venerdì 23 settembre 2011

Campeggio last minute: una vacanza bestiale - Terza e Ultima Parte

Questa volta la notte trascorre in modo un po’ meno traumatico; sempre freddo, sempre a rigirarmi semisoffocando causa felpa termica in faccia ma, almeno, grazie ai due pile avvolti intorno al sacco a pelo, riesco a dormire per parecchie ore di fila. Il trauma però è solo rimandato. Infatti proprio quella mattina arrivano tre allegre famigliole di italiani (e a giudicare dalla parlata temo fossero delle nostre parti), provviste di un certo numero di bambini. Che non avessero un’idea ben chiara del concetto di campeggio è apparso evidente quando, dopo aver montato la prima tenda familiare, una di loro ha passato l’aspirapolvere. L’ASPIRAPOLVERE. E non quello piccolo e portatile, magari solo negli angoli, no, ha usato la scopa elettrica e l’ha passata avanti e indietro per qualche minuto. Ho temuto volesse dare pure la cera.
Da quel momento in poi la pace e la tranquillità del campeggio vanno in ferie anche loro; da una parte i bambini urlano a qualsiasi ora del giorno (incluse le cinque di mattina), dall’altra i genitori guardano la TV (si sono portati la tv, probabilmente la parabola è rimasta a casa solo perché non entrava in macchina) fino a mezzanotte e mezza, nonostante il periodo di silenzio inizi alle 23; insomma, un delirio.

La mattina dopo, verso le 6.30 veniamo svegliati da urla belluine (Hoooooooo!!!! Huìììììì!!!!) non meglio identificate e accompagnate da meno misteriosi muggiti; Rico mi rivelerà successivamente che quando il casino l’ha svegliato lui era convinto si trattasse di una lezione di karate. Fortunatamente, dopo una decina di minuti la transumanza termina e ritorna il silenzio. Mi giro nel sacco a pelo tentando di riprendere sonno ma, purtroppo, il fragore bovino non ha svegliato solo me: una vocetta penetrante squarcia la quiete: “Mamma?!” E continua a ripetersi ogni dieci secondi. La colpa è ovviamente di quella disgraziata della di lui madre che si guarda bene dal rispondere, probabilmente sperando che il nano si riaddormenti. Eppure dovrebbe saperlo che non funziona così; morale, sto bambino tiene sveglio mezzo campeggio e mezzo campeggio manda accidenti di vario genere alla sua famiglia.

Quel pomeriggio, mentre me ne sto stesa sul prato leggendo l’ennesimo numero di Maison Hikoku (Rico ha portato due diverse serie di manga e ci stiamo abbuffando di fumetti), un grido improvviso mi fa sobbalzare. Riconosco la voce e lo raggiungo in tenda: il tapino mi aspetta con la faccia di uno che ha appena mangiato un limone e, in effetti non ha tutti i torti: mentre stava riordinando la tenda il poveretto ha preso in mano un oggetto non identificato che si è rivelato essere un enorme lumacone ciccione. Ecco spiegato l’urlo schifato, seguito dall’apertura della mano e abbandono del salsicciotto bavoso che ora giace immobile in un angolo della tenda.
Ammetto di non aver proprio reagito nel modo migliore di fronte a tutto questo orrore: senza minimamente preoccuparmi del suo trauma, mi sono piegata in due dal ridere per almeno un paio di minuti, mentre lui me ne diceva di tutti i colori. Sono un mostro insensibile.
A questo punto le nostre strade si dividono: mentre io mi occupo di traslocare il viscido ospite verso un albero nei paraggi, Rico afferra un sapone e parte diretto ai bagni per togliersi la bava dalla mano, salvo però tornare cinque minuti dopo: “Non va viaaaa!!!!! Dammi il detersivo per i piatti!!” Alla fine però, dopo molto sfregare e parecchio imprecare, tutto torna alla normalità.

