giovedì 30 novembre 2017

Quando hai finito lui fai me?

Questo post appartene al filone "Parrucchiere - non aprite quella porta", una serie che mi ha dato grandi soddisfazioni in passato, ripagandomi (anche se solo in parte) dei traumi subiti nel corso degli anni a opera della categoria.
Arrivata a questo punto, dopo aver cambiato milemila parrucchieri, italiani e non, mi trovo costretta ad ammettere che il problema sono io: ho evidentemente delle difficoltà di comunicazione (ironico per una che fa l'interprete) con la parte coiffeur del mondo.
In questo specifico caso, ammetto apertamente le mie colpe, sono stata frettolosa e poco precisa; avrei dovuto esordire dicendo voglio solo spuntarli ai lati e dietro, sopra lasciali come sono e invece quando lui mi ha chiesto: Taglio? io ho semplicemente risposto di sì, aggiungendo li voglio dritti senza pensare che la mano del parrucchiere è un purosangue scalpitante che va tenuto a freno, altrimenti comincia a sforbiciare furiosamente e addio capelli.
Inoltre, essendo io parecchio miope, una volta tolti gli occhiali in sede di lavaggio, sono nelle mani dello sforbiciatore di turno fino alla fine, quindi diventa ancora più importante arrivare a un accordo blindato, prima che la mano impugni l'acciaio.
A volte l'Universo si impietosisce e prova a lanciarmi un segnale di allarme ma ahimè, rintronata come sono, il più delle volte non me ne accorgo.
In questo caso il segnale somigliava molto a un allarme tsunami: un tizio entrato mentre io ero sotto taglio, si è seduto alle mie spalle dicendo al parrucchiere Quindi quando hai finito lui fai me?
E in effetti, quando mi sono messa gli occhiali mi sono trovata davanti mio fratello, quello arruolato in Marina.
Il parrucchiere dispiaciutissimo continuava a ripetermi dimmi cosa vuoi e ti sistemo ma come facevo a dirgli che non c'era abbastanza materia prima da sistemare, avendo i miei capelli una lunghezza massima di 5-6 cm? L'ho comunque rassicurato, ammettendo le mie responsabilità, dopodiché mi sono messa una berretta in testa (per fortuna ce l'avevo) e me ne sono tornata a casa a testa bassa.
Fortunatamente, un rapido cambio di pettinatura (non più dritti ma tutti pettinati in avanti) mi ha permesso di mostrarmi al mondo senza fare svenire le vecchiette o piangere i bambini.
Questa volta però ho imparato la lezione e, visto che un'immagine vale mille parole (soprattutto le mie), prima del prossimo appuntamento dal parrucchiere (che vista la situazione sarà almeno a marzo 2018) scandaglierò la Rete e mi procurerò una valanga di foto con cui seppellirò il malcapitato sforbiciatore di turno.
Sbagliare sì, arrendersi, mai.



P.S. Vi terrò aggiornati.

lunedì 6 novembre 2017

Per fortuna pago l'IMU dentro

Rileggendo i vecchi post sulle mie esperienze lavorative, mi è venuto spontaneo chiedermi se ci fosse ancora qualcosa da dire al riguardo; dopo vent'anni di simultanee - mi sono detta - la maggior parte delle cose che capitano le abbiamo già viste, una rischia di ripetersi.
Ho evidentemente peccato di presunzione e l'Universo si è visto costretto a rimettermi al mio posto, regalandomi un'altra infilata di perle di notevole valore. Vediamole brevemente:
Perla n.1) Sono ad Ancona per una simultanea in spagnolo su un tema mega-tecnico e tutto sta filando liscio, il treno era in orario, niente fila per il taxi, il lavoro è impegnativo ma ce la stiamo cavando bene, insomma c'è da essere soddisfatti.
Arriva l'agognata pausa pranzo e finalmente posso rilassarmi un po', chiacchierando con la collega e il tecnico; stiamo per tornare in sala quando, passando davanti al tavolo del buffet, notiamo dei bicchierini pieni di quello che sembra mascarpone. La collega ne prende uno e me lo porge, io sto per rifiutare (non sono una gran appassionata di dolci) ma noto che, per una volta, non ci hanno messo il caffè. Lo prendo come un segno, afferro il mini-dessert e un cucchiaino da una ciotola a fianco; ho appena mangiato con gusto la prima cucchiaiata quando la collega scopre che i cucchiaini nella ciotola erano....USATI.
Qualche minus habens ha preso il cucchiaino dalla ciotola, mangiato il mascarpone, gettato il bicchierino di plastica e, non sapendo cosa fare del cucchiaino, l'ha rimesso nella ciotola.
Il mio primo pensiero è stato una sfilza di maledizioni all'indirizzo del mentecatto in questione (che spero a quest'ora sarà calvo e depresso causa disfunzione erettile), il secondo pensiero è stato invece ODDIO LE MALATTIE.
Però poi riflettendoci meglio mi sono tranquillizzata; dopo quindici anni passati a fare campeggi con gli scout mangiando le sbobbe orrende cucinate dai boccia, credo che i miei globuli bianchi abbiano raggiunto dimensioni tali da dover pagare l'IMU.
Ricordo in particolare quella volta che, per rappresaglia, sputarono tutti nel risotto e poi ce lo diedero da mangiare (ho scoperto solo quella lì, chissà quante altre volte sarà successo), senza dimenticare i mille altri casi in cui, in fase di scolatura, la pasta cadeva per terra, veniva tirata su in qualche modo, sciacquata frettolosamente sotto l'acqua e poi propinata ai malcapitati di turno. Direi che sono in una botte di ferro; comunque, l'alopecia e la disfunzione erettile continuo ad augurargliele.

