pomodoro e basilico con il mio pane, il mio pomodoro e il mio basilico.
Prevedo un'estrema soddisfazione.

giovedì 21 giugno 2012

Faraone in carriola con salsa yogurt: la nuova ricetta di Johnny e Mongo

Oggi facciamo un viaggio nel tempo e torniamo con la mente al 5 giugno: è martedì sera e tutto sembra indicare che stavolta ce la faremo. In passato abbiamo fallito per motivi vari e troppo lunghi da elencare; questa sera però, cascasse il mondo, si va a vedere il nuovo spettacolo di Johnny e Mongo: "Johnny & Mongo - l'Antico Egitto".
L'Ale passa a prenderci puntuale come sempre e dopo mille dubbi (sarà caldo? Sarà freddo? Sarà umido? Avranno la cocacola?) saliamo in macchina e si parte in direzione Ravenna.
La performance si tiene all'Arena Palma d'Oro in quel di Castiglione di Cervia, un'amena località che dista circa mezzora da casa nostra; durante il tragitto in macchina scopriamo un mondo a noi sconosciuto, vecchie case, vie con macchine parcheggiate ovunque causa locale festa dell'Unità ma, soprattutto, strade così strette e remote da farci temere che finissero nella famosa cascata alla fine del mondo.
Ma non hanno uno straccio di navigatore? - vi domanderete voi; il navigatore ci sarebbe anche ma, qualcuno, quando ho chiesto se dovevo prenderlo su, ha scosso la testa con l'ormai famosa frase "no, che fin lì ci arriviamo", salvo poi andarsi a sedere sul sedile di dietro e lasciare me (no, dico, me) a far da navigatore.
Ovviamente alla fine il posto l'abbiamo trovato ma, chissà come mai, al ritorno ci abbiamo messo moolto meno...

Purtroppo avevamo già mangiato, quindi non abbiamo potuto testare gli strozzapreti o le tagliatelle al ragù, e neppure l'ottima piadina che una signora stava tirando con il matterello proprio davanti ai miei occhi,  ma per un paio di porzioni di patatine fritte il posto lo si trova sempre; arraffati cibo e beveraggi, siamo scesi nell'arena e ci siamo accaparrati un tavolo in posizione centrale.
Mentre si chiacchierava sorseggiando (io) l'immancabile cocacola, da dietro le quinte del palco è uscito un giovine reggendo un ampio cartellone con cui tentava, senza grande successo, di occultare alla nostra vista quella che era a tutti gli effetti una mummia; la bendata figura (almeno cinque rotoli di carta igienica) si è rapidamente infilata in un parallelepipedo-scatola stile sarcofago, scomparendo ai nostri occhi.
Anche se le trombe sono ufficialmente squillate più tardi, per me è stato quello l'inizio dello spettacolo.
La mummia ha fatto la sua comparsa a spettacolo già inoltrato e dall'alto della mia lievissima claustrofobia sarei curiosa di chiedere,  all'eroe celato sotto le bende, come sia stato trovarsi completamente bendati, chiusi in uno scatolone e impossibilitati a uscire. Solo a pensarci, l'ansia scorre a fiumi.

Lo spettacolo in questione è uno spettacolo di cabaret, surreale e gioiosamente sgangherato, con momenti di musica e teatro alternati, sovrapposti, o come si dice dalle mie parti invrucchiati (attorcigliati). Le scenografie e i costumi sono poveri, fatti di carta, cartone e oggetti improbabili ma perfettamente in linea con lo spirito nonsense della performance.
Merita menzione l'entrata in scena del farone Ramesse, trasportato su una portantina adorna di fronde e spinta da uno schiavo che tutti abbiamo compatito; ho tentato invano di catturare la regale immagine ma il tragitto non era illuminato e il mio telefono al buio non ce la può fare. Quella che vedete qui a lato è una foto presa dalla pagina facebook di Johnny & Mongo
Il faraone in questione, oltre a essere allergico ai latticini (stando alle analisi appena ritirate) si rivela anche un uomo forzutissimo, riuscendo a uscire illeso dall'agguato tesogli da Johnny & Mongo, costretti a toglierlo di mezzo onde spazzare via la maledizione scagliata su di loro dalla mummia di Sethi I, faraone precedentemente ucciso da quello attualmente in carica (la trama in effetti ricorda un po'  Biutiful).
Il faraone e la mummia lottano senza esclusione di colpi e alla fine, quando ormai l'ammasso tessile sembra sconfitto, la mano del destino si abbatte senza pietà sul faraone: incautamente cibatosi di una salsa allo yogurt, il pur nerboruto dio tira le cuoia causa overdose di fermenti lattici.
A quel punto si pone il problema di trasportare fuori scena il corpo del faraone ed ecco ricomparire il carretto frondoso e gli schiavi; sfortunatamente, proprio sul più bello un posizionamento non proprio impeccabile del corpo ha fatto impennare il carretto come un cavallo imbizzarrito. Comunque alla fine ce l'hanno fatta (chissà quanti regali lividi saranno spuntati il mattino dopo).