Ovviamente, di fronte a questa calata di barbari sul campeggio noi scegliamo la fuga, anche perché quella sera è in programma un’altra cena sociale, in questo caso la cena di Ferragosto, e non esiste che ci facciamo incastrare due volte. Il volantino che annuncia la cena è a modo suo un’opera d’arte, evidenza oggettiva degli effetti devastanti che produce qualsiasi tentativo di tradurre dei testi dall’italiano all’inglese traducendo parola per parola (in the kitchen are we).
Ci lasciamo alle spalle il campeggio con il serpentone di tavoli in via di composizione e partiamo alla ricerca di un posto dove mangiare. Avendo letto che in uno dei paesini dei dintorni è in programma una sfilata, decidiamo di provare là e io m’immagino già la scena: noi due che sorseggiamo frizzantino circondati da modelle chilometriche calate in abiti sciccosissimi. Peccato che, nell’unica pizzeria che troviamo ci rispondano picche, sono già tutti lì in attesa dell’evento e hanno occupato fino all’ultima sedia. Riprendiamo la macchina e fortunatamente nel secondo ristorante c’è posto; ci sediamo e sospiriamo soddisfatti, anche questa è fatta! In realtà le cose stanno diversamente: bastano pochi minuti per renderci conto che il personale è assolutamente sconvolto dalla massa di gente arrivata per cena, tutti corrono di qua e di là come se trasportassero organi per trapianti. Ci guardiamo un po’ perplessi e proprio in quel momento una delle cameriere, passando, appoggia i menù sul nostro tavolo e schizza via senza dire una parola. Prendendo il menù mi cade l’occhio sulla tovaglia: è alla rovescio e pure macchiata, cominciamo bene.
E invece, a dispetto delle mie nere previsioni, le cose filano più che lisce; del tutto casualmente ordiniamo una focaccia con salumi e formaggio mentre tutto il resto del mondo vuole la pizza, quindi ci servono quasi subito e in meno di un’ora siamo pronti per il conto. Arriviamo alla cassa parecchio ringalluzziti ed è lì che ci si presenta un problema francamente inimmaginabile: il cassiere non sa né il prezzo della focaccia né quello di salumi, formaggi ecc, non sa neppure dove cercarli nel menù. Ci lanciamo in suo soccorso indicandogli i prezzi (avendo ordinato sappiamo dove sono) e ripartiamo di gran carriera, sperando di non aver perso l’evento clou della serata.

Purtroppo la kermesse è già iniziata. Un lunghissimo tappeto rosso corre lungo il corso principale indicando il percorso della sfilata; è fiancheggiato da centinaia di sedie, ovviamente tutte occupate. Più o meno a metà del percorso trovasi il tavolo dei commentatori, a cui siedono una commentatrice principale, che parla con una dizione super impostata da signorina buonasera, e un paio di esperti che intervengono su richiesta della signora: una illustra le musiche utilizzate come colonna sonora, l’altro dà cenni storici del periodo in esame. Sì, perché trattasi di una sfilata che ripercorre la storia del paese dal Cinquecento a oggi.
Come modelli sono stati precettati i giovani locali e devo dire che, soprattutto gli uomini, danno prova di grande forza d’animo, essendo che gli tocca andare scalzi perché l’organizzazione non dispone di calzature delle varie epoche; va meglio alle donne che sotto i loro vestitoni lunghi possono nascondere un paio di infradito o addirittura delle Nike (ogni tanto fanno capolino quando alzano il vestito).
Quello della commentatrice non è un compito facile perché il percorso della sfilata è lunghissimo e lei deve trovare qualcosa da dire per tutto il tempo; gli esperti le danno una mano ma per la maggior parte del tempo la poveretta è lasciata a se stessa e, dopo aver menzionato per la centesima volta questi abiti così ricchi di oro, pietre preziose e perle, trovare altro materiale si rivela un’impresa. Dopo circa mezzora lo stress e la stanchezza sembrano avere la meglio e la dizione perfetta s’incrina lasciando trasparire in modo sempre più evidente l’accento locale che, per chi come noi viene da fuori, è piuttosto marcato. A questo punto si sparano le ultime cartucce, le migliori, e vediamo sfilare tre individui che rimarranno per sempre scolpiti nella mia memoria:

a)      Il boia, a torso nudo e con calzamaglia nera e scure,
b)      Il condannato a morte, anch’egli a torso nudo, le mani legate davanti e, inspiegabilmente, la stessa calzamaglia del boia,
c)      Il poveretto che trasporta il ceppo per l’esecuzione (astutamente collocato su una carriola), anche lui inguainato nella stessa calzamaglia di cui sopra. Si vede che c’era un 3x2.

