venerdì 21 marzo 2014

Estremo Oriente con Estrema Riluttanza: vedi Angkor Wat e poi muori

Apro gli occhi ed è buio, strano, sarà ancora notte, un falso allarme. Mi giro dall'altra parte però sento un suono, lo ascolto, io questo lo conosco, cos'è? Sembra la sveglia. All'improvviso, mi torna in mente tutto (anche se avrei preferito di no): Agkor Wat, la
visita guidata e soprattutto l'orario, sono le 4.30. Le 4.30 A.M.
Li odio tutti: l'autista, Rico, le rovine, l'umanità intera. Mi alzo con l'occhio a vongola, una fessura strettissima; vado in bagno, odio anche il bagno. Riesco miracolosamente a scendere le scale e mi ritrovo all'ingresso dove, nell'oscurità della notte, compare il nostro autista 100% cambogiano che si presenta come Mr Black (tipico nome locale). Saliamo su quella specie di risciò trainato da moto che è il tuk-tuk e partiamo verso le rovine. Poco a poco lungo la strada compaiono altri mezzi; ci raggiungono, ci superano, si accodano, sembra il rientro dei vacanzieri la domenica sera sulla statale Adriatica. Però è bello per una volta non morire dal caldo.
Devo dire che qui in Cambogia la gente guida in modo creativo, nel senso che quando arrivano agli incroci girano infilandosi in tutte le corsie, l'impressione è che quello del senso di marcia per loro sia un concetto opinabile.
Per fortuna il nostro baldo autista è uomo saggio e conosce il valore del casco per proteggersi dagli incidenti e infatti uno splendido casco pende da un bracciolo del tuk-tuk, versione asiatica del santino di San Cristoforo, patrono degli automobilisti. Speriamo solo che funzioni.
Quando finalmente arriviamo in zona rovine, siamo una mandria infinita, un mare di tuk-tuk.  Facciamo il biglietto e poi ci avviamo verso il primo tempio dove attenderemo tutti insieme il magico arrivo dell'alba. Lungo la strada la gente si affretta per prendere i posti migliori; io, data l'oscurità, preferisco rinunciare alla pole position ma almeno evitare di inciampare e rompermi l'osso del collo, anche perché il casco-santino è rimasto sul tuk-tuk.
Raggiunto il lago davanti al quale resteremo in piedi per un'ora in paziente attesa, guardandomi intorno noto alle nostre spalle una costruzione sui cui gradini alcune persone si stanno rapidamente accomodando; con una mossa repentina li raggiungiamo, guadagnando gli ultimi posti a sedere e scongiurando il rischio di iniziare l'esplorazione del sito avendo già un gran mal di schiena.
Nell'ora trascorsa seduti su quei gradini ho visto sfilarmi davanti un sacco di umanità e devo confessare che di parecchia di questa umanità si farebbe volentieri a meno. Prime fra tutte le tre fighe di legno (si può dire fighe di legno?) con la tinta bionda identica che ci hanno bruciato la retina (e sgardellato gli zebedei) per un'ora, facendosi continuamente delle foto mentre scrollavano la bionda criniera. E non dimentichiamo le sciantose, quelle che vai a visitare un sito dove sai che devi fare su e giù per scale, ruderi ecc per almeno sei ore e ti metti la zeppa trampolata e il vestito lungo di velo. Una menzione speciale va ai derelitti con bermuda e infradito, sarei stata curiosa di vedere i loro piedi a fine giornata. Anche perché (ma noi l'avremmo scoperto solo dopo) l'ingegnere che ha progettato sto complesso non doveva essere proprio un fulmine coi calcoli e secondo me si è accorto solo alla fine che non aveva spazio per fare delle scale normali, per cui ha infilato ovunque scale ripidissime e con gradini corti che anche per noi con le scarpe chiuse non erano proprio una passeggiata. Se fossi stata al suo posto avrei brillantemente risolto il problema sistemando intorno a ogni edificio un bel tapis roulant come in aeroporto (l'assenza di elettricità compensata da un pesante utilizzo di schiavi trascinatori). Volete mettere la comodità? Per non parlare del panorama...
So che non dovrei dirlo (sito patrimonio dell'Umanità dell'Unesco ecc ecc) però la cosa in assoluto più bella per me sono stati questi alberi secolari immensi, maestosi, che ogni tanto incontravamo lungo il percorso e che puntualmente ci fermavamo a fotografare (solo noi e i turisti giapponesi). Uno l'abbiamo anche abbracciato.
Ah, prima che mi dimentichi: ore 06.00, tempo nuvoloso, alba spettacolare ciccia.


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