Perla n.2) Convegno di odontoiatria in zona Firenze; raggiungo la sede del convegno e scopro dalla collega che il cliente non ha richiesto la cabina; hanno organizzato un convegno spendendo chissà quante migliaia di euro ma, quei due soldi in più per la cabina proprio non c'erano (però sicuramente ci sarà un ricco buffet di pesce, le priorità innanzitutto).
Segue inevitabile sfilza di madonne (quelle in toscano della collega sono molto più espressive) e si comincia a lavorare; ovviamente durante tutta la prima parte del convegno riceviamo occhiatacce dai partecipanti che ci scambiano per fancazziste interessate solo ai crediti ECM. Evidentemente quei due neuroni attivi la mattina alle 9 non riescono a processare la presenza di cuffie e microfono e inviare le relative informazioni al "cervello".
2-bis) Mi chiamano per un altro convegno di odontoiatria, questa volta mi hanno assicurato che la
cabina c'è e, in effetti, quando arrivo non posso negare che la cabina ci sia, peccato che sia solo la metà davanti, il retro non c'è, si vede che per loro il suono va solo in avanti.

Perla n.3) La simultanea è terminata e noi stiamo pranzando velocemente al buffet prima di ripartire; ci si avvicina una dipendente dell'azienda e ci confida che, all'ultima mega riunione dei superdirettori generali, essendo lei di madrelingua inglese, ha tradotto tutto da sola per otto ore, aggiungendo che è andato tutto bene.
Queste situazioni sono sempre un po' delicate, da una parte è evidente che non può essere andata poi così bene, (altrimenti il mondo sarebbe pieno di interpreti che traducono da soli facendosi pagare il doppio), dall'altra però sai benissimo che se dici qualcosa questi penseranno che lo fai per denigrare l'eroe/eroa di turno, nel tentativo di tenerti il lavoro. Si sceglie prudentemente un semi-silenzio.
La vera perla però arriva dopo, quando lei ti chiede se esistono corsi per imparare il mestiere e, quando tu le menzioni il corso di laurea specialistica biennale, ti risponde che lo conosce già ma lei lavora e quindi non ha molto tempo, le servirebbe un corso di un paio di mesi.
Perché ovviamente per noi che siamo zuccone e italiane ci è voluto prima un corso di laurea generalista in traduzione e poi la specializzazione di due anni ma lei che è un genio, oltretutto di madrelingua inglese, di sicuro in due mesi se la cava.
Gesù dammi la forza.

