martedì 23 agosto 2011

Tacco quindici, paillettes e formaggio di fossa: Lou Reed a Sogliano sul Rubicone

“Sabato andiamo al concerto di Lou Reed, ti va di venire?” La Clodia mi sta guardando in attesa di una qualche reazione. Faccio una rapida ricerca mentale ma brancolo nel buio assoluto. “Chi è già Lou Reed?”
Essendo ormai avvezza alle lacune della mia cultura musicale, lei non si scompone “Dai, abbiamo visto un film su di lui, Berlin, era uno di quelli di Across the Movies!” Questo almeno restringe il campo, trattasi di rassegna di film musicali che si tiene da tre anni a Cesena; debole, debolissima, si accende una lucina “Ah, era quel film rosso?”
E qui anche la Clodia non ce la può fare, mi guarda perplessa “Ma che film rosso?”
“Dai, quel film che le immagini si vedevano un po’ così, sul rossiccio” La vedo annuire rassegnata e mi sento subito meglio, almeno il film l’ho inquadrato; peccato che avendolo visto l’anno scorso non è che mi ricordi molto.
“Allora cosa fai, vieni? Prendo il biglietto anche per te?”
Ci penso un momento. Vabbè, vediamo un po’ com’è.
“Costa 34,5 euro in prevendita”
EEEEEEEE!!!!!!! 35 euri!!!!!!!! Ma con quelli ci compro trentacinque sacchetti di patatine light dell’Eurospin!!!! Rinunciare alla droga è dura, una lotta che va combattuta giorno per giorno, a volte vinci a volte perdi. Oggi vinco. “Ok, ci sono.” Vediamo un po’ com’è.

Arriva il sabato. Siamo in cinque: Clodia, Ste, Io-me, Mohuro e Ale. L’appuntamento è alle 19 davanti all’Esquisito, dato che il concerto è a Sogliano e ci vuole circa un’ora per arrivare (trentacinque minuti se guida l’Albertini). L’Ale passa a prendermi e una volta caricati felpa, giubbotto, ombrello (previsioni incerte) si parte. Peccato che dopo cinque minuti arrivi una telefonata furibonda della Clodia “Sono passata a prendere Mohuro ma lui aveva capito che l’appuntamento era alle 20.45 invece che alle 18.45!” Come potesse pensare che saremmo arrivati in tempo per il concerto alle 21 è un mistero (forse stava guardando Star Trek) “Mi ha chiesto di ripassare dopo venti minuti ma gli ho detto che ha cinque minuti di tempo per scendere altrimenti lo lascio qui!” Meglio non scherzare con la Rinaldi furibonda.
Mi torna in mente che la settimana scorsa ci eravamo trovati in centro per pranzo e Mohuro aveva capito che l’appuntamento era alle 12.30 invece che alle 13.20, evidentemente legge troppo in fretta e con cento altre cose in mente. D’ora in poi gli manderemo gli orari scritti in lettere.
Riusciamo miracolosamente a riunirci e saliamo sul bolide sportivo della Ste; la strada per Sogliano è alquanto tortuosa e l’Albertini ci va a nozze, tagliando le curve come se fossimo in un videogame. Noi tapine sedute dietro ci avvinghiamo ai sedili nel disperato tentativo di non finire con la faccia spiaccicata sul vetro. Mi sa che a suo tempo la Ste ha visto troppe puntate di Automan.

