mercoledì 9 gennaio 2013

Nonantola e il mucchio selvaggio


Erano le ore diciotto di mercoledì 12 dicembre e mi trovavo in autostrada tra Bologna e Modena alla guida della mia fedele Fiesta, in quel momento strapiena di ukuleli, al punto che un’inchiodata sarebbe stata letale.
Come inizio mi pare abbastanza d’effetto, adesso vediamo di fare un passo indietro e chiarire le cose: stavo facendo da autista a Farnedi che quella sera doveva tenere, presso la fonoteca di Nonantola, un incontro dedicato all’ukulele e aveva quindi deciso di dare fondo alla nostra provvista domestica e portare tutti gli ukuleli in dotazione (a lato solo alcuni esemplari) per permettere ai partecipanti di provare dal vivo lo strumento. A vederci da fuori immagino sembrassimo la macchina di Fantozzi carica per le ferie, mi chiedo ancora come sarebbero andate le cose se ci avesse fermato una pattuglia per un controllo e mi avessero chiesto di aprire il  bagagliaio.

Come sempre il tratto dell’autostrada tra Bologna e Modena era l’equivalente di una zona di guerra e mi aveva già strappato una vasta gamma di brutture, peraltro pienamente giustificate: camion che invadevano corsie senza mai una freccia di preavviso e sfanalatori impazziti che mi alitavano sul collo, ne avevo già maledetti almeno una ventina. Altro che scompensi ormonali, la causa dell’alopecia maschile sono io.
Una volta arrivati a destinazione ed espletate le millemila prove necessarie a interfacciare pc, videoproiettore, sistema audio ecc ecc, Giorgio Casadei (l’organizzatore della serata) ha consegnato a Rico dei documenti da compilare per il Comune e ci ha accompagnato fino a La Smorfia, una pizzeria napoletana dove ho mangiato una delle pizze più buone degli ultimi tempi, arrivando alla conclusione che a me la pizza napoletana piace, se la sanno fare.
Essendo un po’ stretti coi tempi siamo tornati immediatamente alla fonoteca, ri-sfidando il freddo polare della provincia modenese; abbiamo varcato la soglia palesemente compiaciuti della nostra impeccabile puntualità, peccato che i famosi documenti, compilati come richiesto in tutte le loro parti, fossero rimasti allegramente in pizzeria. Farnedi a quel punto doveva rimanere in loco quindi la carne da cannone ero io: mi sono rimessa giaccone, sciarpa, berretto, guanti e grasso di balena e son tornata alla Smorfia dove, grazie a dio, erano pieni di gente e non avevano ancora trovato il tempo di sparecchiare il nostro tavolo, ragion per cui i due preziosissimi fogli erano ancora lì.
Al ritorno in fonoteca ho studiato la situazione e notando che parecchi tra il pubblico avevano portato un loro strumento, sono andata a recuperare l’unico tra gli undici ukuleli che era proprio mio, dicendomi che quello in fondo era un incontro per principianti, ce la potevo fare anch’io.
Ovviamente quando ti senti impedito vuoi dare nell’occhio il meno possibile, quindi mi sono seduta in fondo all’aula e in un angolo, con le spalle coperte, sembravo il tenente Ripley in Alien.
Poco a poco la sala si è riempita e si sono aperte le danze: Farnedi è partito con un breve accenno alla storia dello strumento mostrando video e foto; all’inizio era tutto molto tranquillo, poi quando siamo arrivati al momento della prova pratica ho iniziato un po’ a sudare (c’è del materiale per tesi di laurea in psichiatria). Mentre Enrico e Giorgio giravano per la sala offrendo ukuleli al popolo, un uomo dietro di me se n’è uscito con “No, io no che non conosco gli accordi!”
Fratello! - ho pensato- affrettandomi a dirgli che non si preoccupasse, che anche io ero messa così, che sapevo due accordi in croce, tutto ciò nel tentativo di incoraggiare il mio compagno in difficoltà. Il quale compagno in difficoltà si è fatto spiegare come fare il do e il fa e, dopo neanche un quarto d’ora era là che suonava tremila note al secondo, pareva ne avesse otto di mani! Solo dopo ha lasciato casualmente trapelare che lui non sapeva suonare l’ukulele, però la chitarra sì. Si sarebbe meritato una badilata nella schiena ma ero troppo presa dall'immane sforzo di suonare “la gatta” alla velocità smodata richiesta dal Farnedi quindi ho dovuto soprassedere.
Insomma, per tirare le somme, suonare in gruppo si è rivelato un vero toccasana per l’autostima: se sbagli accordo nel mucchio non si sente, se le dita s’invrucchiano e produci versi indefinibili, anche quello nel mucchio non si nota, se perdi il filo, il mucchio prosegue e alla prima occasione puoi infilarti di nuovo e continuare fingendo che non sia successo niente. Tutto questo sempre a condizione che nel mucchio la percentuale di impediti come te sia limitata. In questo caso lo era.
Alla fine insomma ti trovi a dire “oh, in fondo poi son bravina!” e per un po’ puoi tranquillamente far finta di crederci. Un sentito grazie ai colleghi del mucchio.


P.S. Ecco un esempio di come può essere suonare l’ukulele nel mucchio

P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press




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