venerdì 8 settembre 2017

Se sei fuori squadra , ti serve il negozio universale

Quando metti su casa hai un sacco di roba da fare, da trovare, da sistemare, qualcosa sfugge sempre; per mesi continui a comprare cose che credevi di avere e invece...
A volte compri cose e poi scopri che non sono della misura giusta (es il porta-posate di 1 cm più grande del cassetto delle posate), oppure le compri e poi ti chiedi come diavolo ti è venuto in mente di comprarle (es il porta-spaghetti quando tu gli spaghetti non li cucini mai); il momento più alto arriva però quando compri oggetti che si rivelano poi posseduti dal Demogno, il quale Demogno ha un senso dell'umorismo tutto suo.
Nel caso in questione, dopo qualche mese dal trasloco ho deciso che era ora di comprarmi una bilancia (rimpiangendo di non aver comprato a suo tempo la splendida bilancia con ippopotamo che vendete in foto) ed essendomi imbattuta in una favolosa offerta per cui con solo dieci euri ti tiravano nella schiena una bilancia, ne ho portato a casa un esemplare e l'ho sistemato orgogliosamente in bagno.
Il primo dubbio mi è venuto due giorni dopo, quando mi sono pesata per la seconda volta (come sempre col giochino nuovo inizio con entusiasmo, salvo poi dimenticarmi che esiste dopo qualche giorno): tra la prima e la seconda pesata c'erano due chili di differenza. Ora, potrà anche essere che ci siano fluttuazioni di peso anche significative ma, se avessi perso due chili in un giorno, credo che me se sarei accorta. Ho quindi deciso di pesarmi di nuovo e, dopo quattro o cinque tentativi, ne ho ricavato la seguente ipotesi: la bilancia in questione calcola il peso in base a una serie di parametri tra cui l'oroscopo, le fasi lunari, il giorno della settimana e il numero di passerotti che solcano il cielo ogni giovedì e martedì. In parole povere, ogni pesata dà un valore diverso.
Questa scoperta, che normalmente porterebbe a un immediato defenestramento del marchingegno, in realtà mi ha fatto ridere, ho deciso che terrò la gigina e, quando sentirò l'assoluta necessità di pesarmi, lo farò tre volte consecutive per poi fare una media. A ripensarci, è stato un po' come quando ho scoperto che il parquet della camera da letto non era liscio ovunque o che, montando il rubinetto della cucina, l'operaio aveva lasciato incastrata in mezzo l'etichetta dell'Ikea (vedi foto a lato); in fondo l'idea che la mia casa non sia perfetta, che sia un po' storta, non mi dispiace, me la fa sembrare più mia: in fondo è un po' fuori squadra, come sono io.
Comunque, tornando all'argomento cose mancanti, il fatto in sè non sarebbe una tragedia, è la tempistica che spesso ti frega; per esempio ieri sera, complice la pioggia, la temperatura era scesa abbastanza da farmi correre un rischio mai neppure contemplato negli ultimi mesi: accendere il forno e fare la pizza.
Avevo preparato tutto sul piano della cucina: l'impasto pronto da stendere, i pelati da passare, il prosciutto cotto e i funghi (la mozzarella no perchè se ne fa volentieri a meno), si trattava solo di procedere. Peccato che quando ho preso in mano il barattolo dei pelati, il maledetto traditore si sia rivelato privo di linguetta per aprirlo, toccava usare l'apriscatole. Avercelo, l'apriscatole.
Una rapida occhiata nel cassetto delle posatone (mestoli, coltellacci, roba così) mi ha confermato il terribile sospetto: apriscatole, ciccia. Ovviamente erano le sette e venti di sera e fuori piovigginava.
Quando il gioco si fa duro, i duri non so esattamente cosa facciano, io mi rivolgo ai professionisti: mi sono vestita alla velocità della luce e sono corsa al negozio dei cinesi vicino a casa (quello che in questi mesi mi ha salvato la vita parecchie volte, dato che dentro c'è praticamente tutto) dove, alla modica cifra di 6 euri e 95, ho portato a casa il necessario aggeggio e di lì a poco infornato gloriosamente la mia pizza.
Tu, universo, divertiti pure coi tuoi tiri mancini, finché ho il negozio universale vicino, non ti temo.

mercoledì 2 agosto 2017

Gita bagnata, gita mai più

Io a Brighton non ci vado più, ci sono stata due volte e ogni volta mi becco un nubifragio, l'universo mi sta mandando un messaggio forte e chiaro, meglio ascoltarlo, vorremmo evitare la tromba d'aria.
Stamattina quando siamo usciti per fare colazione era tutto un cielo blu con sole splendente ma, già alla partenza, si poteva notare qualche avvisaglia di Fine del Mondo Imminente; niente cavallette per fortuna ma nel pullman l'aria condizionata non voleva saperne di funzionare ed eravamo stipatissimi, insieme a una mandria di 45 studenti cinesi, dopo venti minuti si faceva la sauna. L'autista, interrogato sulla faccenda, ha ammesso di non avere mai guidato quel pullman e di non sapere come attivare l'aria. Siamo arrivati vivi ma bolliti, una tipa del gruppone cinese ha pure vomitato e quelli in fondo al pullman per uscire hanno dovuto saltare come gazzelle.
Dopo un breve giro dei monumenti tra gli sbadigli generali, abbiamo liberato l'orda in zona negozi e siamo scappati; di lì a poco ci saremmo pentiti di aver abbandonato il pullman-sauna, sprovvisti come eravamo di pinne e boccaglio.
Quando finalmente siamo tornati al college, sono arrivata in stanza con scarpe e piedi bagnati, oltretutto con questo bel clima secco se si bagna qualcosa resta bagnato in secula seculorum. La polmonite incombe.