Contrariamente ai miei timori, troviamo da parcheggiare abbastanza facilmente; adesso non resta che scendere dalla macchina. Uscire incolumi dalla tre porte dell’Albertini non è cosa facile, il sedile dietro è talmente indietro che occorrerebbe uno skilift per portarti fino allo sportello, in più devi essere celere, se esiti anche solo un po’ la pilota sospetta subito che tu stia facendo velata ironia sulla comodità della sua macchina e ti becchi uno sguardo bieco di quelli che gelano il sangue.
Saliamo verso la piazza centrale del paese dove, a rigor di logica, dovrebbe tenersi il concerto (non è che Sogliano sia questa megalopoli che brulica di luoghi adatti); anche per un forestiero il rischio di perdersi è nullo, basta seguire le bancarelle che vendono magliette rock. Una banana ci salverà.
C’è già parecchia gente e tra questa le facce note sono tante. Seduti a un tavolino troviamo la Cecca e U che sono astutamente partiti prima e infatti hanno già cenato. La cosa ci fa riflettere: non sarebbe bello trovarsi a metà concerto a ululare per i morsi della fame (fa molto rock da vedere ma per i protagonisti è un’altra cosa), quindi optiamo per una frugale cena e ci mettiamo in fila davanti a un cartello che promette piadina farcita più bibita alla modica cifra di cinque euri.
L’idea non è proprio originalissima e infatti la fila è lunghina, però essendo che si snoda lungo la via, vediamo passare tutti quelli diretti alla piazza e c’è l’occasione di fare due chiacchiere con le famose facce note di cui sopra. Dopo una mezzora, se dio vuole, arriva anche il mio turno. Ordino piadina prosciutto cotto e formaggio (purtroppo un misto standard, niente fossa di Sogliano) e, sorpresa sorpresa, una cocacola. A quel punto il cassiere mi spiazza chiedendo “La coca la vuoi subito?”
In che senso? Mi sforzo ma non ci arrivo proprio, che sia una domanda trabocchetto? Indago. “Perché?” In risposta mi rifila un bigliettino numerato e mi fa “Sei il numero 102, ci vorrà una mezzora” Neanche avessi chiesto un soufflé.
Mi rassegno all’attesa e insieme alla Clodia perlustriamo l’area individuando una panca e una sedia appena liberatesi su cui ci fiondiamo senza esitazione. L’Ale e la Ste ci raggiungono dopo poco, l’Ale brandisce un ghiacciolo al mojito di un verde talmente fosforescente che pare kriptonite. La Ste dà un’occhiata dubbiosa alla panca e chiede “C’è posto anche per me?” Risponde un attempato latin lover locale seduto di fianco a noi “Ma sì che ci sta! Con quel sederino…” Per fortuna del nonno, il suo commento è andato perso nella marea dei nostri “Sì, certo!”, “Ma figurati!” e “Dai siediti!”, quindi gli anni che gli restano potrà goderseli su tutte e due le gambe.
Nel frattempo Mohuro ci confida preoccupato di avvertire una certa, inspiegabile debolezza. Azzardo che forse deve mangiare qualcosa ma lui ribatte che non è possibile, ha mangiato cinque biscotti a merenda! Inevitabile l’infamata collettiva che lo spedisce a comprare della piadina.
Una volta rifocillati e riguadagnate le forze, ci avviamo verso la piazza. Tira un curioso venticello ma per fortuna il popolo bove scalda. Devo dire che, non avendo una gran esperienza di questo genere di eventi rimango un po’ sorpresa constatando che c’è veramente di tutto: dalle signore con passeggino ai teenager capelloni con maglia sanguinaria, fino alle panterone inguainate in roba scintillante e paiettosa. Non mancano le fighe di legno tirate a balestra con schiena nuda e tacco quindici, calzatura ideale per andare a un concerto dove si sta in piedi per ore; mi chiedo se anche sulla ciambella del wc (dove indubbiamente passeranno la notte, risultato inevitabile dell’addizione freddo + pelle di fora) terranno i tacchi. Toglietemi tutto ma non lo stiletto.