Ovviamente, trattandosi di una performance di un certo livello, non sono mancati gli attimi di romanticismo struggente, cito ad esempio la vetta di tenerosità toccata dall'espressione "Amore ti spezierò" all'interno del componimento "Amore ho fatto il sugo rosso" che non ha mancato di strappare qualche lacrima al pubblico.
Segnalo alcuni dei miei momenti preferiti tra quelli ormai considerati parte irrinunciabile di qualsiasi performance J&M che si rispetti: la lotta con il coccodrillo gonfiabile (in questo caso è il dio coccodrillo che i due sono costretti a venerare) e l'inno a Gozer, il Distruggitore (a lato trovate un video, in questo caso vale veramente mille parole); in questa performance il Gozeriano è il nuovo dio incontrato dai due eroi dopo quarant'anni di peregrinazioni nel deserto.
Di pregevole fattura il cartellone con su scritto "40 anni dopo".

Come già accaduto con l'ingresso e l'uscita del faraone, la performance non si limitava al palco, estendendosi invece anche alle zone limitrofe, come ad esempio quando Mongo ha deciso di salire su un albero per scrutare l'orizzonte ed è saltato giù dal palco, dirigendosi verso una palma ubicata sulla nostra destra. Io pensavo facesse finta e invece quest'uomo scalzo, a mani nude, i fianchi cinti da un gonnellino, si è arrampicato fino in cima alla palma, roba che neanche l'Uomo Ragno... Mentre lo fissavo incredula, il dubbio che fosse in realtà un alieno fatto di gomma mi è venuto, lo confesso.

Mi rendo conto che potrei continuare ancora per parecchio, mano a mano che ci penso mi vengono in mente altre cose ma, essendo che ho una lavatrice di panni da stendere, mi congedo con un'ultima raccomandazione: date un'occhiata alla loro pagina facebook e, se dovessero venire dalle vostre parti, non fatevi sfuggire l'occasione.


P.S. Per quelli geograficamente svantaggiati, qui sotto trovate un video con alcuni spezzoni tratti da diversi spettacoli (segnalo la lotta col coccodrillo gonfiabile a fine video); lo spettacolo di cui parlo qui non c'è ma un'idea ve la fate di sicuro. Buon divertimento.



P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

giovedì 14 giugno 2012

T&F: Mondo cane!

Vi avviso subito, siamo in zona colazione e oggi non è aria.
Questo è uno di quei periodi in cui la mattina quando ti alzi non sai mai se sarà un gran caldo oppure pioverà e bubbolerai dal freddo; oggi la va per il caldo e quindi, seppure a malincuore, scarto la tazza di tè caldo e mi butto su un bicchiere di tè freddo e una banana. Non chiedetemi come mi sia venuto in mente di comprare una banana per colazione, non ho scuse, è che stavo cercando qualcosa da alternare alle solite fette di pane tostato con nutella o con le noci e ho voluto provare. Va da sè che non lo rifarò, ci vorrà del tempo per dimenticare la sensazione di viscido che lascia il boccone di banana matura mentre lo butti giù, se non fosse che sa di banana penseresti di ingoiare una lumaca. E  mi rendo conto che ci son disgrazie peggiori ma iniziare la giornata ingoiando lumache non è un gran tonico per l'umore.