Dato che qui si mangia alle 18.30, mi sono cambiata in fretta e sono andata in mensa, sempre sotto la pioggia. Nel menù serale c'era lo spezzatino di vitello con riso, salutato dai più con gioia; grazie all'arrivo del citato gruppone di cinesi, i sadici della mensa fanno meno pasta scotta e più riso cotto giusto, in più quella sera per dolce c'era una crumble di mele mangiabile anche se, data l'ora, faceva molto pasto in ospedale con mela cotta di dessert. Son cose che un po' ti abbattono.

Concludo la cronaca della giornata con un esempio dell'inguaribile ottimismo della gioventù: la sera prima della partenza, di fronte a previsioni che davano per Brighton temperature tra i 18 e i 21 gradi, una delle boccia ha concluso imperturbabile: "io comunque il costume lo porto"

E l'ha portato.

venerdì 28 luglio 2017

L'asteroide è sempre in agguato

Sono in partenza per Londra e devo arrivare a Linate per le 10.30, milioni di cose potrebbero andare storte e invece, stranamente va tutto bene, treno in orario, con solo il dettaglio che sembra di stare sul treno del film con Tom Hanks. Tento una estrema difesa bloccando il bocchettone dell'aria condizionata con la diga di carta ma fa comunque un freddo becco.

Esco dalla stazione centrale e il bus per Linate è già lì, parte dopo dieci minuti e anche quello arriva in orario. Tutta questa positività mi innervosisce, comincio a temere di vedermi cadere addosso un asteroide.

I boccia sono tutti in orario, l'asteroide diventa sempre più grande; per fortuna la british airways rimette tutto a posto: arriviamo al check-in e ci sono tre file, una per i vips, una per chi ha fatto il check-in online e una per noi popolo bove. L'impiegato del nostro banco, appena ci vede arrivare, si alza e se ne va. Vabbè, penso, magari deve andare in bagno, in fondo quelli sono diritti umani. Peccato che poi per i successivi venti minuti il banco rimanga vuoto e noi in piedi come dei mamelucchi a fissare la sedia vuota.

Quando alla fine si materializza una collega del fuggitivo, mi avvicino speranzosa al banco per fare il check-in ed ecco che improvvisamente il computer va in tilt (quella capatina a Sarsina per l'esorcismo sembra sempre più indicata).

Alla fine se dio vuole ci cecchinano tutti e ci dirigiamo verso il gate. Trattasi del B28 che pare stare proprio alla fine dell'aeroporto, viene da pensare che se camminassimo ancora un po' vedremmo le Bianche Scogliere.

Arriviamo al controllo documenti UK e lì ci aspetta la sorpresa, sono chiusi. No, dico, il controllo passaporti e carte d'identità è chiuso! Un po' come andare al pronto soccorso e trovare il cartello "torno subito". Sperando in una qualche spiegazione mi avvicino al cabinato e un tipo mi dice "signora apriamo di nuovo tra dieci minuti, alle 12", come se fosse Zara che riapre dopo la pausa pranzo. Non so, ci ripenso anche adesso ma la mia testa resta piena di domande (lo confesso, c'è anche qualche madonna). Alla fine si degnano di aprire e riusciamo ad arrivare al gate, quel B28 improvvisamente tanto simile al lasciapassare A38 di Asterix.

Per ora direi che l'asteroide è scongiurato, grazie a tutti quelli che ci hanno messo del loro per scongiurare la tragedia. 

Vi tengo aggiornati.

