martedì 2 agosto 2011

Scusa Jeff ma quando è caldo è caldo

Tutto ha inizio con una mail con cui l’Ale ci invita alla sua festa di compleanno in spiaggia; l’invito è per giovedì ma, sfortunatamente, per i prossimi tre giovedì siamo in servizio volontario alla Rocca di Cesena, con funzioni che spaziano dalla consegna pizze al reperimento sedie, passando per la domatura folle turbolente, quindi decliniamo anche se un po’ a malincuore.
L’Ale però non è tipo da farsi scoraggiare, quindi ci manda una controproposta: martedì al Pappafico suona un gruppo (THE GRACE) in un tributo a Jeff Buckley, perché non andiamo a cena lì?
La cosa ci stuzzica, primo perché al Pappafico ci sono i maccheroncini Pappafico (per non parlare del mascarpone col salame di cioccolato), secondo perché qualche giorno fa Andrea ci ha parlato proprio di questo nuovo gruppo in cui suona e siamo parecchio curiosi.
In realtà quello che veramente brameremmo sentire e che abbiamo proposto in varie occasioni ai Big! Bam! Boo! (altro gruppo di cui fa parte) è un tributo ai Beehive (sì, quelli di Kiss me Licia), anche solo strumentale, con tanto di parrucche viola e ciuffi rossi, ma possiamo capire che serva tempo per mettere su un repertorio così esteso e complesso (da Freeway a Baby I love you) e per trovare dei passamontagna che assicurino l’anonimato ai musicisti, quindi per il momento portiamo pazienza e perlustriamo i negozi in cerca di parrucche.