Per distrarmi afferro un numero vecchio di Grazia (fine marzo); se avessi accesso ai numeri degli anni ottanta, potrei darmi un tono e dire che leggo riviste vintage, invece è solo roba vecchia ma comunque a colazione si dimostra una compagnia più che soddisfacente.
Il servizio che sto leggendo s'intitola I migliori amici e c'è una modella con vari cani in braccio, la cosa non mi scompone più di tanto, tiro dritto e giro la pagina; di là c'è la stessa modella con un costume assolutamente non sgambato che pare in stile vintage, al che mi scatta la curiosità e leggo distrattamente il trafiletto a lato: abito in cotone con stampa effetto denim. Alt, momento, ma la tipa non era in costume? Rileggo e subito sotto c'è la marca: for pets only. La descrizione si riferiva al vestito del cane. Al vestito del cane.
Riparto da capo e in effetti all'inizio del servizio, proprio sotto il titolo, c'era un sottotitolo che avevo ignorato: In città a tutte le ore, eleganza di coppia. Il servizio offre suggerimenti su come intonare il vestito del cane al proprio. Così si esce belli coordinati. Ah, dì, siam messi così.
E non è finita: sempre nella prima pagina la modella ha un cane in braccio e l'altro in una borsa e nel trafiletto leggo: Per Lilli, come collare, collana bijou (Miu Miu), per Cate orecchini (Prada). Han messo gli orecchini al cane? Guardo la foto e porca miseria sto povero cane ha un orecchino! Ma la protezione animali le sa queste cose?
Nella pagina successiva la modella indossa un completo con giacca da smoking e il povero cagnolino a lato è stato infilato in un mini-smoking di Armani. Armani fa smoking per cani. Potrebbe essere uno slogan per magliette, invece è vero.
Ora, basta dare un'occhiata alle facce dei poveri animali nelle foto per capire quale sia il vero problema; lasciamo stare le case di moda che disegnano sta roba per cani, che se la fanno vuol dire che a questo mondo c'è qualcuno che invece di investire in un buon T.S.O, butta dalla finestra somme assurde per abiti da sera con il buco per la coda. Il problema è un'altro: ma ci pensate a queste povere creature quando escono di casa? Perché io non ho dubbi, appena mettono il muso fuori, conciati così, diventano lo zimbello di tutti i cani che incontrano. Diciamocelo, mettersi gli orecchini strassosissimi sarà anche molto in voga tra i bipedi (per ragioni che adesso non stiamo a indagare) ma dubito fortemente che tra i quadrupedi vada per la maggiore. O magari mi sbaglio, forse mentre mi cullo nella mia beata ignoranza e là fuori ci sono branchi di cani pronti ad azzannarsi per una cavigliera  di Bulgari.
In effetti, l'abbigliamento animale potrebbe anche rivelarsi la nuova tendenza per il futuro, il colpo di genio da trasformare in business, soprattutto in questo momento di crisi economica.

Non volendo lasciare niente di intentato, a chi potesse interessare, ecco il mio suggerimento: fate visita alla vecchia nonna, quella che non butta via niente e, appena si distrae, salite in soffitta e recuperate la vecchia Maglieria Magica di Barbie.
Qualche gomitolo, una bella spolverata e siete pronti a lanciare la vostra linea di abbigliamento per boa e pitoni.