mercoledì 28 giugno 2017

L'accorato appello di un vampiro

In questi giorni di caldo torrido l'unica possibilità di sopravvivere, per chi come me non ha ancora l'aria condizionata in casa, è rifugiarsi al mare per godere della brezza marina o almeno di quel filo d'aria che si degna di circolare; purtroppo io e il sole non andiamo d'accordo quindi al momento gran parte della giornata la passo in casa con le tapparelle tirate giù, aspettando la sera per mettere fuori timidamente il capino; in sostanza ho tutte le beghe dei vampiri (se mi espongo alla luce non credo di prendere fuoco ma, bianca come sono, ci andrei vicino), senza nessuno dei vantaggi.
Sabato sera col favore delle tenebre ho raggiunto la Rinaldi che lavorava come cassiera a una festa in spiaggia; per l'occasione, onde evitare di perdere anni di vita cercando un parcheggio, ho tirato fuori lo scooter e rischiato la pelle sulla via Cesenatico, che in certi punti è ormai allo stesso livello di una mulattiera.
Quando finalmente sono arrivata nella zona di Ponente, mi sono trovata davanti il trenino che porta in giro bambini e turisti, ovviamente a una velocità massima di 25 km/ora; per aggiungere il danno alla beffa, i bambini che occupavano l'ultimo vagone cantavano in coro Occidentalis Karma, con tanto di coreografia. Sono abbastanza sicura di non aver fatto niente di tanto orrendo da meritare una cosa simile.
La Rinaldi era già in posizione ma non particolarmente indaffarata, erano le 23 e c'erano quattro gatti, non fa figo farsi vedere prima dell'una, sospetto che il vampirismo di stia diffondendo tra le nuove generazioni.
Io e la Piraccini (arrivata prima di me, per lei niente trenino), ce ne stavamo a lato cassa sorseggiando roba piena di ghiaccio nella speranza di abbassare la temperatura corporea mentre, dietro di noi, uno degli addetti alla sicurezza vegliava sull'incolumità della cassa (la cassiera alla sua incolumità ci pensa tranquillamente da sola).
Da quella posizione si ha un quadro perfetto della situazione (prima o poi tutti prendono qualcosa da bere) e devo dire che negli anni non ho visto grandi cambiamenti nella fauna che popola questo particolare tipo di evento (a suo modo è rassicurante notare che in fondo siamo tutti uguali), ci sono alcune categorie sempre rappresentate, a volte con qualche perla inattesa.
C'è per esempio quello inesperto che arriva alla festa in spiaggia con le scarpe di tela scure e lo vedi fermarsi davanti a quel mare di sabbia candida che lo separa dal pubblico danzante, incerto se sacrificare le scarpe alla possibilità di trovare da far del buono; la sua controparte femminile arriva con i tacchi a spillo e si trova suo malgrado costretta a scendere, decisione non facile visto che la mise per la serata è stata accuratamente pensata intorno a quei quindici centimetri in più e quindi scendendo dai tacchi si rovina tutto l'effetto.
Poi ci sono gli habitué, quelli che salutano i baristi (e la cassiera), che fanno un salto in bagno quando è ancora umano, quelli insomma che sanno come muoversi e non combinano casini.
La parte più interessante arriva più tardi, quando i livelli etilici si alzano e il lavoro della cassiera diventa complicato; è lì che l'esperienza fa la differenza.
Perché non si tratta solo di capire cosa ti dice gente che biascica come se avesse un tordo in bocca, devi anche gestire quello che ha finito i soldi e vuole barat tareil suo cellulare con un paio di birre, per non parlare della Splendida, quella che arriva alla cassa e ti chiede quanto costa l'upgrade. Alla tua richiesta di spiegazioni, questa ti risponde che lei vuole cocktail con alcool di migliore qualità. Purtroppo non ero presente quindi non so se teneva il mignolo alzato mentre faceva siffatta richiesta.
Un capitolo a parte merita colui (generalmente un uomo) che vive la festa in spiaggia come un momento di assoluta libertà e quindi a un certo punto decide di togliersi la maglia e ballare a torso nudo.
Ora, se da una parte plaudo all'uomo che si sente così a suo agio col proprio corpo da non avere
timore a mostrarlo, dall'altra devo riconoscere che la situazione si presenta alquanto delicata: mentre tu, ignara di tutto stai ballando, entri in contatto con l'uomo questione il quale, oltre essere a torso nudo è spesso anche abbondantemente sudato, un po' come prendere in mano una lumaca gigante.
Vorrei anche fare un appello all'intera comunità degli allergici alla t-shirt: capisco le vostre esigenze di libertà e spensieratezza ma mi aspetterei una maggiore sensibilità da parte vostra nei confronti dei meno fortunati; non è bello constatare che la maggior parte voi è più prosperoso della sottoscritta, lo trovo francamente ingiusto quindi, in futuro, prima di togliere quella t-shirt, fermatevi un secondo a riflettere, la vostra felicità non dovrebbe costruirsi sulle sofferenze di noi minoranze svantaggiate.
Cordialmente.