Minuto dopo minuto si accumula un’ora di ritardo; Mauro sostiene che lui in fondo doveva saperlo e che sicuramente il suo inconscio gli ha detto che era meglio partire alle 20.45. Il rumore delle unghie sui vetri è assordante.
Quando ormai s’inizia a disperare, la luminaria si risveglia, Lou esce sul palco e dà inizio alle danze. Mi alzo sulle punte tentando di vedere oltre il mare di teste e mi chiedo come mai in un paese mediterraneo dove in teoria l’altezza media è pari alla mia, ogni volta che vai a un concerto finisci col trovarti in un gruppo di Vatussi. Iella? Epidemia di tacco quindici? Boh.
Osservando meglio l’uomo sul palco, non posso fare a meno di notare la sua riga da una parte, gonfia come un nido di rondini. Mi sa che la parrucchiera ha avuto la mano un po’ pesante con la lacca. 
Intanto la temperatura si è ulteriormente abbassata (è luglio, porcaccia paletta! Luglio!!!!!), costringendomi a indossare tutto quello che possiedo; noi ovviamente siamo in zona poveri, non al centro dove si trovano le sedie per la nobiltà che ha sborsato ben 57,50 euri, però noto con una certa maligna soddisfazione che, essendo un po’ meno fitta di noi, la crème se ne sta lì come un mucchio di calippi, preda del vento siberiano che sferza la piazza. Rabbrividisco e mi torna in mente l’Impero colpisce ancora, non dico che sarei disposta a infilarmi negli intestini di una bestia ma un pensierino…. Il mio regno per una coperta di pile.
Dopo aver passato la prima ora a maledire le quattro biondone accanto a noi che invece di guardare e ascoltare passano tutto il tempo a chiacchierare e a ridere sguaiatamente, decidiamo di spostarci un po’ indietro ma più centrali, nella speranza di stare più tranquille e goderci il concerto. Peccato che là troviamo due coppie che fanno altrettanto casino e raccontano pure barzellette (l’uomo cresciuto che racconta male una barzelletta è la cosa più triste del mondo).
Nel vano tentativo di ignorare il barzellettiere improvvisato mi concentro sul pubblico in piazza e non posso fare a meno di notare che c’è parecchia gente che sta andando via. Ma non siamo neanche ai bis! Questa è una cosa che mi lascia sempre molto perplessa: hai pagato il biglietto, fatto un’ora di macchina e adesso te ne vai  quando potrebbero mancare ancora venti minuti? Hai paura di rimanere imbottigliato nel traffico? Ma quale traffico? SIAMO A SOGLIANO!!!!!!!

Dopo i tre bis di ordinanza, Lou si congeda e inizia il deflusso. Noi ci riuniamo nel punto di ritrovo astutamente concordato pre-inizio; Mohuro arriva con un’espressione soddisfatta, evidentemente la sua decisione d’infilarsi là davanti nella bolgia ha dato i suoi frutti; ci raggiungono anche la Cecca e U per un ultimo saluto. La Cecca si sta infilando un maglino di cotone e qualcuno  (non mi ricordo chi) commenta che avrebbe potuto portare una maglia di lana, viste le previsioni per la serata. Al che lei ribatte serafica che quella maglia è sì di cotone ma se la scrolla un po’ prima di metterla diventa di lana. Vorrei tanto poter pensare che era ubriaca.
Salutiamo tutti e ci avviamo verso la macchina; lungo la strada vediamo venirci incontro un gattino piccolo e tenero ed essendo tutti consapevoli della gattofobia dell’Albertini (avrei potuto dire ailurofobia ma sembra il nome di una medicina e poi, santo cielo, siamo a un concerto rock!), ci dirigiamo verso l’animale facendo muro per separarlo dalla Ste e producendo tutti quei suoni idioti che è inevitabile emettere di fronte a un cucciolo. Il quale cucciolo, evidentemente infastidito dal nostro casino, cambia repentinamente direzione nel tentativo di sfuggirci e si dirige proprio verso la gattofobica. Veniamo ripetutamente maledetti e per un istante si teme di dover tornare a casa a piedi ma poi per fortuna la crisi passa e l’Albertini ci riammette in macchina.

Dal basso della mia limitatissima esperienza, avrei compilato un piccolo vademecum per il maschio frequentatore di concerti che a mio avviso potrebbe migliorare notevolmente l’esperienza per il pubblico:
1)      Qualche consiglio tricologico:
a)      Il giorno prima del concerto, fai un favore a tutti e tagliati quei capelli.
b)      Se proprio non vuoi tagliarteli, legali o appiattiscili col gel.
c)      Per l’amor di dio, non li cotonare!!!!!
2)      Se sei alto come una pertica, trova un palo/lampione e appoggiatici, così minimizzi l’area di limitata visibilità per i diversamente alti.
3)      Se vai a prendere una birra, bevine almeno tre sorsi prima di tornare tra la folla così non la rovesci su degli innocenti oppure, in alternativa, dirigiti verso la figa di legno più vicina.
4)      Lo so che sai tutte le canzoni a memoria ma io preferirei sentirle da quello sul palco, quello intonato.

Il vademecum per le femmine non lo faccio, tra tacchi, paillettes, gridolini e risatine è un’impresa superiore alle mie forze, mi tremano le ginocchia al solo pensiero.


Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

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