Proprio quando credi che non possano in alcun modo superare quanto appena visto, ecco che ti arriva il garibaldino a cavallo. Inizia a sfilare nonostante il nervosismo evidente dell’animale di fronte alla folla e al rumore. La presentatrice, carica di entusiasmo, esorta il pubblico chiedendo un forte applauso; la folla la ignora nella maniera più assoluta dimostrando che, checché se ne dica dei suoi gusti in fatto di intrattenimento, non è così rimbambita da applaudire un cavallo nervoso a pochi metri di distanza. Incredibilmente, cavallo e cavaliere completano il percorso senza che la povera bestia tiri calci a nessuno (uno alla presentatrice sarebbe stato quantomeno comprensibile) e di lì a poco la sfilata giunge al termine. Ed è bello poter dire: io c’ero.

Con questo si conclude la cronaca della vacanza; sono successe molte altre cose ma se continuassi arriveremmo a Natale. Permettetemi quindi di elencare brevemente alcuni dettagli omessi nel corso della narrazione:

1)      Tornando dal supermercato incrociamo un cartello che indica la grotta di monte cucco e decidiamo lì su due piedi di seguirlo. Dopo un quarto d’ora di strada con una pendenza allucinante (la macchina poverina teneva il fiato coi denti), arriviamo in cima; deltaplani e parapendii volteggiano sopra di noi in un cielo azzurrissimo con il sole ormai al tramonto, il tutto in un silenzio quasi assoluto, di quelli a cui ormai non siamo più abituati. Un’esperienza strana e bellissima. Purtroppo noi siamo in bermuda e maglietta e a quell’altezza fa un freddo boia, riusciamo a resistere per un quarto d’ora ma poi il vento gelido ci scaccia. Tornando giù ci tocca fare lo slalom tra mucche e cavalli che pascolano allegramente in mezzo alla strada; verso la fine della discesa comincio a sentire un odore di bruciato che non promette bene, la voiture ha una certa età, non puoi scherzare coi freni. Ci fermiamo per far riposare il mezzo, con grande soddisfazione di quelli nel suv dietro di noi che, dopo aver morso il freno per parecchi minuti, possono finalmente sfrecciare giù bruciando l’asfalto.
2)      Il penultimo giorno, mi sveglia l’ennesima vocetta penetrante, di una bambina stavolta, che pare trovarsi a mezzo metro dal mio orecchio. Sta raccontando che la bambina era vicino alla macchina e dopo però la macchina l’ha messa sotto. Chissà come mai l’avrà messa sotto?! Io un’idea l’avrei. Mi alzo e guardo Rico. “Smontiamo?” Risposta: “Smontiamo”.
3)      L’ultimo giorno andiamo a pagare e la signora ci chiede “E’ andato tutto bene?” Io, incapace di dire la verità ma anche di mentire spudoratamente, scelgo un compromesso, e rispondo “Sì, è solo che non siamo molto abituati a tutta la gente che c’è a Ferragosto” al che lei ribatte piccata “Qui non c’è mai molta gente, neanche a Ferragosto!”                                                                                              Ma se non lo vuoi sapere, cosa me lo chiedi a fare?
4)      Sempre mossi dal desiderio di fuggire dal delirio del campeggio, una delle ultime sere decidiamo di visitare Costacciaro; stiamo camminando lungo il muro esterno, ammirando il panorama notturno quando un cartello di divieto di sosta attira la nostra attenzione: sotto il cartello c’è una comunicazione:

DIVIETO DI SOSTA E TRANSITO
DOMENICA 07/08/2001
DALLE ORE 08 ALLE ORE 24.00
PER PANINAZZO

Non dico che non ci dormiamo di notte ma, se qualcuno potesse far luce sul mistero del paninazzo…

4 commenti:

  1. spettacolare come sempre, la lumaca cercava sicuramente vendetta nei confronti del cantautore e della corista che ne celebrano la salsa.

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  2. Ma questo blog è divertentissimo! Dovresti aggiornarlo più spesso!

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