martedì 13 giugno 2017

Schivando i barbari tra fragole e maionese

E finalmente si è concluso il periodo di lavoro matto e disperatissimo che, associato al dover seguire i lavori di ristrutturazione, comprare i mobili e traslocare nel nuovo appartamento, mi ha portato a tanto così dall'emulare Michael Douglas in Un giorno di ordinaria follia.
Adesso, pur correndo comunque tutto il giorno alla ricerca delle mille cose ancora da fare o da comprare (es. stai per entrare nella doccia e ti rendi conto di non avere lo shampoo), mi sento moralmente autorizzata a prendermela un po' più comoda.
Naturale quindi che, quando la Rini mi ha proposto di andare a fare un giro a Milano sabato 10 giugno, non l'abbia neanche lasciata continuare, non mi interessava sapere cosa avremmo fatto, una gita era proprio ciò che aveva ordinato il dottore.
Questa volta avrei guidato io (mica puoi sempre farti scarrozzare), quindi ho deciso di fare un colpo di mano e dichiarato che, essendo la Kia Rio il mio regno (sorvolo sulla concatenazione di eventi che hanno portato all'acquisto di questa macchina da tamarri, ormai c'è e me la tengo), all'interno vigono le mie leggi e quindi le tre ore di viaggio sarebbero state interrotte da una sosta in autogrill.
La dichiarazione era temeraria ma quanto mai necessaria poiché la Rinaldi, se al posto di guida, rifiuta ostinatamente di concedere qualsiasi sosta, implacabile anche di fronte alle più elementari necessità (es. la pausa sigaretta per la Piraccini), quindi era necessario preparare il terreno a questo radicale cambio di paradigma.
Il viaggio di per sè è filato liscio, se escludiamo la faida interna tra due opposte fazioni: da una parte la Rinaldi e la Piraccini che, causa probabili antenati islandesi, non concepiscono una temperatura dell'abitacolo superiore ai 12 gradi, dall'altra la sottoscritta e Monogawa che non inseguono il sogno dell'eterna giovinezza a mezzo congelamento.
Sapendo di aver già traumatizzato la Rinaldi con la pausa in autogrill, ho deciso di cedere almeno sulla temperatura e quindi, novella Capitan Findus, ho condotto a destinazione il mezzo (però con il senno di poi avrei dovuto portare almeno un plaid) e parcheggiato in prossimità della Fondazione Prada e della sua torre dorata, dettaglio che ricorda molto certi tempi thailandesi.
Dopo una breve sosta al bar Luce, perfetto in ogni dettaglio ma fin troppo finto per i miei gusti, abbiamo passato un paio d'ore visitando ogni angolo della Fondazione, esclusa l'installazione di Alejandro Iñarritu, che era uno dei motivi del nostro viaggio ma che, incautamente, avevamo trascurato di prenotare.
Nel pomeriggio siamo andati a vedere la mostra di Keith Haring e devo ammettere che anche questa mostra mi ha menato, magari non forte come quelle di Basquiat o Francis Bacon, però alla fine le ho prese anche stavolta. Forse il problema sono io.
All'uscita dalla mostra il calo di zuccheri era evidente, quindi ci siamo fermati a farci derubare di 7 euri per una cocacola e poi, dopo una breve sosta per vedere le foto vincitrici del Wordpress Photo 2017 (ci sono appassionati di fotografia tra noi, io ho semplicemente preso altre botte), siamo tornati verso la macchina. Prima di ripartire però abbiamo deciso di fermarci per un aperitivo e un po' di sano relax in un ostello molto carino in cui ci eravamo imbattuti proprio quella mattina; usciti dalla metro ci siamo avviati con passo stanco verso il locale e io già pregustavo un'oretta di chiacchiere seduta comodamente all'ombra degli alberi, sorseggiando qualcosa di fresco e mangiando patatine (in fondo non serve molto per la felicità) ma evidentemente l'universo aveva altri piani, sintetizzabili con una sola parola: karaoke.
Intorno ai tavoli dell'ostello si agitava un'orda di barbari mentre, al centro della scena alcuni individui, sicuramente posseduti dal Demogno, emettevano rumori che si potrebbero definire note musicali solo in senso molto lato.
Messi di fronte alla tragedia, abbiamo scelto la fuga e ci siamo rifugiati all'interno del locale al riparo da quelle urla belluine ma, purtroppo, la sofferenza non era finita. Dopo aver pagato altri 7 euri per usufruire dell'aperitivo, siamo stati aggrediti da pasta scotta, frittatine insipide e crocchette di pollo ultra-unte, l'unica cosa mangiabile erano le patatine pai, la cui fornitura ovviamente scarseggiava.
Abbiamo resistito tenacemente per una mezz'ora, poi abbiamo tagliato la corda mentre quelli del karaoke attaccavano con Miserere di Zucchero, il colpo di grazia.
Durante la fuga, mentre ancora ci perseguitavano brandelli di suono, siamo passati davanti a una gelateria e la Piraccini, che dalla mattina ci ripeteva di volere un gelato, ha deciso di fermarsi.
La gelateria in questione era parte di uno di quei locali che nelle intenzioni vorrebbero essere ultra-ricercati ma finiscono con risultare un chiaro esempio del famoso monito: se la maionese è buona e le fragole sono buone, non è detto che le fragole con la maionese siano buone.
Chiudendo gli occhi ci siamo avvicinato al banco gelati, scoprendo solo allora che i gelatai avevano schifato i nomi tradizionali dei gusti, optando per la creatività: c'erano gusti come Marco Carta, Al Jarreau, Lady Gaga ecc. Per fortuna in basso in piccolo c'era anche il nome plebeo, almeno capivi cosa stavi per ordinare, anche se purtroppo lo capivi solo tu: quando la Piraccini avvicinandosi al bancone ha elencato al gelataio i gusti che voleva, l'uomo le ha chiesto a quali gusti corrispondessero perché lui quei nomi lì non se li ricordava mica!
Dulcis in fundo.