sabato 9 giugno 2012

SI7: se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide

In questi giorni mi stavo interrogando su cosa scrivere nel prossimo articolo su Stonehand Ex Press e Farnedi ha buttato lì un “perché non racconti come va con l’ukulele?”
Allora, vediamo un po’, come va con l’ukulele?
Diciamo che, come in ogni coppia, abbiamo in nostri alti e bassi, però è in gran parte colpa mia perché non investo abbastanza nella relazione.
C’è da dire però che la mia vita di studentessa di ukulele mi sorriderebbe di più se non fosse che mi trovo a dipendere dal mio pusher di accordi (Farnedi) e sospetto fortemente che il marrano a volte m’infili a tradimento un accordo bastardo giusto per vedere di nascosto l’effetto che fa.
Già sul tema degli accordi avevamo avuto un franco scambio di vedute all’inizio di quest’esperimento qualche mese fa: lui voleva darmi uno spartito, sostenendo che tanto prima o poi dovevo imparare a leggere bene la musica, io gli ho risposto che se lo poteva sognare che con tutto quello a cui dovevo già pensare (dove mettere le dita, che tempo tenere, quali parole dire, non mordermi la lingua per lo stress) mi preoccupassi pure di riconoscere le note di quei pallosissimi pallini neri.
Altro motivo di attrito in famiglia è l’illustrazione dei ritmi da tenere; da una parte, ammetto che non reagisco bene di fronte alla mia incapacità, però mettetevi per un attimo nei miei panni:
“Rico, qui che ritmo devo fare?”
“E’ facile, basta fare così” e prende in mano lo strumento.
Non so esattamente cosa succeda dopo, l’impressione è che le sue mani spariscano e poi ricompaiano un po’ più in là, potresti pensare che non si sono mosse ma lo spostamento d’aria e il suono ti smentiscono. A quel punto si gira e ti guarda.
“Capito?”
Il primo impulso è dargli una badilata ma mi controllo.
“Non ho mica visto niente!!! Vai più piano!”
La cosa si ripeterà n-volte.
Il musicista in questione vive in un universo parallelo e non ha la minima idea delle difficoltà che un essere umano deve affrontare quando si avvicina a uno strumento; essendo che il maledetto sarebbe capace di suonare una pietra, è dura fargli capire le problematiche di noi del volgo, perlomeno senza ricorrere alla badilata di cui sopra.
Tornando al presente, in questo preciso momento sto lottando col maledetto SI7, accordo di chiara concezione demoniaca, progettato per torturare intere generazioni di individui caduti nelle mani sbagliate.
Nel mio caso specifico, avevo pensato di provare a suonare “Hard times” di Stephen Foster e Farnedi, dopo qualche giorno, mi ha presentato il testo della canzone con sopra gli accordi; all’inizio tutto andava bene, un LA già noto, un RE che devi ammucchiare le dita ma pazienza, sembrava tutto tranquillo. Poi all’improvviso mi trovo lì un MI7 e per un attimo vacillo, poi però guardo sotto dove il sant’uomo (a tratti marrano a tratti sant’uomo, secondo come mi gira) ha fatto il disegnino della tastiera dell’ukulele con sopra le posizioni delle dita per le varie note. Sulla carta sembra facile ma quando ti trovi a dover passare dal LA al MI7 e le dita si attorcigliano come nidi di tagliatelle son brutti momenti; però, dopo un po’ di tentativi si comincia a vedere la luce in fondo al tunnel e, quando finalmente arrivi alla fine della strofa, ti senti Superman che vola sopra il mondo. E’ a quel punto che la vita matrigna ti ricorda che la vita non è tutta gioia e gaudio; hai appena iniziato il ritornello, decisamente baldanzosa perché almeno di quello le parole te le ricordi, e ti arriva la pugnalata del SI7.


Farnedi ci aveva già provato a spiegarmi sta roba del barrè ma l’avevo stoppato subito con la scusa che in quel momento non mi serviva (il rumore delle unghie sui vetri l’avevan sentito da in fondo alla strada). Stavolta però mi tocca.
Ora, senza entrare nei dettagli dei miei primi approcci con detto accordo (dolorosi ricordi che spero di rimuovere presto) mi chiedo: ma sto SI7 è proprio così necessario? Non se ne potrebbe fare a meno? Dico, abbiamo mandato l’uomo sulla luna, mappato il DNA, sarà pur possibile trovare una maniera di suonare Hard times senza usare sto stracciazebedei del SI7. Pensiamola come un’intolleranza alimentare, come essere vegetariani, una scelta difficile ma che si fa in nome di una vita migliore.
Mi dicono che un giorno, probabilmente molto lontano, riderò di queste mie difficoltà, però io onestamente preferirei ridere adesso; disabili musicali di tutto il mondo uniamoci, insieme per un mondo più giusto, un mondo più libero, un mondo con meno male alle dita.
Meno SI7 per tutti.


P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

mercoledì 6 giugno 2012

Il mio nome è Timoteo...datemi almeno uno zuccherino!

Questa volta ero abbastanza tranquilla, varcando la soglia non ho neanche pensato, come d'abitudine, E togliamoci sto pensiero!
L'idea mi martellava in testa già da un po', erano due mesi e mezzo che non ci andavo e cominciava a vedersi parecchio, mi son fatta coraggio e sono entrata. O meglio, siamo entrati, perché anche Rico doveva darsi una sistemata e mi aveva accompagnato.
L'autore dei due precedenti miracoli purtroppo era già impegnato, quindi sono finita nelle mani del suo collega, mentre Rico sedeva in paziente attesa del suo turno.
Il lavaggio è stato più o meno come l'altra volta ( vedi Parrucchiere sì ma con Estrema Riluttanza), mi sentivo come se fossi capitata tra gli spazzoloni del lavaggio auto. Sarà il marchio di fabbrica del salone: se vuoi un bel taglio te lo devi guadagnare. Ho stretto i denti e chiuso gli occhi pensando ad altro. Poi ci siamo spostati in area taglio e, seduta su una poltrona di fronte allo specchio ho pronunciato queste parole (Rico può testimoniare):
Vorrei lo stesso taglio dell'altra volta, corti di qua, non rasati però corti, e invece lunghi di là.
L'uomo si è messo all'opera e io mi sono fidata, anche perché senza occhiali non vedo una mazza. La prima cosa che avrebbe dovuto insospettirmi è che ci ha messo una vita, però ho pensato, magari è un perfezionista, di quelli mai contenti... che tenerezza le illusioni!