Arriva martedì e dire che è caldo è un eufemismo. Tutto suda.
Partiamo da casa nostra alle 20.40: io, la Clodia, Mohuro e Rico con il giubbotto. IL GIUBBOTTO. Non ci è dato di sapere quale processo mentale abbia portato alla scelta del giubbotto con 35 gradi, scelta che il tapino difende a spada tratta contro qualsiasi critica; devo però ammettere che, quando la Clodia alla guida dell’Incudine attacca l’aria condizionata a palla, mi trovo a rimpiangere di non avere un colbacco e a pensare che, se non avessi usato pesante sarcasmo nei confronti di Rico e giubbotto, adesso potrei elemosinarne almeno una manica. A volte, la migliore musica è il silenzio.
A ristabilire l’equilibro termico ci pensa Mohuro il quale, senza minimamente accorgersi dell’aria condizionata in piena attività, abbassa il finestrino e appoggia fuori il gomito con evidente soddisfazione. Se guidasse l’Albertini, il poveretto si troverebbe presto separato dal suo avambraccio da una repentina e letale alzata di finestrino ma per sua fortuna questa sera la Ste è a Perugia da Santana e al volante c’è la Clodia che invece non fa una piega, anzi, quando Rico suggerisce di spegnere l’aria condizionata, visto il sabotaggio di Mohuro, rifiuta con decisione sostenendo che il finestrino aperto aiuta la circolazione dell’aria condizionata. Quei due potrebbero essere fratelli di camicia di forza.
Arriviamo in vista del Pappafico e parcheggiamo prudentemente a qualche centinaio di metri, non senza sorbirci le lamentele dell’ala scansafatiche della macchina. Il locale è già pieno di gente (perlomeno la zona all’aperto) ma noi, astuti come il diavolo, abbiamo prenotato e il nostro tavolo è proprio di fronte al gruppo.
Trattasi di un trio: chitarra, violino (Andrea) e batteria. Apprendo con un certo stupore che il batterista è anche il cantante e mi gira la testa; io già non riuscirei a fare due cose diverse con le mani (per non parlare dei piedi), figuriamoci cantare.
Arriva il cameriere con i menù e la fame mi riporta bruscamente alla realtà: dobbiamo ordinare. Ripercorrendo mentalmente la serata mi rendo conto che è proprio questo il momento chiave, l’istante in cui commettiamo l’errore madornale che influenzerà tutto il resto. Pur sapendo che quando tutto suda è meglio consumare cibi freddi, di fronte al maccheroncino Pappafico la carne (almeno la mia) è debole; mi consola però pensare che erro in buona compagnia: io vado di maccheroncino mentre la Clodia, che è vegetariana, si butta (dietro mio consiglio) sui cappelletti alle erbe profumate e gli altri si distribuiscono equamente su garganelli, cozze ecc.
Intanto la folla è aumentata e si è infilata in tutti i buchi possibili, rendendo praticamente l’area a tenuta stagna, non entra un filo d’aria neanche a morire.
Quando finalmente arrivano le cibarie, noi siamo già un pezzo in là, causa frizzantino fresco che va giù benissimo ma poi lo sudi tutto e ti taglia le gambe.
Mentre arpiono maccheroncini come fossi un baleniere, mi cade l’occhio sulla Clodia che sta fissando il suo piatto con aria sconsolata. Strano – penso – lì non c’è né aglio né cipolla (torneremo in un altro momento sull’affascinante tema della Rini e del suo regime alimentare); dando un’occhiata da vicino al piatto scopro però che, per una ragione che non riesco a immaginare, i cappelletti sono conditi con burro, erbe profumate come da titolo, e…un’abbondante dose di salsiccia. Come mai? – vi chiederete. Ce lo chiediamo pure noi ma sappiamo per esperienza che catturare l’attenzione del cameriere all’ora di cena, in un locale pieno, è impresa disperata e non ci resta che rassegnarci.
Facendo mente locale alle mie precedenti esperienze di cappelletti,  non ricordo di aver mai visto la salsiccia in questo piatto ma l’ho pur sempre consigliato io quindi l’ondata di senso di colpa è tale che ci potresti fare il surf; mi prostro in scuse, vorrei offrire in cambio il mio maccheroncino ma nel sugo c’è la pancetta, Rico ha  preso le cozze, Mohuro i bruciatini (sempre di pancetta), insomma, tutto quello che abbiamo ordinato contiene cadaveri. La nostra eroina sospira un “non fa niente” e inizia a rimuovere la salsiccia (tutta sbriciolata, un po’ un delirio) dai cappelletti mentre noi, dopo un buon mezzo minuto di parole consolatorie e sguardi mesti, ci ributtiamo allegramente sui nostri manicaretti animali. Ah, gli amici!
Quando scocca l’ora d’inizio del concerto, i musicisti imbracciano gli strumenti (tranne il batterista) e danno fuoco alle polveri;  noi vorremmo essere un pubblico all’altezza della situazione ma ormai l’errata scelta di menù si sta facendo sentire pesantemente. La situazione è talmente grave che quando arrivano le due porzioni di patatine fritte ordinate in precedenza da due incoscienti che resteranno anonime (visto come sono stata discreta, Ale e Clodia?!), io rifiuto categoricamente di mangiarle (è praticamente uno dei segni dell’Apocalisse).
Accanto a me Mohuro pare ancora più provato dal caldo e, guardandolo bene, è facile capirne il motivo: indossa jeans lunghi e scarpe chiuse. Interrogato sull’argomento mi informa che il vero uomo elegante aborre indumenti plebei e trasandati quali bermuda e sandali, certi standard vanno mantenuti.
Il fazzoletto dell'uomo elegante
In linea con questo pensiero sfoggia un fazzoletto di stoffa che utilizza per detergersi frequentemente la fronte imperlata di sudore. La vita dell’uomo elegante non è una passeggiata.
Il concerto prosegue ma per me rimane avvolto in una specie di nebbia, ho i neuroni ovattati dalla digestione e dal caldo, non ne posso veramente più; a un certo punto scoppio, mi alzo e fendo la folla puntando verso l’esterno come un naufrago che ha intravisto terra. Fuori dal locale mi accoglie un venticello che sa di mare e che mi restituisce alla vita; nel giro di qualche minuto la pressione si alza, l’occhio torna vispo e tutto ricomincia a funzionare, anche se a regime ridotto.
Guardandomi intorno mi accorgo di aver fatto tendenza: l’Ale e la Clodia mi hanno seguito come il popolo Mosè. I due baldi uomini sono rimasti dentro, un po’ perché trattandosi di musicisti secondo me non se la sentivano di alzarsi, un po’ perché il vero uomo non accusa debolezze di questo tipo, salvo poi sudare sette camicie e rischiare uno svenimento.
Una volta riprese le forze mi si sono riaperte le orecchie e il caso vuole che proprio in quel momento stessero suonando Halleluja. Tempismo perfetto.
Da quel momento in poi abbiamo seguito il concerto dall’esterno, e siamo riuscite a godercelo davvero, salendo a turno sul muretto perimetrale per sbirciare al di là della folla. Ogni tanto si riusciva a intravedere la testa del batterista/cantante, a volte un manico di chitarra o l’archetto del violino; però, si poteva ascoltare, guardando il mare seduti sul muretto e godendosi una signora stellata. Tutto considerato, proprio niente male.



Questo articolo è stato scritto per la rubrica l'Angolo dell'Estrema Riluttanza su stonehand.it: http://www.stonehand.it/wordpress/?cat=271

3 commenti:

  1. Ogni tanto, dal muretto, si riusciva a vedere anche la sagoma umana di Rico, arrampicato sull'albero.
    Ovviamente 118 pre-allertando, memori della precedente esperienza di free climbing dello stesso, durante lo scavalcamento rete perimetrale dell'albertini, ove aveva rischiamo l'intervento di ricostruzione dell'anca.

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  2. Da segnalare anche la nuova agenda della Clodia, e la tecnica sopraffina di idro-pulizia del colon DI GRUPPO, che ha spinto tutti ad abbandonare il locale schifati...ma cosa sarà maiiiiiiii???!!!! Fa bene vè!

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  3. questa non l'avevo letta carina,anke la foto del fazzoletto non male. poi i tuoi commenti al vatriolo.................. mettono sempre di buon umore,mi faccio delle gran risate a a a a a au u u y yy a a aa!!!

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