sabato 29 aprile 2017

Schivare le bombe non è così semplice

Avete presente quando vi dicono che l'importante non è la destinazione ma il viaggio? Ecco, nella maggior parte dei casi a me quello che mi ammazza non è dover tradurre a un convegno ma il dover raggiungere la maledetta sede dell'evento.
Mi spiego: una volta iniziato il convegno, per quanti brutti tiri il destino decida di giocarmi, so che in qualche modo ne uscirò; il vero problema è arrivare indenni fino lì.
E ogni volta è come la prima volta, tu pensi che l'esperienza di anni e anni ti abbia ormai indurito e resa impervia a qualunque contrattempo ma neppure tu puoi riuscire a immaginare la sfilza di assurdità che l'universo ha in serbo per la sua interprete preferita.
Esempio n.1
Prenoto all'ultimo minuto una camera singola con bagno ma, una volta arrivata in loco, mi 
rendo conto che trattasi di un ostello, quindi gli asciugamani non te li danno. Azz
A quel punto il mio passato scout entra in azione: ringrazio il cielo per aver fatto doccia e capelli prima di partire, pensando che è solo per una notte e come asciugamano posso adattarmi a usare la maglietta extra che ho messo in valigia.
Sembrerebbe tutto risolto (che tenerezza le illusioni), quand'ecco che entro in camera e vedo la parete proprio sopra il letto. Secondo loro io dovrei dormire con questa roba che incombe su di me? Perché, parliamoci chiaro, questo può essere solo il risultato di una possessione demoniaca e, chi mi dice che l'artista non torni nottetempo munito di mannaia per qualche simpatico sacrificio umano?
L'unica altra opzione è che chi ha messo insieme questo agglomerato di vernice non abbia un amico con abbastanza fegato per dirgli la verità e chiamare un prete per un esorcismo.
Se avete altre ipotesi, sono tutta orecchi.
Esempio n.2
Primo giorno di lavoro: ho prenotato su booking un agriturismo carinissimo vicino al fiume ma quando arrivo in loco scopro che per raggiungere la casa devo per forza passare sopra il citato fiume, percorrendo un ponticello microscopico, adatto al massimo a un'Ape-car. Stringo i denti e tento l'impresa ma sono già rassegnata e difatti nella curva rigo la macchina, guarda caso proprio la macchina acquistata solo quattro mesi prima (la vendetta della Fiesta). 
Dopo le madonne d'ordinanza, riesco a rasserenarmi pensando che, in fondo, i graffi alla vernice diventano un problema solo se vuoi ripararli, cosa che non mi sogno minimamente di fare, quindi... Raggiungo il teatro, sede del convegno, e lì scopro che ci hanno sistemato sul palco di fianco ai relatori, quindi la cabina pende, tipo torre di Pisa, ogni volta che ti sposti ti viene la nausea.
Una volta finito il lavoro vado sul sito di Booking per leggere le valutazioni dell'agriturismo e trovo tutti giudizi stellari, ce n'è solo uno che menziona il ponte anoressico, ammettendo di aver rigato anche lui la macchina, poi però gli dà 9. Perché gli dà 9? Forse perché, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, avrebbero potuto bombardarlo e non l'hanno fatto? 
E tutti gli altri? Come diavolo hanno fatto a non notare questo benedetto micro ponte? Avranno tutti la Smart? Tutti cicloturisti? Si è diffuso il teletrasporto e nessuno me l'ha detto?
La mia vita è sempre più piena di domande. Cercansi risposte.

Potrei fare molti altri esempi ma onestamente ho fame e anche voi avrete le vostre cose da fare, quindi concludo: 

con questo tipo di esperienze alle spalle, se al convegno in cui lavori un relatore americano inizia a leggere, senza preavviso, la traduzione inglese di un Canto della Divina Commedia (perché essendo tu italiana, è ovvio che tu sappia a memoria tutti i Canti e possa declamarli alla bisogna), tu sospiri e tiri avanti, pensando che in fondo poteva andare peggio, avrebbero potuto bombardarti.




mercoledì 8 marzo 2017

8 marzo - Cose

Siamo cose, 

Solo cose.

Le accendi, le usi

Le compri, le vendi.