La sequenza che ha frantumato definitivamente quel po' di speranza ancora in piedi è stata la seguente:

1) prende lo spruzzino dell'acqua perché evidentemente mi vuole bagnare i capelli per continuare a tagliare (ANCORA??!!! - penso con un groppo in gola);

2) lo spruzza ovunque, lavandomi completamente la faccia senza apparentemente rendersene conto (non so come, gocciolavo);

3) senza asciugarmi procede col taglio e, ovviamente, tutti i capelli tagliati mi si appiccicano addosso, essendo che ho faccia e collo ancora tutti bagnati;

4) a questo punto mi pare di aver la barba, sembro un po' Timoteo e forse la cosa penetra al suo livello di consapevolezza perché comincia a usare il phon con una certa energia, cercando di spazzare via i peli superflui. Peccato che quando i capelli sono cementati alla pelle il phon gli fa giusto il solletico quindi, dopo qualche tentativo, il nostro uomo spegne l'asciugacapelli e impugna quella simpatica spazzolina rotonda che i parrucchieri usano a fine taglio per spazzolarti via i capelli dal collo. Quella tenera spazzolina che però non va usata quando sei di malumore perchè il collo e la faccia dei tuoi clienti non hanno colpa se ti girano gli zebedei perché il taglio non ti viene come dovrebbe. L'impressione è che mi stiano spazzolando come si fa coi cavalli, con quelle spazzolone grandi, e alla fine non mi danno neppure uno zuccherino, una delusione su tutti i fronti.
5) Dopo tanto tribolare riesco finalmente a vedermi riflessa nello specchio e.... i capelli non ci sono più; da un lato sono rasatissimi, dall'altro ha tagliato tutto il tagliabile, lasciandomi un ciuffettino striminzito. M'insospettisco e chiedo di vedermi dietro per avere la conferma della prima impressione e la conferma arriva, squarciando l'oscurità del dubbio come un lampo nella notte, quando poso gli occhi sulla nuca: sto tizio mi ha fatto un taglio da uomo!
Ora, ammetto di non essere particolarmente pettoruta ma il dubbio che io sia un uomo non esiste, a meno che  non si abbiano seri problemi (visivi o mentali).
E arriva la domanda di rito: "Va bene?"
A quel punto tocca pensare in fretta: se gli dico che fa orrore, poi ci mettiamo a discutere e lì non ci metto più piede mentre io ci vorrei tornare, a patto che mi tagli sempre l'altro; in più non c'è modo di rimediare a sto taglio, l'unica alternativa è il look bonzo, che temo non mi doni. Al che rispondo con uno stringato "sì" (non ho la forza di dire altro) e me ne vado.

Per riassumere, durante i prossimi due mesi o mi compro una parrucca, oppure vado in giro sembrando un uomo.
"Ci prenderanno per una coppia gay" avverto Rico.
Lui cerca di consolarmi dicendomi che sto benissimo (spudorato mentitore) e in fondo posso capirlo, anche per me se ci scambiassero per una coppia lesbica perché a lui han fatto un taglio da Signorina Buonasera non sarebbe un gran problema, ma una coppia gay in cui io sono un omino, quello no, dai.

lunedì 4 giugno 2012

Non di solo pane vive l'uomo. D'accordo, però...

