domenica 2 marzo 2014

Estremo Oriente con Estrema Riluttanza: gli inizi

Partenza prevista per venerdì 7 febbraio ore 13.40, volo con destinazione Bangkok e scalo a
Mosca (il biglietto costava meno); nei giorni precedenti la frenesia nell'aria era palpabile, tutto molto last minute, troppe cose da fare e troppo poco tempo per farle.
Data la premessa, mi aspettavo il disastro e invece, se escludiamo il fatto di esserci dimenticati il sacco dell'umido dentro casa (un pietoso genitore s'è incaricato della cosa), mi sento di dire che questa volta la partenza è stata una delle più tranquille che io ricordi.
Ovviamente il viaggio aereo è tutto un'altro discorso e non solo per colpa nostra; dal momento in cui varchi la soglia dell'aeroporto entri in un universo parallelo in cui tutto costa dieci volte di più, il cibo sa di plastica o gomma (se è morbido) e improvvisamente l'acqua minerale diventa questo pericolosissimo nemico e se te ne trovano una bottiglietta in borsa te la sequestrano con quel fare da squadra narcotici che ha appena pizzicato un grosso spacciatore, per non parlare dei muri, tutti uguali, le sedie, tutte uguali, sembra di essere appena passati di lì e invece è mezz'ora che cammini per arrivare dal terminal B al terminal ZX e hai probabilmente macinato qualche chilometro.
La ciliegina sulla torta arriva quando sali sull'aereo e comincia la rumba di snack/bibite, pranzi cene colazioni, ad orari che con il ciclo di vita umano hanno ben poco a che fare. Questa volta abbiamo pranzato verso le 15 mentre la cena, causa ritardo del secondo volo, ce l'hanno servita verso l'una di notte e alle 3 hanno spento le luci per "dormire", salvo poi riaccenderle alle 5. Sadici.
Del menu ricordo solo un pomodoro ciliegino che sapeva di giuggiola, il formaggio arancione e, per colazione, lo stesso pollo a fette della cena affiancato a un pancake che era un masgotto (leggi pallotto, ammasso densissimo) inaffrontabile.
Comunque, nonostante tutto, siamo arrivati interi dall'altra parte del mondo ed essendo la nostra terza volta in quel di Bangkok, nel giro di qualche ora avevamo trovato un albergo, fatto una doccia e consumato il nostro primo pasto in loco, seduti ai tavolini di plastica di uno dei mille ambulanti che vendono cibo per le strade della città.
I due giorni successivi li ho trascorsi lottando con l'inevitabile jet-lag; fortunatamente in Thailandia il wi-fi è ovunque quindi anche alle 3 di notte, stesa a letto nel buio della mia camera mentre qualcun'altro (maledetto) dormiva beatamente, potevo mandare messaggi e navigare in attesa dell'alba. Va da sè che di giorno sembravo una comparsa de "La notte dei morti viventi", causa anche la temperatura oltre i 30 gradi e un'umidità da piscina.
I primi giorni ce la siamo presa comoda, abbiamo visitato qualche tempio lì nei dintorni, preso le barche-bus per spostarci lungo il fiume dimenticando per un po' il traffico allucinante della città e osservando la gente che andava al lavoro, a scuola e misteriosamente in giro con ceste piene di teste di pesce. Abbiamo pure mangiato qualche tagliolino in brodo di cui avevamo sentito molto la mancanza a casa.
La mia mise in giro per Bangkok non era proprio delle più chic, come ambasciatrice del Made in Italy nel mondo non avrei fatto una gran figura ma dovete capire che girare in questi climi è complicato; oltre a tutto il solito armamentario del turista fai-da-te, già di suo piuttosto ingombrante, avevo sempre con me quanto segue:
1) un ombrello parasole (qui li vendono foderati dentro così non passa neanche un raggio di sole) ispiratomi dalle signore giapponesi, che evidentemente ne sanno a pacchi perché l'ammennicolo in questione  riduce di almeno 4-5 gradi la temperatura avvertita e sarà quindi mio inseparabile compagno per tutti i secoli dei secoli, amen
2) una felpa da indossare sul treno sopraelevato, nei centri commerciali, sui taxi e in generale ovunque abbiano l'aria condizionata accesa, essendo normale arrivare da fuori (35 gradi) e trovarsi in un ambiente a 18-20 gradi che ti congela il sudore addosso e poi ti ammali e cominci a starnutire, cosa che qui pare non essere ben vista e si rischia di fare la figura dei soliti farang buzzurri
3) un pareo da avvolgermi intorno a mo' di gonna per quando si entra in un tempio dove le peccaminosissime ginocchia devono essere nascoste (per le braccia ho una maglietta con manica)
Fare i turisti non è sport per tutti.
Una volta ripresi ritmi di vita normali, abbiamo acquistato due biglietti per l'autobus che andava in Cambogia, un viaggio, un delirio.

Ma di questo parleremo la prossima volta.

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