E senza un rimpianto


Le spegni.

giovedì 2 marzo 2017

La ciabatta della portinaia

Sfoglio un numero di Grazia di febbraio e dentro ci trovo l'ennesimo servizio fotografico che dovrebbe guidare le nostre scelte di stile, almeno fino al prossimo numero.
Mi risulta impossibile credere che colei che intende abbracciare la filosofia del nuovo sexy debba necessariamente indossare quelle orrende ciabatte che vedete in foto; le possibilità quindi sono due:
1) trattasi di un costume di carnevale (dato il periodo è plausibile) da portinaia che veste a cipolla,
2) le scarpe previste per la foto erano arrivate ma c'era solo il numero 35 quindi la modella si è trovata costretta a posare con le ciabatte che indossava all'arrivo in studio, un paio di scarpe già di per se inguardabili, ulteriormente imbruttite dalla necessità di portarle a ciabatta causa grosse vesciche su entrambi i talloni (se ti tocca sfilare con scarpe di due numeri in meno, alla fine la paghi).

Se invece, contrariamente a ogni logica, chi ha preparato il servizio era convinto delle sue scelte, e quindi si prevede che questa corrente prenda piede nei prossimi mesi, prevedo un periodo difficile per i feticisti dei piedi.
Forza e coraggio

venerdì 13 gennaio 2017

A volte quella vocina ha ragione

Rieccoci qua, ancora una volta reduci da tre settimane di cene aziendali, cene parenti, cori natalizi e recite natalizie organizzati a turno dalla scuola, dalla parrocchia, dal comune, dalla qualunque.
Ammettiamolo, tutto considerato è un miracolo aver portato a casa la pelle anche quest'anno e, soprattutto, non essersi fatti convincere da quell'insidiosa vocina che in alcune occasioni ti si mette in testa e ti sussurra che, in fondo, se prendessi a badilate tutti quelli che hai davanti, proprio male non gli farebbe.

Anche quest'anno mi sembra doveroso celebrare la nostra sopravvivenza con un post su quello che avrebbe potuto essere e, per fortuna, non è stato. E parliamo ovviamente di regali.



Ecco il primo splendido esempio, chi non vorrebbe un mezzo metro di pesce impalato che lo fissa a bocca aperta?
Tuttavia, dato che ultimamente in molti mi dicono che è importante vedere il bicchiere mezzo pieno, cerchiamo di considerare l'oggetto in una luce positiva: in caso decideste di dare ascolto alla famosa vocina di cui sopra, questo arnese sarebbe un perfetto sostituto della badila.






Prima che me lo chiediate, no, il colletto non è scherzosamente appoggiato sul vaso, è FISSATO.
Accoglierò con gratitudine qualunque spiegazione mi offriate circa i processi mentali che hanno portato alla creazione di questo, chiamiamolo vaso peloso.






Visto da dietro questo sembra il tipico soprammobile brutto a cui ormai abbiamo fatto il callo, poi però facendo il giro ti trovi di fronte a quello sguardo, quell'espressione, quei due metri quadri di matita per occhi e tutto cambia. L'espressione del viso, presa nel suo complesso, mi ricorda quella delle attrici dei film muti di una volta, sembra dire: Cosa ti ho fatto? Perché mi hai fatto questo?
Ce lo stiamo chiedendo tutti.




A volte purtroppo il tempo è nemico dell'arte, in questo caso abbiamo un artistico portacenere celebrativo della squadra di calcio del Bologna, un pregiato oggettino che a suo tempo sarà andato a ruba tra i tifosi fumatori; purtroppo le varie campagne contro il fumo hanno portato questo tipo di soprammobile sull'orlo dell'estinzione. Peccato.

Osservando meglio l'oggetto, però, mi sorge il dubbio che l'autore fosse segretamente anti-bolognese, perché un tifoso del Bologna non avrebbe di certo posizionato la scritta BOLOGNA sul fondo del portacenere dove sarebbe stata inevitabilmente coperta di cenere/fango.
Secondo me qui c'è puzza di complotto.





Concludiamo veramente col botto con questa scultura che ho trovato all'ultimo mercatino di beneficenza organizzato a Forlì dal Comitato per la lotta alla fame nel mondo.
Qualcuno ha fabbricato il modellino di una ghigliottina.
Una ghigliottina.
Ghigliottina.
Ho personalmente testato il modellino e posso confermare che tirando l'apposita cordicella a lato, la lama, seppur di legno, si alza e si abbassa perfettamente.
Seppur ammirando la maestria dell'artista, mi chiedo a quale utilizzo fosse destinata la creatura, sicuramente non è stata pensata come regalo perché, diciamocelo, questo suona moolto di più come un augurio.