Qualche giorno fa sono andata a fare la spesa in un supermercato diverso dal solito; tutto è cominciato perché volevo testare il nuovo e tecnologicissimo distributore di benzina (ubicato proprio a fianco del supermercato) la cui apertura, a lungo osteggiata dalla concorrenza, aveva suscitato un certo clamore in città, anche e soprattutto visti i prezzi del carburante, decisamente convenienti.
Dai racconti che avevo sentito mi aspettavo file chilometriche e attese interminabili e invece, nonostante ci fossero una decina di macchine in attesa, grazie alle otto pompe disponibili la cosa si è risolta in tempi piuttosto brevi.
A quel punto, visto che ormai mi trovavo lì, ho deciso di fare un po' di spesa e ne ho approfittato per andare al banco informazioni a richiedere la speciale tessera del supermercato che garantisce un ulteriore sconto sul prezzo della benzina; sfortunatamente, quando ho presentato l'IBAN al dipendente preposto, mi sono vista scacciare come una lebbrosa dalla frase "mi dispiace ma la tessera non si può fare con i conti online" che è un po' come dire "vendiamo solo in contanti perché delle carte di credito non c'è da fidarsi". Benvenuti nel 2012.

Il dipendente in questione, probabilmente notando la mia espressione incredula (non dissimulo benissimo, devo ammetterlo) ha insistito per consegnarmi una copia del regolamento, copia che allego perché altrimenti uno non ci crede che stampino ancora della roba così. Soffermatevi per un attimo sull'elegante carattere lillipuziano in un sobrio e leggibilissimo color grigio chiaro, l'ideale per invogliare il cliente riluttante (si sa che quando c'è da leggere un regolamento l'entusiasmo non è proprio alle stelle).
Immagino gli anatemi che avrà sfoderato l'anzianotto medio (notoriamente presbite) di fronte a questo gioiellino.

Perdendo probabilmente qualche diottria e lanciando anch'io parecchie maledizioni, ho scorso i vari paragrafi, scoprendo così che la carta può essere legata solo al  conto corrente di una banca con cui abbiano previamente stipulato un accordo. Nessun ostracismo contro la tecnologia quindi, solo un'incomprensibile limitazione del parco clienti, ma quelli son problemi loro e del loro illuminato management.

Visto il nolle prosequi contrattuale, ci ho messo una pietra sopra e mi sono concentrata sulla spesa. Il primo prodotto a colonizzare il carrello è stato una pianta di basilico, uno degli acquisti più a lungo meditati degli ultimi mesi (mica puoi prendere la prima pianta che capita, altrimenti addio pesto!). Mentre stavo passando davanti al reparto pane ho notato un cartello piuttosto vistoso; mi sono avvicinata per vedere meglio e ho letto la seguente comunicazione:



La cesta al centro dello scandalo era pressoché vuota, salvo un filone solitario. Ma cosa avrà di tanto speciale sto pane che fan le corse per comprarlo? La risposta saltava agli occhi dando una rapida occhiata agli altri tipi di pane in vendita. Non c'era niente che costasse meno di 2,80 euro al chilo. Quasi il triplo! E ti credo che la gente fa le corse! Il pane è una di quelle cose per cui al prezzo uno proprio non ci guarda, si dà per scontato che, essendo un bene di prima necessità, il prezzo sia calmierato. E invece, a guardare bene, c'era solo un tipo di pane da 1 euro (e neanche in gran quantità, a giudicare dalla cesta vuota e dal cartello), tutto il resto costava da tre fino anche a sei volte tanto. Ricordo che parliamo di un supermercato, non di una panetteria. Ho trovato un pane (di quelli ai tremila cereali più uno) a 6,20 euro al chilo e mi è venuto un dubbio: sono andata al banco della carne e ho dato un'occhiata ai prezzi: lasciando ovviamente perdere i tipi e tagli più pregiati, c'era il petto di pollo (in offerta) a 4,90 euro al chilo.
No dico, stiamo scherzando? C'è del pane che costa più della carne? Cos'è un'universo parallelo? Una candid camera? Uno dei segni dell'Apocalisse?
Sono francamente senza parole, non per il prezzo in sè ma per la crescente sensazione che qualcuno mi stia prendendo in giro. Qua non puoi distrarti un attimo che qualcuno tenta di svuotarti il portafogli! E non puoi neanche chiamare i carabinieri!
Il pensiero è tornato prepotentemente a quella macchina per fare il pane che volevamo regalarci un paio di natali fa ma che poi abbiamo sostituito con qualche dvd. Che sia il caso di riconsiderare?

P.S. Mentre facevo un giro per la Rete alla ricerca di un tutorial su come fare il pane in casa (che non si dica che non siamo un blog di servizio pubblico), mi sono imbattuta in nel video che vedete qui sotto; l'autore è vikyblu e il sito che lo ospita si chiama BRACCINO CORTO.




P.P.S. Il tocco del barattolo per sciogliere il lievito è notevole, fa molto Tom Cruise in Cocktail.